Una bambina va a Mosca
Inessa nasce a Parigi in rue de la Chapelle, nel quartiere Montmartre, l’8 maggio 1874, tre anni dopo la Comune. La sua non è un’infanzia tranquilla e borghese: figlia illegittima del cantante Théodore Stéphane e dell’attrice Nathalie Wild, che, prima di andare in Europa dove aveva incontrato il giovane amante, viveva in Russia con la sua famiglia. Nathalie e Théodore – che non sono sposati e regolarizzano la loro unione solo qualche tempo dopo la nascita di Inessa – portano la figlia in giro per spettacoli e tournée, in teatri e città sempre diverse, facendola vivere fin dai primi mesi di vita in un ambiente bohémien, libero e disordinato, anche se non sempre spensierato e allegro.
Il ménage familiare cambia decisamente quando, a cinque anni, la piccola lascia la madre, il padre e le sorelle a Parigi e parte per Mosca con la zia e la nonna materne. I motivi del distacco sono, almeno all’apparenza, di carattere pratico: Inessa viene allontanata per non gravare su una famiglia in cui le figlie sono diventate tre, la condizione economica è difficile e il rapporto fra i coniugi si è deteriorato. Nathalie, che non si fida del marito ed è preoccupata della precarietà del bilancio domestico, preferisce affidare la piccola Inessa a zia Sophie e a Babuška (nonna), convinta che l’avrebbero educata meglio di una coppia di teatranti squattrinati. «Il padre ne soffrì orribilmente», racconta George Bardawill, biografo di Inessa, «lei non lo dimenticò mai e, anche dopo decenni dalla separazione, teneva sempre una sua foto sullo scrittoio».
La zia e la nonna di Inessa non sono ricche ma benestanti, vivono del proprio lavoro e di quel che ha lasciato loro il nonno professore. Frequentano la buona società, soprattutto le famiglie di origine francese che formano a Mosca una sorta di élite borghese, un informale circolo esclusivo.
La bambina trascorre un’infanzia felice e intensa, la zia e la nonna sono rigorose nella sua educazione e nello scegliere le sue frequentazioni, ma al tempo stesso la amano e la coccolano. Con zia Sophie, insegnante di musica e canto, Inessa impara a suonare il piano e si rivela molto portata, diventando un’eccellente esecutrice (qualcuno, anni più tardi, la paragonerà addirittura al celebre Svjatoslav Richter). La nonna, anch’essa insegnante e moglie di un noto professore, la indirizza verso buone letture. Grazie alle sue origini familiari la piccola Inessa parla inglese e francese e a Mosca apprende velocemente il russo; un istitutore le insegna anche il tedesco. In sostanza le due donne danno alla giovane nipote il meglio dell’educazione riservata alle ragazze borghesi, con l’obiettivo che diventi un’istitutrice e concluda un matrimonio conveniente.
Conosciamo Inessa bambina attraverso alcune fotografie. Anche lei, infatti, come usava all’epoca, viene sottoposta al rito del ritratto per immortalare i passaggi d’età. In una prima foto la vediamo appena giunta a Mosca: è una bimba bionda con un abitino elegante, un fiocco sulla testa, lo sguardo serio e un cagnolino in braccio. Guarda l’obiettivo curiosa, diligente, quasi severa. Nella seconda, ha un’espressione tenera, affettuosa e un po’ imbronciata, mentre poggia la testa sulla spalla di zia Sophie, che le somiglia molto nel colore dei capelli e nella forma del naso e della bocca. Nella terza fotografia, infine, con il viso sostenuto dalla mano, è accanto alla nonna, vestita con un abito scuro e una cuffia, e guarda con più decisione verso l’obiettivo.
La zia ama portare la nipote con sé nelle case dove insegna e Inessa la segue volentieri. Nonostante il temperamento riservato, è una bambina vivace, sempre a suo agio anche con gli altri. Di tanto in tanto, quando ha qualche motivo d’irritazione, non protesta, ma si mette in disparte, silenziosa. In lei si nota già un carattere forte che, qualche volta, può diventare capriccioso.
