20
Il ritorno fu uno strazio, ma Noah poteva solo biasimare se stesso. Che diavolo gli era saltato in mente di chiamare Zade davanti a lei? Come se appartenesse al loro gruppo. Come se conoscesse i loro segreti.
Caro parlò solo quando uscirono dall’autostrada e s’inoltrarono attraverso un distretto industriale. — Lasciami a quella fermata d’autobus — gli disse. — Me la caverò da sola.
Lui cercò un gancio analogico per tenere a bada un picco del sistema. — Siamo quasi arrivati — le rispose, conciliante.
— Noah — ringhiò lei, tremante di rabbia. — Non so chi hai chiamato, ma il contenuto della chiavetta è affar mio, non loro. Ti stai comportando da stronzo!
Lui si concentrò sulla distesa artica in cui l’aveva spedito il gancio analogico. Tirava profondi respiri per calmarsi e al contempo cercava un modo per spiegarle senza spaventarla ancora di più. Solo che non esisteva. — Caro, avevi detto che ti fidavi di me.
— È vero, ma prima che tu telefonassi a chissà chi!
— Quelle persone sono come fratelli — si giustificò. — Affiderei loro la mia vita.
— La tua, non la mia.
— In ogni caso è troppo tardi — le disse. — Ci stanno aspettando a casa mia. Ormai non puoi più tornare indietro.
Rabbiose sfumature le colorirono l’aura. — Allora è questo il vero Noah Gallagher — sibilò. — Un bastardo che decide per tutti. L’uomo forte al comando.
Lui accelerò, allarmato da quel tono. — Caro, voglio solo aiutarti. Prendermi cura di te.
— Chi te lo ha chiesto? E comunque, non hai rispettato gli accordi. Non mi fido più.
Impossibile negare quell’accusa, così tacque e premette il tasto di apertura del cancello, superandolo senza fermarsi. — Stai per incontrare i miei amici — disse nel silenzio. — Tieniti forte.
Due macchine bloccavano l’accesso diretto alla villa. Lui imprecò tra sé e si bloccò sul vialetto. Provò a prenderla per mano quando scesero, ma lei si tenne ben lontana e procedette furibonda e a testa alta fino alla porta.
Sisko fu il primo che videro. Era sdraiato sul divano, apparentemente rilassato, però a Noah non sfuggirono le intense sfumature nella firma energetica che tradivano agitazione ed eccitazione. — Caro, questo è Sisko.
— Ehi, io ti conosco. Ti ho visto alla Angel Enterprises — disse subito lei.
— Esatto. Sono il braccio destro di Noah — rispose lui, porgendole la mano.
— Dov’è Zade? — chiese Noah.
— Sto facendo il caffè — annunciò una voce profonda dietro di loro.
Caro si voltò e sobbalzò quando lo vide.
— Va tutto bene. È un mio amico — la rassicurò Noah. — Ti presento Zade.
— Un tuo amico? Ma io… mi era sembrato che…
— Scusa se ti ho spaventata — disse lui. — Credimi, sono innocuo. Per te, almeno.
Caro, però, si era ripresa dallo shock. — Tu mi seguivi — lo accusò. — Fin da prima che ricevessi la chiamata dalla sorella di Noah! Che diavolo succede qui?
Zade guardò Noah in una silente domanda. Lui scosse leggermente la testa.
— Ti spiegherò tutto — disse Zade. — Ma prima vediamo questo video.
— Col cavolo! — tuonò Caro, guardandoli uno a uno. — Non prima che mi abbiate spiegato perché questo tizio mi seguiva!
— Ti prego, calmati — intervenne Noah. — Risponderemo a tutte le tue domande, ma dopo il video.
— Perché devi sempre mentire così sfacciatamente? — chiese dalla porta una voce femminile divertita. — Non arrenderti, Caro. Fagliela pagare cara.
Noah si voltò e vide Hannah in jeans e felpa, i capelli rossi raccolti in una spessa coda. — E tu che ci fai qui?
— Ero con Sisko quando Zade ha chiamato — rispose lei. — Ovvio che sono venuta. Ho preparato dei sandwich, casomai qualcuno avesse fame, e portato dei pasticcini.
Noah lanciò un’occhiata alla credenza, su cui spiccavano un vassoio colmo di piccoli panini e un altro di dolcetti. Il programma di combattimento ruggiva come una belva affamata, però adesso non poteva nutrirla. Moriva dalla voglia di scoprire cosa c’era su quella chiavetta. — Dopo mangeremo. In ogni caso, tu non eri invitata, Hannah.
