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Qualcuno aveva spento le luci. Che diavolo…
Noah Gallagher sussultò quando sentì dei tamburi risuonare nella sala riunioni. Un altro strumento, ipnotico e lamentoso, echeggiò dagli altoparlanti nascosti e un attimo dopo la porta si aprì, lasciando entrare una visione avvolta in fluttuanti veli viola. Tutti i presenti la guardarono allibiti, mormorando tra loro.
Oh, cavolo, non era possibile. Noah si alzò in piedi, ma la danzatrice del ventre era già a metà sala e avanzava con seducenti movenze delle mani e dei fianchi. Due brillanti occhi verdi risero di lui mentre la ragazza puntava nella sua direzione, dimenando sinuosamente un fianco.
Quegli occhi lo trafissero, catturandolo.
Il mondo svanì. La sfuriata in cui stava per prodursi gli morì in gola. Gli mancavano le parole. Gli mancava l’aria. Ma che gli importava dell’aria? Nulla contava più, solo lei.
Si era impadronita di lui con quegli occhi. Con quel sorriso.
Si accorse di essere di nuovo seduto, senza però averlo pensato. La mente girava in tondo, come se quella ragazza fosse il suo codice di blocco vivente. Si era sempre chiesto cosa si provasse a essere uno degli sfortunati a cui la Midlands impiantava il codice di blocco e quello di soppressione nei circuiti cerebrali. Sopportare i suoi circuiti non era facile, ma sapere che potevi venir disattivato o ucciso ogni momento doveva essere terribile.
Quella danzatrice, tuttavia, non era un dannatissimo codice. Era solo una ragazza che dimenava i fianchi. Finito il numero, lui si sarebbe ripreso, tornando a esercitare l’autorità di cui godeva come presidente della Angel Enterprises.
Era facile capire da chi veniva quel bizzarro regalo di compleanno: sua sorella minore, Hannah, era in agguato vicino alla porta. La sua vista potenziata, capace di cogliere un’immagine a grandangolo, gli permetteva di guardarla negli occhi che brillavano senza mai distogliere lo sguardo dalla danzatrice.
Non che ci sarebbe riuscito, comunque.
Con la visione periferica studiò il volto di Simona, la sua fidanzata. Si era seduta accanto a lui in quell’importante riunione, ed era ovvio dal suo sorriso teso e speranzoso che si aspettava di vederlo voltarsi verso di lei, per poi farsi una risata e commentare con una pungente battuta quell’assurda situazione. Non solo per loro, ma per chiunque sedesse al tavolo.
Però Noah non ci riusciva.
“Provaci. Tuffati nell’analogico. Trova un gancio. Concentrati.”
Un riflettore illuminò la danzatrice, donandole un chiarore dorato, evidenziando ogni dettaglio. Cavigliere d’argento che tintinnavano sopra i piccoli piedi nudi. Unghie smaltate d’oro. Gambe lunghe e snelle mostrate e nascoste a tratti da una cascata di veli purpurei che fluttuavano da una cintura scintillante, portata bassa. Diverse catenine ornavano il top e altre le pendevano sulla fronte e sul mento dall’esotico copricapo, creando un leggero scampanellio, costante e pervasivo.
Seni alti e sodi si dimenavano sotto la profonda scollatura, poi la danzatrice s’inarcò, lanciando in aria un velo e scuotendo la folta cascata di capelli neri che le arrivava fino alle anche. Doveva essere una parrucca, si disse lui, osservandoli mentre si aprivano a ventaglio, quando la ragazza roteò il busto.
Tutto ciò che monitorava con la visione periferica scomparve. Non c’erano più Simona e i manager seduti al tavolo. La sua attenzione andava solo a lei. La immaginava seduta a cavalcioni su di lui, in volto un sorriso sensuale mentre si dimenava per eccitarlo. E allora lui le afferrava i capelli e li avvolgeva tra le dita, legandola a sé come una schiava.
Voleva stracciarle di dosso quei veli evanescenti e quelle catenine. Vedere tutta la carne che nascondevano, natiche sode, seni stupendi. Quei fianchi sinuosi erano perfetti da stringere. Gli tremavano le mani per la voglia di carezzarle il ventre e le cosce.
Il susseguirsi d’immagini erotiche gli intasò il processore visivo, fino a mandarlo in tilt. Anche con gli occhi schermati all’ottanta percento dalla luce ambientale e gli occhiali protettivi progettati appositamente per lui, l’AVP partì da solo, proiettando lunghi elenchi di dati sulle retine.
Ma neppure questo riuscì a distrarlo dallo spettacolo. Nemmeno per un istante.
