13
Noah aprì la porta del bagno con il piede ed entrò per primo. Le luci erano basse, l’aria profumava di sali da bagno alla lavanda. Volute di vapore si alzavano dalla grande vasca incassata nel pavimento, condensandosi sulle lussuose piastrelle alle pareti. In fondo, riparata da pannelli di cristallo, c’era una doccia per due. Doppio soffione, doppi lavelli, una pila di morbidi asciugamani grigio argento accatastata su un comodino e una selva di flaconi sugli scaffali. Troppi per un single, ma la sua vita amorosa non doveva interessarle. Lei aveva solo rubato una notte.
— Come al solito, lusso sfrenato — commentò. — Un bagno fantastico.
— Lo so.
I loro sguardi s’incontrarono. Caro raddrizzò la schiena, preda di quel misterioso formicolio che solo lui riusciva a darle. Forse era colpa del bagliore dorato nei suoi occhi. Era inquietante, ma anche speciale e assolutamente magico.
Aprì l’accappatoio, lo sfilò e restò ferma, ritta e orgogliosa, godendosi la carezza del suo sguardo.
Noah si tolse la maglietta e i pantaloni della tuta. Nudo appariva così forte e sexy. Il membro sporgeva dalla selva di ricci, grosso ed eretto, pronto a deliziarla.
Caro si raccolse i capelli sulla nuca, raccogliendoli alla meglio, e lui le prese la mano per aiutarla a entrare nella vasca. La discesa in quella piccola piscina dall’acqua profumata fu come una cerimonia di purificazione. Si sedette con un sospiro di beatitudine. Quanto le erano mancati i bagni caldi!
Lui la raggiunse e Caro non poté trattenersi dal posare gli occhi sulla cicatrice che gli segnava una clavicola. L’idea di ciò che doveva aver passato le strinse il cuore e allora dovette distogliere lo sguardo.
— Non ci pensare — disse piano lui. — Come le altre, risale ad anni fa.
Come diavolo faceva a sapere che lei pensava alle cicatrici? Aveva guardato quel segno sulla clavicola giusto per un attimo! — Smettila di leggermi nella mente — gli disse. — È irritante. Se voglio compatire un ragazzo che ha visto uccidere suo padre, lo faccio e basta. Non dirmi cosa devo provare o dove devo guardare.
— Bene, allora proverò a distrarti.
E con questo si chinò in avanti e l’afferrò.
Si rigirarono nell’enorme vasca mentre lui le saccheggiava la bocca e Caro lo accoglieva con dolce abbandono. Poi, Noah scese con la mano per carezzarle le pieghe intime e lei allargò le gambe, mormorando un’incoerente esortazione quando la penetrò con un dito. Fremeva contro il suo palmo, ma c’era troppa acqua a separarlo da quella carne bollente. Voleva assaggiarla di nuovo.
La sollevò e la posò sul bordo, con l’acqua che le scivolava sulle splendide curve. — Adesso tocca a me — le disse. — Resta così. Muoio dalla voglia di assaporarti tutta. Sembri una dea, nuda e bagnata e perfetta.
Fece scorrere le mani lungo i fianchi sinuosi per poi stringere la succulenta curva delle natiche, ma lei sembrava essersi irrigidita. — Cosa c’è? Sei timida? Eppure, quando danzi sei così disinibita.
— Ma quello è diverso — replicò Caro. — È un lavoro che faccio perché sono al verde. E poi, quando danzo sono Shamira, l’ammaliatrice tutta veli e lustrini. Adesso, invece, sono davvero io.
— Meglio — commentò Noah. — Perché è proprio te che volevo. Apri le gambe, ti prego. Lascia che ti veneri con la lingua.
— Bastardo linguacciuto — scherzò lei, cercando di non sorridere.
— Tutto ciò che mi offri è prezioso. Il fatto che non vuoi dirmi nulla su di te è una tortura.
— Allora soffri — gli borbottò, alzando gli occhi al cielo.
— Sto soffrendo come un cane. — Le strinse i seni, poi prese a tracciare lievi, stimolanti cerchi con i pollici. — Mi chiedevo che tipo di artista sei. Non una pittrice. Forse una scultrice? — azzardò, accarezzando le sue curve. — Come minimo, sei la modella di un famoso scultore.
— Sbagliato. — Meglio bloccarlo subito. — Non sono un’artista né una modella e neppure una vera danzatrice. Te l’ho già detto.
— Ah, capisco. Fare la fuggitiva è un lavoro a tempo pieno.
Caro lo incenerì con gli occhi. — Noah, non ricominciare.
