Capitolo venti

Mi svegliai con il corpo caldo di Blake rannicchiato intorno a me. Mi stiracchiai e lui mi stampò baci pigri e lenti lungo la schiena. Avevo dormito – un sonno efficace, riposante e senza incubi – e al risveglio avevo le mani e la bocca di Blake su di me. Doveva essere il paradiso.

Premette le labbra sul mio collo, succhiando dolcemente.

«Niente più succhiotti», lo ammonii.

Rise contro la mia pelle. «Non ero sicuro che ti avrei effettivamente rivisto. Dovevo lasciare il marchio».

«Sì, ti sei fatto riconoscere per bene».

Si fermò e mi girò per guardarmi in faccia. «James lo ha visto?».

Feci una pausa. «Lo ha notato, sì».

La sua espressione era impassibile, ma vedevo le emozioni scatenarsi dietro i suoi occhi. «Cosa significa lui per te esattamente?».

Mi morsi il labbro, chiedendomi cosa dire per non farlo cedere a una gelosia rabbiosa. «Pensalo come se fosse la mia Sophia. È un amico che vuole di più, ma comunque un amico».

«Se lui ti vuole, allora vorrei che se ne andasse. Puoi trovare qualcun altro che faccia il suo lavoro».

Alzai gli occhi al cielo. «E io vorrei che se ne andasse Sophia. Quindi saremo scontenti tutti e due per un po’».

«È una cosa totalmente diversa. Sophia vive a New York. Tu lavori con quell’uomo, faccia a faccia quasi tutti i giorni. Se io avessi in ufficio una che cercasse di scoparmi su base giornaliera, daresti di matto».

Sospirai. «Io e James non abbiamo una storia ed è una persona per bene. Non sta tramando per portarmi via da te». Di quello ero convinta, ma certo non era un sostenitore di Blake. «Possiamo lasciar cadere il discorso per ora?»

«Non sopporto che ti abbia messo le mani addosso».

«E allora non pensarci, perché non conta niente».

Sollevai la testa per baciarlo, pregando che non scoprisse mai che James mi aveva messo anche la bocca addosso. Mi appoggiai di nuovo a lui e gli disegnai il contorno della mascella. Il suo viso sembrava più morbido, riposato. Forse neanche lui aveva dormito tanto bene senza di me.

«Parlando di lavoro, a questo punto dovrei incontrare Risa e chiarire questo casino».

«Non si può aspettare fino a lunedì?»

«Forse. Ma nel caso lavorasse da casa, probabilmente si chiederà come mai non riesce ad accedere alla sua casella di posta».

«Lascia che si arrovelli. Il tuo tempo è speso meglio a letto con me. Dobbiamo recuperare quello che abbiamo sprecato».

«Ah sì?»

«Pensavo di baciarti dalla testa ai piedi fin quando non mi implorerai di smettere. E pensavo di prendermi almeno un’ora per leccartela tutta». Fece scivolare la mano a coprirmi il pube. «Già, almeno un’ora. Poi vediamo… che altro?».

Risi. «Va bene, ho capito, ma dovrei andare di sotto a darmi una rinfrescata».

«Che senso ha? Puoi farti la doccia qui. Non servono vestiti. Ti voglio nuda nel mio letto tutto il giorno. Ti legherò se sarà necessario. Lo sai che lo faccio». Sembrava serio, ma sul viso apparve un accenno di sorriso.

«Dovremo anche guardare in faccia la realtà, sai».

«Nah». Portò la bocca sul capezzolo accarezzandolo con la lingua, solleticandolo fino a che un languore familiare non mi si accese nel ventre.

Sibilai e mi inarcai contro di lui, facendogli scivolare le mie dita tra i capelli. Mi infilò dentro un dito, piegandolo per toccare quel punto che mi faceva impazzire.

«Non ho ancora usato nessuno dei miei giocattoli su di te. E tu sei in un mare di guai per tutto quello che hai combinato».

Gemetti e sollevai i fianchi per rendere più profonda la sua penetrazione. Avevo voluto il Blake dominatore. Eccolo qua.

Squillò il telefono, interrompendo quel momento. Ancora nella presa di Blake, allungai la mano per afferrarlo. Sid. Grazie al cielo.

«Ciao».

«Ciao, ehm. C’è la polizia qui».

«Cosa?»

