La lettera nascosta
La bandiera Sovietica, che da oltre cinquanta anni sventolava alta sul Cremlino, era stata ammainata da qualche mese, la dissoluzione dell’Unione delle repubbliche socialiste era cosa fatta, quando, un giorno del 1992, lo storico russo Dmitri Volkogonov, un ex comunista divenuto braccio destro del presidente della Federazione russa Boris El’cin, entrò nell’archivio del Pcus a Mosca, il più grande del mondo, situato nei sotterranei della sede del Comitato centrale il cui ingresso assomigliava più a un rifugio antiatomico che a una biblioteca. Volkogonov tolse il segreto di Stato e rese pubblici tutti i documenti. Il fatto suscitò sorpresa e scalpore. A Mosca arrivarono storici e ricercatori per studiare carte rimaste segrete per quasi un secolo: la verità sulla rivoluzione e sui primi anni del governo dei Soviet, le risoluzioni del Politburo, le carte pubbliche e private dei dirigenti dell’Internazionale, i documenti sulle rivoluzioni in Europa, in Asia e in Africa. E, come ci si aspettava, emersero squarci inediti dei rapporti fra i protagonisti del comunismo, si confermarono dubbi e leggende, affiorarono segreti inconfessabili.
Negli scantinati del grande palazzo si trovava anche l’archivio Lenin, dove erano custoditi i documenti che riguardavano il capo dei bolscevichi, le sue opere, i suoi tantissimi scritti, le lettere, le direttive, gli appunti. Nel corso della ricerca fu scoperto fra gli altri un documento che nessuno cercava e nessuno pensava di trovare. Nascosta in fondo a una scatola c’era una lettera scritta da Inessa Armand a Lenin nel gennaio del 1914. Una lettera d’amore e dolore che rivelava senza possibilità di dubbio quel che era stato negato dal regime e dagli storici Sovietici: la relazione sentimentale fra il fondatore dell’Urss e la donna che per anni gli era stata a fianco. Inessa, come disse Volkogonov in un’intervista rilasciata per l’occassione al Nouvel Observateur, era stata per Lenin «l’unica luce della sua vita, il suo raggio di sole».
Prima dell’apertura degli archivi, alcune lettere inviate da Vladimir Il’ič alla compagna Armand erano state pubblicate nella sua opera omnia, ma erano state scelte quelle che non lo compromettevano o erano state censurate. Il loro contenuto suggeriva un sodalizio politico, un’amicizia profonda e niente di più. Tutto quello che poteva insinuare il dubbio era stato accuratamente rimosso. Tutto, tranne quella lettera che non fu spedita e che quindi nessuno poté distruggere o censurare.
Quelle pagine, prima conservate da Inessa, poi finite in fondo a una scatola o forse messe lì intenzionalmente dalla figlia Inna, erano rimaste nei sotterranei del palazzo del Pcus. Fino al contrappasso: crollato ciò per cui Lenin e Inessa avevano combattuto, dal buio dell’edificio, simbolo di un potere ormai dissolto, era venuta alla luce la prova del loro amore.
«Eccomi di nuovo nella Ville Lumière, e il mio primo sentimento è di disgusto. Tutto mi è insopportabile: il grigio delle vie e dei palazzi, le donne vestite a festa, le conversazioni ascoltate per caso e persino la lingua francese. Quando sono arrivata a boulevard Saint-Michel e ad avenue d’Orléans, i ricordi mi hanno assalito da ogni parte. Mi sono sentita triste e impaurita. Ricordavo i sentimenti, le emozioni, i pensieri ed ero infelice perché non sarebbero tornati. Erano dovuti soprattutto alla spensieratezza della giovinezza e so che non ritorneranno. Ma che peccato non poter più pensare, sentire, vedere come allora. La vita passa ed è davvero triste. Triste perché Arosa non è stato che un momento di passaggio, un luogo transitorio. Ad Arosa eravamo ancora vicini a Cracovia, mentre a Parigi tutto è definitivo e senza speranza. Separati. Noi, mio caro, siamo separati. Ed è così doloroso per me. Lo so bene, lo sento che tu non tornerai mai qui. E rivedendo questi luoghi così familiari ho capito chiaramente, come mai prima, il grande posto che hai occupato nella mia vita quando eravamo insieme a Parigi. Tutto quello che ho fatto era legato dai mille fili dei miei pensieri per te. Certo allora io non ero innamorata, ma ti amavo già. Potrei oggi come allora rinunciare ai tuoi baci se solo qualche volta potessi parlarti. Sarebbe una gioia per me e non ferirebbe nessuno. Perché me ne hai privato? Mi chiedi se sono arrabbiata per la tua decisione di rompere. No, perché penso che non sia tu che l’hai voluta.
