23
Non poteva essere vero. Caro non avrebbe dato un soldo per la propria vita. Per non parlare di venir salvata da un magnifico, valoroso, affascinante quasi superuomo.
Eppure lui era lì, al volante, con le nocche fracassate, la camicia sporca di sangue, il volto graffiato e gli occhi ancora rossi per lo spray al peperoncino. Pareva esausto come mai l’aveva visto.
— Noah! Cosa ti è successo al braccio?
Lui lo guardò. — Mi sono preso una coltellata.
Un potenziato restava pur sempre un uomo, si disse Caro. Ignorava la ferita per fare la parte del duro. — E se ci volessero dei punti?
Noah scosse la testa. — Il taglio si chiuderà presto. Le mie cellule si rigenerano molto più rapidamente del normale. E sono immune alla maggior parte dei patogeni e delle tossine. Persino le radiazioni mi fanno il solletico.
— Ah, sì — gracchiò lei. — Non voglio vederti mettere alla prova quest’affermazione.
— Spero proprio di no, soprattutto adesso. Coltellate e pallottole sono tutto ciò che posso affrontare in questo momento.
Lei sorrise per la battuta. — Posso chiederti come mi hai trovata?
Noah puntò lo sguardo sul lungo sterrato che attraversava il bosco. — Te lo dirò dopo.
Lei tese la mano e gliela posò su una gamba. I jeans erano umidi di sudore e rigidi per il sangue rappreso, ma affondò comunque le dita in solidi muscoli. — Noah? — cominciò. — Basta segreti tra noi. Dobbiamo dirci tutto, altrimenti…
— Ti arrabbierai — l’avvertì lui, interrompendola.
Caro sospirò. — In questo momento, nulla di ciò che dirai può farmi arrabbiare.
— Va bene. Se proprio insisti, sappi che hai addosso un segnalatore — ammise. — Ricordi quello che è caduto dal quadro? Te l’ho infilato in tasca dopo che abbiamo fatto l’amore nel tuo appartamento.
Lei lo guardò stupefatta.
— Frugati nelle tasche.
Caro non si fece pregare. Sul cruscotto finirono un biglietto dell’autobus, un gettone della lavanderia, un bottone, un paio di scontrini, un pacchetto di cicche alla menta… e qualcosa di molto piccolo, quadrato e duro. Lo alzò e glielo mostrò.
— Esatto — disse lui sulla difensiva. — Sono un bastardo possessivo a cui piace controllare la gente. Ma non posso farci nulla, per cui neppure ci provo. E sapevo che tu eri in pericolo. Conosco Mark meglio di te e so di cosa è capace. Ma se vuoi farmi una sfuriata, accomodati.
Sembrava rassegnato. Caro sorrise e gli carezzò la guancia. — No — gli disse. — Niente sfuriata. Avrei dovuto darti retta e ancora non riesco a credere a ciò che hai fatto per me. Dopo che ti ho spruzzato lo spray. Colpito alla testa. Rubato la Porsche…
— Ah, già, la Porsche — borbottò lui.
— Potrebbe essere ancora di tua proprietà. L’ho parcheggiata in zona rimozione forzata proprio perché te la portassero via.
— Non farmi ridere. Fa male.
Lei gli tracciò con le dita i contorni dello zigomo, sentendo il calore vellutato della pelle e il pizzicore della barba. La bocca sensuale, però, era stretta in una dura linea.
— Noah? — riprese. — Devo dirti una cosa.
Lui tirò un brusco respiro. — Eccolo che arriva. Me lo sentivo.
— No, non t’innervosire — lo blandì. — È un complimento. Devo dirti che sei un artista della frottola. Se mentire spudoratamente fosse una specialità olimpionica, vinceresti la medaglia d’oro, ne sono certa.
E finalmente lui sorrise, sebbene con cautela. — È una specialità che ho sviluppato ai tempi in cui vivevo per la strada — le disse. — Grazie. Apprezzo il complimento, anche se dovrei vergognarmi.
— Mentendo a quel bastardo ci hai salvato la vita. È questo che intendo.
Lui scrollò le spalle. — Riesci sempre a vendere fumo a qualcuno, se lo prendi nel modo giusto.
— Sì, ma farlo davanti a una pistola puntata e con le mani legate…
Noah le lanciò un’occhiata di sbieco. — Okay, e così sono un artista della frottola. Dove vuoi arrivare? Hai paura che menta anche a te?
— L’hai già fatto. Stavo solo pensando ad alta voce.
Lui gemette. — Già. Bene, sono pronto per la graticola.