«Devono farti delle domande su un certo Mark MacLeod. Dicono che lo conoscevi».

«Merda. Okay scendo subito».

Intanto Blake infilò un altro dito e mi morse il capezzolo. Il mio cervello ebbe una sbandata, cercando di decidere che direzione prendere. Tentai di spingere via Blake, ma era fermo e irremovibile, negli occhi balenava la malizia.

«Ah, sei qui?», chiese Sid.

Mi mancò il fiato. «Sì, sono da Blake. Dammi qualche minuto».

Riagganciai e Blake mi prese l’altro capezzolo in bocca, le guance si infossarono mentre lo succhiava in modo lento e delizioso.

Lo allontanai delicatamente. «Alzati, devo andare».

«Perché? Chi era?».

Allentò la presa e io scivolai via, per infilarmi di corsa i vestiti della sera prima. La mia mente era a mille. Daniel aveva dato per scontato che le indagini fossero concluse. Cosa diavolo erano venuti a fare qui?

«Era Sid. C’è la polizia di sotto. Vogliono parlare con me».

Si tirò a sedere velocemente. «Vuoi che venga con te?»

«No».

«Erica, questa è una di quelle cose per cui forse dovrei esserci».

«No, Blake. La risposta è no. Me la gestisco io. Non voglio che tu assista. Ti prego, dimmi che mi darai retta su questo».

Esitò. «Perché pensi che siano venuti? Ti faranno domande su Daniel. Cosa pensi di dirgli?»

«Qualcosa mi inventerò, okay?».

 

Cercai invano di calmare i nervi prima di entrare nel mio appartamento. Non mi presentavo al meglio con addosso i vestiti della sera prima, ma di certo non ci avrebbero fatto caso. Pregai che Blake tenesse fede alla sua promessa e rimanesse al piano di sopra, perché non mi fidavo e avevo paura che dicesse alla polizia qualcosa che non doveva.

Entrai e due uomini mi salutarono. Uno era alto e magro, castano, l’altro era più basso e robusto, intorno alla cinquantina, i capelli quasi completamente grigi. Entrambi, però, apparivano amichevoli, cosa che mi riempì di gratitudine perché ero terrorizzata all’idea di doverci parlare.

Quello alto si rivolse a me per primo. «Ci dispiace presentarci così presto. Sono il detective Carmody e lui il detective Washington. Speravamo di poter parlare con lei in merito al suo coinvolgimento con Mark MacLeod».

Coinvolgimento? «Cosa intende dire?».

Washington mise la mano in tasca e tirò fuori una manciata di fotografie che sembravano scattate la sera del gala. Stavamo ballando, Mark aveva il braccio avvolto saldamente intorno a me. Io ero di spalle. In un’altra, la sua bocca era a pochi centimetri dal mio orecchio, sul suo viso un sorriso compiaciuto. Era l’espressione che ero contenta di essermi persa mentre mi diceva che mi avrebbe dato la caccia. Repressi una smorfia a ricordare la sua voce, il suo respiro sulla mia pelle quella notte. Sollevai invece lo sguardo, aspettando che proseguissero.

«Queste sono state scattate da un giornalista poco prima della sua morte. Gli ospiti hanno identificato in lei la donna. Lo conosceva bene?».

Scossi il capo. «No. Non lo conoscevo affatto bene. Lo avevo visto un paio di volte per questioni di lavoro che stavo gestendo con la sua azienda».

«Da queste foto sembra molto più che un conoscente», disse Washington.

«Sì lo vedo. Ci ha provato parecchio con me. Gli ho concesso un ballo, ma poi non l’ho più visto. Era piuttosto carino, ma non mi interessava».

«Come si è comportato quella notte?»

«Mi è venuto dietro, come ho detto. Sembrava ubriaco. Non lo so. Abbiamo parlato solo qualche minuto prima di ballare, poi sono andata via presto dal gala. Non mi sentivo bene».

I due si scambiarono un’occhiata. Carmody rimise le foto nella busta e Washington mi fissò di nuovo. Cercai di non agitarmi né di sembrare nervosa.

«Scusate, ma sono confusa. Si è suicidato, vero? State cercando di capire perché lo abbia fatto?». Le parole mi uscirono di getto e il cuore prese a battermi forte.

A parlare fu Carmody. «Quando il figlio di un personaggio di spicco muore improvvisamente, dobbiamo fare il nostro dovere. Stiamo cercando di escludere le altre possibili cause di morte».

