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— Apra quel caveau, generale — disse Mark Olund. — Le consiglio di non farmi arrabbiare.

Al generale Colin Kitteridge bruciavano i polmoni per il vento caldo e polveroso del deserto che spazzava il centro di ricerca della Obsidian. Lottò contro il nastro adesivo che lo legava, gli occhi fuori dalle orbite per lo sforzo di vedere il suo torturatore.

Non che Mark intendesse aiutarlo. Se avesse acceso le luci, addio AVP. Ed era quello a rappresentare la differenza tra il successo e il fallimento.

Aveva piazzato Kitteridge su una sedia davanti all’enorme porta blindata che proteggeva il caveau della GodsEye Biometrics. La mente del generale era la chiave per aprirla. Senza la sua collaborazione, qualunque tentativo di forzarla ne avrebbe ridotto in cenere il contenuto, dal valore inestimabile. L’elmetto con i lettori di onde cerebrali pareva ridicolo su quel cranio pelato, ma probabilmente era l’ultima cosa di cui Kitteridge doveva preoccuparsi.

— Non posso aprirla — gemette il generale.

Mark analizzò con l’AVP la sua firma energetica e capì che mentiva. La forza di quel vecchio continuava a stupirlo. Era deciso a morire con onore, ma non sapeva che lui era un genio a trovare punti deboli e a sfruttarli biecamente.

— La sua collega Lydia Bachmann mi ha spiegato alcune cose sulle casseforti della GodsEye Biometrics otto mesi fa — gli disse. — Giusto poco prima di morire.

L’aura del generale s’illuminò per l’agitazione. — Lydia? È stato lei a ucciderla?

— Lasci perdere Lydia. Apra quel caveau.

Kitteridge chiuse gli occhi, ma lui capì dalla sua firma energetica che invece di obbedirgli stava rafforzando le difese. Era un militare di carriera ed era stato un prigioniero di guerra. Non un idiota viziato, ma un uomo che conosceva la sofferenza.

Mai quanto lui, comunque.

Era ora di convincere il vecchio reduce. Mark aprì il cassone del camion con cui era entrato nel centro di ricerca e saltò dentro. Un ragazzo giaceva a terra semitramortito.

— Joseph! Lieto di vedere che respiri ancora. — Mark lo sollevò per la collottola e lo portò giù. Il nipote del generale riprese conoscenza e spalancò gli occhi per il terrore. Era incaprettato con una spessa corda bianca, sporca di sangue laddove gli aveva lacerato la pelle dei polsi e delle caviglie. Un giro di nastro adesivo gli tappava la bocca.

Il piccolo bastardo era alto un metro e settanta e pesava ottanta chili, ma lui lo teneva sospeso senza il minimo sforzo. Il ragazzo si dibatteva e lottava come se penzolasse da una forca, tossendo e gemendo perché il colletto della giacca lo stava strozzando.

— Joey! — La firma energetica di Kitteridge cambiò di colpo, diventando verde acqua con pulsanti chiazze gialle. Tremava di paura. Perfetto.

— Non ho bisogno di dirle cosa potrei fare a suo nipote, generale — cominciò Mark. — Lo lascio alla sua immaginazione, senza dubbio più fertile della mia.

— Lo lasci stare! — Kitteridge guardò il braccio che teneva sospeso Joey. — Ma lei è un potenziato. Come si chiama?

— Io? — rispose Mark con ironia. — Che importa il mio nome? Sono solo spazzatura che lei voleva gettare via anni fa. Ma adesso siamo alla resa dei conti, generale.

— Allora fa parte delle prime genera… Di che anno? Credevo di conoscere tutti i… Oh, Dio mio, è uno di quelli che hanno incendiato la Midlands!

— Tombola! E lei è il secondo della mia lista. Dovrebbe esserne onorato.

— Il secondo? — Lo sguardo di Kitteridge continuava ad andare al nipote. — Lydia era la prima? La prego, mi ascolti: non avevamo idea di cosa stavano facendo i ricercatori. Siamo rimasti allibiti quando abbiamo saputo di voi ragazzi. Ma c’è stato… ecco, c’è stato un inghippo nella catena di comando e allora…

— Ma certo. Cose che succedono — commentò Mark.