I suoi sensi potenziati si ampliarono, tanto bramosi di qualcosa di più da spingerlo a togliersi gli occhiali protettivi. Si sarebbe levato anche le lenti a contatto, ma la luminosità della sala rischiava di provocargli una crisi da stress se non proteggeva gli occhi. Non solo: senza le lenti a contatto schermate, gli altri avrebbero visto i bagliori color ambra emessi dall’AVP. La sala era piena di esterni. Che adesso lui voleva mandar via.
Soprattutto Simona. E questo lo rendeva un bastardo assoluto. Cercò con tutte le sue forze di sentirsi in colpa: neppure un rimorso. Quella danzatrice si era impadronita di lui.
Voleva sbattere fuori tutti e chiudere la porta, guardarla a occhio nudo mentre danzava sotto il riflettore soltanto per lui. Ma non poteva. Anzi, doveva calmarsi. Aveva il cuore che galoppava e stava cominciando a sudare: se avesse ceduto allo stress, il programma di combattimento si sarebbe attivato, riversandogli una massiccia dose di adrenalina nelle vene. E allora, la tensione corporea avrebbe raggiunto livelli insopportabili.
Si sforzò di aggrapparsi ai ganci analogici da lui sviluppati. Erano degli interruttori d’emergenza che lo precipitavano in mondi virtuali generati dal subconscio. L’unico rimedio che era riuscito a escogitare per placare le reazioni da stress e mantenere il controllo.
Ma non ce la faceva. La sua mente era troppo occupata a immaginare la danzatrice nuda e ansimante sopra di lui. Per trovare uno di quei ganci doveva concentrarsi e visualizzarlo, però dopo anni di faticoso esercizio era sparito tutto.
Quella reazione così intensa lo stupiva. Aveva visto spettacoli sexy di ogni genere senza mai perdersi in fantasie erotiche. Teneva gli impulsi sotto stretto controllo, era solitario e riservato e la fantasia gli mancava del tutto. A meno che non riguardasse i brevetti d’ingegneria biotech, i piani per ampliare la sua azienda o i costanti sforzi che faceva per mantenere viva, nascosta e al sicuro la sua strana famiglia.
Non giocava neppure con il sesso. Era instancabile, concentrato, persino implacabile nell’assicurarsi che le sue donne fossero soddisfatte. Fino alla spossatezza, a volte. La loro, non la sua. Dopo, gli dicevano che era l’amante più ardente e tuttavia l’uomo più gelido che avessero mai conosciuto.
E allora? Lui non provava sentimenti. E il gelo teneva al sicuro tutto quanto.
Non che potesse spiegarlo alle donne che si portava a letto.
La danzatrice ondeggiò e alzò le braccia. Lui inalò il suo ricco profumo quando si avvicinò. Fresco, dolce, tanto sensuale da dargli l’acquolina in bocca.
In seguito a ciò che gli avevano fatto alla Midlands, i suoi sensi erano più acuti del normale di molti ordini di magnitudine. I ganci analogici gli permettevano di tenere a bada i sovraccarichi, ma non stavolta. Si stava sorbendo un’esplosione di dati. Circuiti su circuiti friggevano a ogni movimento di quelle mani.
Senza occhiali scorgeva anche l’aura della ragazza, che preferiva definire “firma energetica”. Una nube di brillanti colori avvolgeva la danzatrice e i fluttuanti veli purpurei si mischiavano alle scie colorate che si lasciava dietro. L’AVP assegnava all’energia corporea delle persone i colori dello spettro e persino quelli oltre lo spettro. Colori che nessuno vedeva tranne lui.
Uno strano mix di sensazioni gli cresceva dentro. Tensione. Anticipazione. Paura. Era abituato a vivere in una sorta di bolla. Gli altri non lo toccavano minimamente. Aveva bisogno che fosse così per mantenere il controllo. Rimanere in isolamento richiedeva uno sforzo e una vigilanza costanti.
Quella ragazza, però, danzando aveva annullato ogni barriera, insinuandosi nello spazio personale che Noah si era costruito e rendendolo caotico e affollato. Ne occupava troppo con i suoi colori, i suoi profumi, il suo sorriso spontaneo e sensuale. E quel corpo così flessuoso e regale nei veli diafani che l’avvolgevano.
E questo lo innervosiva più del fatto di ritrovarsi tra i suoi manager e associati, proprio accanto alla sua fidanzata. Chiunque tra loro poteva accorgersi di come guardava lo spettacolo. Per fortuna il tavolo delle riunioni nascondeva la sua potente erezione.
Non si sentiva così intrappolato fin dai tempi della Midlands.
