I matrimoni felici sono tutti uguali
Inessa e Aleksandr Armand si sposano in un pomeriggio di ottobre del 1893 nella Chiesa di San Nicola di Puškino, che con le sue cupole turchesi domina il villaggio. Centinaia di candele fanno brillare le icone dorate, mentre gli sposi sono immersi nel solenne e misterioso rito ortodosso: girano tre volte attorno all’altare, bevono, come da tradizione, la coppa di vino, indossano le corone d’oro, ascoltano le preghiere del pope.
Assiste alla cerimonia la grande tribù Armand, oltre settanta persone; con loro, gli abitanti del paese, in gran parte impiegati e operai delle aziende di famiglia che abitano nelle case di legno sotto la chiesa, accanto alle fabbriche tessili o, poco più lontano, nei boschi.
Inessa ha diciannove anni, ha conseguito il diploma e, dopo la morte della nonna, vive con la madre che, rimasta vedova, ha lasciato Parigi insieme alle altre due figlie ed è tornata a Mosca. Aleksandr è il primogenito maschio della famiglia che lei ha così a lungo frequentato, ha ventitré anni ed è rientrato solo da poco dalla Francia, dove ha studiato fisica, chimica e ha fatto pratica in un’industria tessile.
Dopo la lunga assenza, il giovane Armand ha ritrovato la bambina compagna di giochi e di studi trasformata in donna e se ne è subito innamorato. Anche lui è diventato un uomo. Un uomo concreto, gentile, paziente, tenace. Nelle foto del matrimonio ha l’espressione serena di chi cerca e coltiva il bene, e infatti il suo amore per Inessa si traduce nel desiderio di farla felice e darle tutto ciò che può appagarla. Decide di sposarla perché pensa che solo questa dedizione assoluta potrà costituire la sua personale felicità. Nel diario che Inessa inaugura, come si usava, con qualche parola del marito, si legge: «Che cosa posso scrivere? Che ti amo, che sei la vita, la luce che illumina per me ogni cosa e ogni luogo, ma tutto questo lo sai bene. Io sono niente senza di te».
Inessa, nel periodo del fidanzamento, durato circa un anno, sembra più confusa. Innamorata come può esserlo una giovane donna che non ha mai conosciuto l’amore, manifesta sentimenti contrastanti. «Ci sono persone», gli scrive in un momento di malinconia, «di cui mi fido più che di me stessa perché so che, se anche diventassi la peggiore delle donne, rimarrebbero miei amici, ma a me sembra che se io diventassi cattiva tu non rimarresti mio amico. Lo so, sto dicendo una cosa spiacevole. Ma io non voglio che fra noi ci sia alcun cattivo sentimento. Preferisco essere sincera con te». Se Aleksandr ha chiaro che vuole legare la sua esistenza a quella di Inessa, la giovane donna non sa ancora bene che genere di vita vuole costruire. Per lei il matrimonio è un inizio, il primo passo verso un futuro ancora incerto.
Dopo le nozze Aleksandr acconsente al desiderio di Inessa di non vivere nella grande dimora di famiglia a Puškino, ma di trasferirsi poco lontano, a El’digino, in una casa che la coppia ha ricevuto come dono di nozze. Qui nasce il primo figlio, Aleksandr come il padre, e a distanza di circa due anni l’uno dall’altro Fëdor, Inna e Varvara.
Nei nove anni successivi al matrimonio, sembra che in Inessa convivano tre donne. Innanzitutto una moglie felice e una madre amorevole che, nella solitudine di El’digino, dà alla luce i suoi quattro figli e se ne occupa con gioia.
«I matrimoni felici sono tutti uguali», dice Tolstoj nel folgorante inizio di Anna Karenina, e quello di Aleksandr e Inessa è un matrimonio felice. Lei, in quegli anni, non è – come molti in seguito hanno detto – una rivoluzionaria repressa. Non pensa alla rivoluzione e meno che mai al marxismo che – scriverà più tardi in una delle sue lettere – «non fu per me frutto di un entusiasmo giovanile, ma una lunga evoluzione da destra a sinistra». Trascorre molte ore nel grande giardino che circonda la casa giocando con i bambini. Nei lunghi pomeriggi si immerge nelle sue letture, oppure scrive su una carta, accuratamente scelta e senza spazi ai margini, le tante sue lettere. La possiamo immaginare mentre riceve le visite di parenti e amici, oppure attende il ritorno di Aleksandr dai suoi viaggi. O, ancora, mentre intrattiene gli ospiti al pianoforte che il marito ha fatto sistemare nel lato più bello del salotto, suonando i suoi compositori preferiti. Inessa a El’digino sembra felice. Anche se Aleksandr, che ha incarichi pubblici e dirige le aziende della famiglia, si assenta per lunghi periodi. Anche se soffre l’isolamento di quella casa immersa nella foresta, di quegli inverni russi sepolti dalla neve. Anche se di tanto in tanto avverte il pericolo di una sorta di inaridimento interiore. Potrebbe recarsi nella grande casa di Puškino che dista solo dieci chilometri, ma l’enorme residenza piena di zii, cugini, cognati, nipoti che, alcuni anni prima, era stata un mondo da scoprire, le sembra soffocante, i suoi ospiti non più attraenti, l’atmosfera noiosa.