— Dopo non siamo più riusciti a ritrovarvi. Però le giuro che non sapevamo, che non avremmo mai voluto che accadesse.

Lui gli affibbiò un potente manrovescio con la mano libera. — Risparmi il fiato, generale. È giunto il momento di pagarla per tutti voi bastardi della Obsidian.

Il sangue colava copioso dalle labbra spaccate di Kitteridge. — Va bene. Lo accetto. Pagherò per ciò che ho fatto, ma lasci stare mio nipote.

— Allora si sbrighi ad aprire il caveau — sibilò Mark, posando la mano sulla testa del ragazzo. — Altrimenti gli fracasserò il cranio e guarderemo insieme il suo cervello colare sul pavimento. Anzi, no, è troppo rapido. Voglio che sia cosciente mentre lo faccio a pezzi. E comincerò proprio da qui. — Con uno scatto, abbassò la mano e la chiuse sui testicoli di Joey, che lanciò un grido soffocato e prese a dimenarsi freneticamente.

— Fermo! — esclamò Kitteridge. — Aprirò il caveau. Ma lo lasci andare, la supplico.

— Così mi piace. — Mark aprì la mano e il ragazzo precipitò sul lastrone di cemento, un bamboccio che aveva vinto il primo premio: poter ancora piangere. Quasi si pentì di non averlo soffocato. — Avanti, apra.

Gli occhi del generale vagarono tra lui e il nipote. — L’aprirò, ma non riuscirà a usarle. Nessuno può riuscirci, neppure io.

— Si spieghi meglio, bastardo, o può dire addio a suo nipote.

Kitteridge parlò d’un fiato, quasi sputando le parole. — Le armi nel caveau sono progettate per collegarsi ai moduli dei potenziati di ultima generazione, gli schiavi soldato. Rispondono solo ai loro specifici comandi mentali.

— Davvero? Be’, io sono un prototipo grezzo, lo so — replicò Mark con ironia — ma sono davvero curioso di vedere il prodotto finale. Non mi faccia aspettare. Credo che il caro Joey abbia una soglia del dolore piuttosto bassa.

— Mi lasci concentrare — lo supplicò Kitteridge. — Non è facile e diventerà impossibile se sono agitato! Il sistema legge le onde cerebrali generate da una sequenza d’immagini e se lei…

— So come funziona — lo interruppe Mark. — Sono anch’io un cliente della GodsEye e me la cavo piuttosto bene con l’interfaccia tra cervello e software. Ma forse potrei accelerare un po’ le cose strappando un braccio a Joey?

— No! Mi lasci concentrare. Mi dia giusto un attimo.

Mark storse le labbra mentre guardava il sudore colare sulla faccia del generale. Bah. La vendetta nella vita reale era molto meno appagante che nelle fantasie. Aveva messo le mani sul suo primo bersaglio della Obsidian, Lydia Bachmann, AD di una fabbrica d’armi, solo l’anno precedente. Aveva cercato di costringerla ad aprire una cassaforte della GodsEye, senza sapere della sua speciale progettazione biometrica. Per questo aveva sbagliato a somministrarle la droga che riduceva la resistenza agli interrogatori, scoprendo troppo tardi che in quello stato non riusciva a trasmettere immagini mentali abbastanza forti da venir lette dai sensori.

La cassaforte era rimasta chiusa, con sua grande frustrazione. Per mesi l’aveva studiata, portandola con sé ovunque potesse.

Lydia aveva pagato per i suoi peccati, ma non era stato divertente come pensava. Continuava a perdere i sensi e il silenzio non era esattamente ciò che lui si prefiggeva. Sentirla urlare mentre la torturava forniva un riscontro misurabile e molto più appagante. Tutto sommato, quell’interrogatorio l’aveva deluso.

Ma pian piano stava imparando tutti i metodi per far durare l’agonia, per renderla un infernale crescendo, mentre eliminava uno a uno quei bastardi accecati dal potere. E adesso… ah, rubare il loro capolavoro, usarlo per far tremare tutti di paura, prometteva di essere davvero divertente.

Con Kitteridge non aveva usato alcuna droga. Aveva imparato la lezione. La mente del generale doveva essere lucida. Ritrovarsi davanti il nipote incaprettato era il miglior stimolante.

