La bolscevica entusiasta

Nell’autunno del 1910, Inessa decide di trasferirsi a Parigi, sua città natale. Con lei ci sono i piccoli Inna, Varvara e Andrej, mentre i grandi, Fëdor e Aleksandr, sono rimasti a Roubaix per continuare gli studi. Ha trentasei anni, ma ne mostra meno ed è, a giudizio di molti, affascinante e allegra. I segni della tristezza sono scomparsi, i vestiti sono di nuovo vivaci, un’audace penna rossa è tornata fra i capelli. Il successo all’università l’ha ricaricata, aiutandola a non rimanere ostaggio del dolore per Volodja e a riorganizzare la sua vita in modo da conciliare gli studi, il lavoro per la rivoluzione e l’amore per i figli. Aleksandr continua a sostenerla e ad aiutarla.

La città è in piena belle époque, anni magici all’insegna dell’ottimismo e della libertà. Le scoperte scientifiche, l’esplosione di nuove correnti artistiche, la crescita di una borghesia più aperta la rendono speciale: boulevard affollati, donne eleganti, cafè e locali aperti fino a tarda notte, teatri di sperimentazione. Il simbolo del tempo è il Moulin Rouge, reso immortale da Toulouse Lautrec.

Ma non è la vibrante Parigi dei boulevard, dei café, degli artisti quella che la compagna Armand frequenta. È piuttosto quella, più nascosta, di avenue d’Orléans, dove vivono gli immigrati russi e hanno il loro appartamento gli Ul’janov; dove, al numero 110 si stampa il Social-Demokrat; dove si trova il Café des Manilleurs, che è ancora il principale punto d’incontro dei bolscevichi e il palco degli infuocati discorsi di Vladimir Il’ič.

La voglia di fare di Inessa e il suo entusiasmo irrompono in un ambiente grigio, fatto di esuli nostalgici e pigri, che coltivano con una vena melodrammatica la memoria della patria lontana. Si commentano per ore le notizie della repressione in Russia. Ci si accapiglia sulla rivoluzione, anche se nessuno sa se e quando si farà. Nadja Krupskaja capisce subito che Inessa è fatta di un’altra pasta: «Nel 1910», scrive nelle sue memorie, «giunse a Parigi da Bruxelles Inessa Armand che divenne subito un elemento attivo del nostro gruppo parigino. Con Semaško e Britman (Kazakov) fu eletta alla direzione del gruppo e tenne un’assidua corrispondenza con gli altri gruppi della emigrazione. Aveva due figliole e un maschietto. Era una bolscevica entusiasta e intelligente e perciò i nostri aderenti di Parigi le si raggrupparono rapidamente intorno».

Nadja e Inessa si conoscono e cominciano a frequentarsi: sono molto diverse, ma provano simpatia l’una per l’altra e diventano amiche. L’intimità è facilitata dall’affetto di Nadja, che non ha figli, per i bambini di Inessa. Nel piccolo appartamento parigino degli Ul’janov le due donne passano interi pomeriggi insieme dividendosi il lavoro per il partito: Nadja tiene i rapporti con la Russia, Inessa con i socialdemocratici europei; grazie al suo francese, che è notevolmente migliore di quello degli immigrati e anche di quello di Lenin, può dedicarsi all’assistenza della comunità di immigrati; grazie alla conoscenza dell’inglese e del tedesco, mantiene la corrispondenza e i contatti con l’estero.

In quei giorni parigini, Inessa è conquistata dalla semplicità e dall’equilibrio di Nadja. La moglie del leader lavora instancabilmente accanto al marito; sopporta le ansie e l’umore altalenante di lui; ascolta i suoi lunghi sfoghi; sa quando deve allontanare i seccatori; gli fa da segretaria e da confidente. Certo – pensa Inessa divertita – le sue capacità casalinghe sono davvero scarse: il cucito e la cucina non sono fra le sue virtù e i suoi vestiti, come d’altra parte quelli di Lenin, appaiono molto malmessi. Inessa la vede concentrare tutta la sua capacità di accudimento nella preparazione d’innumerevoli tazze di tè che dovrebbero combattere la stanchezza, i mal di testa, i nervosismi, le depressioni e le «rabbie» del suo Volodja.

