14
Lui non si mosse. Restò immobile davanti al box doccia, bloccandole la strada. L’unico rumore era quello dell’acqua che gocciolava dai soffioni.
Caro posò lo sguardo sul membro eretto, orgogliosamente proteso verso di lei. L’acqua gli imperlava gli affascinanti tratti del viso e la distesa di muscoli e cicatrici. I peli del torace aderivano ai pettorali e i capezzoli erano induriti.
I loro sguardi s’incontrarono, restando incatenati. L’innaturale bagliore color ambra che gli accendeva gli occhi l’affascinava sempre di più.
Era furiosa, ma questo non la proteggeva dalla bramosa attrazione che provava per lui. Il suo sguardo sembrava trafiggerla, mettendo a nudo la donna spaventata e sofferente che lei detestava così tanto.
Noah vedeva ogni miserabile dettaglio di lei, ma per qualche motivo la desiderava lo stesso. E con un ardore che le toglieva il fiato, dandole l’impressione di doversi proteggere anche da lui. — Smettila di guardarmi così — gli disse.
— Ehi! Me ne resto qui immobile, senza neppure toccarti. Ti guardo perché muoio dalla voglia di riportarti a letto. Non puoi biasimare un uomo per questo.
— Certo che posso — ribatté indignata.
— Ma è più forte di me — si giustificò Noah. — Ti voglio.
Caro chiuse le dita sulla grossa verga eretta. Lui tirò un brusco respiro. — È così strano sentirsi sia furiosa che eccitata — gli disse, cominciando a carezzarlo. — Potrei trasformarmi… in un bambina cattiva.
— Davvero? Fantastico. Conta su di me. — E con questo le infilò una mano tra le cosce, addentrandosi con un dito tra le pieghe e sorridendo quando la trovò calda e umida. Poi, lentamente, se lo portò alla bocca e lo succhiò. — Ancora non vuoi che ti guardi mentre lo facciamo?
Bastardo. Cercava di farla sentire in colpa. Ma la cosa peggiore era l’effetto che aveva su di lei. La toccava e la eccitava nella speranza che lo implorasse di prenderla come diavolo voleva.
— Io sono pronto, sai? — la incalzò sorridendo.
Lei fece una smorfia. — Lo immagino.
— Ti spiacerebbe guardare nell’armadietto nero? Ultimo ripiano a sinistra.
Caro lo spinse via e uscì dalla doccia, trovò i preservativi e rientrò. Poi aprì una confezione e glielo infilò sul pene, gustandosi la reazione di lui.
Noah l’afferrò per i fianchi e la premette di schiena contro le piastrelle umide. — Mettilo dentro tu — le mormorò all’orecchio, riempiendola di baci ardenti sul collo.
Caro chiuse le dita sul turgido bastone premuto sulla coscia e lo sistemò proprio laddove lo voleva. Era umida e fremente, vittima dell’incantesimo di lui. Bramava ogni centimetro di quella verga grossa e dura.
Annasparono insieme quando s’impalò da sola. Noah si ritrasse, poi affondò lentamente, dando il via a una serie di scivolose, magnifiche spinte mentre il suo corpo lo implorava silenziosamente, chiedendone ancora. Di più, di più, di più.
Fino a quando gli affondò le unghie nelle spalle, gemendo. Noah era sepolto a fondo dentro di lei, la possedeva anima e corpo, rubandole la ragione. Rubandole tutto: Caro si sentiva sciogliere, aderiva a lui e gridava di gioia mentre dava e prendeva il più possibile da quegli affondi così erotici. Si rendeva conto di come lui la teneva sollevata senza sforzo. Avrebbe potuto continuare a deliziarla per tutto il tempo che voleva.
Una strana sensazione le crebbe dentro, calda e luminosa come se il cuore fosse un piccolo sole che le batteva nel petto. Si sentiva fluttuare in un mare di luce. Il picco era vicino, si stagliava davanti a lei sempre più nitido…
Ah, sì! Il dolce oblio esplose, facendola fremere e pulsare in tutto il corpo.
Pian piano le laceranti scosse di piacere si attenuarono, lasciandola esausta e appagata tra le sue braccia. Era tornata a essere solo Caro. Aveva le guance bagnate. Stupide lacrime! Per fortuna, lui le premeva il volto sulla spalla.
Lo cinse con le braccia, cercando di fissare quel momento nei ricordi. La dirompente energia vitale di Noah. Il miracolo che aveva compiuto regalandole una notte in cui si era sentita al sicuro, desiderata, bellissima. Dopo mesi di solitaria disperazione, quelle ore di sorprendente intimità avevano riportato alla vita qualcosa che da tempo considerava morto.
Restarono a lungo così, in silenzio, stretti nel loro abbraccio. Alla fine Noah si ritrasse e la posò a terra, per poi azionare la doccia. Diresse il getto caldo verso di lei e prese a lavarle con sensuali carezze il ventre e le cosce. Il suo tocco tradiva una spavalda sicurezza, come se avesse ogni diritto di trattarla con tanta confidenza. Quando fu soddisfatto, chiuse l’acqua e prese un asciugamano pulito.
