L’umiliazione di Bruxelles

Nell’estate del 1914 Vladimir Il’ič diventa incerto, volubile, a volte persino capriccioso. Percepisce il distacco di Inessa e reagisce con un comportamento discontinuo: continua a scriverle, a volte usa un tono autoritario, la strapazza, la offende, altre volte si mostra dispiaciuto del suo brutto carattere e si profonde in scuse. «Se ti è possibile, non essere arrabbiata con me. Ti ho causato un grande dolore, lo so».

Sembra infastidirlo il fatto che già da qualche tempo Inessa abbia ricominciato a scriversi con Nadja. I rapporti fra le due donne, mai formalmente interrotti, erano ripresi a distanza con il lavoro per Rabotnica. Ora la complicità e la confidenza sembrano tornate quelle del passato. Nadja aveva mostrato al marito le lettere della sua vecchia amica e Lenin aveva notato che Inessa si mostrava affettuosa e desiderosa di ristabilire un rapporto pieno, le parlava delle sue vacanze e dei suoi figli, chiedeva a Nadja di aprirsi di nuovo con lei. «Non ti vergogni», scriveva, «di avermi dimenticato, scrivimi presto». E ancora: «Mi ha fatto piacere ricevere la tua lettera, anche se non mi è piaciuta molto. Era una lettera d’affari che non mi parlava di nulla di personale. Vorrei, invece, sapere tutto di te. Che cosa stai leggendo? Che cosa stai facendo? Come ti senti? Fai delle passeggiate? Per piacere scrivimi, mia cara». Per Vladimir Il’ič il messaggio di quelle lettere era eloquente: Inessa aveva ripreso a dare un valore speciale al rapporto con l’amica, e forse addirittura lo preferiva a quello con lui.

Comincia a sentire un vuoto, vorrebbe ancora parlarle, averla a disposizione. Anche perché solo Inessa può capire la difficile situazione in cui si trova. È certo ormai che l’uomo di cui si è fidato di più e al quale ha affidato grandi responsabilità nella direzione del partito, è una spia dell’Ochrana. È stato Malinovskij (come i suoi nemici, «i liquidatori», avevano più volte sospettato) a far arrestare in Russia decine di bolscevichi e di menscevichi. Lenin ci ha fatto una gran brutta figura e i suoi avversari politici – lo sa – non gli faranno sconti. Malinovskij – questa è un’altra preoccupazione – è sicuramente anche a conoscenza della sua relazione con Inessa. E se ne parlasse? Se l’Ochrana la rendesse nota? Nella situazione in cui si trova nel partito e nell’Internazionale sarebbe davvero un altro brutto colpo alla sua credibilità.

Preoccupato, Vladimir Il’ič fa come molti uomini impauriti: chiede a Inessa la restituzione delle sue lettere. Sono troppo compromettenti, il loro contenuto non è solo politico, segnalano che fra loro c’è stato qualcosa di più, in quelle lettere lui le si rivolge addirittura con il confidenziale «tu». Meglio eliminarle, distruggere tutto prima che altri sappiano. Glielo chiede, questa volta, con garbo e gentilezza perché non vuole irritarla o offenderla, anzi intende rassicurarla del suo affetto e della sua stima.

La lettera che le scrive per chiederle la restituzione va letta con attenzione. Lenin risponde innanzitutto a un rimprovero di Inessa. Lui aveva affermato di stimare solo due o tre donne e lei lo aveva rimproverato ritenendo quelle parole un’offesa al suo genere dal momento che solo in due o tre potevano essere ammirate e stimate. Inessa crede che questa sia un’opinione deplorevole per chi deve dirigere uomini e donne nel processo rivoluzionario. «Mai, mai», le risponde Vladimir Il’ič sottolineando le parole che ritiene importanti, «ho scritto che stimo solo tre donne. Mai! Ho scritto che la mia amicizia più piena e la mia assoluta stima e confidenza sono riservate solo a due o tre donne. E questa è un’affermazione abbastanza diversa, una cosa completamente differente. Spero che ci vedremo dopo il congresso per parlarne». Poi arriva al punto che gli sta a cuore e aggiunge: «Per favore quando verrai porta con te tutte le nostre lettere, portale con te (non conviene mandarle per posta raccomandata, il pacchetto può essere molto facilmente aperto da amici e così…) Per piacere porta tutte le lettere. Portale e ne parleremo». Il tono è ansioso. Lei farà ciò che le è stato richiesto. Raccoglierà le lettere che lui le ha inviato, gliele restituirà e Lenin le distruggerà nel tentativo di annullare le prove della sua passione.

Ecco che ora sono davvero separati e non solo dalla distanza fra Cracovia e Trieste. E probabilmente i loro rapporti rimarrebbero freddi se Lenin non avesse ancora bisogno di lei.

Agli inizi del luglio 1914, solo due settimane dopo la richiesta di restituzione delle lettere, si svolge a Bruxelles una conferenza del comitato esecutivo dell’Internazionale socialista con l’obiettivo di trovare una piattaforma unitaria fra i socialdemocratici russi. Poiché il partito deve mandare una delegazione, Lenin vorrebbe che Inessa ne facesse parte. Lui non vuole quell’unità e non è intenzionato a subire la sfilza di accuse che certamente arriveranno da Plechanov, Trockij, Rosa Luxemburg. Tutti hanno qualcosa di cui rimproverarlo. E allora meglio non legittimare la riunione con la sua presenza, meglio che ci vada qualcun altro, che ascolti e riporti fedelmente le sue posizioni. Non un portavoce, ma qualcuno che lo rappresenti, che sia considerato il suo alter ego. Inessa è ancora una volta la persona più adatta.

