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Noah avrebbe voluto stringerla a sé mentre camminavano, ma non osava toccarla. Eccitato com’era, rischiava di scaraventarla sul cofano di una macchina e prenderla lì nel garage.
Normalmente le lenti a contatto e gli occhiali schermavano abbastanza la luce da azzerare l’AVP, ma la vicinanza di quella ragazza tutto era meno che normale. Il sistema girava a pieno ritmo, sparandogli colonne di dati sulle retine. Adesso stava identificando le targhe delle auto: chiaramente, trentotto dei suoi trecento dipendenti non avevano una vita personale ed erano ancora in ufficio alle nove di sera.
Il desiderio stava per friggergli i circuiti, ma almeno non lo riempiva di furia omicida. Si costrinse a guardare il pavimento per non mettersi a contemplare a bocca aperta l’aura di lei. Tutti quei colori luminosi si proiettavano sulle pareti di cemento del garage, trasformandole in qualcosa di magico. E tra poco avrebbero avvolto anche lui, immergendolo nell’arcobaleno mentre facevano l’amore. E quando lei sarebbe esplosa…
— Vuoi smetterla, per favore?
Lui rialzò lo sguardo. — Io? Di fare cosa?
— Di pensare a me. Sono qui e basta, okay? Non rimuginarci troppo sopra o finirà in un disastro.
Noah rise. — Adesso non posso neppure pensarti? Le condizioni si fanno sempre più stringenti. Sei una che vuole controllare tutto?
— Abbastanza, lo ammetto. E tu, come sei a letto? Dominante?
Impossibile non guardarla sorpreso. — A volte sì, suppongo. Ti va ancora bene?
— Ma certo.
Il suo tono lo spinse a togliersi gli occhiali e a dare un’altra occhiata alla sua aura. Certi schemi erano unici, ma ormai aveva abbastanza dati per poter fare una valutazione generica. Era eccitata, ma anche intimidita. Si chiedeva in cosa si era cacciata, eppure non si preoccupava tanto da squagliarsela. Noah ammirò il suo coraggio: dopotutto, stava per passare la notte con un uomo che non conosceva. Dopo mesi in cui si sentiva braccata e indifesa.
Le aprì galantemente la portiera della Porsche, salì a sua volta e restò fermo con le chiavi in mano. Sprofondata nel sedile, lei lo guardò con un certo nervosismo.
— Cosa aspetti? — gli chiese.
— Nulla. — Noah accese la macchina, lasciando girare il motore per un attimo, in modo da darle il tempo di cambiare idea.
Lei tornò a guardarlo. — Spero che tu non sia deluso per il fatto che non ho più l’aspetto della femme fatale. Forse preferivi che mi tenessi addosso il costume sexy?
Deluso un corno. Quasi rise per quell’affermazione, ma lei non avrebbe apprezzato l’umorismo. — Niente affatto. Sono un tipo flessibile. E tutto mi sento tranne che deluso.
— Bene. Allora forza, travolgimi.
Uscirono dal garage e svoltarono sulla strada. A fatica lui si trattenne dal pigiare sull’acceleratore. — Dimmi solo una cosa
— Che parte di “niente domande” ti risulta così difficile da capire?
— Dimmi come ti chiami. Solo il nome. Stanotte mi servirà saperlo.
Lei sospirò stancamente. — Courtney.
Una gran risata gli sfuggì. — Ti prego, non insultare la mia intelligenza.
— Perché? Cosa c’è di sbagliato in Courtney?
— Nulla. Solo che non è il tuo nome — le rispose. — La gente sviluppa un legame con il proprio nome. O magari è l’opposto. Comunque sia, Courtney suona completamente sbagliato su di te.
Vide la tensione che la riempì, testimoniata dal chiarore che si accese tra la gola e il petto. Aloni blu e viola brillavano tanto da diventare quasi bianchi ed era stato lui a suscitarli. Lei non riusciva più a tenersi dentro la verità. Doveva arrendersi almeno a quella richiesta.
— Caro — gli borbottò alla fine.
Sì. Dentro di sé Noah era deliziato. Un primo, labile successo. — Adesso sì che cominciamo a ragionare — commentò. — Molto piacere. Io sono Noah — scherzò, stringendole la mano. — Caro — ripeté. — Mi piace.
Mentre guidava, si accorse che le stava accadendo di nuovo. Altri aloni di luce indicavano l’arrivo di uno scampolo di verità. — Mia madre mi chiamava così quand’ero piccola.
— E adesso non ti chiama più così? — le chiese, aspettando.
Avevano imboccato la strada che girava intorno al lago. La sua villa era poco più avanti.
— È venuta a mancare quando avevo nove anni.
Noah svoltò e si fermò davanti al cancello del parco. — Mi spiace — le disse, premendo un tasto sul cruscotto. Il cancello si aprì e lui ripartì, percorrendo il vialetto e parcheggiando di fronte ai garage. Davanti a loro svettava la villa, con la terrazza che si protendeva sul lago sorretta da spessi piloni affondati nell’acqua.
Lui scese, le aprì la portiera e poi la prese a braccetto, conducendola lungo il vialetto. — Davanti alla porta ci sono due videocamere — l’avvisò. — Sai, la sorveglianza.
— Grazie. Apprezzo l’avvertimento.
Noah aprì la porta, disattivò il sistema antifurto progettato da Sisko e le fece cenno di seguirlo nell’imponente atrio. — Le videocamere interne sono spente. Puoi rilassarti.
Lei appariva molto più incerta adesso. Taceva ed era rigida per la tensione.
— Non preoccuparti. Con me sei al sicuro — le disse con pacata intensità. — Non farei mai nulla che tu non voglia.
Caro lo guardò, poi rise. — Lo so. Ispiri fiducia più di quanto pensi, con quel completo da supermanager. Non che ti stia male, anzi.
Noah sorrise. Fiducia? Se solo lei avesse saputo. — Ebbene, anch’io ho i miei lati oscuri — scherzò. — Togliti pure il travestimento.
Stavolta, Caro gli obbedì senza discutere. Accidenti, era così bella. Ma poi la guardò bene e si accigliò. Prima non s’era accorto di quanto fosse pallida, preso com’era dalla situazione. Insospettito, si tolse gli occhiali e l’analizzò con l’AVP.
Accidenti. Ecco a cosa si dovevano quelle sbavature e quegli spazi vuoti nella sua aura. Ipoglicemia. Vertigini. Pressione bassa e una leggera disidratazione. Che diavolo le passava per la testa? L’aveva sedotto per poi svenirgli tra le braccia? Doveva prendersi subito cura di lei.
Avrebbero cenato insieme, dopotutto. Meglio anche per lui, visto che l’AVP bruciava un sacco di glucosio. Le sorrise e disse: — Abbiamo tempo. — E pazienza se per prenderselo doveva fare appello a tutto il suo autocontrollo. — Potremmo mangiare qualcosa.
Caro lo guardò sorpresa, come se il concetto di cena le fosse diventato estraneo. — Ottima idea.
Noah tirò un bel respiro e contò mentalmente fino a dieci. Doveva tenere a freno l’eccitazione. Almeno fino a quando la firma energetica di lei fosse tornata stabile.
Quella ragazza andava trattata come una fragile statua di vetro.