Capitolo sedici
Il giorno dopo, trascorsi gran parte della mattinata oscillando tra le fantasie delle mani di Blake di nuovo su di me e i rimproveri a me stessa per avergli permesso di mettercele, tanto per cominciare.
Le sue parole mi avevano colpito profondamente. Senza casa e senza radici, da quando l’avevo lasciato, mi sembrava di fluttuare nella mia vita. Un satellite in orbita senza destinazione né scopo. Il mio terreno più solido era con Blake e lo avevo abbandonato. Anche se erano in gioco le nostre vita, non potevo negare la realtà.
Quello che era successo nel mio appartamento era stato fugace, ma avevo oltrepassato un confine pericoloso. E se avesse cominciato di nuovo a cercarmi? Ero riuscita a distogliere Daniel e Connor dalle sue tracce ed ecco che di nuovo giocavo con il fuoco.
Il telefono ronzò segnalando un messaggio di Alli.
Puoi parlare?
Aspettai un attimo prima di rispondere, per darle l’impressione che non avessi tempo.
Sommersa di lavoro. Ti chiamo dopo.
L’ho già sentita questa. Sei un disco rotto.
Posai il telefono e feci caso all’ora. Era in pausa pranzo, quindi con il tempo contato. Se avessi tenuto il punto per la successiva mezz’ora, sarei stata in pace fino a quando staccava, quasi sempre abbastanza tardi. Sobbalzai allo squillo del cellulare. Mi stava chiamando. Abbassai la suoneria e lasciai partire la segreteria telefonica. Non potevo parlarle in quel momento. Non avevo idea di cosa le avesse raccontato Heath o di cosa avrei potuto dire io. Piuttosto che mentire alla mia migliore amica, preferivo non dire niente.
Se non mi richiami, prima o poi ti vengo a stanare. Lo capisci, vero?
Sorrisi. Alli e le sue finte minacce. Aprii la cartella con le foto e scorsi gli ultimi scatti. Avevo fatto una serie di selfie con Blake nella limousine mentre andavamo al gala. Era splendido in smoking, e in almeno metà delle immagini faceva le boccacce, fingendo di aggredirmi alle spalle.
Risi e provai una fitta. Mi strofinai il petto dove sentivo dolore. Il cuore, quel punto vuoto, aveva ricominciato a pulsare di vita. Da quando avevo lasciato l’appartamento il giorno prima, mi ero ricordata di quanto fossi felice con lui, come in quelle foto. L’ultima volta che avevo provato qualcosa di simile era stato in spiaggia con James, ma era stato un istante brevissimo. Per qualche miracolo mi aveva fatto ridere e dimenticare la mia situazione. Dovevo dargliene atto.
Posai il telefono. Dovevo smetterla di torturarmi. Avevo fatto tanto per tenere Blake al sicuro, lontano dalla mia vita. Ero andata più in là di quanto avessi mai ritenuto possibile. Ma in quel momento era come trovarsi su un treno ad alta velocità che viaggiava all’indietro, permettendo a quella forte dipendenza da Blake di far presa di nuovo.
Controllai l’orologio. Era ora del mio quotidiano tentativo di pranzare. In realtà ciò che desideravo veramente erano liquidi per soli adulti, ma per quelli avrei dovuto aspettare. Feci un salto da Mocha e mi misi in un tavolo all’angolo a guardare il menu.
«Ciao, donna».
Simone scivolò sulla sedia di fronte a me.
«Ciao», dissi.
«Novità?»
«Ah, lo sai. Sempre le stesse cose. Ho parecchio lavoro».
«Sì? E come sta il tipo del finanziamento?». Protese le labbra e poggiò il mento sul palmo della mano. Sembrava proprio in vena di chiacchiere. Il che mi preoccupava, perché io non lo ero.
«Sta bene».
«E James? Sempre innamorato di te, immagino».
«Non so se si possa definire amore».
«Desiderio?». Inarcò le sopracciglia di scatto come se tutto sommato non fosse proprio un male.
«No, non è quello. È un bravo ragazzo. Non lo so. Di certo l’attrazione c’è».
«Stai pensando di scaricare il tizio del finanziamento per lui?».
Scossi il capo. «Non sto più con Blake. E no, non sono ancora pronta per stare con qualcun altro. Mi piace l’amicizia con James, ma sento anche che non sarebbe leale nei suoi confronti perché so che lui vorrebbe qualcosa di più. Che opinione ti fai su di me?».
Si strinse nelle spalle. «È grande e grosso. Se tu lo consideri un amico, sono quasi sicura che si farà una ragione del fatto che non sei pronta per un’altra relazione. Se poi vuole insistere e correre il rischio di venire rifiutato, sta a lui».
Sospirai. «Forse hai ragione. Ho solo paura che prima o poi mi esploda tutto tra le mani».
«Quando le relazioni nascono sul posto di lavoro quel rischio c’è sempre».
«Lo so. Lo capisco, mi sento come se ormai fosse troppo tardi, sai? Se gli dicessi semplicemente che non possiamo più essere amici causerei parecchia tensione».