— E allora fammi tacere. Se non tengo occupata la bocca, mi caccerò nei guai.
Lei si rituffò nella vasca, fluttuando sulla schiena e allontanandosi da lui. — Tu riesci sempre a ottenere ciò che vuoi, vero?
Lo vide pensarci sopra per un attimo. — No. Ma solo perché ancora non sapevo bene cosa cercare. Adesso lo so e intendo prendermelo. — Tese le mani, la tirò verso di sé e le strinse le natiche, affondando le dita.
— Sei sempre così sicuro — commentò Caro, sarcastica.
— E tu sei bloccata — le rispose. — Ma ti consiglio di scioglierti, altrimenti ti farò un esame ai raggi X e poi ti dirò il tuo numero di tessera sanitaria e il nome di tua madre da nubile.
Caro sorrise e si lasciò trascinare fino agli scalini. Noah la rimise seduta sul primo gradino. Adorava vederla così, col volto colorito, la pelle arrossata dall’acqua, le tette morbide e perfette, i capezzoli induriti e rosa scuro.
Chinò la testa e le coprì il ventre di umidi baci mentre la sollecitava con delicatezza ad aprire le gambe. Risalì a suon di baci lungo l’interno della coscia, e quando raggiunse la tenera fessura Caro fremette, lasciandosi sfuggire un lieve gemito e affondandogli le dita nei capelli.
“Concentrati” si disse lui, divaricando le pieghe con la punta della lingua e fermandosi sul turgido bocciolo del clitoride. Lei tirò un brusco respiro e allora Noah cominciò a succhiarlo, riempiendola lentamente con due dita per stimolare quel punto così speciale. E finalmente Caro parve sciogliersi: allargò le cosce e poi si mosse, andandogli incontro. “Ah, sì, adesso va meglio. Tieniti forte, ragazza, perché è solo l’inizio.”
Adorava il sapore di lei. Era così dolce, bagnata, reattiva. Trasaliva a ogni carezza e si apriva sempre più man mano che si abbandonava.
Le strinse i fianchi, banchettando fieramente. Non appena la sentiva avvicinarsi all’apice si tirava indietro, per poi ricominciare. Fino a quando Caro perse la pazienza e gli strinse la nuca, trattenendolo dov’era, insistendo perché finisse ciò che aveva cominciato.
E lui si sottomise volentieri, godendosi ogni fremito, ogni gemito e ogni sospiro quando lei esplose. La strinse tra le braccia e la tenne in equilibrio, in modo che non sbattesse contro le pareti della vasca.
Dopo se la mise in grembo, premendole la testa contro il suo torace. I capelli si erano sciolti e adesso galleggiavano sull’acqua, aderendo a lui. Quanto adorava quel momento. Voleva farla venire di nuovo, portarla via dalla violenza del passato e cancellare la paura del futuro.
Ma non appena lei aprì gli occhi, si rese conto di non esserci riuscito. — Niente panico — scherzò. — Tutto è esattamente come prima, tranquillo e normale.
— No, non è normale. Non per me, almeno.
— Be’, suppongo che col tempo t’abituerai — replicò con nonchalance. Un grosso errore, visto che lei subito si irrigidì. — Bene, lascia che ti asciughi.
Si alzò e l’aiutò a uscire dalla vasca. Passò l’asciugamano con lente, amorevoli carezze su quel corpo glorioso e si asciugò a sua volta. Quando finì, la riportò in camera da letto.
La stanza era fredda a confronto del bagno pieno di vapore. Caro si sdraiò sul letto, mostrando tutte le sue grazie, inarcandosi e stiracchiandosi con un sorriso sensuale per poi raccogliere i capelli umidi e sistemarli dietro di sé, aperti a ventaglio sul cuscino. Lui prese un altro preservativo e lasciò le luci accese, in caso lei volesse guardarlo.
Apparentemente no. — Ehi, la luce — gli disse subito.
Lui gemette esasperato, ma si voltò e la spense. Caro non sapeva della sua visione notturna. Il buio gli andava persino meglio, visto che esaltava i colori dell’aura di lei.
Le aprì le gambe e le salì sopra. Lei gli posò le mani sul torace e affondò le unghie più di quanto fosse necessario. A lui piacque. Un sacco.
— Sei arrabbiato? — chiese Caro mormorando.
Maledizione, non c’era proprio modo di nasconderle nulla. — Un po’ seccato — ammise. — Capita. Ma non così spesso.
— Io invece sono arrabbiata. E non mi dispiace. — Con questo gli affondò le unghie nella pelle un po’ di più e lo graffiò.