Tra le famiglie presso cui Sophie inizia a lavorare, ci sono gli Armand, anche loro d’origine francese. Sono industriali tessili. Le loro aziende contano migliaia di impiegati e operai divisi fra la sede sociale a Mosca e le fabbriche a Puškino – un villaggio, in cui persino oggi il ricordo di quella famiglia rimane vivo – a circa trenta chilometri dalla capitale. Nel piccolo museo del paese – tre stanze in una vecchia costruzione di legno – si possono ancora guardare le foto degli Armand, vecchie immagini in bianco e nero della grande famiglia o dei padroni con i loro dipendenti.
A Puškino vivono Evgenij Evgenlevič, i suoi fratelli Emil e Adolf, la loro madre, le mogli e i figli. Un ampio e ramificato agglomerato familiare, composto di decine di persone, che si allarga e si restringe continuamente: si estende con le nascite che, cosa normale all’epoca, sono frequenti; si rimpicciolisce non solo con le morti, ma anche quando i figli, com’è costume fra i ricchi, vanno a studiare nelle grandi città europee; s’ingrandisce nuovamente quando da fuori arrivavano amici e istitutori, che prendono parte ai riti familiari.
L’enorme residenza degli Armand, con un facciata di legno intagliato e istoriato, è formata da quattro edifici che si uniscono in un complesso collegato da gallerie e corridoi, fornito di splendide verande che danno su un giardino spazioso e curatissimo. Ideata per ospitare più famiglie, può ampliarsi man mano che i più giovani si sposano e mettono al mondo dei figli. Le quattro parti comunicano attraverso la grande galleria che, al centro, diventa la stanza da pranzo, con un tavolo lungo sei metri. Qui la famiglia, gli amici, gli istitutori s’incontrano, a pranzo e a cena, per festeggiare gli innumerevoli compleanni, ascoltare musica, accogliere ospiti. Ben quarantacinque servitori garantiscono un ménage adeguato alla grandezza e ai fasti della casa. Fuori di lì, oltre il giardino e la campagna coltivata, ci sono i boschi sterminati, incontaminati e sacri della Grande Madre Russia.
Il capofamiglia, Evgenij Evgenlevič, è uomo d’idee liberali, sposato con Varvara Karlovna. Nella grande casa piena di giovani e di movimento, in cui tutti hanno da studiare, discutere, litigare, Inessa conosce a uno a uno gli undici figli. Aleksandr è il primogenito maschio, di qualche anno più grande di lei. Prima di Aleksandr erano nate le sorelle Anna e Marija. Venivano poi Vera, Nicolaj, Evgenija, Boris, Sofia, i due gemelli Sergej e Varvara, e infine Vladimir, detto Volodja, il più piccolo e il prediletto di Varvara Karlovna.
Guardata con gli occhi di oggi, questa famiglia può sembrare strana – una tribù più che un nucleo familiare, un condominio più che una casa – ma non è così insolita nell’aristocrazia e nell’alta borghesia della Russia zarista. Non è neppure strano per l’epoca che in questa famiglia di «padroni» i giovani avessero propensioni culturali e politiche progressiste. Gli Armand possiedono grandi imprese e migliaia di ettari di terreni, eppure in gran parte sono liberali, persino ribelli. Come molti rivoluzionari dell’epoca, sono profondamente influenzati dalle idee conosciute nei paesi dell’Europa occidentale, dove hanno studiato. Si definiscono seguaci del marxismo, sebbene predichi il controllo pubblico dei mezzi di produzione, di distribuzione e di scambio, di cui essi stessi sono i proprietari. Gestiscono le loro imprese in modo illuminato: spesso accolgono le richieste degli operai e dei contadini, destando gravi sospetti nella polizia zarista. In realtà sono soprattutto insofferenti nei confronti dell’immobilismo feudale del regime, refrattario a ogni cambiamento.
