10
Caro si sentiva confusa e imbarazzata. Lui l’aveva guardata come se potesse vederle dentro, ma poi si era improvvisamente ritratto e lei non poteva fare a meno di chiedersi se era per qualcosa che gli aveva detto.
— Ordino la cena al ristorante — le annunciò. — Cosa vorresti mangiare?
— Oh, mi va bene tutto. — E non scherzava: dopo mesi in cui viveva alla giornata, ringraziava il cielo se la mattina aveva un po’ di latte da versare sui cereali. — Scegli tu.
Lui sorrise e prese il cellulare. — Buonasera, sono Noah Gallagher. Ho un conto aperto presso di voi… sì, grazie. Vorrei una cena per due consegnata a casa mia — cominciò, producendosi in un elenco di piatti pressoché infinito, che spaziava dalla zuppa al dolce, passando per fiorentine al sangue e una serie di contorni.
Caro era impressionata e un po’ travolta dalla prospettiva di mangiare tutto quel ben di Dio. — Suona delizioso. Ma quella roba basta per un esercito.
— Ho fame la sera. E anche tu hai bisogno di una buona cena.
Quanto aveva ragione. Per adesso, le andava bene che decidesse tutto lui.
Si spostarono nel salone, molto elegante nel suo lusso minimalista che lasciava libera gran parte dello spazio. Lo sguardo di lei andò alla finestra scorrevole da cui si accedeva alla terrazza.
Splendidi pannelli di legno rivestivano l’intera villa, lavorati a regola d’arte in modo da esaltare i nodi e le linee sottili del legno originale.
— Questi pannelli sono magnifici — commentò. — Rendono viva la casa.
Lui parve compiaciuto. — È l’effetto che volevo. Mettiti pure comoda, ti porto un bicchiere di vino. Bianco o rosso?
— Rosso, per favore — gli rispose, già distratta dalla voglia di ammirare i quadri. Si avvicinò e restò sconvolta da ciò che vide. Opere. Su quella parete erano esposte opere da milioni di dollari, tra cui schizzi vecchi di secoli di Hieronymus Bosch. Vagò con lo sguardo dall’una all’altra, poi si soffermò su un quadro. Era di Sonia Delaunay. Si sporse in avanti, studiandolo attentamente. Ritraeva una donna anziana, con gli occhi intensi e profondi e la bocca stretta in una dura linea, immersa in un’esplosione di colori che s’intersecavano tra loro.
C’era qualcosa di strano in quel quadro. Pareva quasi…
— Ti piace l’arte?
Caro sobbalzò. Era così concentrata da non averlo sentito avvicinarsi. Si era tolto la giacca e slacciato i primi due bottoni della camicia. Lei posò lo sguardo su quel collo così forte e si sentì arrossire, neanche si fosse spogliato nudo. — Ah…
— Te l’ho chiesto così, tanto per saperlo. Ecco, tieni — le disse, porgendole il vino.
— Adoro l’arte. — Su questo, non intendeva mentire. — Il tuo Keilor è stupendo. Gli schizzi di Bosch sono incredibili e lo stesso vale per la scultura di Lara Kirk. A quanto pare, hai un debole per i mostri e le figure demoniache.
— Direi proprio di sì. E il Delaunay? Sembravi studiarlo. Cosa ne pensi?
Caro guardò il quadro e prese un sorso di vino. Doveva dirgli la verità? Forse era meglio di no. Esprimere la sua opinione poteva rivelarsi insidioso. “Digli che è molto bello. A te piacciono i bei quadri.” — Ehm… è sorprendente — balbettò.
Un sorriso malizioso gli piegò le labbra. — Non preoccuparti. Lo so.
— Che cosa sapresti?
— Che è falso. Quindi, non ti agitare.
— Davvero? — Un gran sollievo la riempì, seguito però da un improvviso timore. Cercava di coglierla in fallo?
— Avanti, te ne sei accorta subito.
— E tu come fai a saperlo?
Noah si strinse nelle spalle. — Dalla tua espressione. Non poteva essere più chiara.
Il suo tono non lasciava spazio a obiezioni. — Comunque, è un buon falso — replicò lei con diplomazia. — Non volevo essere io a dirtelo, casomai non lo sapessi.
— L’originale è in cassaforte — le spiegò. — E tu sei la prima persona a esserti subito accorta che è una copia.
— Non ne ero proprio sicura — si schermì Caro. — Non sono certo un’esperta.
— Non mentire — l’ammonì scherzosamente Noah.
Lei s’irrigidì. — Allora passeremo una serata fin troppo silenziosa.