— Sai quanto me ne frega? — sbottò lei. — Devi abituarti all’idea d’includere anche me. Soprattutto se si tratta di qualcosa a cui sono interessata, o su cui sto lavorando, o che mi piacerebbe semplicemente sapere, accidenti a te.
— Chiedo scusa, ma da quando le mie faccende personali sono diventate un interesse collettivo? — domandò Caro, seccata come non mai.
Hannah le sorrise. — Intendevo solo dire che per nulla al mondo rinuncerei a conoscere la nuova ragazza di mio fratello. Ma aspetta, togliti almeno il giaccone — la invitò, avvicinandosi. Posò l’indumento sullo schienale di una sedia, poi mosse con lei verso il divano. — Ecco, siediti con me. Tutto questo testosterone crea delle interferenze statiche. Rende difficile pensare.
Almeno si mostrava utile, pensò Noah.
Zade si avvicinò. — Capo — mormorò — si può sapere che stai combinando? Lei non può vedere il video. La spaventerebbe a morte.
Lui reagì con una scrollata di spalle. — E cosa vorresti fare? È stata lei a trovarlo!
Anche Sisko si avvicinò. — Cosa pensi di dirle su di noi?
— Ancora non lo so, va bene? — sbottò lui. — Non ho avuto il tempo di rifletterci.
Sisko e Zade si scambiarono un’occhiata. — Va bene. Allora vediamo un po’ cos’avete trovato — borbottò Zade. — Non sto più nella pelle.
Noah inserì la chiavetta in un laptop collegato alla TV. Un messaggio di conferma comparve sullo schermo. Lui esitò, guardando Caro.
Lei appoggiò sul tavolo la tazza di caffè che aveva portato Hannah. — Ah, fingi pure di chiedermi il permesso? — tuonò, tagliente come un rasoio. — Tanto faresti comunque quello che vuoi!
Lui prese il telecomando e premette PLAY.
Caro si era pentita di aver accettato quella tazza di caffè: sentiva rigirarsi nello stomaco i due sorsi che aveva bevuto. Quella scena era inspiegabile. Tutti mostravano un’eccitazione che non aveva senso. Non c’era alcun motivo per cui quella gente dovesse trovarsi lì: che diavolo poteva mai importare a loro dei suoi guai? Se avessero soltanto voluto fare un favore a Noah, non si sarebbero agitati tanto.
Ma il video era cominciato, quindi si sarebbe preoccupata più tardi degli amici di Noah e di qualunque cosa avessero in mente.
Nella prima inquadratura c’era Luke Ryan. Un bell’uomo, con capelli corti, naso importante, mascella volitiva e occhi acuti. Caro non lo conosceva di persona, ma Tim aveva scaricato diverse sue foto nel corso delle ricerche effettuate sul web. Dietro di lui c’era un tizio sulla quarantina, alto, robusto e con la barba, che parlava al cellulare.
Qualcuno bussò alla porta. Luke si portò una mano dietro la schiena e alzò la giacca, rivelando una pistola in una fondina. Il tizio con la barba gridò: “Chi è?”.
Una voce soffocata rispose. Caro non riuscì ad afferrare le parole.
“Apro io” disse Luke. “Lei stia indietro.”
Spalancò la porta e sulla soglia comparve un uomo con una felpa dal cappuccio alzato. Il volto non era visibile. Luke fece per dirgli qualcosa, ma lo sconosciuto mormorò: “Calliope banner ibex”.
Oh? E quello cos’era? Un codice? Doveva essere così, perché Luke non reagì. Lo sconosciuto si tirò indietro il cappuccio.
Era Mark Olund.
Sorridendo, Mark diede un buffetto sul mento a Luke, poi lo spinse come per provare la sua reazione. Non ve ne furono. Luke restò immobile come una statua.
Il tizio con la barba chiuse la chiamata, allarmato adesso. “Che succede? Chi è lei?”
Incredula, Caro vide Mark sollevare Luke di peso, spostarlo e chiudere la porta. Luke sudava, ma non muoveva un muscolo. Sembrava respirasse a fatica.
“Lukie, come stai?” lo schernì Mark. “Ti ricordi di me?”
Lei non capiva cosa stesse succedendo, ma era angosciata e aveva la netta sensazione che il peggio dovesse ancora arrivare.