I due genitori, liberali, tolleranti, assistono alle discussioni appassionate e percepiscono le vibrazioni che attraversano la loro casa. Ne comprendono le ragioni, ma non possono immaginare che i rampolli o i loro istitutori possano intraprendere azioni illegali. Non sospettano minimamente, per esempio, che Evgenij Kammer, uno studente di medicina da loro assunto come tutore di Boris e di suo cugino Lev, sia un agitatore politico che fa propaganda rivoluzionaria tra i lavoratori, organizza scioperi e fornisce ai due ragazzi libri proibiti dalla censura zarista.
Avviene così che nell’aprile del 1897 un episodio che rimane a lungo nei racconti di vita familiare: la polizia si presenta alla residenza degli Armand sostenendo che lì, proprio fra quelle mura, c’è una tipografia clandestina, dove si stampano volantini e pamphlet rivoluzionari. Il vecchio Evgenij Evgenlevič, convinto che si tratti di un’assurdità, invita i poliziotti a condurre liberamente le indagini. Non amando lui per primo la polizia zarista, gli pare una buona occasione per dimostrare la stupidaggine dei loro sospetti e dei loro metodi. La perquisizione ha inizio sotto lo sguardo divertito di padroni e servitori e tutto sembra andare per il meglio quando, sotto le assi di un pavimento, la polizia trova linotype, macchine per scrivere, carta, tutto quanto occorre, insomma, per stampare volantini illegali. Kammer, Lev e Boris vengono arrestati e il vecchio Evgenij rimane senza parole. Ma per poco, perché la ricca e illuminata famiglia interviene con decisione (è la prima, ma non sarà l’ultima situazione di questo genere). E quando Kammer si assume l’intera responsabilità scagionando i due quindicenni, gli Armand pagano fior di avvocati, riescono a farlo uscire di prigione e poi lo aiutano a scappare in Germania. Lev viene mandato all’estero e Boris sottoposto a una sorta di carcerazione a domicilio.
Per Inessa, dapprima bambina curiosa e poi adolescente desiderosa di apprendere, quest’ambiente costituisce un apprendistato ideale. Gli Armand la trattano come una di loro, lei segue le lezioni degli istitutori chiamati per i loro figli e ha molti amici fra quei giovani inquieti ed entusiasti. C’è poi in quella casa un altro motivo di attrazione: con il permesso di Evgenij Evgenlevič Inessa ha accesso alla straordinaria biblioteca ricchissima di storia, letteratura, filosofia, e nella quale, soprattutto, può trovare tutti i classici russi. Così trascorre molte ore a leggere Nekrasov, Dostoevskij, Tolstoj e Černyševskij e scopre di preferire Tolstoj a tutti agli altri.
Non lo predilige solo per i suoi romanzi, è affascinata dai suoi insegnamenti morali e dalle sue riflessioni sul significato dell’esistenza; è interessata al suo atteggiamento nei confronti dei contadini, ai suoi tentativi di migliorarne le condizioni di vita; è attratta dalla sua proposta di liberazione dei servi della gleba, dall’indagine sulle forme di lavoro collettive, dalla ricerca di un’armonia con la natura. Inessa potrebbe definirsi una «tolstoiana», cioè un’aderente a quella corrente di pensiero utopica, che ha una sua forza nella Russia del primo Novecento e che, pur non riconosciuta mai ufficialmente dallo scrittore, costituisce la ragione per cui Tolstoj è mal visto dal regime zarista.
Ma il grande scrittore a un certo punto la delude. Ha quindici anni quando prende dagli scaffali della libreria degli Armand Guerra e pace e segue lo svolgersi delle battaglie, si appassiona agli amori del principe Andrej, ai sentimenti di Pierre, alle emozioni di Nataša. Ma proprio di Nataša, il suo autore prediletto parla come di una giovane che, dopo aver raggiunto il matrimonio, finalmente – sono parole dello scrittore – diviene samka, cioè femmina. Inessa è turbata: che significa quell’espressione? Che una donna deve sposarsi per sentirsi completa? Qualche anno dopo, scrive a sua figlia Inna: «Questo mi colpì come una frustata».