Noah non batté ciglio. Lo eccitava. Caro se ne accorse e reagì sbuffando.
— Suppongo che me lo meritassi — le disse.
— Te lo meriteresti se ti facessi davvero male — commentò lei acidamente. Ma poi gli strinse le spalle e lo tirò giù, cosa che lui prese come un invito a continuare.
— Ma tu mi hai fatto male — le assicurò. — Proprio al punto giusto. — Col membro eretto e rampante prese a carezzarle le umide pieghe, eccitandola. Lei vedeva solo la scura forma del suo corpo su di sé, mentre lui distingueva ogni dettaglio. Leggera e luminosa, si stava finalmente offrendo senza remore, carezzandogli il torace.
Si tese, però, quando le affondò dentro con una lunga spinta.
— Cosa c’è? — le borbottò. — Non sopporti neppure l’idea che ti guardi al buio?
Caro scosse la testa. — Non lo so. È come se tu mi vedessi lo stesso. Sento i tuoi occhi su di me.
— Continua a sentirli — le rispose, affondando tanto da toccare con i testicoli il suo calore pulsante. — Sentimi tutto.
— Ti sento eccome — replicò lei, scivolando con le mani lungo i fianchi e stringendogli le natiche. Poi lo tirò a sé, accogliendolo sempre più in profondità.
Noah si sforzò di controllarsi, ma il piacere era così intenso che voleva gettarcisi a capofitto. Caro gli veniva incontro, lo incitava, muoveva il bacino e gemeva. Quando si accorse che stava per venire di nuovo, si concesse il lusso di abbandonarsi.
Insieme risalirono tumultuosamente il picco, per poi esplodere allo stesso momento.
Restarono immobili per un lungo istante, uniti e ansimanti, madidi di sudore e con i cuori che galoppavano all’unisono. Lui le restò dentro fino a quando lei s’irrigidì e lo spinse via.
Okay. Doveva comunque togliersi il preservativo. Si affrettò verso il bagno come se temesse di vederla svanire se restava via troppo tempo, ma quando tornò c’era ancora. Seduta sul letto, indicava qualcosa.
— Il tuo cellulare è strano — gli disse. — Guarda come scintilla.
Stupefatto, lui si voltò verso la cassettiera su cui l’aveva appoggiato. Quel telefono generava un segnale luminoso quando Sisko gli mandava un messaggio usando il loro codice privato. Ma si trattava di frequenze luminose invisibili per le persone normali.
Andò a prenderlo e digitò la password. — È una comunicazione di lavoro. Ti spiace se la guardo subito?
— No — mormorò lei.
Il messaggio di Sisko era breve e conciso.
Asa Stone. Specializzato in ricerche sul dark web. Vende le informazioni ai migliori offerenti. Nemici pericolosi.
Seguivano svariati link.
Quindi suo fratello svolgeva un’attività illegale sul lato oscuro della rete. Non che si aspettasse altro, visto il loro passato.
— Va tutto bene? — chiese Caro.
Lui stava studiando i link, esaminando i dati proiettati sulle retine. Chiuse il messaggio e posò il cellulare. — Sì, perché?
— Non lo so. Ti sei incupito all’improvviso, come se fossero brutte notizie.
— Ah, era solo un vecchio guaio che ogni tanto torna a galla — le rispose, muovendo verso il letto. — Nulla di cui preoccuparsi. — S’infilò sotto le coperte e la strinse con braccia possessive. Era così bello sentirla accanto a sé.
Lei, però, si alzò su un gomito. — Noah, devo andare.
— Stai scherzando — le rispose. — Avevi promesso di trascorrere la notte con me e non è neppure l’alba. Possiamo farlo ancora, se ti va. Oppure dormi: qui sei al sicuro. Nessuno ti disturberà.
Caro gli lanciò un’occhiata di sbieco. — Non è per questo che sono venuta a casa tua.
— Ma dove dovresti andare a quest’ora?
L’espressione di Caro s’indurì. — Questi sono affari miei, se non ti spiace.
— Avanti, perché non ne approfitti per dormire un po’? So che ne hai un terribile bisogno. Dovresti riposarti almeno per una settimana. Qui, in questo letto, stretta fra le mie braccia.
Caro gli sorrise, però tornò subito seria. — Forse hai ragione, ma non qui da te.
— Perché no? — le chiese. — Resta, e domattina ti accompagnerò dove vuoi. Non puoi fartela a piedi fino in città.
— No, ma…
— Ti porterò io. Poi ti aspetterò e andremo a mangiare qualcosa insieme.
Lei si accigliò. — Grazie, ma un taxi andrà bene lo stesso.