“Che diavolo ha, Luke?” chiese il tizio con la barba, il panico evidente. “Cos’è, un dannato ictus? Chi è quest’uomo? Lo conosce?”
Pura rabbia accendeva gli occhi di Luke. Capiva cosa stava accadendo, ma per qualche motivo non riusciva a muovere un muscolo.
Mark lo spinse contro una parete e lui restò lì, attaccato al muro.
Quindi Mark prese la pistola nella fondina di Luke. Portava guanti di lattice. Abilmente vi avvitò un silenziatore e la puntò contro il tizio con la barba, che sgranò gli occhi per il terrore e balzò verso la porta…
Due colpi. Due spari attutiti alla nuca. Quel poveraccio cadde a terra con un tonfo.
Mark posò la pistola, strinse con crudeltà il mento di Luke e poi… lo baciò! “Finalmente soli” disse. “Sono felice di rivederti. Il prode guerriero che ha salvato tutti noi. Che uomo. Hai sempre avuto due palle grandi così. Ti spiace se do una strizzatina?” Abbassò la mano, gli afferrò i testicoli e tirò tanto forte da strapparglieli quasi.
Il volto di Luke si contrasse per il dolore, ma non si mosse e non gridò.
Poi Mark gli affibbiò un ceffone tanto potente che Caro si aspettò di vedergli sputare un dente e accasciarsi a terra. Ma di nuovo non successe nulla.
“Povero bastardo” riprese Mark. “Guarda che casino! Hanno investito tanti di quei soldi in voi ragazzoni col codice di blocco, prima di cancellare il programma. Ovviamente serviva un’autorizzazione adeguata per conoscere i tuoi codici, ma questo non ha mai fermato gli hacker come me. Ho anche quelli di tuo fratello, sai? Credo che voi due siate gli ultimi sopravvissuti della prima generazione” aggiunse, dandogli un buffetto. “Quasi mi spiace per te, sai? Quasi.”
Luke restava immobile, lo sguardo fisso su Mark.
“Vuoi sapere un segreto?” continuò lui, ridendo. “La Obsidian ha migliorato il prodotto. Niente più codici verbali, basta con le stronzate su Calliope. Troppo imprecisi. Troppi problemi. Adesso c’è il codice ultrasonico. Basta un impulso per attivarli. E ce ne sono centinaia, addestrati come noi ma più forti e più veloci. Impianti più sofisticati, manipolazioni genetiche da fantascienza.”
Il torace di Luke parve contrarsi quando Mark si avvicinò.
“E io conto di prendermeli tutti, per poi scatenarli contro di loro. E tu, mio vecchio amico, mi aiuterai.”
Luke emise un suono strozzato.
“Lo so, sembra una pazzia” ammise Mark. “Ma tu sei l’uomo della decrittazione. Con Zade e Sisko hai decrittato tutti i dati della Midlands prima della ribellione. E io so esattamente quanto vali. Ho i file degli schiavi soldato in una cassaforte biometrica, ma non riesco ad aprirla. Tu, però, puoi aiutarmi.” Il sorriso di Mark divenne maniacale mentre si sporgeva in avanti e gli leccava il collo. “Ah, mi sarei divertito così tanto con te. Peccato che non mi piacciano i ragazzi.”
Luke emise un gorgoglio, tirando un faticoso respiro.
“Risparmia la fatica. Non puoi parlare, non puoi muoverti finché non sarò io a sbloccarti. Ho sei prototipi di schiavi soldato tra lo Utah e il Wyoming e non appena riuscirò a impossessarmi degli attivatori, andrò a prelevarli e comincerò a far pratica.”
Luke era pallido come un cadavere. Aveva il volto grigiastro e le labbra viola. Lo sforzo di lottare contro il controllo mentale di Mark lo stava rapidamente privando di ogni energia.
“A proposito, per la polizia sei stato tu a sparare a quel ricco bastardo e a rubargli ottanta milioni e tutta la sua favolosa collezione di gioielli. Ovviamente penseranno che hai lasciato subito il paese, e invece sai dove sarai?” Mark si sporse verso Luke e gli sussurrò all’orecchio: “Nel mio covo segreto, sei piani sottoterra. Pronto a soddisfare ogni mio desiderio”.
Luke tremò, ma non si mosse.
Mark estrasse un oggetto dalla tasca della felpa. Sembrava una fascia elastica, che sistemò sulla testa di Luke, per poi attaccarvi dei sensori in gomma e altri piccoli dispositivi elettronici. Prese il cellulare di Luke e armeggiò un poco, quindi passò al suo e aprì diverse schermate, digitando qualcosa, come per sincronizzare il dispositivo.
