26
Noah era immerso in un gancio analogico. Era uno dei suoi preferiti: lui che scalava un picco della catena delle Cascades al chiaro di luna. Divertente e poco intrusivo. Poteva attivarlo mentre guidava, si addestrava, persino durante le riunioni. Placava i picchi del sistema sfogandoli nella fatica virtuale. Un tempo lo usava per calmarsi prima di portarsi a letto una donna, ma con Caro non ne aveva mai avuto bisogno.
Tutto era diverso con Caro. Come il giorno e la notte.
Ogni dettaglio della scalata era inciso nella sua memoria. Ogni istante dello sforzo che gli tendeva tutti i muscoli e gli scorticava le dita, ogni appiglio, fessura e alito di vento. Sotto i piedi vedeva l’abisso, tanto realistico da spostarsi e cambiare angolazione mentre s’issava verso il ciglio del dirupo.
Improvvisamente, una pioggia gelata si abbatté su di lui. Dal nulla.
Che cavolo… Questo era uno dei suoi rifugi analogici. Era stato lui a programmarlo. E vi aveva inserito solo il dirupo, il cielo limpido, la brezza e la luna piena. Da dove arrivava quella pioggia?
Un’interferenza?
Maledizione! Le interferenze erano mine vaganti capaci di causare terribili stress. Nascevano nel subconscio e generalmente vi restavano, ma a volte superavano ogni barriera e si manifestavano nei ganci analogici. Non era mai riuscito a capire cosa le causava. Non la tensione, comunque. L’ipotesi più accreditata era che si dovessero a vecchi danni cerebrali, ed erano sempre spaventose, dolorose.
Impianti cerebrali e stimolazioni corticali, due regali indimenticabili.
Era stato uno stupido a concedersi quella scalata virtuale a meno di ventiquattro ore da uno scontro sanguinoso. Ed era ancora più stupido perché giaceva nel letto con Caro. La vicinanza di lei gli scatenava gli ormoni e influenzava la sua capacità di controllo. Il cuore e la mente galoppavano e il membro pulsava, anche se si erano amati a lungo e senza freni. Noah si sentiva in uno stato di costante eccitazione.
Proprio per questo aveva richiamato il gancio analogico, per uscire da una condizione mentale inappropriata. Doveva concentrarsi come un laser per trovare il modo di tenerla al sicuro da Mark. Per sempre.
Si districò con calma dall’abbraccio di lei, mantenendo la connessione con il gancio compromesso. Non voleva allontanarsi da Caro. Ogni minuto senza di lei era un minuto sprecato. Però non voleva correre rischi. Il contatto con il parquet gli rinfrescò la pelle e quando si sentì pronto riprese la scalata. Era deciso ad arrivare in cima. Avrebbe vinto sul sistema, maledizione.
Una folata di vento gelido lo investì dopo un attimo. Lui scandagliò in dettaglio le rocce a cui si aggrappava. Fessure, radici sporgenti e appigli erano esattamente come dovevano essere. Li ricordava tutti: erano catalogati nella memoria a lungo termine, indicizzati e pronti all’uso non appena ne avesse avuto bisogno.
La pioggia gelata tornò a cadere, ghiacciando il dirupo, pungendogli il volto e impedendogli di procedere oltre. Nel mondo reale, il suo corpo nudo tremava sul pavimento.
Non controllava più il gancio. Impossibile rimediare. Poteva solo lasciar perdere e ammettere la sconfitta. Ma questo equivaleva a una fuga. Non solo: rischiava anche di bruciare per sempre il suo passatempo virtuale preferito, cosa che gli scocciava parecchio.
Cercò di riportare le immagini al modello scelto in origine. Mancavano solo pochi metri alla cima, dove lo aspettava il panorama mozzafiato delle Cascades coperte di neve. La soddisfazione che avrebbe provato era lo scopo dell’esercizio. L’ondata di endorfine, l’energia che lo riempiva erano il premio della sua concentrazione. Ogni muscolo tremò per lo sforzo mentre si issava sulle rocce. Era quasi arrivato. Allungò il braccio e tastò con la mano il terreno pianeggiante. Sì!
