17

Una ventata d’aria fredda investì l’auto quando Noah aprì la portiera. Erano di nuovo a casa sua. Tornati al punto di partenza. Caro scese e le cedettero le gambe, ma lui le porse la mano e lei la strinse, intrecciando le dita alle sue, traendo conforto dal calore del suo tocco. La letale macchina da guerra che aveva visto in azione era evidentemente tornata nel ripostiglio mentale in cui Noah la rinchiudeva.

Quell’uomo era una contraddizione vivente.

Una volta entrati, la condusse nella grande cucina. Poi accese un fornello e preparò il caffè, entrando in modalità maschio alfa domestico. Cosa che le andava benissimo.

Un buon caffè e un sandwich con prosciutto e formaggio le ridiedero un po’ di forza. Stava versandosi la seconda tazza quando lo vide sedersi davanti a lei, in attesa. La battaglia interiore che la lacerava ricominciò. Da un lato voleva tacere, per proteggerlo, ma dall’altro doveva ammettere di non aver mai conosciuto una persona così poco bisognosa di protezione come Noah Gallagher.

— Non so da dove iniziare — gli disse infine. — Però voglio spiegarti.

— Bene.

— Okay. — Guardò la tazza di caffè e scelse bene le parole. — Ieri sera, hai fatto alcune supposizioni su di me. Più o meno le hai azzeccate tutte. Vengo da un paese vicino a Boston e sì, sono un’artista. Confeziono anche costumi e maschere teatrali ed è così che ho iniziato alla Bounce.

— Sì, direi che quadra.

Cosa quadrava? La sua espressione non tradiva nulla.

— Comunque, un tempo avevo un lavoro molto migliore presso una società chiamata GodsEye Biometrics. Il mio capo, Dex Boyd, aveva comprato una piccola azienda specializzata in sistemi di sicurezza basati sul riconoscimento biometrico. Cose banali tipo scansione della retina, riconoscimento vocale, persino le impronte digitali. Roba vecchia.

— Se lo dici tu…

— Dex sviluppò un sistema basato sul cervello umano e mi assunse per insegnare ai nuovi clienti come usare l’interfaccia. È così che è cominciato tutto. Io adoravo quel lavoro, ma purtroppo è finita: Dex è stato assassinato otto mesi fa e la GodsEye non può esistere senza di lui.

Noah si sporse in avanti. — Allora è questo. Sicurezza biometrica. Aspetta, fammi indovinare: c’è qualcuno che vuole costringerti ad aprire qualcosa per lui, vero?

Caro lo guardò allibita. — Sì. Una cassaforte. Come hai fatto a capirlo?

— Non ci vuole molto. Cosa c’è in quella cassaforte?

— Non lo so — gli rispose. — Non sono affari miei. Ma la cassaforte apparteneva a una donna di nome Lydia Bachmann, AD di una fabbrica d’armi. Io ero la sua istruttrice.

Lui si accigliò, perplesso. — Istruttrice per cosa?

— Dex aveva sviluppato l’Inner Vision, un sistema biometrico di sicurezza rivoluzionario per casseforti e caveau. Si basa sulla lettura delle onde cerebrali generate da una serie d’immagini mentali scelte dal cliente, che fanno da combinazione. Ma per la gente con poca immaginativa era difficile usarlo e allora entravo in ballo io.

— Perché proprio tu? Come ha fatto il tuo capo a trovarti?

— Tramite un’amica comune — gli spiegò, guardandolo con cautela. — All’epoca, ero ricoverata in una clinica psichiatrica.

Lui tacque per un lungo istante. Quindi, in tono gentile, commentò: — Be’, questa sì che è una sorpresa. Ma cosa c’entra col tuo lavoro di istruttrice?

— Ecco — cominciò Caro — il problema di quell’interfaccia è che richiede di concentrarsi sulle immagini mentali quanto basta per trasformarle in impulsi. E io, fin da quando ero piccola, soffro di uno strano fenomeno, anche se col tempo ho imparato che non sempre è negativo: se immagino qualcosa, lo vedo davanti a me. Come se fosse lì, solido e reale. Come se potessi toccarlo.

Lo guardò da sotto in su per capire come reagiva, ma lui le fece cenno di continuare.

— Quest’amica era impiegata alla GodsEye e ogni tanto passava alla clinica a trovarmi. Conosceva il mio problema e quando sentì parlare dell’Inner Vision, capì che per me poteva essere un’opportunità. “Sfrutta la pazzia per farti un po’ di soldi” mi diceva, e alla fine riuscì a convincermi. Mi procurò un colloquio con Dex, feci il test dell’Inner Vision e mi piazzai tra i primi della lista. Venni assunta subito. Da quel giorno lavorai per lui, occupandomi non solo dell’addestramento, ma anche di ricerca e sviluppo del software.