— Nessuna graticola. Ma sappi che diventi un’altra persona quando menti. È come se tu… proiettassi una frequenza diversa.
Noah si accigliò per quella scelta di parole, ma reagì con una battuta. — Devo prepararmi per l’esame psichiatrico?
— Niente affatto. Dico solo che adesso lo saprò se menti.
— Lo saprai, eh?
— Sì — rispose Caro. — E ti smaschererò all’istante.
Noah frenò all’improvviso, svoltando in uno sterrato molto stretto nascosto dalla vegetazione. Lo percorse per un tratto, poi arrestò la macchina e spense il motore.
Restarono seduti in silenzio per un po’, con lui che si rifiutava di guardarla. Sembrava respirasse a fatica e Caro lo studiò allarmata. Forse non riusciva a guidare? Per questo si erano fermati? Si slacciò la cintura e si sporse verso di lui, cercando con delicatezza di farlo voltare. Ma Noah resisteva, per cui gli baciò lo zigomo, poi i capelli. Sapeva di terra, sale e sangue.
— Non farlo — le borbottò.
— Non voglio mica ucciderti, Noah.
— Davvero? Io non ne sono così sicuro. — Si voltò verso di lei, le aprì la giacca e posò la testa sul suo petto. — Ma per adesso, chiedo clemenza.
— Anch’io — rispose Caro, cingendogli la testa con le braccia e riempiendola di baci.
Si baciarono con folle passione, senza più parlare, solo sospiri e languide carezze. Lui aveva il sapore della vita stessa. Sale e calore, fuoco e sangue. Caro lo desiderava come non mai. Noah tuffò le dita tra i suoi capelli arruffati e allora lei aderì tutta a quel corpo muscoloso, cercando di salirgli sopra a cavalcioni. Un frenetico bisogno la riempiva, un abisso che rischiava di risucchiarli entrambi. Scese con la mano, tracciando i contorni dei pettorali, quindi scivolò più sotto e chiuse le dita sulla turgida cresta che pulsava sotto i jeans.
Un suono gutturale gli sfuggì, poi la spinse via. Ansimavano entrambi, selvaggiamente eccitati dalla strana energia che divampava tra loro.
— Dobbiamo andare — le mormorò. — Mark potrebbe arrivare da un momento all’altro e adesso non sono in grado di affrontarlo. Mi sono fermato solo per tirare il fiato.
Caro annuì con rassegnazione e si allacciò la cintura.
Poco dopo, mentre lui guidava sulla strada principale, lei guardava il panorama scivolare via, sorpresa dalla calma che provava. Tutte le cose orribili che aveva visto e sopportato le ritornavano in mente, ma per qualche motivo riusciva a controllarle. Non le suscitavano le terribili allucinazioni che tanto spesso la coglievano quand’era molto stressata. Noah Gallagher, in tutta la sua gloria, che lottava per salvarla: quella era l’unica immagine che davvero le riempiva il cuore.
E vi si aggrappò con tutta se stessa.
Si svegliò da un sonno senza sogni quando sentì la macchina fermarsi. Erano parcheggiati di fronte a una lussuosa villa sul pendio boscoso di una collina. Davanti a loro vide un furgone nero. — Dove siamo? — gli chiese rauca.
— In uno dei nostri nascondigli.
Ricordava molto la villa di Seattle, pensò Caro.
Sisko e Zade uscirono dalla porta proprio mentre loro due scendevano. Con aria preoccupata, li studiarono da capo a piedi. “Okay” si disse Caro “ho avuto giorni migliori. Vestiti migliori, capelli migliori…” Si chiuse l’orrendo giaccone e avanzò a testa alta. Che andassero al diavolo, tutti quanti.
— Accidenti, sembrate due stracci — commentò Zade. — Soprattutto tu, Noah. Cosa ti è successo agli occhi?
— È una lunga storia — commentò stancamente lui, prendendola per mano e tirando dritto. — Mettiti pure comoda — le disse quando entrarono.
Caro si guardò intorno. La villa era stata arredata da architetti e decoratori di prim’ordine, si vedeva subito. Esattamente ciò che ci si poteva aspettare da Noah Gallagher: un rifugio che sembrava una reggia.
Sentì Zade e Sisko rientrare mentre esplorava le varie stanze, godendosi la sensazione del lucido parquet sotto le calze, l’arredamento raffinato, la cucina grande e ariosa piena di elettrodomestici costosi. Spesse vetrate che andavano dal pavimento al soffitto offrivano una vista superba sui boschi e le colline.