Crac! La roccia a cui si era aggrappato cedette. E allora precipitò in una nube di polvere e sassi, annaspando freneticamente, riuscendo a stento ad aggrapparsi a un arbusto. Restò lì, oscillando nel vuoto, con lo shock che si riverberava nelle dita e nelle braccia, con i muscoli tesi oltre la soglia del dolore. Il vento fischiava. Gli appigli non c’erano più. L’intera parete rocciosa era cambiata.
Non poteva salire. Non poteva scendere. E una raffica di fulmini prese ad abbattersi sulle montagne, mancandolo di un soffio.
Qualcosa gli toccò la spalla. Una corda. Alzò lo sguardo, cercando nella tenebra chiunque gliel’avesse lanciata. Un uomo alto lo studiava con occhi socchiusi. Aveva le labbra strette. La barba scura.
Asa?
Noah tornò di colpo nella camera da letto, mentre il picco di adrenalina attivava il programma di combattimento. Asa che compariva nel suo gancio analogico? Che diavolo stava succedendo?
Si alzò in piedi, sentendo tremare le ginocchia mentre dati su dati gli venivano proiettati sulla retina. In silenzio infilò i jeans e una maglietta e uscì a piedi nudi dalla stanza. Caro continuava a dormire. Per fortuna non si era accorta di nulla.
Sisko alzò lo sguardo quando lo sentì scendere dalle scale. Aveva sistemato i monitor del circuito di sorveglianza a semicerchio sul tavolo ed era seduto sul divano, a digitare qualcosa sul laptop con una birra davanti.
— Ehi — lo salutò, aggrottando la fronte. — Cos’è, temi che non faccia buona guardia?
— Non riesco a dormire — rispose lui. — Ho aperto un gancio. Un’interferenza mi ha rispedito qui a calci.
— Dovresti sapere che non si aprono i ganci dopo una notte come quella che hai passato, Noah — replicò Sisko distrattamente. — Me l’hai detto e ripetuto. Hai fritto la connessione?
Noah liquidò la cosa con un cenno. — Lascia stare. Cosa stai facendo?
— Qualche ricerca su tuo fratello. Un tipo interessante. Molto attivo in rete.
— Ah, sì? Attività illegali, suppongo.
— Non proprio, anche se non mi stupirebbe. Scopre e vende informazioni, te l’ho detto. Tiene vere e proprie aste di dati sensibili. Si fa un sacco di soldi… e di nemici.
Noah lo guardò impietrito. — Di quanti soldi parliamo?
— Almeno mezzo miliardo di dollari. Ho curiosato un po’ tra le sue cose. Ha sviluppato degli algoritmi fantastici. Ne stavo giusto studiando qualcuno quando sei sceso. Se non sapessi che è impossibile, direi che è un potenziato.
— Uhm. Algoritmi, eh? — borbottò Noah. — Strano per un ragazzino che non faceva mai i compiti di matematica e lasciava calzini sporchi dappertutto. Che mi dici dei nemici?
— Sono di quelli che nessuno vorrebbe avere — rispose Sisko. — C’è una taglia sulla sua testa. Si sposta di continuo. È difficile individuare la sua posizione.
Noah andò in cucina e prese una birra, poi tornò in sala e si sdraiò su un divano. Era a qualche metro da Sisko, ma riusciva comunque a vedere lo schermo. — Aste di dati sensibili, eh? Se ha tutti quei soldi, probabilmente lo fa per sport.
Sisko gli lanciò un’occhiata pensierosa. — Anche tu hai tutti quei soldi — osservò. — E persino di più. Quello che fai è solo uno sport?
Noah aprì la birra e prese un sorso. La luce del laptop gli faceva lacrimare gli occhi, ma non voleva mettersi le lenti o gli occhiali protettivi. Era così stufo di portarli! — Cosa c’entra? — borbottò. — Io miglioro la vita della gente con le mie invenzioni. Lui sfrutta vizi e avidità per trarre profitti.
