Alpinista e contadino di montagna

Ormai mi considero un contadino di montagna più che un alpinista. Vivo in montagna. Cresciuto in una cascina in Alto Adige, ho sempre aspirato a diventare un contadino e a raggiungere l’autonomia. Con l’acquisizione della prima fattoria, all’orgoglio per il possesso si accompagnò la responsabilità, nonché la necessità di avviare un’attività di tipo agricolo. Mi trasformai così in contadino «alternativo».

La mia famiglia: Simon, Anna, Magdalena e Sabine.

La mia famiglia: Simon, Anna, Magdalena e Sabine.

DA ALPINISTA AD AGRICOLTORE BIOLOGICO

Nella fattoria di Ortl, che risale al quindicesimo secolo e si trova sotto la rupe di Juval, ho avviato un’attività agricola ecologica: sui prati verdi, dove pascolano lama e pecore, allevo anche i maiali lanuti. Più in basso, alle pendici della rupe, si estende il vigneto. Sui ripidi pendii rocciosi crescono riesling e pinot bianco e nero, seguiti con cura dal mio fattore, Martin Aurich. Ma Juval è qualcosa di più di un idillio ecologico ben riuscito. Qui ho realizzato una vera utopia: ho conservato, dato vita e sperimentato una piccola realtà culturale sudtirolese, dove spazi naturali e umani collimano in una simbiosi armonica.

Castel Juval.

Castel Juval.

«La libertà di andare dove voglio.» È il titolo, parafrasato da Hölderin, di uno dei suoi libri. Il concetto di «libertà», usato e abusato, è un punto chiave nel suo percorso di vita?

Hölderlin dice più o meno: «... e l’uomo... comprenda la libertà di andare dove vuole!» Ho modificato leggermente le sue parole, adattandole alle mie esigenze. Devo aggiungere che, a mio parere, Hölderlin è uno dei più grandi lirici di lingua tedesca. Nella sua poesia esprime l’idea che la libertà debba andare di pari passo con la responsabilità.

Qual è stato il suo cammino?

Ho sempre desiderato agire in prima persona, cambiare. Ho vissuto sulla mia pelle quanto sia terribilmente difficile, per esempio, macellare da solo un animale, o produrre alimenti puri e sani. Nel mio vigneto non riesco a fare a meno di insetticidi e pesticidi. Potrei produrre un vino ecologicamente puro solo con vitigni geneticamente modificati, resistenti, che sopportano al meglio il terreno asciutto.

Lei è cresciuto in una grande famiglia con otto fra fratelli e sorelle, in un ambiente intatto. Quanto ha influito su di lei la provenienza sociale?

La famiglia è il nocciolo, la base della convivenza. Ma nella nostra società, interpretando erroneamente il concetto di individualismo, abbiamo privato la famiglia della sua funzione. Di qui problemi enormi come la rottura dei vincoli sociali, la solitudine degli anziani, la bancarotta dei sistemi pensionistici statali. La famiglia racchiude in sé un potenziale non solo emotivo, ma anche fortemente pratico. Il problema principale della società occidentale è che non è concepita per la famiglia. Sono cresciuto a Sankt Peter, un paeisno in val di Funes. Lì si conoscono tutti. In casa eravamo tanti, e di spazio ce n’era davvero poco. Non ricordo con nostalgia o in modo idilliaco la mia infanzia. Ma posso dire di essere cresciuto in un «nido» protetto. E ancora oggi la situazione non è molto diversa. Mio padre e mia madre sono entrambi morti, ma la famiglia Messner è ancora molto unita. Fra noi c’è un legame molto forte. Se fosse necessario, da me al castello ci starebbero tutti. Posto ce n’è. E se penso ai miei fratelli e alle loro famiglie, direi che regna una certa armonia.

Che valore ha per lei l’Alto Adige, la «Heimat» dei tedeschi?

Per me «Heimat» è la cerchia allargata della famiglia, cioè l’incontro con persone che hanno alle spalle esperienze simili alle nostre, che in qualche modo condividono le stesse origini.

Lei non è solo alpinista e curatore di musei, ma anche agricoltore biologico. Sui prati ai piedi dell’Ortler pascolano greggi di yak. A Castel Juval ha aperto un’attività agricola biologica, con vigne e un punto di ristoro. Che ideale persegue con i suoi progetti-guida in campo agricolo?

L’impegno nel settore agricolo è strettamente legato ai miei progetti museali. Voglio dimostrare che si possono percorrere strade diverse. Che si possono mettere d’accordo scienza agraria, natura e un turismo tranquillo. Comunque continuo a imparare, a provare. È importante rimettere costantemente in discussione le proprie idee e domandarsi: dove sto sbagliando? È per questo motivo che sono in procinto di rivoluzionare totalmente la mia fattoria biologica di Juval, e di crearvi un rifugio per gli animali produttivi più importanti delle montagne, come per esempio i cammelli mongoli. Il mio gregge di yak ha un ricovero invernale fisso, mentre d’estate passa di alpeggio in alpeggio. Ho ripreso la transumanza dai tibetani. Mi impegno sia come investitore che come responsabile di ogni progetto. Lo scopo che mi prefiggo è far sì che la famiglia del fattore possa vivere del suo lavoro. Spesso la gente non ha la minima idea di cosa significhi fare il contadino: quanto denaro e quanta energia siano necessarie per tenere le bestie, costruire gli steccati, concimare il terreno. Ciò nonostante impiego il mio denaro in questo tipo di agricoltura, semplicemente perché sento di doverlo fare.

Ecologico, biologico, sano. Queste parole sono ormai diventate slogan, perfino abusate. Lei che tipo di alimentazione segue?

Fin dall’inizio ho scelto una prospettiva differente: in che modo io e la mia famiglia possiamo alimentarci in modo sano? La forma di agricoltura ecologica che pratico a Juval nasce da questo principio d’autonomia.

Yak all’alpeggio.

Yak all’alpeggio.

Oggi riesco a produrre quasi tutto autonomamente: frutta, verdura, carne, latte, uova, vino. Quando mi sono reso conto di non poter consumare direttamente tutto ciò che producevo, sono passato dalla fase dell’autosufficienza a quella della commercializzazione. Ho aperto un punto di ristoro, lo Schlosswirt, dove vengono offerte – impeccabilmente cucinate – le eccedenze. Solo prodotti di origine biologica. Il principio è semplice: mangerei o berrei anch’io volentieri questo prodotto?

Da sempre si dice: «La salute è il bene più prezioso». Ora, il mestiere di «avventuriero al limite» e di traversatore di deserti deve per forza trascurare la salute. Come fa a mantenersi in forma e sano?

La mia vita non è stata sana, è stata estrema. Come cultore delle imprese al limite non posso ovviamente vivere come un apostolo salutista. Ma chi come me passa tre mesi in Antartide, almeno in questo periodo non si lascia tentare dal fumo e tanto meno dall’alcol!

(Bio, giugno 2004)