«Ah, non avevo capito. Mi sembrava di aver sentito che le indagini fossero chiuse».

«Non ancora, purtroppo». Carmody si strinse nelle spalle.

«C’è qualcos’altro che potrebbe dirci?»

«Non credo. Vorrei tanto. Onestamente, sono rimasta davvero scioccata dalla notizia». Quello era vero.

«Non è la prima a dire una cosa del genere, che è poi il motivo per cui stiamo cercando di parlare con tutti quelli che lo conoscevano bene».

Annuii. «Sto male a pensare ai suoi genitori. Devono essere devastati». Cercai di mostrare quanta più compassione possibile. Non riuscivo a credere che quelle parole uscissero dalla mia bocca né alla facilità con cui stessi interpretando il ruolo di chi si trova coinvolto per caso, senza nessuna colpa e all’oscuro di tutto. Forse era la conseguenza delle lunghe settimane che avevo trascorso cercando di convincermi di essere quello che non ero.

«Lo sono. È una cosa bruttissima. A volte non ci sono risposte al perché la gente compie questi gesti. Comunque, la ringrazio per il suo tempo e per il disturbo».

Washington si mise una mano in tasca e ne tirò fuori un biglietto da visita. «Questo è il mio biglietto. Ci chiami se le viene in mente qualsiasi cosa, va bene?»

«Lo farò senz’altro».

Se ne andarono e io mi buttai a sedere su una sedia accanto al piano della cucina, sollevata di essere riuscita a sostenere l’interrogatorio senza crollare. Onestamente pensavo che non sospettassero di me e poi, perché avrebbero dovuto? Il mio legame con Mark era noto solo alle mie più strette conoscenze.

Non appena se ne furono andati fece la sua comparsa Blake.

«Che è successo?»

«Niente. Hanno delle foto di me e Mark mentre balliamo al gala. Volevano sapere che rapporto avevamo. Ho spiegato che eravamo solo conoscenti e che ci aveva provato con me. Mi sono sembrati soddisfatti e se ne sono andati».

«Allora non credono che quello di Mark sia un suicidio?»

«Non posso dirlo per certo, ma mi sono sembrati piuttosto convinti di quella versione. Ho avuto l’impressione che dovessero imboccare una serie di vicoli ciechi prima di chiudere tutto. Ma non lo so».

«Va bene, torna di sopra adesso».

«Ormai sono qui. Fammi dare una sistemata e salgo appena ho fatto». Per quanto volessi trovarmi nella bolla calda e sicura di Blake dopo settimane di separazione, avevo bisogno di un minuto da sola con i miei pensieri.

Esitò per un attimo. «Okay, non metterci tanto». Mi baciò e se ne andò.

Entrai in bagno per farmi la doccia. Considerai l’ipotesi di tornare su, dove avremmo potuto nasconderci. Certo, indugiare nel letto con Blake per tutto il giorno non era una brutta prospettiva, ma ero ben cosciente delle ragioni che ci spingevano a restare rinchiusi. Fino a quel momento, le uniche soluzioni sul tavolo erano di uscire allo scoperto come figlia di Daniel, una saga di cui non avrei potuto prevedere le complicazioni, oppure Blake che portava l’attenzione su affari loschi che avrebbero indubbiamente rovinato la campagna elettorale di Daniel e con ogni probabilità la sua intera carriera. Mi era molto difficile accettarne una come via percorribile.

Mi asciugai e guardai fuori dalla finestra. Connor aveva parcheggiato lungo la strada, quasi fuori dalla mia visuale. Sentii una scarica di emozioni e capii quello che dovevo fare.

Indossai jeans e maglietta e mi infilai le scarpe da ginnastica. Scrissi velocemente un biglietto e lo lasciai sul tavolo prima di precipitarmi giù per le scale. Clay era di guardia accanto alla Escalade.

«Signorina Hathaway».

«Clay. È un da po’ che non ci vediamo. Di nuovo all’opera, vedo».

«Sì, signora».

«Bene, in bocca al lupo. Faccio un salto al supermercato. Torno tra un attimo».

Annuì e io mi incamminai a passo svelto lungo il marciapiede. Avevo solo pochi minuti per fare quello che dovevo. Attraversai la strada e bussai al finestrino di Connor. Lui lo abbassò e mi scoccò una severa occhiata.