Alla fine, apparentemente soddisfatto, andò alla porta e l’aprì. Quattro energumeni entrarono con una cassa metallica. Afferrarono Luke e ve lo adagiarono dentro come un morto nella bara., poi agganciarono il coperchio e lo portarono via. Mark li seguì e chiuse la porta.
Un orribile silenzio calò mentre l’obiettivo inquadrava solo il cadavere.
Nella sala di Noah, il tempo pareva essersi fermato. Nessuno si muoveva. Nessuno parlava. Caro conosceva di persona la perversa follia di Mark Olund e dunque non avrebbe dovuto sorprendersi, ma neppure lei riusciva a scuotersi. Era tutto così orribile!
Poi sentì Hannah gemere piano e si voltò. Sisko si mise a passeggiare su e giù, Zade stringeva i pugni così forte da avere le nocche bianche. Noah, invece, guardava l’immagine, il volto privo di ogni emozione.
Pian piano, le tornò in mente ciò che Mark aveva detto. “Con Zade e Sisko hai decrittato tutti i dati della Midlands prima della ribellione.” — Qualcuno mi spiega cosa significa tutto questo? — chiese.
Nessuno rispose. La tensione nella sala crebbe quando lei si alzò.
— Voi non siete sinceri con me. Soprattutto tu — accusò, puntando un dito contro Noah. — Non so cosa diavolo sia successo in quel video, o che legame abbia Olund con quel poveraccio e neppure perché v’importi tanto, ma non me ne frega niente.
Hannah trasalì. — Come puoi dire una cosa del genere?
— Olund non fa che incastrare gente per omicidio — affermò lei. — Questa è l’unica cosa che conta per me. Il video dimostrerà la mia innocenza, o almeno contribuirà a farlo. Devo portarlo subito alla polizia.
Noah si alzò e rimosse la chiavetta dal laptop. Lo schermo divenne nero. — No. Non puoi portarlo alla polizia — le disse.
— Saresti così gentile da spiegarmi perché? — gli chiese lei, battagliera.
— Lo ammazzo — ringhiò Zade. — E che nessuno provi a fermarmi.
— Zade — chiamò Noah con voce piatta. — Mark ha i tuoi codici. Non puoi avvicinarti a lui. Ti bloccherebbe, proprio come ha fatto con Luke. O peggio, ti ucciderebbe.
— Ma Luke è in una cella sottoterra — protestò lui. — Mark lo sta torturando!
Caro si voltò e lo guardò. — Quindi è per questo che mi seguivi prima ancora che Hannah mi contattasse — disse. — Voi conoscete Luke Ryan di persona. E anche Olund.
Fu Noah a rispondere. — Sì — ammise. — Mark è una nostra vecchia conoscenza.
— Per questo mi sorvegliavate?
— Non esattamente — le rispose Noah. — Sorvegliavamo Mark. Tu ci sei entrata solo di riflesso. Sei finita nel nostro radar quando hai preso contatto con Bea.
Caro cercò di collegare questo a tutto il resto, ma non arrivò a nulla. Aveva la mente vuota come gli occhi vitrei di Bea. Tutta la sua flessibilità mentale sembrava scomparsa, e si sentiva fragile e sul punto di esplodere.
— Bene. Allora suppongo che abbiamo tutti un obiettivo comune: fermare Mark — disse. — E quindi, perché non dovrei andare alla polizia? E aiutare così il vostro amico? — Li guardò e capì dalle loro espressioni che stava sprecando il fiato. — Non importa. Datemi la chiavetta. L’ho trovata io e ho pagato un prezzo altissimo per riuscirci.
— Mi spiace, ma non possiamo permetterti di portare quel video alla polizia — ribadì Noah.
Caro ritirò la mano. Aveva i crampi allo stomaco. Dunque era così: qualcosa le diceva che sarebbe successa una cosa del genere da quando Noah aveva fatto quella chiamata. Si sentiva tradita, ingannata, usata. Di nuovo. — Tu, bastardo mentitore — sibilò.
Noah sospirò. — Caro, ascolta…
— Avevi i tuoi piani fin dall’inizio. E mi hai manipolata per tutto il tempo, prendendomi in giro come un’idiota. Quelle cose che mi hai detto…
— Erano vere! — esclamò lui con un accento di disperazione.