— Io porto Caro nella camera da letto principale, in modo che si sistemi — disse Noah ai suoi amici, che lo guardavano incerti. — Zade, togliti quel sorrisetto idiota dalla faccia e chiama Hannah. Dille che Caro ha bisogno di vestiti, scarpe, tutto. E dille di portarci qualcosa di buono da mangiare. Possibilmente in quantità, dato che non ci faremo vedere in giro per un po’.
— Chiedo scusa? — intervenne Caro. — Cos’è che stai ordinando?
— Vestiti — ripeté Noah come se la risposta fosse ovvia, indicando gli abiti sporchi di sangue che lei indossava.
— Hannah farà i salti di gioia — commentò Zade. — Shopping illimitato con la tua carta di credito. Un sogno diventato realtà. Attento al conto in banca, vecchio mio.
— Per una volta, la sua mania dello shopping tornerà utile — borbottò lui. Il suo sguardo passò da Zade a Sisko. — Mi spiace che non abbiate potuto partecipare all’azione, ma le cose si faranno interessanti quando Mark arriverà in città.
— Ah, già. Avrei due cose da dirti al riguardo — disse Zade. — Possiamo parlare?
— Dopo — rispose Noah. — Lascia che mi ripulisca e poi parleremo. — Si rivolse a Sisko. — Controlla i video delle telecamere di sorveglianza mentre sono di sopra.
— Con piacere — replicò lui alzando gli occhi al cielo. — Grazie, capo.
— Era ora che ti decidessi — osservò Zade. — Da mesi aspetto quel bastardo.
Caro li lasciò al loro battibecco e puntò verso le scale. Noah la raggiunse e la prese di nuovo in braccio, portandola fino in camera da letto.
— Lascia che ti prepari un bagno caldo — le disse, mettendola giù e togliendole la giacca. Un attimo dopo lei sentì il rumore dei rubinetti che riempivano una capiente vasca. Vapore profumato prese a uscire dalla porta. Lavanda e caprifoglio con un accenno di menta? Qualunque cosa fosse, le piaceva.
Gli sorrise quando uscì. — Mmh, che buon profumo. Hai il permesso di prenderti cura di me.
Noah la interpretò alla lettera, portandola in bagno e tirando fuori garze, cerotti e pomate dall’armadietto delle medicine. — Vediamo un po’ questa ferita — disse. — China la testa.
Pulì con cura il taglio alla nuca lasciato dal colpo inferto dal tirapiedi di Mark con il calcio della pistola. Poi lo disinfettò e le appose un languido, eccitante bacio sul collo prima di passare ai segni sui polsi, causati dalle cinghie di plastica.
Caro sentiva i capezzoli indurirsi e formicolare, ma doveva restituirgli il favore. — Adesso tocca a te.
Lui sospirò. — Se proprio devi…
— Togliti la felpa, mister Gallagher.
Noah ci provò. — Maledizione, il sangue deve averla incollata al braccio.
Con acqua calda e molta pazienza, Caro riuscì a staccarla. La coltellata non sanguinava più e i tagli sulle nocche si erano richiusi. Una guarigione prodigiosa, proprio come lui le aveva detto. Si limitò a lavar via il sangue rappreso e, per buona misura, applicare una pomata disinfettante. — Ho paura che ti resteranno i segni — gli disse.
Una secca risata gli sfuggì mentre si guardava il reticolo di ferite sul torace. — Oh, no! Le cicatrici no, ti prego.
— Dovresti andare da un dottore — replicò lei, seccata.
— Senti chi parla!
Prima che Caro potesse ribattere, Noah la tirò a sé, le posò delicatamente la mano sulla nuca e la baciò con una tale tenerezza da scioglierla dentro.
Quando si ritrasse, Caro distolse lo sguardo e tirò su col naso, ricacciando indietro le lacrime. — Non baciarmi per farmi stare zitta — disse con voce tremante. — Non è corretto.
Noah le sorrise, poi si chinò per chiudere i rubinetti. Lei guardò l’acqua profumata. Desiderava sprofondarvi dentro con la stessa forza con cui desiderava che lui la baciasse di nuovo.
— Il tuo bagno è pronto. Ma prima che entri, ho qualcosa per te — le disse.
Un’improvvisa apprensione l’assalì. — Che cosa?
Lui frugò nella tasca dei jeans, estrasse la chiavetta di Bea e gliela porse. — Non ce ne siamo liberati davvero — borbottò. — Mi spiace di averti presa in giro.
Caro lo guardò a bocca aperta.
— L’ho duplicata, naturalmente, in modo da poter analizzare ogni fotogramma. Ma questa è tua. Ti chiedo solo il favore di non portarla subito alla polizia. Lasciaci provare a sistemare le cose a modo nostro. Sai che non possiamo esporci.