Il generale chiuse gli occhi, con le vene che gli pulsavano nelle tempie. I minuti passavano e lui sentiva crescere l’impazienza. Controllava la firma energetica dell’uomo per capire se stesse tirando in lungo di proposito, ma vedeva solo uno sforzo disperato.

Finalmente, un LED verde prese a lampeggiare sul quadro comandi della porta blindata. Poi si udì uno scatto.

Kitteridge si accasciò sulla sedia, con la testa che ciondolava in avanti. Oltre al suo respiro ansante e ai piagnucolii del ragazzo, Mark non udiva nulla con l’udito potenziato. Nemmeno uno dei mercenari a guardia della struttura gli era sfuggito e solo piccoli animali si muovevano nel deserto circostante. Quel luogo era costellato di cadaveri lasciati a seccare al sole e al vento. Per fortuna l’aria era troppo asciutta perché puzzassero, visto che ce n’erano una decina.

Adesso restavano solo lui, Kitteridge e il caro nipotino nella placida sera del deserto.

Dopo essersi accertato che non vi fossero trappole esplosive, Mark entrò nel caveau e fece con calma l’inventario. Intere casse di armi micidiali aspettavano solo il collegamento wireless con gli impianti cerebrali degli schiavi soldato, una piccola armata dormiente di potenziati pronti per essere attivati se e quando si fosse reso necessario.

Presto. Perché lui si sarebbe impossessato dell’armata per fare un po’ di sanguinoso, esaltante casino.

Impiegò quasi un’ora per portare tutto nel camion. La sua muscolatura geneticamente modificata gli permetteva di sollevare dei pesi che tre o quattro uomini normali avrebbero faticato a trasportare, ma anche così odiava sprecare tempo ed energie caricando casse come un fottuto bifolco. Era uno dei prototipi originali, maledizione! Uno di quelli che avevano aperto la strada alla creazione dell’armata dei supersoldati. Centinaia di milioni di dollari erano stati investiti in ricerca e sviluppo. Anni di test, fallimenti, piccoli successi e catastrofi.

Ma adesso il loro peggior errore, il loro più grande fallimento, era tornato per farli a pezzi.

Non vedeva l’ora.

Nel caveau trovò anche la chiavetta di cui parlava la Bachmann e l’attivatore degli schiavi. Inserì la chiavetta nel portatile, digitò la password rubata al generale e trovò una cartella di nome “Control Codes”.

Ma conteneva solo sei file. Avrebbero dovuto essercene milleduecento, tanti erano gli schiavi che componevano l’armata. Mark sapeva già chi erano e dove vivevano i sei prototipi, la Bachmann gliel’aveva detto dopo ore di tortura. E adesso aveva l’attivatore per controllarli.

Soltanto sei non bastavano, però. Doveva mettere le mani anche sul resto.

Tornò dal generale e lo scosse per svegliarlo. — Dove sono i codici di attivazione degli altri soldati? — gli chiese.

Kitteridge rialzò la testa e lo guardò con occhi vuoti. — Uh… nella cassaforte di Lydia — disse, la voce spenta. — Noi avevamo solo i codici dei prototipi. Faceva parte della strategia di sicurezza: sparpagliare le informazioni in modo che nessuno potesse…

— Sì, certo, ho capito. — Mark tornò sul cassone del camion e calò con l’argano la cassaforte della Bachmann. Poi, la trascinò a forza di muscoli davanti al generale. — La riconosce? Bene, deve aprirla. Altrimenti vedrà suo nipote morire molto lentamente.

L’orrore e la disperazione del vecchio reduce risultavano evidenti dalla sua aura. Era sconfitto, annichilito. — Ma non posso — gli disse con voce tremante. — Non ho idea di quale fosse la sequenza d’immagini di Lydia. Mi uccida, se vuole, ma lasci andare Joey. Lui è innocente.

— Se lei non è in grado di aprirla, chi può farlo?

— L’istruttrice che ha addestrato Lydia — si affrettò a svelargli il generale. — Caroline Bishop. Una volta imparato come funziona l’interfaccia, si può impostare una nuova sequenza d’immagini. Ma Lydia era così negata con questa procedura da far saltare in aria una cassaforte. Dubito che abbia reimpostato la sequenza di default. Aveva troppa paura di dimenticarla.

