18

Noah attraversò la casa in fretta e furia, diretto nello studio per prendere il laptop. Non si sentiva rabbioso o frenetico, solo concentrato sul lavoro da fare.

Poteva aiutare Caro alle sue condizioni, oppure niente. Okay. Accettare era facile. Tanto era così agitata da non accorgersi neppure che lui stava elaborando un altro piano. Uno che seguiva la logica.

Afferrò il portatile, ma si fermò quando vide il proprio riflesso alla finestra. Gli occhi gialli da gatto rilucevano sul vetro oscurato. Ne restò impressionato. Persino il suo gruppo, la gente che lo conosceva e si fidava di lui, rabbrividiva vedendoli. E li capiva. Per questo li nascondeva quasi sempre anche a loro.

Non si permetteva mai il lusso di pensarci, ma adesso doveva ammettere che essere così diverso era una scocciatura inimmaginabile.

Ripensò a come Caro lo guardava anche senza le lenti schermate. Quella mattina, era riuscita a sostenere il suo sguardo persino mentre si amavano, con l’AVP che girava al massimo, sezionando e analizzando tutto ciò che lo circondava per poi sparargli colonne di dati sulle retine. Eppure non sembrava che le avesse dato fastidio.

Noah l’amava per questo.

Mentre tornava indietro, una sensazione per nulla gradevole cominciò a tormentarlo. Senso di colpa. Paura di cosa poteva succedere quando Caro avesse capito che lui conosceva personalmente sia Mark che Luke. Ma non poteva dirglielo adesso e rischiare che lei sparisse nel nulla.

D’altro canto, doveva seguire ogni indizio che potesse portarli da Luke.

Rientrò in cucina, aprì il portatile e si mise al lavoro. L’idea era quella di dare a Caro l’impressione che non avesse mai sentito parlare di Luke Ryan. Il fatto che già sapesse dov’era la sua casa al lago e a quale società di comodo appartenesse facilitò le cose: non le stava proprio mentendo, le suggeriva una verità diversa senza dichiararla apertamente.

Già. Doveva ripeterselo spesso. Magari sarebbe riuscito persino a convincersi prima di affrontare l’inevitabile resa dei conti. — Cosa stai facendo? — chiese lei.

— Ricerche su Luke Ryan — le rispose. — Guarda qui.

Caro si sporse sulla sua spalla. — Cosa?

Lui fece scorrere la schermata. — Vedi? Questa proprietà è stata comprata per conto di Luke Ryan dalla Wilkes & Meryton sei anni fa. Stoddard Lake. È un lago a poco più di tre ore da qui.

L’aura di lei brillò in segno di cauta eccitazione. — Pensi sia quello il lago di cui parlava Bea?

— Può darsi, ma anche se lo fosse, non cedere a facili speranze — le rispose. — Prima andiamo a vedere.

— No. Andrò da sola. Non voglio coinvolgerti. Hai già fatto abbastanza.

— Caro, per raggiungerlo dovresti noleggiare una macchina — le ricordò. — E non mi sembra che tu sia in condizioni di farlo. Andiamo con la mia. E durante il viaggio, parleremo del tuo addestramento con le armi.

Lei esitò e Noah le carezzò la mano, implorandola mentalmente di arrendersi.

— Va bene — concesse Caro alla fine. — Mi darai un passaggio. Ma nient’altro.

Piovve a dirotto per quasi tutta la strada, inondando il parabrezza con un tale scroscio d’acqua da mettere a dura prova i tergicristalli della Porsche. Invece di discutere dell’addestramento, Caro si addormentò quasi subito. Lui la guardò con tenerezza mentre s’inoltravano tra le montagne. Non si era sorpreso di vederla crollare così, con tutto quello che era appena successo.

La pioggia smise solo quando salirono in quota, lasciando il posto a nuvole basse che si ammassavano tra i pendii verdeggianti. Stoddard Lake era una località turistica un po’ discosta dalla strada principale. Il lago era lungo e stretto, circondato da boschi di betulle ormai completamente spogli. Seguendo il GPS percorsero un buon tratto della strada che lo cingeva, punteggiata da ville e piccoli alberghi chiusi.