I luminosi occhi verdi della danzatrice incontrarono i suoi e poi volarono altrove, ma la scintilla che scoccò in quel fugace istante lo scosse nel profondo.
Sapeva di non averla mai vista, ma era come se la conoscesse.
Per la terza volta, Caro evitò per un pelo di sbattere contro il tavolo delle riunioni. “Smettila di guardarlo, idiota! Riprenditi. È solo una danza.” Ma il suo sguardo continuava ad andare a Noah Gallagher, il festeggiato, proprietario e presidente della controversa Angel Enterprises, azienda biotech all’avanguardia.
Andava detto che il presidente era un gran bell’uomo. Torace da favola. Muscoli dappertutto. Capelli corti che evidenziavano un volto energico e spigoloso, dalla mascella volitiva. Prima portava degli occhiali scuri, che però si era tolto. La trafiggeva con lo sguardo e non era facile concentrarsi sotto uno scrutinio così intenso. Le bloccava la mente, le faceva perdere il filo.
Per non parlare dell’equilibrio.
Accidenti a lui! Le avevano detto che compiva trentadue anni, ma sembrava più maturo. O magari era solo per l’espressione. A ogni movimento, Caro coglieva un nuovo e succulento dettaglio. La forma delle orecchie, le sopracciglia folte e scure, le rughe sexy che incorniciavano una bocca dura ma comunque tentatrice, gli zigomi spigolosi. Il volto era una maschera di tensione come se lui sopprimesse delle emozioni forti. Ma erano quegli occhi ad attirarla come magneti.
Sembravano due laser puntati su di lei, la scaldavano da capo a piedi. Era sempre stata sensibile all’energia delle persone e quella di Noah Gallagher dominava l’intera sala. Pareva pronto a ridurre in brandelli chiunque gli desse qualche grana, un tiranno in un completo elegantissimo che gli aderiva perfettamente alle grandi spalle. Non rideva e non dava segni d’imbarazzo, come capitava quasi sempre agli uomini per cui lei danzava nei compleanni a sorpresa. Si limitava a stare seduto, teso e immobile come un predatore pronto a balzare all’attacco. Irradiava pericolo.
Caro dimenò i fianchi, sentendo il sorriso vacillare. All’improvviso si era accorta del potente richiamo erotico della danza. L’energia di lui, così silente, mascolina, sensuale, rendeva l’esibizione mortalmente seria. Come se fossero da soli e l’avessero pagata per un piccolo, disinibito show privato organizzato per farlo impazzire.
Oh, sì. Che scenario stimolante.
Maledizione, cominciava a eccitarsi. Un panico improvviso l’assalì, rompendo l’incantesimo. Basta con questa fesseria. Doveva andarsene da lì, e subito.
“Finisci la danza e fatti pagare. È solo un bell’uomo, non un Adone. Ti stai incasinando da sola. Calmati, idiota!” In genere lanciava sorrisi ammiccanti a tutti gli spettatori, maschi o femmine che fossero, ma non stavolta. Si capiva che quei manager la consideravano solo una seccatura. I maschi trentenni erano sempre i più entusiasti e lì dentro ne vedeva diversi, eppure sembravano tutti impietriti. L’aria era colma di tensione. Non si udivano risate, battute, fischi.
Non che le importasse. In quel momento pensava solo a non contemplare a bocca aperta la divina bellezza di Noah Gallagher, terribilmente consapevole di tutta la carne che gli stava mostrando.
Posò lo sguardo sulla donna bionda seduta accanto a lui. Sembrava più giovane, ma non era una segretaria o una dirigente. Gli stava troppo vicina e la guardava con le labbra strette e l’espressione battagliera. Il tizio accanto a lei, vecchio e sovrappeso, puntava invece gli occhi sulla scollatura del suo top, praticamente con la bava alla bocca.
“Tirati su, cretina. Riprendi il controllo.” Si stava esibendo per un pubblico difficile, ma almeno nessuno lì dentro voleva incastrarla per omicidio, rapirla o ucciderla. E senza dubbio aveva la piena attenzione del festeggiato, quindi perché non divertirsi un po’? Mister Gallagher doveva inchinarsi ai suoi piedi. Gli avrebbe fatto saltare le sinapsi, per poi sparire e restare per sempre una visione senza nome. Lasciandolo lì, infoiato e sofferente.
“Okay, superpresidente, preparati a sudare.”
Doveva ammettere, però, che vederlo seguire ogni sua mossa le faceva uno strano effetto. Fin da quando era stata costretta a nascondersi, avvertiva un peso sullo stomaco: onnipresente e nauseante, la tormentava da mesi come un blocco di ghiaccio annerito che rifiutava di sciogliersi. Ma ogni volta che i loro occhi s’incontravano, quel peso spariva, facendola sentire più viva, permettendole di tirare il fiato.