Lo sguardo di Sisko incontrò il suo. — Però. Sei parecchio incazzato con lui.
Noah prese un altro sorso. — Perché dovrei? Non lo vedo da anni.
— In genere non sei così precipitoso nei giudizi. Dagli almeno il beneficio del dubbio.
— Anche se lo facessi, cosa cambierebbe? A lui non frega assolutamente niente.
— Ah. — Sisko annuì, pensieroso. — Vedo che la faida continua. Dopo tutti questi anni.
— Niente prediche, per favore. Non sono dell’umore giusto.
— Io non assecondo i tuoi umori — lo informò Sisko. — In ogni caso, ho studiato per ore il video su Mark e Luke. L’avrò visto un migliaio di volte.
— Qualche scoperta?
— Quella fascia che Mark gli ha messo in testa — rispose Sisko. — Ricorda qualcosa. Zade è stato il primo a pensarci. Volevamo parlartene, ma poi è scoppiato il casino.
La titubanza di Sisko lo allarmò. — Quindi? Sentiamo.
— Sembra una cuffia da elettroencefalogramma, solo miniaturizzata e adattata per influenzare le onde cerebrali. C’è qualcosa di simile nella linea di prodotti che Batello sta sviluppando.
Questo sì che lo sorprese. — Simona? — chiese.
— Sì. Sembra uno dei suoi progetti.
Le implicazioni di quella scoperta erano molte e terribili. Noah ci pensò sopra, ma poi lasciò perdere. — Una cosa alla volta — disse. — Questa dovrà aspettare.
Sisko annuì lentamente. Il laptop era l’unica fonte di luce e Noah ne approfittò per analizzare la firma energetica dell’amico. In genere appariva come una vellutata, uniforme alternanza di sfumature viola e blu, ma adesso era più scura, con contrasti più estremi e attraversata di quando in quando da vortici che ricordavano i brillamenti solari.
— Che ti succede? — gli chiese. — Va tutto bene?
— No. Sto cercando di distrarmi dal pensiero di cosa succederà a Luke quando Mark capirà che abbiamo il suo prezioso giocattolo.
— Caro non è un giocattolo — sbottò Noah. — Devo neutralizzare Mark prima che lo scopra.
— Vedi? È questo che mi preoccupa. Dobbiamo neutralizzarlo. Tutti insieme.
Noah si accigliò. — Tu dici?
— Non puoi farlo da solo — confermò Sisko.
— E Zade? Credi davvero che debba essere coinvolto? Mark ha i suoi codici. Può ammazzarlo in un secondo restando dall’altra parte della stanza.
— Già, questo è un problema — concesse Sisko. — Ma lascia che sia Zade a pensarci. Non è più un ragazzo. E Hannah…
— Lascia perdere. Lei non può entrarci in nessun modo.
— Perché è la tua sorellina? Ti farà a brandelli se la lasci fuori dall’azione.
Fu allora che Noah notò i colori che venivano proiettati sul soffitto e le pareti. Caro si era alzata e si sporgeva dalla balaustra del pianerottolo, cercando di origliare. La sua aura era come una gigantesca peonia che fioriva nel buio.
Sollevò lo sguardo e lei si ritrasse con aria colpevole. — Che cosa ci fai qui?
— La stessa cosa che stai facendo tu, suppongo — ribatté Caro.
— Non credo — sentenziò lui. — Tu devi dormire. Io sono in modalità sentinella. Mi permette di alternare le parti del cervello che riposano mantenendo le altre completamente sveglie. Tu, per contro, hai bisogno di vero riposo, come tutte le persone normali. E sei ancora affaticata, lo vedo da qui.
L’aura di lei cambiò, allargandosi a ventaglio come la coda di un pavone. Succedeva sempre quando Noah stuzzicava il suo orgoglio. Significava che stava per sfidarlo.
E questo lo faceva infuriare. Certo, era un bastardo a cui piaceva controllare la gente, ma lo faceva per un buon motivo. Spesso, controllare qualcuno era il modo migliore di proteggerlo. A volte funzionava, altre suscitava rabbiosi conflitti. Come con Asa. E con Hannah. Che non era riuscito a proteggere quando doveva, anche se ci aveva provato. Maledizione, quanto ci aveva provato!