Alla fine Noah si fermò davanti a una folta macchia di betulle da cui partiva uno sterrato. Era bloccato da una catena, che però era stata sganciata e posata a terra. Lui diede gas e la superò, arrivando in pochi minuti a una villa lussuosa ma non troppo grande, con ampie vetrate che davano sul lago e un piccolo pontile. Luke guadagnava bene offrendo servizi di security specializzati e chiaramente non si faceva mancare nulla. Sembrava chiaro, però, che nessuno venisse lì da tempo: il vento aveva ammassato foglie e aghi di pino sulla veranda e contro la porta.

Tuttavia, non appena Noah scese dalla macchina l’AVP scattò in modalità di allerta. Non gli faceva galoppare il cuore, non lo riempiva di adrenalina e furia omicida, ma gli acuiva i sensi, stimolando il sistema nervoso. Sentiva ogni odore e ogni rumore in un raggio di cento metri.

Caro contemplò in silenzio il lago agitato dal vento mentre lui analizzava i dintorni. Lei non era l’unica fonte di calore, ma le altre appartenevano tutte ad animali del bosco. La villa era buia e silenziosa. Da dentro non venivano rumori né c’erano segni di attività elettrica. Nessun allarme dai suoi sensori ipersensibili.

— Presto, andiamo — le disse, prendendola per mano.

Non appena raggiunsero la veranda, si accorsero che la serratura era stata forzata. Qualcuno li aveva preceduti. Lui aprì cautamente la porta.

— Maledizione — ringhiò. — Completamente devastata.

Le sedie erano rovesciate, il divano sventrato. Entrarono e dalla porta aperta della camera da letto videro il materasso buttato a terra e pieno di tagli. Non c’era cassetto che fosse rimasto al suo posto e il pavimento era costellato di tazze, piatti e bicchieri frantumati. Computer e televisore formavano due tristi ammassi di cavi, schede e schermi e rottami a terra.

— Credi che cercassero quello che cerchiamo noi? — chiese Caro sussurrando.

Lui fece per risponderle, ma in quel momento notarono la pila di lettere dietro l’ingresso. Il postino doveva averle infilate nella fessura sulla porta, ma la cassetta era stata divelta. — Magari la chiavetta è arrivata dopo che hanno devastato la casa — disse Caro. — Bea mi ha detto di aver scaricato il video dal server dopo l’omicidio.

Rapidamente passarono in rassegna le lettere. Quasi in fondo alla pila trovarono un pacchetto bianco con l’indirizzo scritto a penna. Nessun mittente.

Caro lo alzò. — Bollo postale di Chicago — disse. — Datato due settimane dopo la scomparsa di Luke.

Noah celò con cura l’impazienza mentre lei lo apriva. Poi, con occhi lucidi di lacrime, gli mostrò una chiavetta. — Eccola.

— Andiamocene — le ordinò. — Meglio non restare qui. La guarderemo a casa.

Caro annuì tristemente, ricordandogli che doveva andarci piano: lei aveva appena assistito alla morte di Bea, e cominciava giusto ora a fidarsi di lui.

— Scusami, devo fare una chiamata.

— A chi? — chiese lei, allarmata.

— A gente che deve vedere questo video — le spiegò, pentendosene subito. Suonava sospetto persino a lui.

— Aspetta. Non farlo!

Noah compose rapidamente un numero che conosceva a memoria e Zade rispose al secondo squillo. — Ehi, Romeo — salutò ridacchiando. — Ti diverti con la tua bella danzatrice in fuga?

— Sono alla villa di Luke, a Stoddard Lake — tagliò corto Noah. — Bea è morta stamattina. Abbiamo trovato una chiavetta che aveva spedito lei qui al lago. Potrebbe contenere un video che riprende l’incontro di Mark con Luke.

Zade tacque per un istante. — Che mi venga un accidente!