«Portami da lui».

«Salga».

Aprii la portiera e mi lasciai portare via.

 

Non avevo idea di dove stessimo andando fino a che non vidi apparire i familiari container del Boston Sand & Gravel. Imboccammo diverse vie secondarie sotto il groviglio di sopraelevate, per poi ritrovarci in un’area isolata, nascosta ai vagoni del treno e ai magazzini vuoti nel weekend.

Daniel era appoggiato al suo SUV Lexus, in pantaloni cachi e camicia bianca. Fumava di nuovo. Avrebbe dovuto smettere, pensai stupidamente. Si staccò dalla macchina e ci venne incontro. Scrutai i dintorni. Eravamo davvero soli in quel momento. Con le sopraelevate sopra di noi nessuno mi avrebbe sentito se avessi gridato. Uscii dalla macchina, combattendo l’istinto di scappare nella direzione opposta. Nonostante mi avesse fornito più di una motivazione per non farlo, ero determinata a incontrarlo a quattr’occhi.

Lanciò via la sigaretta e mi si parò davanti con le braccia conserte. Le labbra erano serrate in una linea dura.

«Connor mi ha detto che hai gironzolato in lungo e in largo con Landon. Eppure sono certo che ne avessimo già parlato».

«E ti ha detto anche che è venuta la polizia stamattina?».

Strabuzzò gli occhi e li rivolse di scatto verso Connor. Per la prima volta vidi passare un’emozione sul viso di quell’uomo. Sembrava… sconvolto.

«Non li ho visti, signore, mi dispiace».

Daniel tornò a guardare me.

«Sarà stato nella pausa caffè. Non preoccuparti, ho fatto due chiacchiere con loro», dissi.

«Che cosa gli hai detto?».

Aspettai, volevo che arrostisse nell’attesa.

Le sua labbra si fecero più sottili. «Faresti meglio a parlare».

«Hanno le foto di Mark che balla con me al gala».

«Che cosa gli hai detto?».

Lo guardai dritto negli occhi, mantenendo il mio viso più fermo e impassibile che riuscii.

«Che cosa gli hai detto, maledizione?». Mi afferrò per le spalle, scuotendomi.

«Lasciami». Mi liberai dalla sua presa, senza fiato per l’adrenalina che pompava nelle vene. «Non mi toccare. Mai più».

Con la coda dell’occhio colsi il movimento di Connor. Aveva divaricato le gambe, come se fosse pronto a scattare al comando di Daniel.

«Ho mentito, Daniel. Ho mentito come una professionista. Dovresti essere fiero di me. E vuoi sapere perché?»

«Se me lo concedi».

«Perché per quanto abbia cominciato a odiarti, per qualche inesplicabile ragione ci tengo ancora a te. Ci tengo alla tua vita e alla tua libertà, e ci tengo anche a quella tua stupida campagna elettorale del cazzo. Ho la mano sul grilletto e non riesco a sparare». Presi fiato, cercando di tenere a bada il tremore. «Perché io non sono così. Non sarò mai come te. Non mi metterò mai in mezzo per un divertimento malato e ingordo».

«Sono sicuro che non è l’unica ragione».

«È l’unica ragione. Non ho più paura di te».

Mi scoccò un sorriso gelido, le labbra arricciate in un ghigno. «Forse dovresti».

«Farò prima io a mandarti in galera per omicidio che tu a uccidermi, Daniel. Ah, per non parlare di ostruzionismo alla giustizia».

Socchiuse gli occhi per un attimo.

«Già, Blake mi ha raccontato tutto. Come ci si sente a sapere che il grande disturbo che ti sei preso per parare il culo a Mark non è servito ad altro che a spianargli la strada per fare quello che ha fatto a me e a tante altre ragazze?».

Serrò la mascella.

«Grazie davvero, papà».

Sussultò leggermente a quella parola. Avevo fatto centro e quello mi rese audace.

«Le minacce, la manipolazione, tu che cerchi di assimilarmi al tuo mondo. Tutto questo schifo deve finire. Oggi stesso».

Scoppiò in una breve risata. «E questa chi te l’ha suggerita?»