Lei non riusciva neppure a parlare. Non sapeva più cosa pensare.
Noah continuò, la voce burbera e incerta. — Ma… be’, suppongo che la decisione spetti a te. Come dicevi, sei stata tu a trovarla e hai pagato un prezzo altissimo. Per cui, se pensi che… insomma, fai quello che vuoi.
Caro gli ripiegò le dita sulla chiavetta e poi allontanò la mano. — Grazie, Noah — mormorò. — Tienila al sicuro per me.
— Puoi contarci. — Rimise in tasca la chiavetta e le baciò la fronte. Un bacio che le diede l’impressione di siglare una tregua.
Poi si spogliò, ammassando i vestiti in un cantuccio, ed entrò nella vasca. Non appena s’immerse tornò consapevole del proprio corpo, della nudità; il caldo bagliore color ambra negli occhi di lui le fece battere forte il cuore, suscitandole un allettante calore tra le cosce. Noah seguiva ogni suo movimento, attento e incerto.
— Tu non entri? — gli chiese.
Lo vide stringere le labbra. — Meglio di no — le rispose.
— Perché? — protestò lei. — Avanti. Sotto c’è Sisko che fa buona guardia, no?
— Sì, ma sono troppo teso. Ho intenzione di pattugliare il perimetro della villa con un AK-47.
Caro si mosse sensualmente nell’acqua, gli occhi inchiodati su quelli di lui. S’immerse, lasciando fluttuare i capelli come foglie di ninfea, poi riemerse e si accertò che i seni prosperosi spuntassero come isolotti dalla schiuma. — Voglio sentirti dentro, Noah.
Lui reagì con un gemito sofferto. — Oh, accidenti Caro. Questo sì che non è corretto.
— Lo so, ma non m’importa — miagolò. — Soffri. Oppure non soffrire. Vedi tu.
Noah emise un sospiro e s’inginocchiò accanto alla vasca. Quindi si sporse su di lei, le tolse i capelli bagnati dalle spalle e si versò lo shampoo sulle mani. — Reclina la testa. Lascia che ti lavi i capelli.
La sensazione fu così deliziosa da farla quasi riconciliare con la fatica di doverlo sedurre. Mentre quelle dita forti le massaggiavano la testa, Caro si crogiolava nel bagno caldo, gli occhi puntati sul duro, magnifico volto di lui. Purtroppo, Noah pareva concentrato solo sul semplice compito di lavarle i capelli.
I seni continuavano a spuntare dall’acqua, sormontati dai piccoli capezzoli duri come sassi. Che si godesse la vista. Dolce tortura. Ma lui resisteva stoicamente. Quando fu ora di uscire si alzò senza fretta, gocciolante, succulenta, disponibile, eppure Noah non diede cenno di voler cedere. Forse aveva deciso che recitare la parte dell’assistente supersexy costituiva un compromesso ragionevole. Era a torso nudo, uno spettacolo egregio ma decisamente migliorabile, se solo si fosse tolto i pantaloni.
Caro gli prese le mani e se le posò sui seni.
Noah restò impietrito. Come se avesse paura di respirare.
Anche lei faticava a respirare, ma esultò quando lui non ritirò le mani. Erano così grandi, così calde. Sentiva la pelle formicolare per il contatto. Puro calore la pervase, arrossandole il volto. Noah piegò le dita e prese a massaggiare la tenera carne con lenti movimenti circolari.
Il suo volto era una rigida maschera, però il caldo bagliore degli occhi lo tradiva. — Caro — le mormorò — non adesso.
— Ma io ti voglio — si giustificò lei. — Voglio guardarti negli occhi mentre facciamo l’amore. Mi danno una sensazione incredibile.
Lui parve sospettoso. — I miei occhi?
— Sì. Quella luce che li accende quando funziona l’AVP — gli spiegò. — I bagliori che mandano. Li adoro.
— Ah. — Noah aprì leggermente le dita e v’intrappolò i capezzoli, tirando piano.
— Mi eccitano — sussurrò ancora lei.
— È solo che… — Sembrava perplesso. — Questa è la prima volta che qualcuno… Ah, lasciamo stare.
— Dimmi — lo esortò Caro.
— L’idea che qualcuno trovi adorabili i miei occhi… be’, è strana.
— Non è strana. È bella — gli disse, coprendogli le mani con le sue e inarcando la schiena per aumentare la sensuale pressione. Quindi lo afferrò per i polsi e senza uscire dall’abbraccio si voltò, premendogli le natiche sul membro.