— Ah, taci. Come hai potuto farmi una cosa del genere? — Maledizione, stava crollando. Quello stronzo non meritava le sue lacrime!
— Caro, ciò che ti ho detto è vero — la implorò lui. — Così com’è vero che siamo dalla stessa parte. Ma noi abbiamo dei segreti che vanno tenuti nascosti a tutti i costi.
— Segreti? — Le sfuggì una risata isterica. — Ah, magnifico. A tutti i costi, eh? Ebbene, uno di quei costi sono io, Noah. Chi diavolo siete voi? Cosa state combinando?
Gli altri si scambiarono occhiate imbarazzate e guardarono Noah.
— Ma certo. Ci avrei scommesso. — Caro tese di nuovo la mano. — Allora facciamola semplice: ridatemi la mia chiavetta e me ne andrò.
— Se lo facessi, tutti coloro a cui tengo morirebbero — affermò Noah. — O peggio.
Qualcosa nel suo tono attenuò la rabbia per un attimo. Noah non stava mentendo. Ma l’aveva delusa troppo, e lei non aveva più compassione per nessuno, a parte se stessa.
— Sai una cosa, Noah? Mi spiace per voi, però non è un mio problema. Sei tu il mio problema. Mi hai fatto seguire, mi hai ingannata, sedotta e fottuta in ogni modo. Per cui, non aspettarti che sorrida e chini la testa. Dammi la chiavetta, lurido figlio di puttana! — gridò, cercando di strappargliela di mano.
— Falla sparire — disse lui, lanciandola a Zade, che la prese al volo. Poi bloccò Caro stringendola alla vita e trattenendola.
— No! — gridò lei in preda al panico, lottando come una furia per liberarsi. Ma per quanto scalciasse, mordesse e si dimenasse, lui non batté ciglio. Era incredibilmente forte.
— Ne sei sicuro? — gli chiese Zade.
— Assolutamente. Buttala nello scarico e tira l’acqua — rispose lui, implacabile.
— Non farlo! — urlò Caro. — Per favore…
Zade le lanciò un’occhiata addolorata, quindi andò in bagno e accese la luce. Un attimo più tardi, il rumore dello sciacquone echeggiò nella sala.
— Ecco fatto — disse Zade quando rientrò, evitando lo sguardo di Caro.
Tutta la furia che la riempiva evaporò. Se non fosse stato per la stretta di Noah, sarebbe crollata a terra. Mesi interi di sforzi, ricerche e sofferenze… tutto inutile.
— Penserò io a scagionarti — disse lui, disperato. — Troverò un’altra soluzione. Ti proteggerò da Mark. Vedrai che si aggiusterà tutto, Caro. Devi solo aver pazienza, ti prego.
Lei scoppiò a ridere, ma la risata degenerò in lacrime. Le soffocò rabbiosamente mentre lui la sistemava in una poltrona, per poi restare lì a guardarla come se avesse paura di darle le spalle. — Calmati. Rilassati — le disse.
— E come? — replicò lei con un’amara risata. — Ah, certo, grazie a te che mi fotterai per bene come hai fatto ieri. E ha funzionato! Peccato che sia una soluzione temporanea.
Zade e Sisko mossero cautamente verso la porta. — Hannah — chiamò Zade. — Forse è meglio andarsene. Questi due hanno svariate cose da discutere.
— No, non le abbiamo — gridò Caro. — Perché grazie a voi non vivrò abbastanza a lungo da diventare un problema per lui.
— Caro, taci e ascoltami! — tuonò Noah, la voce aspra per la frustrazione.
Sisko prese un soprabito di lana scura dall’appendiabiti vicino alla porta. — Non rischi che ti parta il programma, vero? Non vorrei che dessi i numeri — disse a Noah.
— Fuori dalle palle — ringhiò lui. — Tutti. Adesso!
Quelli si affrettarono verso la porta, ansiosi di andarsene. Ma prima di uscire Hannah si voltò e guardò Caro negli occhi. — Mi spiace così tanto — le disse. — Non abbiamo nulla contro di te. Per favore, non odiarci.
— Va bene, non vi odio — la interruppe Caro. — Contenta? Adesso andatevene, a meno che non vogliate vedermi fare a pezzi il vostro capo.
Hannah aggrottò la fronte. — Buona fortuna, se ci provi — mormorò.
La porta si chiuse. I due si guardarono.
— Caro — cominciò Noah — ti giuro che non permetterò a nessuno di farti del male.
— Oltre a te, intendi?
— Maledizione, non posso rivelarti dei segreti che non sono solo miei!
