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Le indagini erano giunte a una svolta improvvisa. Cato Isaksen correva avanti e indietro per il corridoio per convocare una riunione urgente nell’ufficio d’angolo. «Venite immediatamente da me», gridò guardando Randi, che saltò su dalla sedia nel suo ufficio.
«Dove sono Asle e Tony?».
Randi lo guardò spaventata. «Asle è in tribunale; Tony doveva andare a prendere la figlia all’asilo. Pare che sia malata. Lo devo chiamare?».
Isaksen scosse la testa. «Adesso vediamo, prima facciamo la riunione. Tanto poi arriveranno. Cerchiamo di darci una mossa. Avverti Roger».
* * *
«Cosa? Questa sì che è una notizia interessante!». Høibakk girò il pollice verso l’alto. «Anche il fatto che la figlia di Astrid Wismer… che sia stata violentata e uccisa».
«Una notizia interessante? Io direi che è molto di più». Randi poggiò rapidamente le tazze da caffè sul tavolo, e al centro mise un vassoio con delle brioche. «Mi gira la testa. Quale legame c’è tra loro?»
«Il fratello di Ewald Hjertnes fu condannato». Roger Høibakk prese una brioche, la addentò e scrisse qualcosa sul suo blocco.
«Dobbiamo controllare dove fosse il 23 sera». Randi versò del caffè nelle tazze.
«Certo che dobbiamo farlo», confermò Isaksen. «Ma io non voglio telefonargli per avvertirlo della nostra visita. Dopo la riunione andiamo direttamente a Rødvassa. Randi e Roger, voi andate giù appena abbiamo fatto il punto della situazione. Portate qui Ewald Hjertnes e cercate di stabilire se il fratello si trova lì adesso. Ma non lo spaventate, per l’amor di Dio. E allo stesso tempo andiamo all’ospedale di Aker da Astrid Wismer. Marian, tu vieni lì con me. Speriamo che stia meglio. Prima, però, tiriamo brevemente le somme».
La Dahle prese la parola: «Io ho qui la cartellina su quell’omicidio. Hanne Elisabeth Wismer fu uccisa da Hoen, alias Lennart Hjertnes».
Roger Høibakk rimase un attimo in silenzio. «Ewald Hjertnes ce l’avrebbe dovuto dire, questo. E sinceramente anche William Pettersen. Dov’è il fratello di Hjertnes? Qualcuno l’ha visto? È più vecchio o più giovane di lui?»
«Più giovane», rispose Marian addentando la brioche.
«Ci abbiamo parlato quando eravamo a Rødvassa», considerò Randi Johansen. «Ha fornito una specie di alibi a Pettersen».
«Ha cinquantacinque anni, due in meno del fratello». Marian Dahle poggiò il palmo della mano sul tavolo.
«Io non l’ho guardato con attenzione», disse Randi Johansen.
«Aveva un neo sulla guancia. Ci sono molte sue foto d’archivio, vecchie di trentacinque anni. Ma nessuna recente. Ha vissuto una vita tranquilla. Gestisce un negozio di scarpe a Moss».
Roger Høibakk prendeva appunti. «In poche parole, un uomo di mezza età. Penso naturalmente in relazione a quanto ci ha raccontato il testimone, quello che ha visto sulla veranda un uomo alzare di peso la Buberg».
«Continua», fece Cato Isaksen. «Che pensate? Cosa stiamo cercando?»
«Io sto ci sto pensando tanto da farmi scricchiolare il cervello», disse Roger Høibakk. «Che collegamento può esserci? Riesco a cogliere un nesso logico: Lennart Hjertnes è uscito di galera nel 1984 e, a quanto ne sappiamo, da allora ha vissuto in maniera onesta. O almeno così sembra. La vicina della Buberg l’aveva vista sulla panchina fuori dal negozio insieme a un uomo brizzolato. Potrebbe essere stato lui?»
«Certo», confermò Marian guardando Roger.
«Ha cinque anni più di me», disse Cato Isaksen.
«Un vecchio». Roger Høibakk fece un sorrisino e mandò giù il resto della brioche.
«Abbastanza vecchio da corrispondere alla descrizione del testimone, comunque», considerò Randi Johansen. «Marian, ti ricordi che Ewald Hjertnes aveva detto qualcosa a proposito del fatto che voleva andare a Moss dal fratello? Quando eravamo a Rødvassa, dico. Si parlava di orari, alibi eccetera».
Marian Dahle fissò la collega e scattò in piedi. «Ora che lo dici, sì, me lo ricordo, in effetti. Non aveva detto che il fratello non era in casa?»
«Esatto».
Marian si diresse verso la parete e staccò da lì una foto del cadavere di Britt Else Buberg. Era un primo piano, e il viso aveva un’espressione vuota, una maschera di cera. Gli occhi erano chiusi, e sulla fronte c’erano delle striature di sangue. «Un uomo con il berretto», disse.
La responsabile del reparto, Ingeborg Myklebust, fece improvvisamente capolino alla porta: «Tutto bene?»
«Sempre alla grande», disse Cato Isaksen. «Abbiamo appena scoperto qualcosa. Abbiamo imboccato la pista giusta».
Ingeborg Myklebust entrò nella stanza. «Cosa? Che avete scoperto?», chiese curiosa.