Lei ha conosciuto personalmente Caroline Bishop, generale?

— Ah… sì, ma non in modo approfondito. Dex Boyd, il progettista biometrico della GodsEye, ce l’aveva mandata perché era una delle migliori istruttrici.

— Mi parli di lei — gli ordinò Mark. — Che altro sa?

— Be’, so solo che è un’artista. Una volta mi ha invitato all’inaugurazione di una galleria d’arte. Maschere, soprattutto. Dragoni, grifoni… non era il mio genere. Alla fine non sono andato. — Kitteridge si voltò per guardare il nipote, che gemeva piano. — Joey? Stai bene?

Una gran rabbia assalì Mark. Quello di Caroline era l’ultimo nome che aveva strappato alla Bachmann prima di ucciderla. Da lei aveva appreso che si trattava dell’istruttrice mandata dalla GodsEye per insegnarle a usare quella dannata procedura mentale. Allora aveva contattato la società e comprato una cassaforte, chiedendo la Bishop per il corso d’istruzione. L’idea era di costringerla ad aprire la cassaforte della Bachmann e poi liberarsene.

Ma non appena l’aveva vista, i piani erano cambiati.

La sua firma energetica gli dava l’acquolina in bocca. E lui, con l’AVP, era l’unico in grado di apprezzarla. Quella ragazza doveva diventare sua e così aveva organizzato una messinscena per giustificarne la scomparsa agli occhi di tutti. Ingannare e incastrare la gente era una forma d’arte in cui eccelleva.

Aveva approfittato dell’addestramento per corteggiarla, strappandole qualche appuntamento in una pidocchiosa caffetteria universitaria. Ma quando già sognava di crogiolarsi nella magnifica aura di lei mentre la scopava, quella schifosa era fuggita. Colpa sua, in effetti. Non avrebbe dovuto lasciare in giro la collezione di gioielli del ricco bastardo per cui lavorava Luke. Quella roba era comparsa troppe volte sui giornali e Caroline l’aveva riconosciuta, spaventandosi.

— Joey è innocente. Lo lasci andare — tornò a implorarlo Kitteridge.

Quella voce lamentosa accrebbe solo la sua furia. Doveva sfogarla, o sarebbe esploso. Nel corso degli anni aveva sviluppato qualche trucco personale. Il transfer era quello che preferiva. Non lasciava tracce, solo un cadavere senza alcun segno di violenza. Ed era molto piacevole per lui. Non aveva più assorbito l’energia di nessuno, non davvero, dalla notte in cui era morto Dex Boyd. Era ora di rimediare.

Ovviamente, il ragazzo costituiva una scelta molto più appetibile del nonno. Si chinò e gli premette la bocca sulla gola, immobilizzandolo a terra quando prese a dibattersi. Si sincronizzò sulla sua energia vitale e prese avidamente ad assorbire la luce che lo animava. Joey era forte e resisteva, ma non poteva più sfuggirgli. Quella procedura non lesionava la pelle, non rompeva neppure un capillare, ma dentro di sé la vittima sapeva di essere spacciata.

Mark udì solo debolmente le implorazioni del generale: provò a trattare, poi si offrì al posto del nipote e alla fine prese a urlare, ma lui non gli prestò attenzione. Una volta che dava inizio al transfer, non si fermava finché non aveva finito.

Quando rialzò la testa, Joey lo guardava con occhi vitrei. Lo aveva privato di ogni energia. Lanciò un’occhiata al generale e lo vide accasciato in avanti, ancora legato alla sedia. Non respirava più. Morto d’infarto per lo shock e l’orrore suscitati dallo spettacolo a cui aveva assistito.

Ottimo lavoro per una sola notte. Aveva eliminato un membro della Obsidian, saccheggiato uno dei loro principali depositi d’armi e rimpinguato le proprie energie. Non doveva neppure fare la fatica di far sparire i cadaveri.

Riportò la cassaforte nel camion, poi partì nella notte sognando il puro godimento che gli avrebbe dato un bel transfer su Caroline.