A Parigi i miei rapporti con N.K. erano buoni. Ma è stato nel corso delle nostre ultime conversazioni che lei mi ha confessato che le ero più cara e più vicina. Quanto a me, io le ho voluto bene fin dal nostro primo incontro, c’è in lei una tale dolcezza, un tale fascino. Ispira tanta fiducia. Quando ero a Parigi, mi piaceva andare a trovarla, restare nella sua stanza, sedere al suo tavolo e parlare con lei di cose che avevano importanza o che ne avevano poca. Quanto a te, allora mi intimidivi terribilmente, avevo un gran desiderio di avvicinarmi ma avrei preferito morire piuttosto che bussare alla tua porta e, quando arrivavi nella stanza di N.K., mi sentivo così goffa, così stupida. Invidiavo gli altri, quelli che erano così coraggiosi da entrare senza farsi annunciare nel tuo ufficio, che ti parlavano. È stato a Longjumeau, l’autunno seguente, quando ho fatto quelle traduzioni per te, che mi sono abituata alla tua presenza. Adoravo ascoltarti e soprattutto guardarti mentre parlavi. Intanto perché quando prendi la parola il tuo viso diventa così espressivo e poi perché eri talmente preso da quello che dicevi che non ti accorgevi che ti stavo osservando».
Inessa scrive queste righe, qualche settimana dopo aver lasciato Cracovia. Le informazioni che le giungono sono poche e gli accenni a Vladimir Il’ič riportati da qualche compagno non riescono a placare il senso di vuoto. È ferita e ancora non riesce a capire. Vorrebbe comunicare con lui senza reticenze. E con l’aiuto della penna ritrova la sensazione dei colloqui più intimi.
Comincia a scrivere una mattina e non riesce a fermarsi. Racconta dell’amarezza e dei sensi di colpa legati al suicidio di una giovane e carissima amica. Poi si scusa per lo spazio troppo ampio dedicato all’emotività; se quella lettera gli toglie troppo tempo, gli dice, può non leggerla tutta. Solo nelle ultime righe parla di «politica», delle persone che ha incontrato, dei contatti che ha avuto, di quello che si può fare per la Causa. E con quell’ultima parte gli manda un messaggio importante: anche se è lontana, anche se l’amore per lui è ancora vivo e la fa soffrire, è pronta a riprendere il lavoro e a tornare al suo fianco. L’impegno per la rivoluzione rimane prioritario.
Lenin non riceverà mai quella lettera: Inessa ha saputo che Vladimir Il’ič arriverà a Parigi alla fine del mese di gennaio con Malinovskij verso cui, nonostante gli avvertimenti di tanti, continua a nutrire un’ostinata fiducia. Preferisce che il loro incontro non sia preceduto da quella confessione. Quelle righe, scritte in un momento di sconforto, potrebbero rovinare tutto.
E infatti, quando si ritrovano Lenin non mette alcun muro fra loro. È a Parigi per appianare alcuni problemi del partito, fare delle conferenze e trovare dei fondi. È ospite degli amici Mazanov, che hanno una pensione dove abita anche Inessa, così, per qualche giorno, i due ritornano a stare sotto lo stesso tetto. Anche se le conferenze non danno i frutti sperati, Vladimir Il’ič non si lascia andare, come accade solitamente, alla rabbia, si rilassa, sembra contento. Nell’intimità della pensione familiare, nella città in cui lui e Inessa si sono conosciuti, convinto dall’atteggiamento della donna, che sembra avere accettato la fine della loro relazione, ritrova la passata intimità, si fa trascinare di nuovo dalla passione. Inessa non si illude, l’unica cosa importante per lei in quei giorni è che può continuare ad amarlo. Tutti e due sanno che si tratta di una parentesi che non porterà cambiamenti alle loro vite. Intanto Malinovskij osserva la loro intesa e prende nota. Proprio in quei giorni gli agenti dell’Ochrana a Parigi trasmettono ai loro capi un’importante informazione: Inessa Armand è l’amante del capo dei bolscevichi.