— Il silenzio mi sta bene — concluse lui, guardando il quadro. — Meglio delle bugie.
— Io… ah, ho solo seguito qualche lezione di storia dell’arte all’università — si affrettò a spiegare Caro. — E ho scritto un breve saggio sulla Delaunay.
— Però. Complimenti. Mi piacerebbe leggerlo.
— Così sapresti che università ho frequentato.
— Ah, già, non ci avevo pensato. — Le rivolse un fugace sorriso, poi indicò il bicchiere. — Bevi. Forse il vino ti aiuterà a mentire in modo più convincente.
— Mi girerà subito la testa — l’avvisò Caro. — È da un po’ che non mangio.
— Proprio per questo ti ho preparato un piccolo aperitivo mentre aspettiamo la cena.
Lei si voltò e vide diversi vassoi sul tavolo. Come diavolo aveva fatto a portarli in sala senza che lei se ne accorgesse? Cracker di segale, quadratini di formaggio, succulente olive greche, pomodori ciliegini e una fruttiera in cui spiccava un grosso grappolo di uva. — Tieni pronti tutti quegli stuzzichini per impressionare le ragazze? — gli chiese.
— No — le rispose ridendo. — Il fatto è che brucio un sacco di energie durante il giorno, quindi la sera ho bisogno di carburante di alta qualità. Vieni. Serviti.
Lei lo seguì al tavolo e tutto le parve così dannatamente buono! Non abbuffarsi le costò uno sforzo, ma doveva mantenere almeno uno scampolo di dignità. Per distrarsi si guardò intorno e notò in un angolo uno scaffale su cui spiccava una serie di sculture intagliate nel legno davvero notevoli. Alcune erano grandi, altre piccole, ma il soggetto restava identico: animali selvatici, a volte ancora attaccati al legno in cui erano stati intagliati, come se l’animale provasse a fuggire. Si alzò per osservarli meglio, colpita dall’impressione di energia intrappolata che trasmettevano. — Anche questi sono bellissimi — gli disse. — Chi è l’artista?
Lui restò in silenzio così a lungo da spingerla a voltarsi e ripetergli la domanda. Si rese conto che era solo riluttante ad ammetterlo. — Tu? — gli chiese, sorpresa.
Lo vide stringersi nelle spalle come se fosse imbarazzato. — A volte soffro d’insonnia. È un modo per passare il tempo.
Lei tornò a guardare gli animali intagliati. Erano dinamici, originali, resi alla perfezione. — Non hai mai pensato di esporli in una mostra?
— Bah, non è il mio campo — fu la risposta. — Sono solo un hobby.
— Ma hai molto talento — commentò lei. — Mi piacciono. Sono grandiosi.
Un nuovo, fugace sorriso gli illuminò il volto. — Grazie.
— Quindi, perché sulla parete abbiamo un Delaunay falso e dei Bosch autentici?
— Domanda interessante. A cui risponderò solo se mi spieghi come hai imparato a distinguere un quadro autentico da una copia professionale.
Caro si chiuse all’istante. Posò il bicchiere sul tavolo e gli disse: — Forse un’altra volta. Di sicuro non adesso.
Bastardo approfittatore. Caro si sentì arrossire. — Me lo merito, visto che ho cominciato io. Ma con questo si conclude la nostra conversazione per stasera.
— Pazienza — scherzò lui. — Come dicevi, possiamo anche non parlare.
Ecco il momento cruciale. Toccava a lei fare qualcosa di sexy e disinibito. Ma si sentiva così maledettamente imbarazzata.
Noah le carezzò il braccio, come se avesse percepito i suoi pensieri. — Non essere nervosa — le disse con gentilezza. — Sappiamo entrambi che sarà grandioso.
Se solo lei fosse riuscita a mostrarsi così sicura.
— Tutto ciò che dobbiamo fare è riprendere da dove ci siamo interrotti nel mio ufficio, a meno che tu non abbia altre idee — continuò, sfiorandole la guancia con il dorso delle dita.
Un contatto che la fece quasi sobbalzare: per quanto tenero e rispettoso fosse, andava in qualche modo troppo oltre. La tenerezza, la vicinanza la turbavano. Proprio per questo aveva posto dei paletti. Voleva solo il sesso. Solo l’atto fisico, nudo e crudo.
Noah le strinse le dita, avvolgendole nelle sue. — Non devi aver paura, Caro.
— Oh, ma io non ho paura — si affrettò a rispondergli.
— Ci prenderemo tutto il tempo. Non c’è fretta. E sarò molto premuroso — le assicurò.