Lei voleva sorridere, ma non ci riuscì. — Posso asciugarmi da sola.
— Ti prego, concedimi anche questo — la implorò lui in risposta.
E quindi glielo concesse, non opponendo alcuna resistenza mentre la carezzava ovunque con lente passate dell’asciugamano. Lacrime insidiose tornarono a riempirle gli occhi quando Noah le tamponò con cura i capelli, ma stavolta riuscì a trattenerle.
Alla fine lui gettò di lato l’asciugamano bagnato. — Resta qui con me, Caro.
— Noah, non ricominciare! — esclamò lei, subito tesa.
— A dire il vero, non ho mai smesso — le mormorò con un sospiro. — In ogni caso, dovrebbe già esserci il caffè pronto. Vieni in cucina quando hai finito di vestirti. Ti preparerò la colazione.
— Niente colazione, grazie. Non ho fame. — Caro lo guardò ipnotizzata mentre si asciugava rapidamente il corpo atletico e muscoloso. — La tua macchina del caffè è programmata per partire presto.
— Te l’ho detto, non dormo molto. — Uscì dal box doccia e fu come se si portasse via tutta l’aria e l’energia.
Un’improvvisa solitudine tornò a opprimerla. Infilare i suoi abiti lisi e spiegazzati le fece uno strano effetto. Avevano un odore poco familiare, come se appartenessero a qualcun altro. Ma erano i suoi, invece. Era braccata e doveva farsene una ragione.
In fin dei conti, che importava se era lui ad accompagnarla a casa? Tanto intendeva lasciare Seattle subito dopo l’appuntamento con Bea. Mister Coda di Cavallo la stava probabilmente cercando, ma lei doveva correre il rischio e passare dal suo appartamento. Lasciarsi dietro le sue cose significava doverle ricomprare e nulla come la miseria spingeva una persona a odiare lo spreco.
Vestita, con i capelli umidi raccolti in una coda, attraversò la villa ammirandone ogni angolo. Non c’erano luci accese in cucina, fatto salvo per una sottile striscia luminosa che veniva da sotto il bancone.
Non appena entrò, Noah prese una tazza dalla credenza. — Come lo vuoi il caffè?
— Con crema e zucchero, grazie.
— Ogni tuo desiderio è un ordine — scherzò lui. E un attimo dopo, Caro si ritrovò a sorseggiare un’aromatica miscela addolcita da una generosa dose di crema.
— Dovresti mangiare qualcosa — insistette Noah. — Hai bruciato un sacco di energie stanotte. Lascia che ti prepari due uova con del pane tostato.
Caro posò la tazza ancora mezza piena. — No, ma ti ringrazio. Adesso devo proprio andare.
Lo vide voltarsi di spalle, come se non si fidasse a risponderle.
Lei finì il caffè e raggiunse l’atrio. Aprì l’armadio, prese il giaccone, poi tuffò le mani nella borsa ed estrasse il suo travestimento. Noah la vide.
— Oh, no — gemette. — Non metterti quella roba, ti prego.
— Devo farlo, Noah.
— Ma è come insozzare con un graffito la Venere di Botticelli. Avanti, è ancora buio.
Caro non poté trattenersi dal sorridergli. — Sei molto dolce, Noah. Ma purtroppo…
— Nessuno ti vedrà. E la mia macchina ha i vetri oscurati. — Attese un attimo e visto che lei non rispondeva tornò a incalzarla. — Per favore, Caro, dimmi di sì.
— Ti sto dicendo di sì fin da quando ti ho incontrato. Adesso è ora di smetterla.
— Io devo smetterla, intendi? Va bene. Non appena ti avrò portata a casa la finirò. Promesso.
Lei posò il borsone sul tavolo e rimise dentro il travestimento. — Speriamo — borbottò.
— Grazie per la fiducia. Aspetta. Prima di andare volevo mostrarti una cosa. Vieni con me.
Caro lo seguì e lui le chiese di aspettarlo in sala da pranzo. Qualche istante dopo ritornò, tenendo tra le mani quello che sembrava un grosso quadro avvolto in un panno. Lo posò sulla credenza, poi accese una lampada e la piegò per illuminarlo. — Ecco il vero Delaunay.
Lei si avvicinò, sorpresa e commossa. Le linee ben marcate del ritratto e la profondità dei colori colpirono subito la sua immaginazione. L’insolito dipinto divenne un varco, un legame attraverso lo spazio e il tempo che Caro percepiva distintamente, come un ronzio che le risuonava nella mente.
Un ronzio del tutto assente quando aveva guardato la copia, anche se la tecnica pittorica era stata fedelmente riprodotta. La vera magia avveniva a livello del subconscio: un quadro originale era come un portale su un’altra epoca e un altro luogo, sul modo di vedere le cose di un’altra persona.
— È stupendo — commentò.
— Sapevo che ti sarebbe piaciuto.
Lei si avvicinò al quadro. — Posso?
— Ma certo.
Caro lo prese, lasciando che l’immagine le risuonasse dentro. I colori splendevano come gioielli nella penombra della sala.
