19
Mark sedeva al tavolo del ristorante e guardava i cinque prototipi che aveva attivato. Ribolliva di rabbia. Il programma di combattimento sembrava impazzito e continuava a proporgli piani di sterminio.
Era stato facile trovarli, visto che vivevano poco lontano l’uno dall’altro. Dopo aver attivato Brenner a Cheyenne, si era spostato a Rock Springs per prelevare Rich Hobbs in una palestra. Dopodiché si era fatto un giro nello Utah per attivare Ty Matthews, impiegato in un negozio di stereo a Logan, Raquel Mendoza, cassiera in una farmacia di Baylor Flats e infine Mike Breyer, tecnico di un gruppo rock a Salt Lake City. Anche l’ultimo prototipo, R-Gen 57-1221, abitava in quella città. Era una donna di ventiquattro anni di nome Sierra Horst, faceva la cameriera in una steak house e aveva appena servito a tutti loro dei grossi bicchieri di acqua ghiacciata.
No, mettere insieme la sua prima squadra di schiavi soldato non era stato difficile, ma ciò che lo riempiva di rabbia era che continuavano a sfidarlo. Lo facevano nel solo modo possibile, ovvero col silenzio. Erano perfettamente in grado di parlare, ma nessuno diceva nulla, a meno che non fosse lui a ordinarlo.
Brenner non smetteva mai di aprire e chiudere le grandi mani mentre lo guardava, le unghie ancora sporche di sangue sintetico. Gli altri non erano da meno: i loro sguardi pieni d’odio continuavano a trafiggerlo. Potendo, lo avrebbero fatto tranquillamente a pezzi.
Non che gli importasse della loro rabbia. Per tutti arrivava il tempo di soffrire. Lui aveva già dato, alla Midlands, e adesso toccava a loro. In ogni caso li avrebbe puniti appena possibile, impostando il dolore al livello appena sotto la soglia dei danni neurologici permanenti. Ma nel frattempo dovevano nutrirsi e proprio per questo aveva tenuto Sierra per ultima.
La ragazza lanciò loro un bel sorriso mentre serviva un cliente dall’altra parte della sala. Come tutti gli altri, era splendida nella sua perfezione. Alta e prosperosa, con gli occhi azzurri e i capelli biondi raccolti in una coda, spiccava persino nell’uniforme da cameriera. L’unico neo erano i muscoli troppo sviluppati, ma d’altro canto i suoi geni erano stati manipolati con modifiche molto più avanzate di quelle impiantate a lui. Se poi si aggiungevano gli esercizi quotidiani che era programmata per compiere… ah, lei non aveva colpa di quel difetto. Come tutti loro, era stata plasmata da un branco di psicopatici.
Guardò le tette impertinenti di Raquel, poi l’allettante sedere di Sierra. Stava riconsiderando l’idea di raggiungere Seattle senza fermarsi. La prospettiva di trascorrere qualche ora in un motel esplorando le possibilità offerte dall’attivatore per renderle due schiave sessuali lo attirava parecchio.
Sierra si avvicinò al loro tavolo con un altro bel sorriso e riempì le tazze di caffè. — Bene, ragazzi, avete scelto cosa mangiare?
Mark guardò i suoi schiavi. Tutti e cinque tacevano e gli puntavano gli occhi addosso. Andassero al diavolo. — Portaci sei bistecche con patate al forno e fagiolini.
— Subito — cinguettò lei, scribacchiando sul taccuino.
Mark studiò il ristorante mentre aspettava. Era tardi per il pranzo e presto per la cena. Il loro settore era deserto. Decise di attivare Sierra adesso. Era rischioso, ma ormai passava di rischio in rischio.
Quando lei tornò con il vassoio, attese che lo posasse e poi estrasse l’attivatore, dandole una lunga, intensa scossa.
Sierra cadde in avanti con un suono gutturale, rovesciando un bicchiere e spargendo acqua e cubetti di ghiaccio sul tavolo. Lui le strinse ferocemente una spalla, le mostrò l’attivatore e con voce bassa ma chiara le disse: — Il tuo vero lavoro comincia adesso, Sierra. Tu mi appartieni e farai tutto ciò che dico.
Lei barcollò, come ubriaca, con il grembiule zuppo d’acqua. La sua firma energetica mostrava la stessa, caotica esplosione di colori degli altri. Provava a parlare, ma le parole non le uscivano.
Anche lei resisteva? Mark impostò la punizione, stando attento a non esagerare. L’ultima cosa che poteva permettersi era una scenata. Bastava una bella stilettata, giusto per farle capire chi comandava adesso.
Il dolore, acuto e improvviso, la spinse a mordersi selvaggiamente un labbro. Grosse gocce di sangue le si formarono sopra la bocca. Una vista che gli indurì subito il membro. Le sorrise e ordinò: — Avvicinati, Sierra. Chinati e baciami.
Lei esitò, per cui Mark le afferrò il viso e la tirò giù brutalmente. Quindi la baciò, ancora più eccitato dal ribrezzo che vedeva nella sua aura. Leccò via il sangue e le affondò la lingua in bocca. Puttanelle come lei meritavano solo di venir umiliate.
Non vedeva l’ora di umiliarla per bene.
— Ascoltami attentamente, Sierra — disse poi. — Adesso noi mangeremo. Tu continuerai come se niente fosse e quando ci vedrai uscire, ci raggiungerai nel parcheggio. Devi arrivare entro dieci minuti, non di più.
Lei sbatté le palpebre. Le sfuggì un gemito soffocato.