— Noah, non c’è bisogno che tu…
Troppo tardi. Lui si portò la sua mano alla bocca e cominciò a baciarla. Baci bollenti, intensi, deliberati. Un’esperienza inedita per lei, ma d’altro canto ogni tecnica di Noah le risultava nuova. Le baciò l’interno del polso e una scossa elettrica le corse lungo il braccio.
— Io… — provò a dire, ma dovette deglutire. — Forse potremmo…
— Passare oltre? Lascia che ti dia un’occhiata. — Estrasse un cofanetto dalla tasca, lo aprì e si tolse le lenti a contatto, mettendole via. Poi le puntò addosso quegli occhi dorati che brillavano come gioielli.
Il suo sguardo la fece sentire stranamente nuda. Voleva nascondersi, ma per orgoglio sostenne l’esame a testa alta.
— Stai meglio, però non sei al massimo — commentò Noah alla fine, pensieroso.
— Se aspetti che sia al massimo, stai fresco — replicò lei con ironia.
Lui annuì con aria imperscrutabile. — Allora vieni, se ti senti pronta.
Caro lo seguì fino a un’ampia camera da letto arredata con la stessa mascolina eleganza del resto della casa. Pannelli di legno alle pareti, pavimento di parquet, un letto enorme, finestre con persiane di legno chiaro…
Noah la lasciò entrare e si fermò accanto alla porta. — Luci accese o spente?
Lei reagì con un’alzata di spalle.
— Allora decido io. — Premette l’interruttore e due lampade illuminarono la stanza con un tenue chiarore.
Caro si pentì di non aver chiesto il buio. Era paralizzata dall’imbarazzo.
Lui raggiunse il letto e si sedette sul bordo. — Spogliati per me.
Una richiesta che la sorprese, innervosendola ancora di più. — Mentre tu resti lì a guardarmi?
— Esatto.
— Perché?
Il volto di lui era troppo in ombra per capire cosa pensava. — Per eccitarti.
— Ah, sì? Quindi, lo vuoi solo per eccitare me?
— Sarà eccitante anche per me, ma non sono io la variabile dell’equazione. Sei tu.
— Non proprio — gli rispose. — Non scordarti che ho già danzato due volte per te. E non indossavo praticamente nulla.
— Non l’ho scordato. Ti ha eccitato anche allora. Tutte e due le volte.
Il suo sguardo implacabile la inchiodava dov’era. — Cosa te lo fa pensare?
— Non lo penso. So che è così.
Tanta sicurezza la mandava fuori dai gangheri. Soprattutto perché era vero. Di nuovo, Caro ricorse all’ironia. — Capisco. Quindi il mio signore sta ordinando a me, umile schiava sessuale, di eseguire i suoi comandi alla lettera?
— Che fantasia torrida. Continua pure.
— Quando sarò pronta — gli ribadì.
— Caro, ciò che voglio è solo deliziarti — tagliò corto Noah, la voce bassa e intensa. — Fidati di me, ti prego.
Il conflitto che le imperversava dentro la faceva sentire così tesa che avrebbe voluto mettersi a urlare. Ma allora non avrebbe avuto ciò che cercava. Solo lui poteva darglielo.
Spesso, in quegli ultimi mesi, si era sentita intrappolata in un universo parallelo. In un’altra dimensione c’era una Caro ancora libera e felice che si godeva la vita, come lei faceva un tempo, ignara del fatto che esisteva un suo alter ego costretto a combattere ogni giorno per salvare la pelle. A volte, nei momenti più bui, pensava persino di essere morta per mano di Mark in quell’orribile notte e adesso si ritrovava imprigionata in un incubo infinito dal quale non riusciva più a svegliarsi. Era un’anima in pena che vagava alla disperata ricerca di un contatto umano.
Il tipo di contatto che solo Noah Gallagher poteva darle. Piacere sessuale al di là dei suoi sogni più selvaggi.
Ma i fantasmi non sognavano, quindi lei era viva. E anche lui.
Ed era proprio lì. In attesa che lei si spogliasse.
Noah affondò le dita nella coperta. Era così difficile stare fermo a guardarla quando voleva stringerla, baciarla, farla sua.
“Una fragile statua di vetro.” Aveva sbagliato a partire con quell’idiozia da macho. Lei era troppo tesa. Avrebbe dovuto sedurla con dolcezza, ma per riuscirci doveva anche mostrarsi dominante. Caro reagiva alla sua forza. Noah lo sapeva dalla firma energetica, così come sapeva che sarebbe stato terribilmente facile rovinare tutto.