Ma Nadja è economa e attenta, mette continuamente toppe ai suoi vestiti e a quelli del marito, cerca di preparare comunque qualche piatto per lui. Lavorare per la la rivoluzione per lei significa innanzitutto aver cura di Vladimir Il’ič.

Le due entrano in confidenza. Nadja le racconta come lei e Vladimir Il’ič si siano conosciuti in Russia durante le riunioni degli studenti rivoluzionari e come lei, in compagnia della madre, sia andata in Siberia per rimanergli accanto, sposarlo e dividere con lui la vita al confino. Lenin era stato arrestato perché aveva fatto uscire clandestinamente un giornale, Rabočaja Gazeta, del quale aveva scritto tutti gli articoli, ed era stato mandato a Susenskoe. Nadja era stata condannata per la partecipazione allo sciopero generale del 1896 ed era stata mandata a Ufa, un paese nella Baschiria. Si erano ricongiunti quando lei aveva chiesto e ottenuto dalle autorità il trasferimento per poterlo sposare. Nadja ricorda volentieri quel periodo, che era stato tutt’altro che triste. A Susenskoe erano liberi di leggere, studiare, ricevere e inviare posta, di muoversi da un villaggio all’altro, di frequentare chi volevano. Lenin, quando non scriveva e non dava consulenze legali alla gente del luogo, si dedicava alla pesca o alle lunghe passeggiate in quelle terre selvagge e sconfinate. Avevano lavorato molto insieme, proprio in quegli anni – racconta a Inessa – avevano tradotto La «storia dei sindacati» di Sidney e Beatrice Webb. Anche quando era una giovane sposa, Krupskaja era stata innanzitutto una fedele collaboratrice. Al ménage pensava sua madre che aveva sempre sollevato lei e Lenin da ogni preoccupazione pratica.

Sono stati a Monaco, Zurigo, Londra, infine hanno deciso di venire a Parigi – anche se la città piace poco a Vladimir Il’ič, che preferisce la tranquillità della vita e delle biblioteche svizzere – perché la capitale francese è il centro dell’emigrazione russa.

Nadja ha le idee chiare sul suo matrimonio: la rivoluzione ha bisogno di Lenin e Lenin ha bisogno di una compagna che lo aiuti e lo sostenga; del resto, in cosa si distingue un matrimonio proletario da un’unione borghese, se non che, nel primo, i coniugi lavorano e lottano insieme per il socialismo?

Tra i due, certamente, non sembra esserci molta passione, o comunque niente di simile a quello che era avvenuto fra Inessa e il giovane Volodja. Il rapporto coniugale fra Vladimir e Nadja è costruito sul comune impegno per la causa. Ma non è un matrimonio di convenienza. Grazie soprattutto al buon carattere di Nadja, la relazione è affettuosa, il dialogo continuo, la comprensione reciproca. Lenin si preoccupa della moglie, della sua salute e lei è attenta a quella di lui. E poi si ascoltano, si apprezzano, si rispettano. Vivono come hanno scelto, modestamente, ma senza preoccupazioni economiche. La madre di Nadja garantisce anche un decoroso benessere.

Quando Lenin torna a casa dalle riunioni o dalla biblioteca, trova spesso le due donne intente a lavorare o a chiacchierare. Saluta con cordialità Inessa e si informa del lavoro e dei bambini. Lei risponde con gentilezza, ma se con Nadja si sente naturalmente a suo agio, i sentimenti nei confronti di Vladimir Il’ič non sono ancora chiari. Discute volentieri con lui, ma prova soggezione e, anche se capisce che Lenin le mostra simpatia e che ci tiene a scambiare quattro chiacchiere ogni volta che la incontra, preferisce ritirarsi, tornare nel suo appartamento rifiutando l’ultima tazza di tè offerta da Nadja. Qualche anno più tardi gli racconterà: «Avevo un terribile timore di te. Volevo vederti, ma avrei preferito morire sulla soglia piuttosto che entrare nel tuo studio e quando tu venivi nella stanza di Nadja, non sapevo che cosa fare. Mi sentivo goffa e stupida. Invidiavo quella gente coraggiosa che entrava e parlava con te».

