«Senza libertà non esiste amore»
Nell’autunno 1902 tutto cambia. A Mosca Inessa rivede Volodja, fratello di Aleksandr e ultimo dei figli maschi della famiglia Armand. Ha diciassette anni ed è un giovane studente di biologia che ha scelto di fare la rivoluzione. Inessa di anni ne ha ventotto ed è madre di quattro figli. Ovviamente conosce già e piuttosto bene il giovane cognato che all’epoca del suo matrimonio era un bambino di otto anni. Si erano poi rivisti spesso a Mosca in uno degli appartamenti di famiglia, dove il cognato abitava e dove lei di tanto in tanto soggiornava. Sembra impossibile, ma s’innamora di lui.
Volodja è bello, alto, slanciato con gli occhi grigi, i capelli e la barba biondi. Nel suo sguardo traspaiono audacia, determinazione e ineluttabilità tutte russe. I parenti e gli amici – lo riferisce uno dei biografi di Inessa, George Bardawil – lo consideravano il ritratto sputato di Alëša, uno dei fratelli Karamazov, quello che, secondo Dostoevskij «non era un fanatico e nemmeno un mistico, ma semplicemente un precoce amico degli uomini». Come Alëša, «possedeva il dono naturale di attirare l’affetto dei suoi simili» e «una natura onesta che anelava alla verità, la cercava e credeva in essa, e una volta che vi aveva creduto, esigeva di aderirvi subito con tutta la forza della sua anima, e agognava una grande impresa immediata». Volodja ha scelto la rivoluzione con la stessa abnegazione con cui i mistici aderiscono all’idea di Dio e dell’immortalità. Questo temperamento, che aspira all’assoluto e insieme accetta l’inevitabile, gli consente di accogliere senza esitazioni ciò che il destino gli offre: l’amore per sua cognata, moglie adorata del fratello maggiore cui è legato da affetto e ammirazione.
L’attrazione si è insinuata fra loro con le sembianze dell’affinità e dell’amicizia: la coabitazione nell’appartamento degli Armand, la naturale intimità, l’affetto nutrito dai ricordi comuni, le lunghe chiacchierate. Inessa torna la sera da un concerto o da uno spettacolo teatrale e Volodja la accoglie con una tazza di tè. Volodja si riunisce fino a tarda notte con i suoi compagni di università e, quando loro vanno via, la cerca per continuare a discutere. Lei lo ascolta incantata e lui è lusingato dal suo interesse.
I due condividono il desiderio di fare qualcosa di grande e di importante per il loro paese. Volodja affronta le prime esperienze politiche con ardore giovanile, indeciso se aderire al partito socialdemocratico o a quello dei socialisti rivoluzionari. Inessa pensa che quello che ha realizzato, o tentato di realizzare, fino a quel momento non sia in fondo molto diverso da quanto fanno tante donne della borghesia: filantropia. E comincia a convincersi che per aiutare il popolo russo siano necessari altri metodi e più radicali.
I soggiorni di Inessa a Mosca diventano sempre più lunghi, i suoi rientri a El’digino sempre più svogliati. Scopre che la casa nella foresta russa, ricolma di balie, servitori, nella quale è la moglie di Aleksandr e la madre dei suoi quattro figli, non le dà più felicità. La vita che prima almeno in parte l’appagava, ora le risulta insopportabile. Diventa irritabile, capricciosa. La sua vitalità si trasforma in tormento, la gioia di vivere in aggressività. Una certa dose di impazienza la spinge a tagliare in modo brusco quello che nella vita non le pare funzionare come vorrebbe. D’altra parte, fin dall’infanzia ha mostrato di sopportare a fatica le situazioni in cui non si trovava completamente a suo agio o che contrastavano con le sue aspirazioni. Così non si fa scrupolo di protestare per la noia delle sue giornate e non ha voglia neanche di ricevere gli amici che prima erano ospiti sempre graditi. Esce di casa in piena notte, fa lunghe passeggiate solitarie e ritorna dopo ore, costringendo Aleksandr a cercarla. Le preghiere del marito non riescono a placarla. I suoi tentativi di capire si scontrano con un muro di silenzio, di malinconia e di rabbia. Nella casa di El’digino ne sono tutti stupiti e spaventati. Gli amici, i familiari, i servitori e, soprattutto, Aleksandr.