E adesso stava sorprendentemente bene. Se danzava solo per lui, le pareva di tornare quella di una volta.
Ma non per molto, purtroppo.
La danza stava per finire. Cadde in ginocchio, inarcandosi all’indietro in una posa di sensuale, estatico abbandono, mentre la musica raggiungeva l’apice e i suoi lunghi capelli finti sfioravano il pavimento nel gran finale. Esibirsi non l’aveva mai fatta sentire così nuda. Era prostrata davanti a lui come una vergine da sacrificare.
“Prendimi.”
Si sentiva oscena in quella posa, ma solo perché anche gli altri la guardavano. Se ci fosse stato soltanto lui, si sarebbe sentita benissimo. E supersexy.
Un singolo applauso ruppe il silenzio: quello di Hannah Gallagher, la ragazza che l’aveva assunta per fare una sorpresa al fratello. Caro si alzò lentamente in piedi, notando che Noah Gallagher non aveva alcuna intenzione di applaudire. Si limitava a guardarla, come se volesse saltarle addosso e prenderla lì, sul pavimento.
La tensione sfrigolava come una scarica elettrica. I manager seduti al tavolo guardavano in alto, in basso, ovunque ma non lei. Caro reagì con un bel sorriso, tenendo la testa alta il più possibile.
Non era giusto prendersela con un’artista a pagamento per il monumentale passo falso di qualcun altro. Cosa c’entrava lei, razza di bastardi?
— Magnifico! — La voce di Hannah suonò un po’ più alta del dovuto. — Grazie per la splendida esibizione, Shamira. Buon compleanno, Noah! Non pensate che sia stata fantastica?
Neppure un sì. Solo un silenzio di tomba, facce imbarazzate, occhi bassi. Tranne quelli di Noah Gallagher, che continuavano a divorarla.
Che andassero tutti al diavolo. La sua dignità restava immutata, sia mentre fuggiva per salvarsi la pelle che quando si arrabattava per sbarcare il lunario. Anche se per riuscirci si esibiva seminuda e dimenava le tette per degli sconosciuti volgari o indifferenti.
O, in quel caso, per un singolo sconosciuto dall’aria intensa, bramosa, ardente.
Caro eseguì un lento, elegante inchino, come se avesse davanti una folla adorante. Sapeva di rubare un altro prezioso minuto alla loro riunione, ma che si beccassero anche questo. “Bastardi figli di puttana, vi avrebbe uccisi un piccolo applauso?”
Per fortuna poteva infischiarsene del gradimento di quegli idioti biotech, visto che sarebbe stata pagata anche se la banda di nerd non gradiva l’esibizione. E quindi, che andassero al diavolo. Aveva cose più importanti da fare. Ovviamente dopo un’ultima, avida occhiata al presidente seduto sul suo trono. Accidenti quant’era bello!
Ne memorizzò ogni tratto in un istante, poi si voltò e si avviò verso la porta, la testa alta, le spalle dritte. Una visione regale avvolta in veli purpurei.
Era finita. Non l’avrebbe più rivisto. Niente più palpiti di desiderio. Ma doveva accettarlo, perché il sesso liberatorio era riservato alle persone normali. I fuggitivi ne facevano generalmente a meno e non piagnucolavano.
Hannah la seguì fuori dalla sala, sbattendo la porta più forte di quanto avrebbe fatto lei. — È stata bravissima — le disse. — Ha davvero talento. Mi spiace che non l’abbiano applaudita. Mi sentiranno per questo. Noah mi torcerà il collo, ma ci sono abituata.
— Non importa — commentò Caro. — Adesso mi scusi, devo andare.
— Oh, no! Perché non resta giusto un attimo? Deve almeno salutare Noah. Anche se non ha detto una parola, sono certa che gli è piaciuto lo spettacolo e vuole conoscerla.
“Scordatelo, tesoro.” — In ogni caso, prima devo cambiarmi — tagliò corto lei.
— Ricorda dov’era l’ufficio? Dopo torni qui, così potrò presentarla.
La porta della sala si riaprì e ne uscì un tizio incravattato. Non era il festeggiato. La guardò freddamente e si voltò verso Hannah. — Che diavolo ti è venuto in mente? — tuonò.
Ecco la sua occasione. Caro si avviò verso l’ufficio che le era servito da spogliatoio. Era grata a Hannah per il fatto di difenderla, ma che se la sbrigassero tra loro.
