Al di là delle vette
Alla ricerca dello yeti
In seguito a un incontro molto particolare, avvenuto nel Tibet orientale nel 1986, e grazie al tempo per riflettere, leggere e studiare che mi aveva «regalato» la caduta dal muro di Juval nel 1995, cominciai a occuparmi delle questioni ancora aperte sul mistero dello yeti. Con lo stesso impegno ed entusiasmo con cui avevo salito gli ottomila, mi dedicai alla ricerca del cosiddetto «uomo delle nevi».
Più o meno guarito mi rivolsi alle montagne sacre della Terra: Africa orientale, Giappone, Bali, Ande e Montagne Rocciose. Ho ripetuto diverse volte il periplo del monte Kailash in Tibet. Queste montagne, veri e propri ponti verso il cielo, trascendono il semplice interesse alpinistico.
IL MITO DELLO YETI
Qualche settimana fa il mistero è stato svelato: dietro alla leggenda dello yeti ci sarebbe un orso, come lei afferma nel suo ultimo libro. Alla luce di questa rivelazione piuttosto banale, viene da domandarsi come lo yeti abbia potuto raggiungere una dimensione tanto mitica.
A mio avviso il termine «yeti» è noto a circa un miliardo di persone, benché, almeno nelle nostre zone, la leggenda abbia cominciato a circolare un centinaio di anni fa. Com’è ovvio, la «fame di yeti» va ricondotta alla domanda sulle nostre origini. Grazie a Darwin sappiamo come sono andate le cose, ma non ci vogliamo credere. E continuiamo a sperare che prima o poi compaia questa creatura simile all’uomo.
Che ruolo svolge lo yeti nella mitologia dei popoli himalayani?
Lo yeti è considerato l’antagonista dell’uomo nell’ambiente selvaggio. In Himalaya si pensa che lo yeti sia in grado di fare tutto quello che l’uomo non può fare: può resistere all’aperto a meno cinquanta gradi, o uccidere uno yak con una semplice zampata. Nelle zone dove vive questo orso, anche la leggenda dello yeti è reale. Da noi nessuno ha paura, quando si tratta dello yeti. Ma in Himalaya «yeti» significa soprattutto qualcosa di mostruoso, oscuro e spaventoso.
In effetti, durante il suo primo incontro con lo «yeti» nel 1986...
Appunto. E dopo averlo vissuto in prima persona, ho capito: solo quell’orso in cui mi ero imbattuto poteva corrispondere al mostro, allo yeti. Un essere umanoide come l’uomo di Neanderthal sarebbe stato troppo piccolo. Nelle fantasie dei locali, infatti, lo yeti è gigantesco. E solo l’orso del Tibet, che è alto ben più di due metri, può essere considerato un gigante. Noi abbiamo travisato tutto – così ho impiegato parecchio tempo per dimostrare che dietro lo yeti c’era l’orso.
Chi ha avuto interesse a favorire queste distorsioni della realtà?
In Europa soprattutto i nazisti, che vedevano in questo uomo delle nevi l’emblema del germanico delle origini, capace di resistere al gelo – oggi questa fantasia è ancora molto diffusa.
Come lei scrive nel suo libro, peraltro, già negli anni Trenta proprio un nazista – il sottotenente delle SS e zoologo Ernst Schäfer – demistificò lo yeti, ridimensionandolo a semplice orso.
Tracce dello yeti nella neve.
Giusto. Schäfer capì che la storia dello yeti poteva essere legata solo a questo orso, e fornì prove scientifiche davvero preziose. Ma Schäfer fu molto cauto. Ho avuto modo di leggere alcuni testi di zoologia di Schäfer sull’argomento: la parola yeti non compare mai. Solo molto più tardi sostenne di aver chiarito ogni aspetto già negli anni Trenta.
Si era scontrato con il divieto nazista?
Sono convinto che ne abbia parlato con i nazisti più in vista. È probabile comunque che Himmler gli abbia tappato la bocca. Nel libro devo lasciare in sospeso questo punto: a tutt’oggi non abbiamo ancora rinvenuto prove certe in tal senso. È comunque interessante che nel 1940 Hitler in persona abbia vietato una mostra sul Tibet alla «Natur Haus», nell’ambito della quale Schäfer intendeva esporre due esemplari dell’orso.
A oggi non sono state formulate opinioni contrarie alla sua tesi sullo yeti. Pensa che la questione dell’«uomo delle nevi» sia risolta?
Penso che gli scienziati esperti di Himalaya mi daranno ragione. Sottoporrò il materiale in mio possesso anche al famoso zoologo statunitense George Schaller, che lo esaminerà. Ma alcuni continuano a sperare che dietro lo yeti si nasconda altro. Viceversa, per me resta sorprendente che anche giornali come la Süddeutsche o lo Spiegel banalizzino lo yeti, presentandolo come una specie di orsacchiotto. Sembrano non rendersi conto del significato mitologico che in passato la gente attribuiva all’orso.
Lei è arrivato a definire i media come il potere più nefasto di questa Terra, proprio in relazione ai resoconti sullo yeti, spesso non del tutto corretti. Come mai?
Perché è così. Per fortuna nella maggior parte dei paesi esistono molte testate giornalistiche e canali televisivi, cosa che garantisce una sorta di concorrenza democratica. Ma in Italia abbiamo già avuto modo di constatare che chi ha alle spalle metà dei media riesce a diventare presidente del Consiglio, dal nulla. In Germania, nelle ultime elezioni, alla fine sono stati i mass media a decidere chi sarebbe diventato cancelliere. È sufficiente dire cose che alla gente piace sentirsi dire. È successo anche nel caso dello yeti.
Si spieghi meglio.
Il migliore è stato proprio lo Spiegel, che in due occasioni – anni prima della pubblicazione del libro – ha riportato resoconti nei quali si affermava che Messner andava a caccia di un fantasma e che era fuori di testa. Ora lo Spiegel si domanda che fine abbia fatto quel fantasma. Non sono mai andato a caccia di fantasmi e non l’ho mai affermato. Così due bugie hanno portato a un’accusa.