— Però ti senti autorizzato a mentirmi spudoratamente.
Lui tacque per un istante. — Ieri sera, mi hai chiesto cosa ne è stato di noi fratelli dopo che nostra madre ci aveva abbandonati — disse infine. — Vuoi ancora saperlo?
— Ma certo. Come se potessi scegliere.
Noah emise un gemito di frustrazione. — Hai intenzione di farmi pesare in eterno quello che è successo?
— No. Solo finché non mi lascerai libera di andarmene, mister Gallagher.
Lui scosse stancamente la testa. — Okay. Ecco la mia vera storia — esordì. — Non so a quanto servirà, ma è giusto che te la racconti. Dopo la scomparsa di nostra madre, gli assistenti sociali ci affidarono a famiglie diverse. Ma io, mio fratello Asa e Hannah ci riunimmo e fuggimmo insieme. Per tirare avanti rubacchiavamo nei negozi, frugavamo negli scarti dei supermercati e mettevamo a segno piccole truffe, dormendo dove capitava. Poi, un giorno, io venni avvicinato da un tizio spuntato dal nulla. Mi parlò di un incredibile programma di ricerca per ragazzi, dipingendolo come una grande opportunità per tutti noi.
Oh, accidenti. Una paura improvvisa le strinse lo stomaco, ma mantenne accuratamente un’espressione neutra e annuì annoiata.
— Eravamo diventati esperti nel distinguere gli psicopatici ed evitarli e lui non lo sembrava affatto. Immaginavo che vi fosse sotto qualcosa, ma Hannah era ammalata. Aveva bisogno di cure, però se fossimo andati in ospedale saremmo finiti in riformatorio. E non potevo correre questo rischio.
— Capito — disse lei. — E poi?
— Ho pensato di accettare e vedere un po’ com’era. Tanto sapevo di poter fuggire quando volevo, visto che ero diventato un asso nel mentire, rubare, scassinare serrature e disattivare allarmi. Per cui gli dissi di sì. Asa, però, sosteneva che l’intera faccenda puzzasse. Non voleva averci nulla a che fare. Alla fine sparì e io andai con Hannah in questo centro di ricerche chiamato Midlands. — Tacque per un attimo, poi la guardò con occhi vuoti. — Una decisione di cui mi pentirò per il resto della vita.
— Quanti anni avevi? — gli chiese, nonostante tutto.
— Diciassette.
Ecco. Già stava cadendo nella trappola. Le spiaceva per lui pur sapendo che la stava di nuovo manipolando. — Finisci la tua storia. Fa’ presto. Non mi diverto affatto a stare qui con te.
— Nelle prime settimane sembrava tutto a posto — riprese Noah. — Si mangiava alla grande. Hannah si era ripresa. E così, cominciai a pensare a come andarcene. E fu allora che scoprii che quel posto era un lager.
Lei si accorse di essersi chinata in avanti. Pendeva dalle sue labbra, accidenti!
— Non c’era modo di fuggire. Ero disperato, ma dovetti fingere di stare al gioco. Ci dicevano che rappresentavamo la speranza dell’umanità, e intanto ci sottoponevano a orribili esperimenti che uccisero molti di noi.
Il tormento e la rabbia che gli riempivano gli occhi non potevano essere simulati. La raggelarono nel profondo. — Cosa vi hanno…? — gracchiò lei. — Quanti eravate?
— Parecchi all’inizio, mentre alla fine… Alla fine, io organizzai una rivolta. Avevo scoperto che una parte di noi, tra cui il sottoscritto, sarebbe stata eliminata. Ci ribellammo in ventisette — le spiegò. — Le vittime furono parecchie da entrambe le parti. Nel mio gruppo caddero in sette, ma riuscimmo a fuggire in venti. Negli anni successivi, quattro morirono per stress post-traumatico, depressione, suicidio. Gli altri si sono nascosti, adottando pian piano nuove identità e ricostruendosi una vita, ma siamo sempre ostaggi di un terribile segreto.
— E Mark?
— Mark è uno dei venti. Era nel mio gruppo, quelli con l’impianto ottico. Ma non restò con noi a lungo. Non gli piaceva giocare in squadra.
— Scommetto che non gli piaceva prendere ordini da te — commentò Caro.