Entrò e un attimo dopo li sentì litigare attraverso la porta chiusa. Altre voci si unirono al coro. Si tolse il costume e lo piegò con cura, poi indossò i suoi abiti informi. Aveva altri problemi a cui pensare, grossi, terribili problemi. Meglio squagliarsela alla chetichella e lasciare quella gente alla loro discussione.
Si tolse il trucco, quindi sistemò la costosa parrucca da danzatrice nel borsone e indossò quella che usava sempre, folta e castana, con una spessa frangia per nascondere i tratti del viso. Ovviamente quand’era arrivata non portava il bite che le deformava la bocca e le arrotondava le guance, ma adesso lo show era finito e doveva sgusciare via inosservata, per cui lo mise. Occhiali scuri e un cappello con i LED completavano l’opera: l’aveva ordinato su Internet per ingannare i software di riconoscimento facciale che i suoi inseguitori potevano usare per rintracciarla.
Chissà se funzionava. Almeno, la riparava dalla pioggerella di Seattle.
Le tremavano le mani quando indossò la giacca di lana nera due taglie in più della sua. L’aveva imbottita di gommapiuma per nascondere la figura e la faceva sembrare una donnona con trenta chili di troppo e vagamente ingobbita.
Quando uscì dall’ufficio si sentiva ridicola, una specie di caricatura. Se il festeggiato l’avesse vista adesso, si sarebbe voltato dall’altra parte con una smorfia di disgusto.
Che pensiero deprimente.
Per prendere l’ascensore doveva ripassare davanti al capannello di persone che litigavano fuori dalla sala riunioni, ma se svoltava l’angolo tenendo la testa china sarebbe rimasta in vista solo qualche istante. Poi era tutto sgombro fino al pianerottolo.
Uno, due… adesso!
Mentre passava, Noah Gallagher uscì dalla sala. Lei si voltò, incapace di resistere alla tentazione di lanciargli un ultimo sguardo.
Gli occhi di lui incontrarono i suoi come se fossero attirati da un magnete.
Oh, no! Il superpresidente mosse verso di lei, sparpagliando il gruppo come un mazzo di carte. Caro si affrettò, chiedendosi com’era possibile che l’avesse riconosciuta conciata così. Arrivò al pianerottolo e premette il tasto dell’ascensore. Lui distava forse venti passi. Adesso quindici, e avanzava sempre più rapidamente.
Le porte dell’ascensore si aprirono con un ping. Caro entrò, ringraziando il cielo quando vide che era sola.
— Aspetti! — gridò lui, mettendosi a correre.
“Oh, no, no, no!” gemette tra sé, premendo ripetutamente il tasto sulla pulsantiera. Le porte presero a chiudersi. Lui le si parò davanti proprio mentre i due solidi pannelli metallici si univano e, per un attimo, si ritrovarono faccia a faccia.
Scendendo, Caro sentì il cuore battere impazzito come se avesse sgraffignato qualcosa e fosse scampata alla cattura per un soffio. Ma forse lui non l’aveva riconosciuta e si chiedeva solo cosa ci faceva una stracciona nella suite dirigenziale. Vestita così, spiccava come una piaga purulenta nella solenne eleganza della Angel Enterprises.
Attraversò di fretta il sontuoso atrio e fuori dalla porta scorse un taxi che stava depositando un passeggero. Allora prese a correre, agitando la mano.
Noah Gallagher emerse dal portone proprio mentre il taxi la portava via. I suoi occhi la catturarono all’istante. Anche sotto il cappello e la frangia, anche attraverso gli occhiali scuri, anche dal lunotto di un taxi che stava ripartendo.
Con suo stupore, cominciò a rincorrerla. Lì, in mezzo alla strada. E senza mai distogliere lo sguardo: quel contatto visivo sembrava un cavo che li univa. Poi il taxi svoltò e lei lo perse di vista. Per un attimo soffrì, come se una parte vitale le fosse stata tagliata via con un colpo di bisturi.
Gli ultimi scampoli d’eccitazione svanirono. Il gelido grumo di terrore tornò a stringerle lo stomaco.
Era così stufa di sentirsi in quel modo. Avrebbe voluto dire al tassista di fare il giro dell’isolato, giusto per vedere se riusciva a lanciare un’ultima occhiata a Noah Gallagher. Giusto per scacciare quella fredda, opprimente sofferenza e ritrovare la pace per un attimo.
Ma non poteva rischiare e tantomeno permettere al desiderio di farle gettare alle ortiche il buonsenso. Doveva restare sempre concentrata e sulla difensiva, senza sbavature.
La frustrazione sessuale non l’avrebbe uccisa.