— No. Non posso accettare — le disse, esasperato. — Come se fosse facile trovare un taxi a quest’ora della notte. Ascoltami, Caro…
— Ieri sera avevi promesso di non starmi addosso. L’avevi giurato!
— Sì, lo ricordo, ma ho cambiato idea.
Caro si sedette di scatto, furiosa. — Non osare rimangiarti la parola.
— Ma quello che vuoi fare è assurdo! — sbottò lui.
La vide guardarsi selvaggiamente intorno. Cosa cercava? Qualcosa con cui colpirlo? Fremeva di rabbia in tutto il corpo.
— Non ti permetterò di andare là fuori nel buio ad affrontare tutti i nemici di cui ti rifiuti di parlarmi — le disse, stringendole il polso. — Avanti, rimani qui e dormiamo insieme. Poi, domattina presto, ti porterò in città. Servizio a domicilio, gratis, sicuro e al calduccio. Sarò il tuo autista personale e prometto di non superare il limite di velocità — scherzò. Ma poi, di nuovo serio, aggiunse: — Caro, non riuscirai a convincermi. Ti conviene arrenderti.
— Col cavolo! Avevamo un accordo — ribadì lei, strattonandolo per liberarsi. — Lasciami subito andare.
Noah allentò la stretta in modo da non farle male, ma non la lasciò. — Non posso.
Ed era vero. Vederla andar via in taxi per sparire chissà dove, in piena notte, non era un’opzione da considerare. Anzi, non voleva neppure pensarci. Per un attimo si guardarono negli occhi: Caro sembrava furiosa, ma anche delusa. Si sentiva tradita.
— Quindi, cosa vorresti fare? Tenermi qui anche se non voglio? — disse lei infine.
— No — le rispose. — Ti sto solo impedendo di fare una sciocchezza.
— Io faccio quello che voglio, Noah.
— Va bene. Allora tieni, chiama la polizia — le disse, alzandosi e prendendo il cellulare. Glielo porse. — Avanti, chiamali. Racconta loro tutti i tuoi guai e vedrai che arriveranno a salvarti.
Caro sbuffò e incrociò le braccia. — Sei un figlio di puttana, lo sai?
— Ah, ecco — disse lui. — Immaginavo che non li volessi tra i piedi.
— Stai davvero esagerando, Noah.
— Sto solo cercando di tenerti al sicuro!
Lei liquidò la cosa con un’occhiata sprezzante. — Ci riesco da sola.
Noah sospirò e la lasciò andare. — Va bene. Ma almeno aspetta l’alba. Non manca molto. Intanto fatti pure una doccia, se vuoi. La mia casa è la tua casa.
Subito Caro si avviò a testa alta verso il bagno, raccogliendosi i capelli in una crocchia senza usare forcine. Un esempio d’ingegneria femminile che da sempre costituiva un mistero per lui. — Tu non vieni? — gli chiese dalla porta.
Noah ne fu così sorpreso da restare ammutolito per un attimo. — Sì, certo che vengo — le disse poi con enfasi. — Ma pensavo preferissi fartela da sola.
— Non proprio — gli rispose, scuotendo la testa. — Preferisco averti accanto a me, in modo da tenerti d’occhio.
Lo precedette nel box doccia, le spalle dritte, l’aria sdegnata. Scelse il soffione più vicino al pannello scorrevole, costringendolo a passarle dietro per raggiungere quello accanto al muro.
Il membro restava eretto, naturalmente. Pronto all’uso. Ma ignorarono la cosa, anche se lui non poté fare a meno di guardarla di continuo mentre la soffice schiuma le scivolava lungo il corpo.
Alla fine Noah chiuse l’acqua e attese nel vapore profumato che lei facesse altrettanto. La sua aura si rifrangeva sul cristallo, conferendo alle piastrelle grigie della doccia una tinta viola scuro che ricordava l’ametista.
Mosse un passo verso di lei e le chiese: — Va meglio adesso? Ti sei calmata?
— No. — Caro si chinò e strizzò l’acqua dai capelli. La crocchia si era sciolta, alla fine, e adesso era una lunga, folta cortina bagnata.
— Io voglio solo tenerti al sicuro — ripeté lui per l’ennesima volta, guardando l’acqua che le gocciolava dai capelli.
— Passami un asciugamano — gli ordinò Caro imperiosa.
Noah uscì e gliene porse due. — Perché continui a non voler capire?
— Basta — sbottò lei, alzando una mano. — Noi non ne parleremo più e non voglio che mi accompagni. E adesso, levati di mezzo.