— No — ammise. — Però non era solo questo. Come hai intuito, gli impianti servivano per potenziarci e noi ci eravamo dati una regola: non usare le nostre capacità sovrumane per approfittare della gente. Lui non era d’accordo. Dopo ciò che gli avevano fatto, si sentiva in diritto di prendersi tutto ciò che voleva. Ma nulla poteva ripagare le sofferenze che aveva patito e questo alimentava la sua rabbiosa follia. Adesso so che non sarà mai soddisfatto.
— Capisco — disse Caro, anche se in realtà non era vero. Si sentiva confusa.
— Ovviamente abbiamo seguito le sue imprese — riprese Noah. — Aveva cambiato nome come tutti noi, ma trovarlo non è mai stato difficile: basta seguire la scia di morte e distruzione.
— Perché non volete consegnarlo alla polizia?
— Perché sarebbe la nostra fine. Vedi, dietro la Midlands c’è un’organizzazione molto potente. Si chiama Obsidian. Se ci scovassero, ci ucciderebbero tutti. Per loro siamo una minaccia. Suppongo che potremmo denunciarli pubblicamente, ma per noi sarebbe comunque rischioso e io ho altri quattordici fuggitivi di cui prendermi cura.
— Quindi, Mark sta rubando i segreti della Obsidian per vendicarsi di loro?
— Mark vuole vendicarsi del mondo intero. E non si fermerà davanti a nulla.
— Dimmi di più su questi impianti. Vi trasformano in Superman?
Un sorriso ironico gli piegò le labbra. — Non proprio — le rispose. — Diciamo che aumentano determinate capacità. Tutti noi abbiamo subito stimolazioni cerebrali oltre il limite del sopportabile, nonché manipolazioni genetiche tese a potenziare sia i riflessi che la muscolatura. E siamo stati sottoposti a un addestramento militare. Lo scopo era creare dei supersoldati, ognuno dotato di una specializzazione.
— E qual è la tua?
— Gli occhi — rispose lui semplicemente.
Caro sospirò. — Ma certo. Puoi vedere al buio?
— Sì. Ho un hardware negli occhi per la visione potenziata, anche notturna. È collegato a un sistema chiamato AVP, Augmented Visual Processing. Mi permette di vedere uno spettro più ampio di frequenze e di elaborare le informazioni visive praticamente all’istante. E reagire di conseguenza.
— Quindi, prima uccidi e poi fai le domande? — gli chiese senza pensarci.
— È capitato — le rispose. — Ma non ultimamente. Mi ci sono voluti anni per dominare le reazioni del programma.
Caro si alzò dalla poltrona e prese la giacca dalla spalliera della sedia dove l’aveva posata Hannah. Poi la infilò. — La tua è una storia davvero incredibile, Noah, però non voglio sapere altro. È ora che me ne vada.
— No. — Noah si frappose tra lei e la porta, sbarrandole la strada.
Una morsa le strinse la gola. — Non puoi costringermi a restare.
— Non voglio costringerti a far nulla, ma non posso lasciar andare una persona furibonda e piena di rancore che conosce il nostro segreto.
— Oh — disse lei. — Be’, sei un superassassino, no? Non devi neppure assoldare un killer. Devo recitare le ultime preghiere? È giunto il mio momento?
— Te l’ho già detto, non ti farei mai del male.
— Ma tu me lo hai già fatto, Noah — ribatté lei. — In quest’ultima mezz’ora, mi hai ferita più di quanto lo sia mai stata in vita mia. Persino più di Mark. Per cui, apri quella dannata porta. Non corri alcun rischio se mi lasci andare. Non dirò nulla, e comunque nessuno mi crederebbe. Sei perfettamente al sicuro.
Lui scosse la testa. — Mi spiace, Caro, ma per ora devi stare qui.
Il modo in cui la guardava le faceva venire voglia di urlare. Si sentiva in diritto di sequestrarla e osava pure dirle che gli spiaceva. La faceva sentire così sola!
Un pensiero si insinuò lentamente in lei. L’attrazione tra loro era innegabile, persino in quel momento. Lei non poteva farci nulla, il suo corpo reagiva alla vicinanza di lui senza il suo assenso, però era evidente che lo stesso succedeva a Noah. Ed era questa l’unica arma che poteva usare per sconfiggerlo. Non sarebbe stato facile sorprenderlo, sempre allerta com’era, ma forse poteva riuscirci se gli nascondeva con cura le sue intenzioni.
Mosse un passo avanti e si aprì la giacca. Schiena dritta. Seno in fuori.