Ma con Caro non avrebbe commesso lo stesso errore.
Lei ignorò il suo suggerimento e scese le scale con la dignità di una regina. A Noah sembrava sospesa a una spanna da terra nella sua nuvola di turbinanti colori. — Come facevi a sapere che ero lì sopra? — gli chiese. — Non ho fatto rumore.
Sisko sbuffò e chinò la testa sul laptop. Noah gli lanciò un’occhiata ammonitrice. Lei non aveva alcun bisogno di sapere quant’era acuto il loro udito potenziato. Almeno non adesso: meglio lasciare che simili dettagli saltassero fuori pian piano.
— L’AVP mi permette di vedere la tua aura — le rispose. — È molto brillante. Potrei individuarti dallo spazio.
— E io che faccio di tutto per passare inosservata. — Di colpo, i colori si spensero. Noah si chiese se riusciva a controllarli. — Cosa state facendo?
Lui si strinse nelle spalle.
— Dimmelo, Noah — ordinò lei, ostinata.
— Non hai bisogno di sapere cose che non ti riguardano.
— Come fai a dire che non mi riguardano? — ribatté lei. — Ho scritto io quel messaggio a Mark, ricordi? Cerchi la chiave? Eccomi qui, sono il fabbricante di chiavi. Ma sono io la dannatissima chiave, quindi sì, Noah, mi riguardano eccome.
— Tu non entrerai neppure di striscio in questa storia.
— Apprezzo i tuoi istinti da macho protettivo, però Mark non cadrà facilmente in trappola. Anche perché dovrai prenderlo vivo per interrogarlo su Luke. E su quella cassaforte, che costituisce una minaccia per chiunque finché resta in mano sua.
— C’è altro? — sbottò Noah. Una ragazza acuta, doveva ammetterlo.
— Sì — rispose lei. — Tu resti comunque convinto che spetti a te catturarlo, perché solo un superfurbo può riuscirci. Be’, abbassa le piume, Noah.
Sisko ridacchiò. — Basta, sorella. L’hai inchiodato.
Lui rilasciò lentamente il fiato. — Ci sono cose che non sai — le disse. — È stata una mia decisione lasciarlo andare, quindi spetta a me raddrizzare le cose. Inoltre, io e lui abbiamo gli stessi potenziamenti. Scontro alla pari e nessuna sorpresa. Sarà come combattere contro me stesso.
— Già. Tranne che lui è uno psicopatico.
— Non intendo combattere lealmente. Potrei allettarlo mandando un video in cui ci sei tu, quando mi contatterà sulla chat.
— Inviagli quello che vuoi, ma non verrà da nessuna parte se non è sicuro che ci sia anch’io — affermò Caro. — E non sarà così stupido da presentarsi da solo. Quindi, ti stai lanciando in una missione suicida e io metto il veto su qualunque piano tu abbia.
— Ah, è così? — replicò Noah, alzando la voce. — E da quando hai il potere di veto?
— Da adesso, perché me lo sono preso.
Per un attimo restarono lì a guardarsi in cagnesco mentre l’aura di Caro si espandeva nella sala. Se fossero stati fuori, avrebbe avvolto l’intera foresta.
— Break — intervenne Sisko. — I pugili si ritirino nell’angolo.
— Ah, chiudi il becco — sbottò Noah, tornando a guardare Caro. — Hai qualche brillante alternativa?
— No — ammise lei. — Il mio piano è sempre stato quello di dimostrare che Mark ha ucciso Dex e farlo arrestare. Tutto è cambiato, adesso che siete coinvolti anche voi.
— Sì, be’, qualcuno dovrà morire, e non di certo noi — commentò Sisko. — Se riesce a sfuggirci, si vendicherà uccidendo Luke. A meno che non riusciamo a catturarlo vivo.