E quindi restò seduto, col membro che gli pulsava nei pantaloni a ogni battito del cuore, mentre lei ci rifletteva in silenzio.
— Perché non ti spogli prima tu? — gli chiese infine. — Così non mi sentirei tanto in svantaggio.
— Ti senti già in svantaggio — le rispose, secco e diretto. — Sarebbe peggio se io fossi nudo. Devi fidarti di me. — Sì. Ecco quel caldo bagliore rosa e viola che indicava speranza. Voleva fidarsi di lui. Disperatamente. — Non saresti qui, se l’idea non ti eccitasse — incalzò.
— Che idea? Prova a essere più specifico.
Lui si chinò in avanti, trafiggendola con lo sguardo. — L’idea di sfilarti i vestiti a uno a uno. Muoviti come se danzassi, ma non ti toccherò. Magari potresti toccarti da sola: sarò qui a guardarti, immaginando il momento in cui ti ecciterai per me.
Un altro bagliore rosa si accese all’altezza del petto, assumendo una pulsante sfumatura arancio. Lei sentiva il suo calore e reagiva di conseguenza.
— Perché mi osservi così? Mi sento come se mi leggessi nel pensiero.
L’umore di lei era cambiato all’improvviso. Noah non l’aveva previsto dall’aura.
“Ti sto leggendo nel pensiero.” Fece per dirglielo ma si trattenne, sorpreso da quanto fosse forte l’impulso di svelarle la verità su di sé. — Scusami — disse invece. — Non posso farne a meno. L’abitudine a studiare la gente è troppo radicata e non è una cosa che si spegne premendo un interruttore.
— Cosa pensi di capire su di me se non ti ho svelato nulla?
— Ma tu sveli qualcosa con tutto quello che fai. Non importa se mi parli o meno di te: il tuo passato, la tua personalità emergono a ogni movimento, a ogni parola.
Questa risposta suscitò un bagliore così improvviso da farlo quasi trasalire. Sì! Era quella la vena aurifera che doveva seguire. Caro non riusciva a resistere alla curiosità. — Per esempio? Che cosa ti avrei rivelato finora?
— Sei sicura di volerlo sapere? Non vorrei che ti sentissi a disagio.
— Io mi sento sempre a disagio. Inoltre, so che stai bluffando.
“Okay, falle vedere.” — Sei cresciuta vicino a Boston — cominciò Noah. — Te la cavi con l’accento di Seattle, ma ogni tanto la parlata originale salta fuori. Complimenti per lo sforzo, in ogni caso.
Lei incrociò le braccia. — Va bene. Ho capito dove stiamo andando a parare e non mi piace. Basta così — affermò, ma in realtà non le bastava affatto. I colori della sua aura stavano impazzendo.
E quindi Noah continuò. — Non sei cresciuta in una famiglia ricca. Oserei dire classe media con qualche grattacapo. — Il modo in cui lei lo guardò lo spinse subito a chiarire: — Non c’è nulla di male. Io ero povero in canna.
La vide guardarsi intorno nella stanza. — Tu? Davvero?
— Sì — le rispose. — Ma adesso non stiamo parlando di me.
— Io non voglio neppure parlare.
— Sei sola al mondo. Non hai nessuno a cui appoggiarti. — Noah esitò, poi aggiunse: — Finora.
Lei arretrò di un passo. — Buon per me.
— E stai fuggendo da un po’ — la incalzò. — Si vede dai tuoi occhi. Sei costantemente in guardia e questo ti sfinisce.
— Oh, per favore — gemette lei, sbuffando.
— Vuoi che smetta?
E così le elargì l’ultima rivelazione. — Ti ritrovi coinvolta in un grosso guaio, ma tu non c’entri nulla. Qualcuno ti ha incastrata.
La vide irrigidirsi per lo shock.
— Dimmi come si chiama, Caro — la esortò a bassa voce. — Dimmelo e lo ucciderò.
Lei socchiuse gli occhi.— Ascoltami bene — gli rispose. — Adesso basta o me ne vado.
Noah annuì, concentrandosi al massimo, analizzandola con ogni mezzo di cui disponeva in cerca del modo di arrivare al passo successivo senza spaventarla. — Hai paura di me? — provò a chiederle.
— Niente affatto. Ti chiedo solo di smetterla.
Per la seconda volta in pochi minuti, lui si scoprì incapace di leggerla. Doveva capire come faceva. Nessuno ci era mai riuscito.
— Va bene — concesse. — Allora, comincia a spogliarti.