— Allora, che piani avresti per me? — gli chiese con voce bassa e roca. — Chiudermi in una gabbia dorata? Collare e guinzaglio? Sarà questa la mia vita da oggi in poi? Mi terrai nuda in camera tua, pronta a soddisfare ogni tuo capriccio sessuale?
Noah socchiuse gli occhi. — Questa sì che è un’inaspettata svolta del discorso.
Lei fece spallucce. — Già. Tu mi fai arrabbiare così tanto, eppure ci ritroviamo sempre… allo stesso punto. — Un altro passo la portò talmente vicina da poter tendere una mano e carezzare con la punta delle dita il membro turgido che premeva contro i jeans. — Ogni dannata volta.
Lui fremette ma restò dov’era, con un bollente rossore sulle guance.
— Fregarmi ti eccita davvero — miagolò Caro. — Guarda che roba!
— Eccita anche te — ritorse Noah.
— Tu dici? — Caro strinse l’orlo della maglia e l’alzò, denudando i seni e i capezzoli induriti. — Accidenti, è vero.
Gli occhi di lui si riempirono di quel chiarore color ambra che la faceva impazzire. Ma si controllò, infilando le mani nelle profonde tasche della giacca. — Bene, se non vuoi lasciarmi andare, cosa pensi di fare con me? Mi piacerebbe sentire i dettagli.
Il calore del corpo di Noah le mandò un fremito d’eccitazione lungo la schiena, trasformando i capezzoli in due rosei sassolini.
— Caro — disse lui con voce strozzata. — Lasciamo stare. So che sei furiosa…
— E non sai quanto! — gridò lei, estraendo lo spray al peperoncino che teneva in tasca e spruzzandoglielo abbondantemente in faccia. Quindi afferrò il candeliere d’ottone ornamentale che spiccava in mezzo al tavolo.
L’urlo che lanciò Noah fu terribile. Un grido colmo di sorpresa e senso di tradimento che sovrastò quello di lei, pieno invece di angoscia, rimorso e rabbia per essere costretta a fare una cosa così orrenda all’uomo che amava.
Sì, accidenti, lo amava. Se ne rese pienamente conto quando lo colpì alla nuca con tutta la sua forza. Sentì l’impatto dentro di sé, come se avesse colpito se stessa.
Noah gemette e cadde in ginocchio, premendosi le mani sugli occhi. Poi lanciò un ruggito che la scosse nel profondo. Caro arretrò e se la diede a gambe.
Le chiavi della Porsche! Le afferrò e si lanciò verso la porta. Sentì qualcosa rompersi dietro di lei, quindi un altro ruggito.
Corse fuori come una furia, piangendo tutte le sue lacrime. Aprì la macchina, salì e accese il motore, poi diede gas e partì sgommando. Per fortuna la macchina aveva il cambio automatico, altrimenti sarebbe andata a sbattere da qualche parte, per quanto le tremavano le mani.
Con gli occhi offuscati dalle lacrime percorse il più rapidamente possibile le strade trafficate, aspettandosi di sentire una sirena ogni momento. Quando arrivò vicino a casa, parcheggiò l’auto in zona rimozione forzata. Sicuramente aveva un segnalatore GPS. Noah l’avrebbe ritrovata; per quanto riguardava le chiavi, intendeva lasciarle in bella vista nel suo appartamento, insieme a una lettera di scuse.
Ma quando scese e infilò le chiavi in tasca, sentì il lupo intagliato nel legno che lui le aveva regalato. Proprio ciò che le serviva, un ricordo dell’unico momento in cui tutto le era parso vero. Attraversò di corsa l’atrio e si lanciò su per le scale, facendo i gradini a due a due.
Aprì la porta di casa ed entrò, tendendo la mano per accendere la luce…
Dita poderose le strinsero la gola, togliendole il fiato. Un panno umido dall’odore chimico le venne premuto sulla faccia. Un’altra mano le strinse i polsi, stritolandoli.
Caro prese a lottare con la forza della disperazione, dibattendosi e scalciando. La mano che le teneva i polsi rafforzò la stretta, minacciando di frantumarle le ossa sottili, schiacciandole i tendini. Accidenti se faceva male!
Due ombre si stagliarono nel buio. Una parlò in tono allegro, ma lei non riuscì quasi a sentire, con il ronzio alle orecchie e il cuore che le batteva tumultuosamente nel petto.
— Che furia! Se Olund la vuole, che se la tenga.
I polmoni restarono completamente privi d’aria, costringendola a inspirare quel nauseante odore chimico.
E poi, più nulla. Solo il buio.