«Quando mamma è morta io non avevo nessuno. Nessuno». La mia voce vacillò, ma deglutii per controllare l’emozione. «Lei mi ha dato tutto l’amore possibile fin quando ha potuto. E da quel momento in poi ho dovuto trovare il modo di andare avanti da sola. Ho fissato le regole. Trovato la soluzione. Anche quando personaggi come Mark sono entrati nella mia vita e hanno minacciato di distruggere tutto, io sono sopravvissuta. E rifiorita. E tu non me lo toglierai. È troppo tardi perché qualcuno possa decidere della mia vita. Che sia tu, o Blake. O chiunque altro».

Fece un gesto verso Connor, che si allontanò abbastanza da non sentire. Mi rilassai un po’.

«Sembri piuttosto sicura di te. Ho capito che stai cercando di essere forte, ma penso che abbiamo già parlato di come la penso sulle persone che mi minacciano».

«Non ti sto minacciando. Sto cercando di farti ragionare, dato che sei stato irragionevole fin dall’inizio. Se il nostro rapporto significa qualcosa per te, non pensi che anch’io meriti di avere voce in capitolo?».

Non cambiò espressione. Non avrebbe ceduto facilmente.

«Oggi ho capito una cosa. Da quando Mark è morto hai reso la mia vita un inferno e io avrei fatto di tutto per farlo finire. Ma non posso stare a guardare mentre tu vai in prigione e la tua campagna va a rotoli per mano mia. E tu non puoi annientare la tua stessa figlia. Da qualche parte in quel tuo cuore di pietra, mi vuoi bene. E puoi volermi bene e fidarti di me senza dovermi possedere. Non è proprio un idillio tra padre e figlia, ma suppongo che in qualche strano modo, questo sia amore».

Non fece cenno di voler parlare, quindi proseguii. Avrei tirato fuori tutto. Non avevo più niente da perdere.

«Lo so che amavi mia madre. Ti si legge negli occhi ogni volta che parli di lei».

Sussultò, le mascelle serrate. «Non mi parlare di Patty. Non sai niente di niente».

La mia voce si abbassò. Ne avevo abbastanza di urlare. «Non so cosa sia successo tra voi due, ma sono sicura che se foste rimasti insieme, la mia vita sarebbe stata molto diversa. Nessuno di noi può cambiare la situazione adesso. Ma cercare di tenere il timone della mia vita a questo punto non funzionerà per nessuno dei due, credimi. Se ancora provi un briciolo d’amore per lei, o di rimpianto o qualunque cosa sia quello che ti sei lasciato alle spalle, ti supplico di lasciare perdere tutta questa storia e di essere il tipo di uomo che lei voleva che fossi prima che la cancellassi dalla tua vita».

Socchiuse di poco le labbra, poi fissò lo sguardo alle mie spalle. Colsi un fremito di emozione in lui, la sofferenza che pensavo di aver frainteso in precedenza, quando gli parlavo di mia madre. Mi stavo giocando il tutto per tutto nella speranza che in qualche remoto angolo del suo cuore la amasse ancora. Abbastanza da amare me.

Emise un lungo respiro. «Non avrebbe mai funzionato. Le ho fatto un favore a chiudere. Non sarebbe mai stata felice di fare questa vita».

«E allora perché io dovrei?». Alzai le braccia al cielo, esasperata.

Daniel si infilò le mani in tasca e tornò a guardarmi. Restammo così per un lungo momento.

Guardare nei suoi freddi occhi azzurri mi riempì di emozioni contrastanti. Ognuno di noi avrebbe dovuto essere una figura importante nella vita dell’altro. Un padre e una figlia. Invece eccoci qui, tra litigi e minacce. I nostri cuori traboccavano di rabbia e di mancanza di fiducia. Ma, in fondo in fondo, doveva esserci qualcosa che valesse la pena proteggere, pur se così flebile e sepolto tanto in profondità sotto il fango, che a malapena riuscivo a credere che esistesse.

Interruppe il contatto visivo e tirò fuori un’altra sigaretta. Gli tremavano leggermente le mani mentre l’accendeva. «Hai detto la tua. Allora cosa vuoi?».

Sospirai. «Niente più appostamenti. Non voglio più vedere quella faccia da cazzo di Connor. E niente più minacce. Stai lontano da Blake e da me fino a quando, prima o poi, non senta di potermi di nuovo fidare di te».

«Lui sa tutto adesso, presumo».

«Non preoccuparti di lui. So che è difficile per te darmi fiducia, ma non hai una vera e propria possibilità di scelta».