Poi succede che Inessa finalmente parla, spiega. Senza girarci intorno, dice ad Aleksandr cosa è successo con Volodja e dentro di lei. Gliene parla prima da sola, poi in presenza dello stesso Volodja. Ci si aspetterebbero drammatiche scene di gelosia e rancorosi litigi tra i due fratelli. Invece, la storia segue un corso del tutto inconsueto. Ci sono lunghi colloqui. Giorni di verità e di lacrime. Ciascuno dei tre fa domande all’altro e tenta di chiarire la propria posizione. I due fratelli riescono a non trasformarsi in nemici. Inessa si sente colpevole e si scusa con entrambi. Aleksandr accusa il colpo, ma sa di amare ancora Inessa e non vuole rinunciare all’affetto e alla fiducia che lei nutre ancora per lui. Volodja è diviso fra l’amore per il fratello e la passione. Abbastanza insolita è anche la reazione della famiglia Armand. Nella grande casa per qualche mese si discute, ci si accapiglia, si chiedono spiegazioni, ma Inessa rimane nella famiglia, resta comunque una di loro.
Sembra una storia uscita dalle pagine di Che fare?, il romanzo di Nikolaj Gavrilovič Černyševskij scritto nel 1863 nella fortezza di Pietro e Paolo a San Pietroburgo, dove lo scrittore era stato rinchiuso perché ritenuto un sovversivo pericoloso. Che fare? era stato un libro di culto che aveva avuto una straordinaria diffusione. Aveva influenzato comportamenti e propensioni culturali della parte più progressista della società russa andando incontro alle aspirazioni della borghesia illuminata già, peraltro, suggestionata dall’anticonformismo che soffiava dall’occidente. Anche Aleksandr, Inessa e Volodja nella loro vicenda sembrano accogliere i nuovi modelli di comportamento di amore e di amicizia suggeriti da Che fare? Come i tre protagonisti del libro. Vera Pavlovna, Dmitrij Lopukhov e Alekandr Kirsanov pensano che «senza libertà non esiste amore». Inessa non sente alcun obbligo sociale a salvare il matrimonio; Volodja non entra in competizione con il fratello; Aleksandr nella sofferenza comprende e perdona.
E poi succede: Inessa rimane incinta di Volodja. Il bambino verrà riconosciuto da Aleksandr e farà parte della grande famiglia. Gli altri figli sapranno subito, appena saranno in età di comprendere, che «la mamma ama lo zio Volodja».
A luglio, a gravidanza avanzata, Inessa decide di partire per la Svizzera con tutti i suoi figli, ma senza l’uomo con cui ha scelto di vivere. Preferisce partorire lontano dalla Russia per non creare un ulteriore, inutile scandalo nella buona società e per rispetto nei confronti di Aleksandr, ancora suo marito ufficiale. Ma c’è anche un altro motivo più intimo e personale. La sua vita negli ultimi mesi è stata in mezzo a una tempesta ed è difficile capire come proseguire in una nuova esistenza dove molte cose devono ancora tenersi insieme: la cura dei figli, l’amore per Volodja, l’impegno per il futuro della Russia, l’affetto che tuttora la lega ad Aleksandr. Ha bisogno di un periodo di pace nel quale riflettere sulla direzione da dare alla propria vita. In Svizzera fa passeggiate, legge, pensa, si rilassa. Si reca spesso a Ginevra dove frequenta la libreria russa Kuklin in cui si incontrano gli esuli e, dove – si dice – oltre ai libri si possono comperare anche passaporti. Qui segue le conferenze di Lunačarskij, un giovane marxista che le sembra molto promettente e medita su cosa è necessario fare per uscire dal giogo della tirannide zarista.
Nel maggio del 1904 decide di tornare a Mosca e prende il treno con i figli, il neonato, la balia e i servitori. Nell’aspetto, negli abiti, nei comportamenti è una donna dell’alta borghesia e occupa uno scompartimento di prima classe. Alla frontiera con la Russia nessuno osa avvicinarsi a quei bagagli eleganti e disturbare una signora sofisticata e austera in viaggio con la sua famiglia. I controlli sono distratti. Ma la polizia sbaglia. Le valigie hanno un doppio fondo: in quelle dei bambini e anche in quelle della balia Inessa ha stipato centinaia di libri proibiti, molte copie dell’Iskra, il giornale illegale dei socialdemocratici russi, fondato da Lenin, Martov e Potresov. È il primo atto di una nuova vita che da ora in poi – ha deciso – dedicherà alla rivoluzione.