Vladimir Il’ič invece non prova alcun disagio nei confronti della nuova amica, anzi la osserva con sempre maggiore curiosità e si convince che quella donna borghese ed elegante, di cui apprezza l’intelligenza, la conoscenza delle lingue e la dedizione al lavoro, può essere un quadro politico utile al partito. Non al partito che c’è, che non gli non piace affatto, ma a quello che vorrebbe costruire, formato da militanti e dirigenti fedeli, omogenei, pronti a tutto e disposti ad accettare pienamente la sua direzione.

Il capo della corrente bolscevica ha sofferto di una profonda depressione, dalla quale – Nadja ne accenna a Inessa – non è ancora davvero guarito. Nel gennaio del 1910 ha subìto una pesante sconfitta al Comitato centrale del partito socialdemocratico russo nel quale anche diversi bolscevichi si sono schierati contro di lui. I suoi metodi per finanziare l’organizzazione – aveva appoggiato rapine, espropri e altre azioni illegali – non erano piaciuti ai socialdemocratici ed erano stati condannati con asprezza dai menscevichi. La spregiudicatezza con cui, dopo aver sostenuto i gruppi dei quali si era servito per rimpinguare le casse del partito, li aveva condannati lo avevo reso insopportabile anche alla sinistra guidata da Bogdanov. Per questo era stato abbandonato anche dai più fedeli: prima, appunto, da Bogdanov e poi da Gor’kij e Lunačarskij. Aveva dovuto chiudere il giornale della sua frazione, Proletarij, e restituire al Comitato centrale il denaro ottenuto in modo «non convenzionale». Infine, era stato violentemente attaccato al congresso dell’Internazionale a Copenaghen.

In quei mesi aveva capito di non essere amato da gran parte dell’organizzazione e che con i menscevichi, «i liquidatori», come li chiamava nei suoi sempre più violenti scritti, non si poteva continuare a convivere. La Russia sarebbe presto esplosa nuovamente contro lo zar e per evitare che finisse come nel 1905, con inutili bagni di sangue, ci voleva un’organizzazione nuova, capace di dirigere la ribellione, di dare un programma agli operai e ai contadini, ci volevano grande determinazione e una rigida disciplina. Doveva costruire subito – pensava ossessivamente – un partito dei bolscevichi organizzato e diretto solo da lui, con propri finanziamenti e quadri competenti. Inessa con il suo entusiamo, la sua capacità di lavoro, le sue conoscenze gli sembra l’esempio del quadro giusto per l’organizzazione da costruire.

Lenin le chiede di fare delle traduzioni, di scrivere delle lettere, di cercare contatti, e le occasioni per vedersi tra i due si fanno sempre più frequenti. Il capo dei bolscevichi crede di cercare Inessa solo per utilizzare le sue capacità al servizio della causa e non si accorge di ciò che, invece, è immediatamente chiaro ai compagni di partito, nonché agli habitué del Café des Manilleurs: è conquistato dalla sua bellezza, dalla sua simpatia, dal suo carattere vivace, ironico, entusiasta. Quando lei mostra apprezzamento per i suoi scritti e i suoi discorsi, lui prova una gioia che nessun altro riesce a dargli. Quando la vede alle riunioni, non riesce a staccare gli occhi dal suo viso. In quei mesi, in cui ha modo di conoscere meglio «la compagna Armand», Lenin non ammette neppure a se stesso che Inessa gli piace perché è Inessa. E proprio questa inconsapevolezza lo trasforma in un uomo disarmato.