«Forse è di lui che non mi fido».

«Se fa del male a te, lo farà a me. E mi ama troppo per rischiare una cosa del genere».

Tacque un istante. «E se smettesse di amarti?».

Quelle parole mi piombarono addosso. Avevo passato giorni di agonia, proprio per la paura che accadesse. Gli avevo dato una marea di ragioni per non amarmi più, ma non si era arreso su di noi. «Non gliene darò mai motivo».

«E il lavoro alla mia campagna? Immagino che tu voglia tirarti indietro anche su quello».

«Se posso fidarmi sul fatto che porrai fine a questa follia, ti aiuterò. Ho parlato con Will e abbiamo messo su un buon piano che mi permetterà di consultarmi con il tuo team senza dover lasciare il mio lavoro. Mi è sembrato che la ritenesse un’ottima soluzione, ma voleva discuterne prima con te. Ne deduco che non l’abbia ancora fatto».

Scosse il capo e un sorrisetto gli curvò le labbra.

Corrugai la fronte. «Che c’è?»

«Onestamente, a questo punto non riesco a capire se sei più simile a me o a lei».

Non riuscii a reprimere un sorriso a mia volta.

«Già, a volte me lo chiedo anch’io».

Mi agitai un po’. Quella conversazione era diventata in qualche modo surreale. L’avevo davvero appena spuntata su Daniel Fitzgerald?

«Ascolta, ora devo andare, prima che Blake mandi una squadra di ricerche».

«Non sa che sei venuta da me?»

«Oddio, no. Sono dovuta sgattaiolare fuori casa evitando le guardie del corpo. Probabilmente in questo momento sarà furioso».

Socchiuse leggermente gli occhi. «Bene, immagino che non debba preoccuparmi che lui si prenda cura di te».

Risi. «Non ce n’è motivo, credimi».

Con un profondo sospiro, lanciò via la sigaretta. «Va bene, lasciamo stare tutto allora. Ma vorrei rivederti presto per discutere la logistica».

Esitai percependo nella sua voce un tono autoritario che minacciava di riportarci dritti al punto di partenza. «Ti chiamo io. Francamente, mi serve un po’ di tempo per rimettere in piedi la mia relazione e la mia azienda dopo tutto quello che è successo».

Annuì. «Bene. Connor ti riaccompagnerà a casa. Sempre che tu lo possa accettare».

«Sì, se non ha in programma di uccidermi e buttare il mio cadavere nel fiume».

 

Chiamai Blake sulla via del ritorno. Aveva telefonato dozzine di volte da quando me n’ero andata e immaginavo che fosse infuriato.

«Erica, dove cazzo sei?»

«Sto tornando a casa, per favore, calmati».

«Ma dove sei stata? Mi lasci un biglietto in cui mi dici di non preoccuparmi e poi sparisci nel nulla?»

«Non ti stai calmando. Sarò a casa tra dieci minuti. Di’ alla squadra di picchiatori di stare buona».

«Dov’eri?»

«Sto bene. Va tutto bene, giuro».

Connor mi lasciò in fondo alla strada. Per quanto desiderassi vedere Clay e i suoi amici dargli una lezione, non sarebbe stato proprio nello spirito pacifico che stavo cercando di instaurare con Daniel. Mi avvicinai all’ingresso del palazzo. Blake faceva avanti e indietro come un pazzo, rovesciando parole infuocate su Clay e un altro tizio muscoloso vestito di nero.

Non appena il suo sguardo si posò su di me, mi venne incontro. Mi aspettavo che iniziasse a gridare e dare di matto, invece mi intrappolò in un abbraccio che mi lasciò senza fiato per quanto era stretto.

Mi rilasciò abbastanza da guardarmi negli occhi. Il viso era teso, la pelle tirata sui suoi bellissimi lineamenti. Gli tremava leggermente la mano quando mi prese il viso. «Non andartene mai più così. Promettimelo».

Annuii e deglutii, sentendomi sempre meno coraggiosa e molto più in colpa ogni minuto che passava.

«Promettimelo, Erica».

«Te lo prometto. Scusami. Dovevo vederlo e sistemare le cose».

Spalancò gli occhi. «Cosa? Chi?»

«Daniel».

Fece un passo indietro e si infilò le dita tra i capelli. «Mi prendi in giro. Ti prego, dimmi che è uno scherzo».