Qualcosa si staccò dall’angolo della cornice, cadendole in mano. Un segnalatore. Minuscolo e ipertecnologico, serviva senza dubbio a rintracciare il quadro se fosse stato rubato.
Posò il dipinto e porse il segnalatore a Noah. — La tua piccola spia si è staccata.
Lui la mise in tasca con un cenno di ringraziamento, poi raggiunse i ripiani su cui erano sistemate le sue creazioni e le studiò per un lungo istante. Dopodiché, tornò da lei con qualcosa in mano. — Questo è per te.
Caro studiò il piccolo lavoro d’intaglio che raffigurava un lupo. L’animale aveva un’aria cauta e attenta; la sua resistenza e la sua forza erano espresse a meraviglia, così come l’intrinseca nobiltà.
— Ho scelto qualcosa di piccolo — le disse. — Casomai tu debba partire.
Lei era tentata di rifiutarlo, ma poi guardò Noah e qualcosa nel suo sguardo glielo impedì. — Grazie — gli disse. — È bellissimo.
Noah non commentò.
Caro mise in tasca la scultura. — Adesso dobbiamo andare.
In silenzio, lui avvolse il quadro nel panno e lo portò via.
Una volta usciti, la prese per mano e si avviarono verso la macchina. Un contatto che la rese felice, riempiendola però anche di rimpianto per ciò che quell’avventura avrebbe potuto diventare se la sua vita le fosse appartenuta come un tempo.
Durante il viaggio, gli parlò solo per spiegargli la strada. Percepì la sua disapprovazione mentre superavano i locali di strip-tease, poi una serie di edifici vuoti con le assi alle finestre. Purtroppo, non aveva molta scelta per quanto riguardava le abitazioni. Doveva trovare le più economiche, con padroni di casa che non chiedevano garanzie lavorative o bancarie. Né tantomeno documenti validi.
— In fondo a questa strada — gli disse infine. — Parcheggia dove vuoi.
Lui si fermò. — Qui, rischio di non vedere mai più la mia macchina.
— Allora fammi scendere. Ti capisco, credimi.
— No. Sono assicurato. — Scese e girò intorno all’auto per aprirle la portiera, ma lei era già sul marciapiede, con il borsone in spalla. — Dov’è la casa?
— I lunghi addii sono i più difficili. Abito al sesto piano, ma l’ascensore non funziona. Risparmiati la fatica e salutiamoci qui.
Noah la ignorò. — Fammi strada.
Arrivarono al portone di un cadente edificio e lei lo aprì semplicemente spingendo.
— La serratura è rotta? — le chiese stupefatto. — In un quartiere come questo?
— Il padrone di casa è stato informato, ma dice che non si può riparare.
Nell’atrio, un tempo piastrellato in bianco e nero, molte piastrelle si erano staccate e i frammenti costellavano il pavimento. La seguì su per le scale, uno scalino sbrecciato dopo l’altro. Al sesto piano, il rimasuglio di una moquette rossa ricopriva il corridoio. Era cosparsa d’immondizia; un grosso scarafaggio, spaventato dal loro arrivo, s’infilò sotto una porta. Poco più avanti, un ubriaco avvolto in un lacero giaccone dormiva per terra.
Aprì un occhio iniettato di sangue sentendoli avvicinarsi.
— Ehi, Freddie, come va? — chiese Caro. — Hai perso le chiavi?
— Quella schifosa mi ha chiuso fuori — borbottò lui, tossendo violentemente.
— Ah, non te la prendere — commentò Caro, scavalcandolo. — Ti farà rientrare, vedrai.
La sua porta era poco più avanti. Lei tirò fuori una chiave così sottile da sembrare di latta e la infilò nella serratura.
— Stiamo scherzando, vero? Il portone è aperto e questa sarebbe la serratura di casa tua? — sbottò Noah. — Con dei vicini così?
— Oh, la serratura non mi preoccupa — affermò lei. — E neppure Freddie. È innocuo. Grazie per avermi accompagnata, Noah. È stato molto galante da parte tua.
Lui la studiò con gli occhi socchiusi. — Mi hai permesso di venire qui perché oggi te ne andrai, vero?
Un lampo doveva averle attraversato gli occhi e ovviamente lui se ne accorse. Nulla sfuggiva a quell’uomo.
— Maledizione, lo sapevo — borbottò Noah. — Ma cosa dovrebbe importarmi, in effetti? Tanto ero l’uomo per una notte, dico bene?
— Basta, per favore — replicò lei stancamente. — È già difficile così.
— E allora rendilo facile — obiettò Noah. — Torna a casa con me. Ti preparerò la colazione e davanti a una buona tazza di caffè potrai raccontarmi tutto. Ti prego, Caro.
— No — gli rispose, con la voce più energica.
— Non mi fai neppure entrare? Solo questo ti chiedo. Poi sparirò, lo giuro.
— L’hai già detto e ripetuto — gli ricordò, lasciando uscire il fiato che non sapeva di trattenere. Noah stava solo prolungando la pena. E la guardava con una tale disperazione!
Ah, al diavolo. Che entrasse pure, se voleva.
Si voltò e aprì la porta.