Preferisce andare con Aleksandr a Mosca e stare alcuni giorni alla settimana in uno dei tanti appartamenti che la famiglia possiede in città, nel raffinato e signorile quartiere Arbat. Proprio a Mosca, fra le strade dell’Arbat, il Teatro Bol’šoj e i giardini che costeggiano il Cremlino, incontriamo la seconda Inessa. Una donna allegra, mondana, sempre elegante, nonostante le gravidanze che si susseguono. Frequenta i salotti, va ai concerti e a teatro, conosce attori, scrittori, artisti, intellettuali. Il suo lato frivolo, che non rinnegherà mai e terrà acceso anche nei momenti più difficili, in quegli anni si esprime nei vestiti vivaci, nelle acconciature, nei cappelli sempre all’ultima moda, in una penna rossa infilata fra i capelli.
Poi c’è la terza Inessa, che non entra in contrasto con le prime due, ma che di anno in anno sembra chiedere più spazio, fino a prevalere. È la donna turbata dalla povertà e dalle ingiustizie sociali della Russia del tempo. Condivide con il marito e con gli Armand la decisione di aprire una scuola per i figli dei contadini come ha fatto il suo amato Tolstoj. Dedica alla vita dei poveri della periferia di Mosca sempre più energie fino a trascurare i doveri mondani che il suo stato di signora borghese le imporrebbe. Non si tratta di un comportamento eccentrico: all’epoca molte donne dell’alta borghesia facevano filantropia e nella famiglia Armand era una propensione consolidata. Ma Inessa si distingue per la passione che la spinge a lavorare ben oltre la norma e, pian piano, con il completo accordo di Aleksandr, pronto a sovvenzionarla e a sostenerla nelle sue iniziative, a mettere in secondo piano le altre occupazioni. Insieme percorrono la campagna attorno a Puškino, osservano la vita dei contadini, discutono della condizione degli operai delle aziende tessili Armand, cercano soluzioni. E il loro matrimonio trova in quell’impresa una maggiore unità.
Nei suoi frequenti trasferimenti a Mosca, Inessa ama recarsi agli «incontri della domenica» di Minna Karlovna Gorbunova-Kablukov, borghese facoltosa, femminista convinta, che aveva contatti epistolari con Engels. Nel suo salotto si discute della condizione delle donne russe.
A Mosca ci sono 105 bordelli con 1178 donne. Perché – si chiede Inessa – non è possibile fare qualcosa per loro? Un giorno, dopo uno degli incontri della domenica, di ritorno a El’digino, ne parla a lungo con Aleksandr. Gli spiega che anche lei vorrebbe fare qualcosa, aiutare Minna, o immaginare una qualsiasi altra iniziativa per alleviare la sorte di quelle donne più sfortunate di lei. Tante idee le passano per la testa: una libreria, un’organizzazione, una scuola, un giornale. Sa che in Europa le donne cominciano a scendere in piazza e chiedono il diritto di voto con azioni dimostrative. Conosce la lotta delle suffragette.
Entra in contatto con Adrienne Veigele, segretaria della Women’s International Progressive Union di Londra, per costruire l’associazione anche in Russia. Non ci riesce, così come non riesce a fondare una «scuola della domenica» per prostitute. Tutti i tentativi falliscono e questa volta non per colpa del governo o dell’Ochrana, la spietata polizia politica zarista: Inessa ha avuto il permesso per quasi tutte le sue iniziative, ma la partecipazione delle donne e delle prostitute è stata scarsa. Fuori dalle accalorate discussioni dei salotti borghesi, la società russa è ancora arretrata e dormiente. A volte lei pensa che forse Tolstoj ha ragione quando a proposito della emancipazione delle prostitute ha detto: «La prostituzione c’era prima di Mosè e c’è stata dopo. C’era e ci sarà sempre».
Allora Inessa continua la sua vita di madre e di moglie. Quando può, va a Mosca, ma l’isolamento e la solitudine cominciano a pesarle. «Sono così infelice», scrive nel suo diario. Un vuoto invadente e inafferrabile comincia a farsi strada. Si reca in Svizzera perché uno dei suoi figli ha bisogno di cure e l’inquietudine aumenta. Spera che il ritorno in Russia le restituisca la calma. «Caro», scrive in una lettera ad Aleksandr, «qui è meraviglioso, ma sarò felice quando tornerò a El’digino». Qualcosa sta cambiando, la vita che ha condotto fino ad allora non le piace più. Pensa di studiare chimica, di aiutare l’associazione dei lavoratori legata alle aziende Armand, di scrivere… Quattro figli amatissimi, un marito devoto, il benessere e la ricchezza non le bastano.
Nel suo diario scrive che, secondo Jerome K. Jerome, «nessuno è mai contento e felice di quel che ha, che anche Cenerentola, una volta conquistato il principe e la ricchezza, avrebbe voluto di più». Anche per lei è così. Inessa cerca altro.