«È tutto a posto ora. L’ho fatto ragionare. Era arrabbiato, certo, ma penso di essere riuscita finalmente a fare breccia e a fargli capire chi sono. Ci lascerà in pace».

«E come lo sai? E se lo avesse detto solo per calmarti? E se… Cristo, Erica. Non riesco a credere che tu l’abbia fatto».

Ci pensai per un secondo. Il mio incontro con Daniel sarebbe potuto finire male, in modo totalmente diverso da come era andato. Blake non si sarebbe mai perdonato se mi fosse successo qualcosa.

«È mio padre, Blake. A volte è orribile, ma non mi farà del male». Sospirai, sollevata di poterlo finalmente credere. «Siamo arrivati a capirci. Ha promesso di farsi da parte».

«E tu gli credi?»

«Sì, gli credo».

 

Trascorsi il resto della giornata ripetendo a Blake fino alla nausea la mia conversazione con Daniel, cercando di convincerlo che non avremmo più avuto problemi. Era ancora scettico, ma lo avevo perlomeno convinto che al momento non c’era necessità di diffondere informazioni compromettenti. Gli feci giurare sulla nostra relazione che non lo avrebbe fatto.

Io e Risa ci accordammo per vederci da Mocha la domenica mattina. Aveva sospettato che qualcosa non andasse, ma volevo parlarle a quattr’occhi. Era l’occasione migliore per me per raccogliere quante più informazioni possibili su quello che lei e Max stavano tramando dietro le quinte.

«Ciao». Scivolò sulla sedia di fronte a me, allegra e dolce all’apparenza, come al solito.

Inclinai la testa di lato e la guardai, come se la vedessi per la prima volta. In un certo senso era così. Vedevo la persona che era sempre stata, alla luce di quanto avevo scoperto.

«Sono piuttosto sconcertata, Risa».

Impallidì quasi impercettibilmente. «Che cosa vuoi dire?»

«Sono curiosa. Per quanto tempo ancora avresti finto di far parte della squadra, prima di tagliare la corda? Lo avresti fatto alla prima occasione o tu e Max avevate un piano a lungo termine?».

Tentennò. «Non sono sicura di capire quello che mi stai dicendo».

«Ho visto che hai mandato i file a Max, quindi puoi cominciare a essere sincera. Quello che voglio sapere è come sei passata dall’amare il tuo lavoro e aver cura dell’azienda, a fornire a terzi con propositi vendicativi informazioni riservate, perché davvero non lo capisco».

La sua espressione cambiò, un velo di acidità le si dipinse sul viso. «Davvero non lo capisci, Erica? Lavorare con te è stato un incubo fin dal primo giorno. Tutti pensano che tu sia la grande visionaria che ha creato il business, ma dove saresti senza persone come me? Mi sono fatta il culo per te e per cosa? Per farti prendere tutti i meriti?».

Corrugai la fronte. «Scusa, ma non è il tuo lavoro?»

«Lo sarà quando io e Max lanceremo un nostro sito. È già in costruzione e ci stiamo portando dietro tutti gli inserzionisti, considerati avvisata».

Scoppiai a ridere per lo shock. Il suo tradimento era andato ben oltre quanto avessi immaginato.

«Wow, Risa. Hai dato il meglio di te. E anche Max a quanto pare. Mai sottovalutare il potere della gelosia». Max non si sarebbe fermato davanti a niente pur di battere Blake. Mi rammaricai di non avergli dato retta quando mi aveva messo in guardia.

«Pensala come ti pare. Ti auguro buona fortuna e di riprenderti dopo una botta come questa. Te ne pentirai».

«Quello che non hai considerato è che il successo dell’azienda non dipende da te. E neanche da me. Potrebbe andare via chiunque a questo punto, ma l’azienda sopravvivrebbe. Tu facevi parte della squadra, ma immagino che abbia perso completamente di vista cosa significhi. Auguri per la tua attività condotta con una filosofia fondata sulla gelosia e sugli inganni sottobanco».

«Va’ all’inferno», sbottò.

Mi alzai per andare via. Avevo sentito tutto quello che dovevo. Prima di allontanarmi, però, mi bloccai di nuovo.

«Ah, Risa, un’altra cosa».

«Cosa?».

Lasciai che un sorriso mi si aprisse lentamente sul viso. «Blake vuole che ti riferisca che non è interessato».