— Vai — sibilò Mark. — E fai come ti ho detto.
Sierra si avviò barcollando. Rovesciò una sedia, ma nessuno vi fece caso. Mark si voltò verso gli altri. L’odio che riempiva i loro occhi pareva ancora più bruciante, se mai era possibile. L’acqua stava colando sui pantaloni di R-Gen 57-629, al secolo Ty Matthews, ma lui non batteva ciglio. — Mangiate, forza — ordinò.
Tutti presero le forchette. Mark si chiese se doveva dir loro persino quando lavarsi. Sierra tornò con un bricco di caffè e riempì le loro tazze. Non parlava più, era madida di sudore e le tremavano le mani. Doveva sbrigarsi a portare via anche lei.
Alla fine del pranzo pagò il conto e uscì, con i cinque schiavi che lo seguivano come zombie. Quei bastardi non si sforzavano neppure di sembrare normali. Continuavano a sfidarlo, ma non appena arrivarono al parcheggio estrasse l’attivatore e somministrò a tutti una bella punizione. — Ecco cosa succede se non cambiate atteggiamento alla svelta! — tuonò, godendo mentre loro urlavano e si contorcevano. Prolungò la pena per Raquel, perché adorava il modo in cui le sobbalzavano le tette quando si dimenava.
— Mamma! Cosa sta facendo quel signore a quella donna?
Mark si voltò di scatto. Era così concentrato su Raquel da non averli sentiti arrivare. Una giovane mamma con i capelli rosa e una giacca mimetica lo guardava a bocca aperta. Teneva per mano un moccioso che poteva avere quattro anni.
Altri passi si avvicinavano, ma stavolta era Sierra che eseguiva i suoi ordini.
— Mamma, quell’uomo è cattivo? — chiese il moccioso.
La madre parve riscuotersi. — Andiamo via! — gridò, prendendolo in braccio e mettendosi a correre verso un pick-up scassato.
Mark si rivolse a Sierra. Non poteva trovare un modo migliore di metterla alla prova. — Li vedi? — le disse. — Uccidili.
Sierra guardò con occhi vuoti la mamma dai capelli rosa che correva nel parcheggio, lanciandosi occhiate terrorizzate dietro le spalle. Era patetico il modo in cui arrancava con il bambino. Gridava disperata, ma in giro non c’era nessuno.
Mark azionò l’attivatore. — Ti ho detto di ucciderli, stupida cagna.
Sierra sobbalzò per la scossa e poi si lanciò all’inseguimento con un urlo disperato. La cara mammina aveva un buon vantaggio, però il pick-up era lontano e la sua schiava potenziata correva veloce. Non ci avrebbe messo molto a raggiungerli.
Ma poco prima di riuscirci cambiò direzione, puntando a sinistra. Si allontanava da loro invece di farli a pezzi! Mark attese che tornasse indietro, perché anche se resisteva alla sua programmazione, non poteva più fuggire. Una volta attivati, gli schiavi erano costretti a tornare dal loro comandante.
Tuttavia, aveva lasciato fuggire la mamma col bambino. Stavano salendo nel pick-up e prima che lui potesse attivare un altro schiavo, quella cagna dai capelli rosa partì a razzo. Bah, non importava. Tanto, a chi poteva raccontare quella storia? A qualche amico bollito dalla metamfetamina che le avrebbe riso in faccia. Il suo segreto era salvo. Restava il fatto che uno dei prototipi gli aveva disobbedito.
Sierra era quasi arrivata, quando le gambe le cedettero. Barcollò, poi cadde in ginocchio. Provò a rialzarsi, ma non ci riuscì, e allora prese a strisciare verso di lui.
Mark si avvicinò, vedendola sanguinare copiosamente dal naso e dalla bocca. L’autodistruzione si era attivata, privandolo del divertimento. I polmoni erano probabilmente già pieni di sangue.
Si voltò verso Raquel e le gridò: — Vai al furgone e prendi un telo di plastica e il rotolo di nastro adesivo. Non voglio lasciarmi dietro questo casino.
Raquel obbedì, ma si fermò davanti a Sierra. Piangeva? Quelle che le rigavano il volto erano davvero lacrime? Mark la guardò allibito, sentendo crescere una furia omicida. Gli schiavi non dovevano provare emozioni. Erano solo automi.
— Avvolgila nel telo — le ordinò.
Raquel si inginocchiò e obbedì all’ordine. Ma il modo in cui procedeva mandò Mark fuori dai gangheri. Con una tale cura. Muoveva Sierra come se temesse di farle del male. Era morta, maledizione! E lei era solo un’altra cagna ribelle da domare.
La spinse via e avvolse Sierra nella plastica, sigillando il tutto con diversi giri di nastro adesivo. Quando finì, si ritrovò ai piedi una specie di grosso bruco. Sangue e liquidi corporei non si riversavano più sull’asfalto del parcheggio, ma restavano quelli che aveva perso prima. Al diavolo. Non c’era tempo per pulire.
— Caricatela sul furgone. Ci libereremo di questa inutile bastarda difettosa lontano da qui! — esclamò. Aprì lo sportello posteriore. Tra le casse piene di armi e quei cinque idioti, c’era giusto lo spazio sufficiente per sistemarla.
Gli schiavi adagiarono Sierra tra le casse, ma esitarono quando lui ordinò loro di salire. Mark diede un’altra scossa a Brenner e questo li riportò all’obbedienza.
Cinque paia d’occhi pieni d’odio lo fissavano.
Mark chiuse seccamente lo sportello, precipitandoli nel buio.