Le chiede di interrompere le sue vacanze, di lasciare i figli e di andare a Bruxelles. Si guarda bene dal dirle – ne ha compreso ormai la particolare sensibilità e non può proprio permettersi di irritarla – che è bene interrompere delle vacanze non opportune. Lo pensa, ma cerca di apparire comprensivo. Dovrebbe trovare – le scrive – una sistemazione per i figli, ma si tratterebbe di pochi giorni. Lei è la persona ideale per questo incarico. E supplica: «Dimmi che sei d’accordo».

Inessa non è d’accordo. Non le va di recarsi a Brux-elles e se ne possono immaginare i motivi. Non vuole lasciare i figli – il piccolo Andrej si è ammalato – ma, soprattutto, ha capito che l’uomo che le scrive è nei guai e vuole usarla come parafulmine. L’affare Malinovskij è noto a tutta l’Internazionale socialista. E non è stata solo una brutta figura, ma una vicenda che ha indebolito le sue posizioni politiche. Inessa dunque sa cosa la aspetta a Bruxelles: sguardi diffidenti, critiche, rimproveri per le posizione scissioniste di Lenin. Non ha voglia di diventare l’agnello sacrificale dei bolscevichi e non si sente neppure capace di sostenere la sfida di una simile riunione, di rispondere ai grandi che sono lì riuniti. Non sono mica personaggi facili i leader socialdemocratici europei. No, gli risponde, non andrò. Lui le scrive ancora tentando un’ultima carta. «Mi dispiace terribilmente che ti rifiuti di andare a Bruxelles, questo ci mette in una situazione decisamente impossibile». Il capo dei bolscevichi è ostinato, insiste ancora e suggerisce: «Va’ solo un giorno e porta con te Andrej, se è necessario».

Alla fine, il 9 luglio, Inessa, a malincuore, cede. Lenin, entusiasta, le scrive: «Sono convinto che tu sia una di quelle persone che, quando sono da sole in una posizione di responsabilità, crescono, diventano più forti, acquistano vigore e hanno più fiducia in loro stessi, per questo mi rifiuto assolutamente di credere ai pessimisti che dicono che tu avrai difficoltà. Che sciocchezze! Non ci credo, ce la farai meravigliosamente». E Vladimir Il’ič mettendo da parte la paura di essere intercettato dall’Ochrana, si lascia anche andare: «Mia cara, mia carissima amica, vorrei baciarti mille volte salutandoti e augurandoti ogni successo. Sono completamente sicuro che sarai vittoriosa».

Per Inessa la riunione di Bruxelles è un inferno. L’incontro è presieduto da Vandervelde, Huysman, Kautsky e dal socialista rivoluzionario Rubanovič; tra i membri delle varie organizzazioni, gruppi o frazioni della socialdemocrazia ci sono Martov, Trockij, Aksel’rod, Plechanov, Aleksinskij e Rosa Luxemburg. In totale ventidue delegati che rappresentano undici diverse organizzazioni, ma tutti egualmente furibondi con il capo dei bolscevichi. Inessa deve prima subire la rabbia di chi vede nell’assenza di Lenin una provocazione. Poi la furia dei partecipanti quando, in ottimo francese, ma isolata, intimidita dai mormorii, da qualche imprecazione e dall’esplicita diffidenza, a voce bassissima, enuncia, come Lenin le ha ordinato, le condizioni che i bolscevichi pongono per l’unità. Sono oggettivamente impossibili da accettare. Tutti gli oppositori alle posizioni leniniste sono accusati di non essere dei socialisti, di non ammettere la necessaria disciplina, di liquidare l’organizzazione clandestina, di voler formare un «partito operaio borghese», di agevolare i disegni della borghesia, di distruggere il programma rivoluzionario. Lo scritto di Lenin, letto da Inessa, culmina con una serie di ultimatum e una sfida: chi vuole stare con lui accetti incondizionatamente le decisioni del Congresso di Praga e gli organismi eletti lì. Plechanov commenta: «Lenin desidera l’unità come si desidera l’unità con un pezzo di pane, la inghiottisce». Infine Inessa deve anche sopportare il rancore di tutti i partecipanti quando, in seguito alla provocazione di Lenin, sono costretti a una conclusione vaga e a una risoluzione inconsistente sulla quale, tuttavia, la delegazione bolscevica si astiene. La conferenza è fallita. Lenin ha raggiunto il suo scopo, Inessa ne esce a pezzi. Ha fatto per lui molto, questa volta troppo e la gioia del capo, il suo entusiasmo, la consapevolezza di aver svolto bene il suo lavoro non bastano a tranquillizzarla. Non sono sufficienti le parole subito inviatele: «Mia cara, mia carissima amica voi avete reso un grande servizio al nostro partito. Io vi ringrazio particolarmente perché avete preso il mio posto… scrivetemi, siete stanca, siete depressa? Siete arrabbiata con me perché vi ho persuaso ad andare?» Effettivamente Inessa è stanca, depressa e anche arrabbiata. Decide di prendere i figli e di rimandarli in Russia. E a Lenin che le chiedeva di andare a Poronino, di nuovo in vacanza con lui e con Nadja, dice di no e smette di rispondere alle sue lettere. Per la prima volta.