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Le corone degli alberi lasciavano filtrare lame aguzze di luce attraverso il fogliame. Gli uomini stavano a torso nudo, in pantaloncini. Da lontano si sentiva il rumore dell’autostrada. La lenza si tese. Il pesce era piccolo e non fece quasi resistenza. Lo tirò su. Le squame erano lisce e coperte di una sottile sostanza viscosa grigia, che divenne trasparente una volta a contatto con le sue mani. Gli spezzò il collo con un rumore secco e gettò il pesce morto nel secchio.
«A proposito, ieri ho visto una vipera sulla piazzola panoramica», disse, «vicino alle felci. Lì dove ci sono le fragoline di bosco». Si accorse che le mani gli puzzavano di marcio.
«Era grossa?». William Pettersen lo guardò.
«Sì, la più grande che abbia mai visto». Voleva ridere, ma non ci riuscì.
«Stai attento allo scoglio sott’acqua. Quello nero, laggiù».
«Lo so dov’è». Lennart Hjertnes remò fino a riva. L’acqua emanava un odore acre di alghe e di laminaria. Una forte ventata ne increspò d’un tratto la superficie, dando luogo a migliaia di stelle danzanti. «Torniamo al largo», disse.
«Ewald stasera rivuole la barca?»
«Non lo so». Guardò in basso, verso i sandali. «Ho messo il piede in una buca piena di fanghiglia. Le mie scarpe da ginnastica sono ad asciugare sulla piattaforma di legno vicino al gabbiotto del check-in».
«Devi usare i vermi, Lennart», disse William Pettersen fissandolo. «Lo fa anche tuo fratello. Ewald non utilizza queste stupide mosche. Così prendi solo pesci piccoli».
«Stupide mosche, ma senti un po’. I vermi sono per i perdenti. Non cercare di darmi lezioni». I muscoli formavano dei rigonfiamenti sulle sue braccia, ma la pelle tutt’intorno aveva perso tono.
«Datti una calmata, Lennart. Devi pure tollerare che qualcuno ti faccia un’osservazione. Non puoi mica sentirti così importante soltanto perché gestisci quel negozietto e guidi una macchina più bella di quella di Ewald».
«Quel negozietto, sentilo».
«Lo sai che Ewald pensa che lui avrebbe dovuto… dal momento che, sai… quella cosa che è successa tanto tempo fa».
Lennart fissò un’altra mosca all’amo e lo gettò ancora in acqua. «Mi fa piacere che ti siano piaciuti, gli stivali. E quella volta non è successo nulla», disse. «Ewald è già abbastanza indaffarato con la gestione di questo campeggio per qualche settimana d’estate. Non ce l’avrebbe mai fatta con il negozio».
William Pettersen si frugò nelle tasche alla ricerca di un pacchetto di sigarette. «A proposito, tengono molto caldo quegli stivali che mi hai dato. Non è che siano proprio calzature estive. Ewald comunque me l’ha raccontato».
«Che cosa?»
«Che ti sei arrabbiato quando ti ha detto dell’uomo in ascensore. Che voleva soltanto andare a casa a prendere…».
«Questo è un problema suo». Lennart Hjertnes fissava un punto nell’acqua.
William Pettersen lo osservò. «Per caso l’uomo in ascensore aveva qualcosa a che fare con la signora del sesto piano?»
«Ecco, ha abboccato».
«Allora?»
«In tal caso dovresti saperlo tu, William. Ti riferisci a qualcosa in particolare?»
«Non hai risposto alla mia domanda». Pettersen sostenne il suo sguardo mentre immergeva le dita in acqua.
«Sì che ho risposto alla tua domanda. Siete tu ed Ewald ad averlo visto, mica io». All’improvviso sentì dei rumori e si girò di scatto. Vide Lilly Rudeck che nuotava verso il largo. L’uomo di colore sedeva su un masso e la guardava.
Doveva essere il crudele teatrino ordito dal caso, pensò. Il modo in cui Lilly camminava, il suo vestito, le scarpe e i capelli. Ogni cosa in lei. Era stato uno shock, quello dell’uomo in ascensore. Un terribile shock. All’improvviso, tutto era tornato a galla.
William Pettersen iniziò a riporre l’attrezzatura da pesca. «Torniamo a riva, tra un po’?».
Lennart si girò dall’altra parte e non rispose alla domanda. «A proposito, hai detto alla polizia dell’uomo in ascensore, il fatto che Ewald l’aveva visto?»
«Quando sono stato interrogato, intendi?»
«Sì».
«No. Non ho detto nulla. Ha forse qualcosa a che fare con questa faccenda, eh?»
«No. Mi chiedo soltanto cosa abbia pensato Ewald».
«Puoi chiederglielo, no?»
«No».
Lilly Rudeck tornò a nuoto verso la riva della piazzola panoramica. Gli uomini in barca la guardarono.
William Pettersen sorrise. «Che c’è?», chiese.
«A Ewald non piace quel tipo dalla pelle scura», disse Lennart Hjertnes e indicò l’uomo sul masso.
William Pettersen si accese una sigaretta. «Quando vedo quella lì che nuota, penso subito a vostra madre. Mi viene in mente il cattivo odore che c’era nella vostra cucina».
La barca scivolò verso terra. Lentamente, fino a toccare la riva, rollando. Lui allungò una mano e strappò alcune piante di cerfoglio selvatico dalla terra soffice. Chiuse gli occhi e provò la sensazione di cadere. Poi tirò su la lenza con un gesto deciso. «Vogliamo pescare o no?»
«Tra un po’ smettiamo», disse Pettersen. «È strano…».
«Cos’è strano?»
«Assomiglia a vostra madre. È per questo che mi è venuta in mente la cucina».
Lennard Hjertnes torse il busto e gli lanciò un’occhiata gelida. D’un tratto, le sue parole lo avevano precipitato da una dimensione a un’altra. «È stato più difficile per Ewald», disse, prendendo un remo e immergendolo come un’ala in acqua. Lo mosse con cautela, facendo cambiare direzione alla barca.