Noah annuì, pensieroso. Il lieve sorriso che Caro gli rivolse morì per la terribile tristezza che all’improvviso le strinse la gola. La colse di sorpresa, visto che in quegli ultimi mesi si era abituata a provare solo ansia e paura.

Lui posò la mano sulla sua, ma senza stringerle le dita, come se temesse di spaventarla. — Questo Dex Boyd ti manca, vero?

Caro annuì. — Ci fidavamo l’uno dell’altra — disse piano. — Sono stata fortunata a trovare una persona come lui. Eravamo molto amici.

Noah non disse nulla, ma lei percepì la domanda che si teneva dentro.

— Solo amici — chiarì. — Aveva almeno trent’anni più di me ed era sulla sedia a rotelle a causa di un’artrite degenerativa. Inoltre credo che fosse gay, anche se l’argomento non è mai saltato fuori.

— Capisco. — La tensione si allentò. — Era come un vecchio zio.

— Sì. Un adorabile vecchio zio, che mi ha offerto il lavoro della mia vita. Guadagnavo bene e Dex mi concesse di fare un orario flessibile, per cui potevo anche seguire i miei interessi artistici. Avevo il mio studio e un magnifico appartamento. Quanto mi manca quel periodo!

Stavolta lui le diede una lieve stretta d’incoraggiamento. — Lo immagino.

— Bene. E quindi, come sono finita qui? So che stai per chiedermelo.

— Acuta come sempre — scherzò lui.

— Mesi fa arrivò un nuovo cliente, Mark Olund. Chiese me come istruttrice, ma saltò fuori che non ne aveva bisogno, dato che riuscì a usare l’interfaccia al primo colpo. Io mi offrii di rifondergli la tariffa, e lui rifiutò. Poi, cominciò a farmi la corte durante le sessioni.

— Capita.

— Be’, io non volevo che capitasse. Voglio dire, ero lusingata, ma non ci tenevo ad avere alcun rapporto personale con lui. Era intelligente, di bell’aspetto e doveva essere ricco per comprare una cassaforte della GodsEye, però c’era qualcosa in lui che m’innervosiva.

— Bene — commentò Noah con enfasi.

— Una mattina, lessi online di un furto finito con un omicidio a Chicago. Luke Ryan, un esperto di security, aveva ammazzato il cliente per cui lavorava rubandogli un sacco di soldi e parecchi oggetti d’arte. Uno era una spilla del Seicento appartenuta ai reali di Francia. Aveva uno zaffiro dal valore inestimabile, grande come una palla da golf. Sotto l’articolo c’era la foto e io la guardai a bocca aperta. Era un gioiello meraviglioso.

Lui annuì. — Okay.

— Quella sera, dovevo recarmi da Olund per l’ultima sessione. Voleva tenerla a casa sua, invece che nella nostra azienda nel West Village, e noi fornivamo quel servizio ai clienti che pagavano un extra. Segnalai la cosa in ufficio e poi andai. Non avevo grandi timori, perché anche se continuava a invitarmi fuori, era sempre stato educato. Dopo la sessione, lui insistette per offrirmi un bicchiere di vino. Io accettai e, mentre aspettavo che tornasse, presi a gironzolare per la casa. Vidi una porta aperta e sbirciai dentro: su un tavolo erano accatastate decine di oggetti, parecchi antichi, tutti di grande valore. Buttati lì come se fossero paccottiglia, ma erano autentici. Lo capii subito. Ho occhio per queste cose.

— Me ne sono accorto.

— Ebbene, tra quegli oggetti c’era anche la spilla. Non potevo sbagliarmi, dato che avevo visto la foto quella mattina.

Lui annuì. — E cos’hai fatto?

— Ho ceduto al panico e sono fuggita. Probabilmente sono viva solo perché lui ha impiegato un sacco di tempo a scegliere la bottiglia di vino.

— Sei andata dalla polizia?

— No — ammise lei con riluttanza. — Ero confusa, sconcertata. Non sapevo cosa fare e così tornai alla GodsEye per parlarne a Dex, che si fermava sempre fino a tardi. Però Olund doveva aver previsto quella mossa, perché mi precedette.

Noah le strinse le dita ma lei lo sentì appena, persa com’era nell’orrore di quel ricordo. — Quando entrai nell’ufficio di Dex, lui era lì con un suo tirapiedi. Voleva rapirmi, per costringermi ad aprirgli la cassaforte di Lydia Bachmann. Adesso so che aveva pianificato tutto già da tempo, che intendeva uccidermi e far ricadere su di me la colpa dell’omicidio di Dex. Ma non si aspettava la mia reazione: presi disperatamente a lottare e uccisi con un taglierino il tirapiedi che mi teneva ferma. Poi fuggii, ma purtroppo Dex era già morto.