Noah tirò un brusco respiro. Le sue dita tornarono a piegarsi, a saggiarla, a deliziarla. — Insomma, cosa vuoi? — le chiese roco.
— Voglio te. Adesso.
— Maledizione, Caro — borbottò lui. — Sai esattamente quali corde tirare.
Oh, sì! Esultando dentro di sé, gli prese una mano, la baciò e poi la posò sullo stomaco, abbassandola ancora.
Le dita di lui affondarono subito nel piumino di ricci, stuzzicando e carezzando. Gli sfuggì un gemito quando la trovò umida e pronta.
— Colpa dei tuoi occhi — gli mormorò. — Te l’ho detto.
Inarcò la schiena con un lieve sospiro quando lui prese a baciarle la spalla e il collo. La mano scese ancora, fino a violarla con un dito. Caro la strinse tra le cosce, come se volesse intrappolarla, mentre Noah la deliziava con perizia, riempiendola di estatico piacere. “Sì. Oh, sì. Ohhh!”
Ma non bastava. Lo voleva dentro. Si mosse, uscendo dal suo abbraccio, e posò entrambe le mani sul lavandino, aprendo le gambe in un silente invito.
Noah la contemplò per un attimo mentre si metteva in posa per lui. Un lieve rossore gli colorì il volto, quindi le carezzò lentamente i fianchi. — Sei piena di lividi. — La sua voce ruvida suonava preoccupata. Ancora.
— Fammeli dimenticare — gli disse. — Tu sei il solo che può riuscirci.
Lui si slacciò la cintura, poi i pantaloni. Li abbassò e finalmente Caro sentì la brusca pressione del suo membro che si faceva strada tra le pieghe. Noah le strinse i fianchi, affondando con forza.
Entrambi accolsero con un gemito quel momento di squisita intimità. Lei si sentiva come un fiore che stava sbocciando in un turbine di colori: ogni volta che Noah la riempiva, carezzandola dentro, nuovi petali si aprivano. Era magnifico. Incredibile.
Ogni carezza suscitava un lampo di erotica delizia. Ogni spinta la precipitava nella spirale del piacere più selvaggio. Si godette tutta la gioia che le dava, bramando di più. Dovette mordersi un labbro per non gridare.
Il piacere crebbe e poi esplose, travolgendoli.
Dopo, non riuscirono a guardarsi per un po’. Noah restò chino su di lei, col membro che le pulsava dentro. Caro aderì a lui il più possibile. Adorava sentire il suo peso su di sé e l’appagante sensazione che le dava il suo orgasmo esplosivo.
Alla fine Noah si ritrasse e si riallacciò i pantaloni. Lei barcollò e si aggrappò al lavandino per rimanere in equilibrio. Lui la strinse forte a sé, baciandole avidamente la curva del collo. — Selvaggia creatura — le mormorò.
Caro sbottò in un’improvvisa, incredula risata. Lei selvaggia?
Ma più ci pensava e più le piaceva l’idea. Selvaggia andava bene. Selvaggia era forte, sexy. Doveva essere selvaggia per sopravvivere. — Selvaggia e indomabile — scherzò.
Il sorriso che lui le rivolse era così bello. Indugiò sulle labbra, mentre prima i suoi sorrisi erano sempre talmente fugaci da darle l’impressione che se ne vergognasse. Ma non stavolta.
— Scendo di sotto — le annunciò. — Ho promesso di spiegare a Sisko e Zade quello che è successo. Tornerò presto. Tu prova a riposarti.
Caro non si mosse dopo che la porta si chiuse, guardava allo specchio i suoi occhi febbrili e le guance arrossate. Poi chinò la testa e si studiò le mani tutte graffiate, stringendo il bordo di porcellana del lavandino. Era scossa da sensazioni troppo forti per reprimerle, da sentimenti troppo dolci per ignorarli. Folli, selvagge pulsioni che aveva paura di approfondire.
Dopo la morte di Tim era stata attenta a non coinvolgere nessuno nei suoi guai. Procedeva da sola nella sua spossante ricerca, dicendosi che se le tenebre avessero vinto, almeno sarebbe stata solo lei a venir inghiottita.
Quella era stata la sua strategia finora. Semplice e diretta.
Ma adesso, Noah aveva sfidato Mark sul suo terreno per salvarla. Non riusciva quasi a credere che esistesse davvero. Voleva proteggerla, curarle le ferite, comprarle dei vestiti, lavarle i capelli e amarla fino allo svenimento.
E conquistarsi il suo amore. Proprio quand’era troppo rischioso per lei anche solo pensarci.
Innamorarsi era proprio ciò che le serviva per completare la distruzione più completa.