— Ci vediamo a casa mia fra tre ore. Avvisa Sisko. — E con questo chiuse la chiamata, per poi voltarsi e incontrare lo sguardo scioccato di Caro.

— Svegliati, imbecille. Malcolm! Sto parlando con te.

Il custode del palazzo sobbalzò e rovesciò col piede il bicchiere di birra posato a terra accanto a lui. La bevanda gli inzuppò le calze, mentre provava a sottrarsi alla mano gigantesca che gli stringeva il bavero.

— Chi… — balbettò. — Cosa…

Due sconosciuti lo guardavano. Uno, enorme, lo teneva sospeso sopra il divano; l’altro, piccolo e pelato, lo studiava con occhi porcini. Dietro di loro, la TV continuava a trasmettere il film porno, un’orgia di corpi nudi che si aggrovigliavano a più non posso.

— Tu sei il custode di questa topaia, giusto? — gli chiese il piccoletto.

Malcolm cercò di tirare il fiato mentre quella mano enorme lo scuoteva. — Sì, ma…

— Chiudi il becco — lo interruppe il piccoletto. — Stiamo cercando una ragazza che vive qui. Dicci qual è il suo appartamento e potrai tornare a gingillarti col tuo porno.

Solo allora Malcolm si ricordò di essersi slacciato i pantaloni. Che gli stavano scendendo sulle gambe. — Ma io non…

Il tizio grosso lo scaraventò sul divano e gli tirò un tale ceffone da voltargli la testa dall’altra parte.

— Ecco, questa è la sua foto — disse il piccoletto. — Guardala bene.

Malcolm la studiò con gli occhi pieni di lacrime. Quel figlio di puttana gli aveva slogato la mascella. La ragazza nella foto era una sventola. Grandi occhi, labbra voluttuose, lunghi capelli neri. Fuori dalla sua portata e dal suo budget. — Mai vista qui — replicò tremolando.

— Ma potrebbe avere un aspetto diverso — affermò il piccoletto. — Sai, basta una parrucca o un paio di occhiali. Pensa bene a tutte le donne che vivono qui e scarta quelle che non possono essere lei. È giovane, bianca, istruita. Chi, tra le inquiline, corrisponde a questa descrizione?

— Non lo so — gemette lui, disperato.

— Mostragli questa — disse il gigante al piccoletto, passandogli una foto. Malcolm sbatté le palpebre. La sua nipotina di sei anni e il fratello di otto a una festa di compleanno. L’aveva attaccata con lo scotch al frigorifero.

— Tanti baci a zio Malcolm da Emil e Isla — lesse il piccoletto sul retro della foto. — Che teneri. Quindi, zio Malcolm, sputa il numero dell’appartamento e non saremo costretti a cercare i nipotini. Se li prendiamo, persino la madre non riconoscerà i cadaveri.

— Sei zero otto! C’è una giovane donna bianca nell’appartamento sei zero otto! — esclamò lui. E poi, d’un fiato: — Potrebbe essere lei, però è molto diversa. È arrivata circa quattro mesi fa. Secondo me i suoi documenti sono falsi, ma chi sono io per dirlo? Il padrone di casa l’ha accettata subito, paga il trimestre anticipato…

— Grazie, Malcolm. I dettagli non ci interessano. Naturalmente non ci hai mai visti. — Il piccoletto sorrise, mostrando una capsula d’argento. — Questa la tengo io — aggiunse, mettendo via la foto. — Ci siamo capiti, vero?

Malcolm annuì freneticamente.

— Questa ragazza presto se ne andrà. Tu pulisci bene l’appartamento e insisti col padrone di casa perché l’affitti subito. Di lei non deve restare alcuna traccia, chiaro?

— Sì, signore. Lo farò, signore.

Immobile coi piedi immersi nella pozza di birra, Malcolm sentì la porta aprirsi e chiudersi. Poi si accorse che il divano era impregnato di urina e che stava ancora annuendo.

Ma non era in grado di fermarsi.