38
Se ne stava rannicchiato sul minuscolo soppalco nello sgabuzzino dell’edificio delle docce. Era domenica 29 luglio. Non gli piacevano le domeniche. Erano lunghe e vuote. Perfino adesso, in piena estate, le domeniche si distinguevano dalle giornate qualunque. Si stese nella posizione abituale e poggiò i gomiti sull’angusta superficie di legno ruvido. I gomiti gli erano diventati rossi e secchi a forza di guardare. Il viso era serio e concentrato.
Si chinò verso la feritoia, soffiò leggermente sulla grata. Era in ascolto, misurava i suoni, li archiviava e li interpretava. Lei era supina e dormiva. Respirava piano. La vedeva nella fioca luce del lampione all’esterno che penetrava attraverso le tendine, tingendole il viso di bianco. Il suo vestito era su una stampella appesa a un gancio alla parete. Presto sarebbe finito tutto. Perché questa volta avrebbe davvero portato a termine il suo piano. Aveva visto nella sua mente ogni dettaglio, più e più volte. Non mancavano troppi giorni. L’avrebbe fatta uscire dalla capanna e spinta per il sentiero, verso l’acqua. Fino allo stesso punto. Forse il giorno successivo, forse quello ancora dopo. Presto sarebbe finito tutto. Non doveva tirarla per le lunghe, altrimenti lui sarebbe diventato la vittima. Doveva poter vivere in pace per il resto della vita. Liberarsi della foto della madre. Rompere il vetro, gettarla via.
Tese l’orecchio, protese le labbra e fischiò piano. Così come quell’uomo aveva fischiato a sua madre. Aspettava con gioia il momento in cui Lilly avrebbe scoperto chi era. Per qualche istante, i loro occhi si sarebbero incrociati. Prima che tutto fosse finito.
* * *
Quanto era stata sciocca a illudersi che l’avrebbero salvata, che la polizia fosse venuta lì per lei. La volante si allontanò. Le due donne non avevano creduto alla sua storia. In effetti non c’era nessuna storia. Non era successo nulla. Gettò uno sguardo alla presa dell’aria. La sua vista era crudele e inquietante. Sapeva che era lì. Quella consapevolezza si piantava dentro di lei come frammenti di vetro. Qualcuno la stava osservando. Qualcuno che aspettava. Che la vedeva.
Di pomeriggio il motociclista si era provato gli stivali vicino al gabbiotto. Julie si era messa a ridere. I tre uomini l’avevano guardata. Il motociclista le aveva chiesto cosa ci fosse da ridere. Lilly chiuse gli occhi. Tutto quanto le appariva a sprazzi nella mente. La risata esagerata di Julie, la voce eccitata di Shira. L’ombra nella feritoia si spaccò a metà, sdoppiandosi in due. Non doveva addormentarsi. Quando alla fine crollò, sognò che qualcuno la trascinava giù per delle scale e per un lungo corridoio. I suoi talloni strofinavano sul pavimento. Lui se la portava appresso. Si slacciò i bottoni delle giacca, la sollevò e la portò nel fitto del bosco.