— Non so se sarà possibile — disse Noah. — Il giorno della ribellione era uno dei migliori e ha avuto dodici anni per affinare le sue doti. E anche se lo catturassimo vivo, dubito che ci direbbe dove si trova Luke.
— Questo è vero — ammise Sisko.
Era tornato dalla sua parte, almeno per adesso. Noah continuò. — Tutti noi abbiamo una forte resistenza agli interrogatori impiantata nei geni. I ricercatori della Midlands avranno probabilmente inserito anche qualcosa per annullarla, ma non ho idea di cosa sia.
— Quando ci contatterà, risalirà all’account. Alla fine arriverà a noi e Luke sarà spacciato — constatò Sisko. — Abbiamo bisogno di una facciata, di qualcuno che agisca per conto nostro. Qualcuno a cui non siamo legati in nessun modo e che sia in contatto col sottobosco criminale. Solo un narcotrafficante dedito al commercio di esseri umani risulterebbe credibile a uno come Mark.
Noah sentì il cuore battere impazzito, come se il suo istinto gli stesse dicendo qualcosa ma la parte razionale di lui si rifiutasse di ascoltarlo. L’idea, però, emerse comunque, sfondando a calci ogni barriera. Asa. — Una truffa — borbottò. — Stai parlando di una messinscena organizzata per attirare Mark.
— Davvero? — disse Sisko, scambiando un’occhiata perplessa con Caro.
— Che messinscena? — chiese lei.
— Sshh. Fatemi pensare. — Noah si coprì il volto con le mani.
Ecco spiegata quella strana interferenza. Il suo subconscio, già consapevole di tutto questo, gli stava dicendo come muoversi. Ed era l’unico modo di uscire dal pantano.
Ma gli sarebbe costato parecchio.
Prese il cellulare e richiamò il messaggio ricevuto il giorno in cui Caro aveva danzato nella sala riunioni. Aspettare non avrebbe reso quell’idea meno pazzesca e quindi chiamò.
Il telefono squillava. Caro e Sisko lo guardavano stupefatti, ma li ignorò. Cinque squilli. Sei. Sette.
Clic. Attese in silenzio per alcuni secondi.
— Danny — disse una voce inespressiva e più profonda di quanto ricordava.
— Non mi chiamo più così — gli rispose. — Adesso sono Noah.
Asa grugnì. — Okay. Che vuoi? Non sai che sono le due di notte?
— Riaggancia, se ti disturbo. Prometto di non richiamarti.
Un attimo di silenzio. — Ti ho chiesto cosa vuoi. Parla.
Noah cercò di controllarsi. Troppe emozioni represse, troppe parole non dette. “Parla chiaro.” — Ho bisogno del tuo aiuto.
— Per cosa?
— Non posso dirtelo al telefono. Sei nell’area di Seattle?
— Non tanto lontano. Vuoi che venga nella tua villa sul lago? Non ci hai mai portato la tua fidanzata. Anzi, ex fidanzata. Devi ringraziarmi per averti permesso di schivare quella pallottola.
— I ringraziamenti a dopo. No, non venire alla villa sul lago. Ci vediamo qui — gli disse, dando l’indirizzo di un Roadhouse aperto giorno e notte. — Quanto ci metterai?
— Più o meno tre quarti d’ora — rispose Asa.
— Bene. Allora a dopo. — E con questo chiuse la chiamata.
Sisko lo guardava con gli occhi spalancati. — Era chi penso io?
Noah dovette emettere un lento respiro prima di potersi fidare della propria voce. — Conosco solo una persona che ha l’esperienza necessaria per mettere in piedi una truffa come questa.
— Ah. — Sisko si schiarì la voce. — Prima non parlavo sul serio — chiarì. — Tu stesso hai detto che non conosci più tuo fratello. Sei certo che sia una buona idea?
— No — borbottò Noah. — Ma è quello che succede quando ti ritrovi all’angolo. Fai le cose più folli perché non hai alternative.
— Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo? — gemette Caro. — Che cosa folle staresti per fare?
— Mettiti le scarpe — disse lui. — Sto per presentarti il fratello scomparso.