Solo allora si accorse di stringergli tanto la mano da avere le nocche bianche. Lo lasciò andare e ritirò bruscamente il braccio.

Noah continuò a tenere la mano sul tavolo, come se sperasse di ristabilire il contatto. — Tu conosci la combinazione d’immagini che apre la cassaforte della Bachmann?

— Se è ancora quella di default che abbiamo usato per l’addestramento, la conosco a memoria — gli rispose con amarezza. — Ed è improbabile che lei abbia seguito le nostre raccomandazioni impostandone un’altra. Era un disastro con il sistema Inner Vision. Una volta ha persino attivato l’autodistruzione, rischiando di uccidere me e se stessa. Fummo costretti ad apportare modifiche al software per evitare che si facesse saltare per aria.

— Sai dov’è adesso?

— No. È scomparsa prima che Olund contattasse la GodsEye. Non so cosa può esserle successo, ma temo proprio che non sia nulla di buono.

Lui reagì annuendo piano, in silenzio.

— Sembri così calmo — constatò Caro. — Nulla di tutto questo ti sorprende?

— Non mi sorprendo facilmente e non mi faccio opinioni fino a quando non conosco tutti i fatti — le rispose. — Questo mi permette di elaborare delle strategie più efficaci.

Caro incrociò le braccia. — Non ricordo di averti chiesto di elaborare delle strategie per me, Noah.

Questo parve sorprenderlo. — Pensi che non ti serva aiuto per affrontare Olund?

— Certo che mi serve aiuto — rispose lei. — Insegnami a combattere.

Lui la guardò allibito.

— Ascolta, ho ucciso quel bastardo grazie a un colpo di fortuna — si affrettò a spiegargli. — Ma non succederà di nuovo. E preferirei usare una pistola, non un’arma da taglio, visto che non voglio avvicinarmi a Olund. Immagino che tu sia superaddestrato anche in quel campo, oltre che nel combattimento corpo a corpo, giusto?

Noah scosse incredulo la testa. — Certo, ma… stai davvero pensando di seguire e ammazzare questo tizio di persona?

Lei gli raccontò di Bea e della chiavetta. — Se trovassi delle prove inconfutabili che lui è un assassino e io sono innocente andrei alla polizia — concluse. — Però per come stanno le cose, finirei subito dentro. Per cui sì, Noah, questo è esattamente ciò che penso di fare.

— Ma è una follia!

Caro fece spallucce. — Ero rinchiusa in una clinica psichiatrica. Cosa ti aspetti da me?

— Non posso permetterti di…

— Non sei tu quello che fugge da otto mesi — lo interruppe lei. — Non farmi pentire di averti raccontato tutto.

Lui la studiò attentamente, senza dire una parola.

— Insegnami a sparare — insistette Caro. — Sarò così efficiente da sorprenderti.

— Non ti servirà a nulla — gemette lui.

— Non voglio coinvolgerti, Noah — affermò Caro. — Ti ho detto che mesi fa avevo un amico che voleva aiutarmi?

— No.

— Si chiamava Tim. Grande e grosso, un vero duro, con tanto di addestramento militare. Fanatico sostenitore della libertà di girare armati.

Adesso Noah aveva l’aria preoccupata. — E com’è finita?

— Lo hanno preso — gli rispose seccamente. — Torturato a morte, poi fatto a pezzi. Gli hanno persino cavato gli occhi. Non voglio che qualcun altro rischi di fare la stessa fine per me. Quindi, o mi aiuti in quello che ti chiedo e poi lasci che me la sbrighi da sola…

— Oppure? — la interruppe lui, tamburellando le dita sul tavolo.

— Oppure niente. Porto sfortuna, casomai non te ne fossi accorto. Devo procedere a modo mio, anche se ti sono grata per avermi salvata. Apprezzo molto tutto ciò che hai fatto per me, ma è meglio se da un certo punto in poi ci separiamo.

Sostenere l’occhiata di Noah quand’era arrabbiato costituiva una bella sfida. Caro sentiva la forza della sua frustrazione, vedeva la disapprovazione che gli riempiva il volto, però strinse i denti e non arretrò di un passo. “Mostrati dura, ragazza. Fingi, se necessario.”

Stava già fingendo con tutte quelle chiacchiere. Chi diavolo credeva di prendere in giro?

— Non mi piace e non sono d’accordo — borbottò Noah, alzandosi.

Ecco, aveva la sua risposta. Con le lacrime agli occhi, lo guardò mentre usciva dalla cucina.