«Sembra che tu di tensione ne abbia già abbastanza».
Gemetti. «Lo so. Gesù, che casino».
«Be’, non spezzargli troppo il cuore perché quando tu lo pianterai, ci sarò io alla riscossa».
Risi. «Perché aspettare? Fammi un favore e toglimi qualche peso».
«Che tu ci creda o no, Erica, ti considero un’amica e non inizierò volontariamente un triangolo amoroso con te».
«Dovrebbe essere facile, perché io non sono innamorata di James. E non intendo esserlo mai».
«Se però lui ti ama?».
Scossi il capo. «Impossibile. Ci conosciamo solo da poche settimane. E poi lavora per me. E ancora, io e Blake ci eravamo incontrati solo qualche settimana prima che io perdessi totalmente la testa per lui. Ma io e James non siamo andati a letto insieme. Non c’è stato niente di neanche lontanamente intenso come l’inizio della mia relazione con Blake. Mi sono sforzata così tanto per stargli lontano, solo per ritrovarmi tra le sue braccia, più felice che mai. La nostra felicità è stata troppo breve».
«A che stai pensando?».
Corrugai la fronte. «Perché?»
«Perché sei diventata improvvisamente sognante. Devo saperlo, a chi stavi pensando in quel momento?»
«In effetti stavo pensando a Blake».
Sorrise. «Be’, ecco qua».
Guardai Simone. Sembrava uno di quei saggi orientali.
Mi strofinai la fronte. «Vorrei che fosse così semplice. Lo vorrei davvero».
«Be’, non affliggerti, okay? Troverai la soluzione. Su Blake non saprei cosa dirti, ma quando sarà la volta di James, sii sincera con lui. È l’unica cosa che puoi fare».
«Lo so. Hai ragione».
«Ora lascia che ti porti qualcosa da mangiare altrimenti mi deperisci».
«Certo». Presi un menu e sperai che qualcosa attirasse il mio sguardo.
James si presentò a fine giornata. Vedere il suo sorriso fu un piacere.
«Ciao. Faccio un salto in palestra domani dopo il lavoro. Vuoi venire con me?».
Mi misi a ridere. «Stai cercando di dirmi qualcosa?».
Spalancò gli occhi per un secondo. «Assolutamente no. Hai un corpo fantastico. Pensavo solo che volessi sudare un po’. Di solito a me serve quando sono sotto pressione».
Il viso mi andò a fuoco per il complimento. Doveva smettere di dire cose del genere. Avrei dovuto chiederglielo, ma non lo feci.
«Sei sotto pressione?»
«Non lo so. Forse». Spostò il peso da una gamba all’altra, come se quella domanda lo avesse messo a disagio.
Cercai di ignorare la vocina dentro di me che mi diceva che probabilmente era per colpa mia.
«Allora, che ne dici?», interruppe bruscamente la mia vocina.
«Sei determinato a guarire i miei mali, non è così?».
Sogghignò. «Sì. Mi piace la Erica felice. Mi piace anche la Erica brilla. Dovremmo andare di nuovo a bere qualcosa qualche volta».
I miei pensieri ritornarono a quella sera nel locale, quando non riusciva a togliere le mani e gli occhi da me. «Restiamo alla palestra».
«Bene».
Era da un po’ che non andavo ad allenarmi. Il giorno dopo, una piccola parte di me arrivata al dunque voleva tirarsi indietro. La semplice idea di faticare era già abbastanza come deterrente, ma James aveva ragione. Dovevo sfogarmi. Magari mi sarei distrutta abbastanza da dormire decentemente. Optammo per una palestra lungo la strada alla quale si era appena tesserato.
James mi fece fare un giro, poi andò ai pesi. Trovai un tapis roulant libero e impostai quello che mi sembrò un programma intenso. Volevo sudare e bruciare calorie, vedere se avevo abbastanza forza mentale da correre fino allo sfinimento. Magari avrei potuto distruggere l’ultimo dei dolori. Mi misi le cuffie e presi il ritmo, quasi contenta della sfida che mi si prospettava.
A malapena notai che qualcuno aveva preso posto al macchinario accanto al mio. Rimasi concentrata sulla musica e sul mio passo fino a che non sentii tirarmi via le cuffie. Quasi inciampai.
Blake era accanto a me. Rimasi senza fiato. Pensavo che sarebbe passato più tempo prima che ci trovassimo di nuovo faccia a faccia.
«Che ci fai qui?»
«Io mi alleno qui. Facciamo una gara?».
Sorrise, ricordandomi l’amante giocoso e stimolante accanto al quale una volta ero abituata a svegliarmi ogni mattina. Mi richiamò alla mente anche tutti gli orgasmi che non avevo avuto da quando ci eravamo lasciati, a parte quell’unico delizioso scivolone.
«Non mi sembra molto equo».
«Forse no. Ma sono un po’ fuori forma. La mia resistenza non è più quella di una volta».
Quello che intendeva era ovvio. Se la sua resistenza ne aveva risentito, la mia era completamente polverizzata. Blake era sempre in una forma incredibile, una macchina ben oliata, snella e potente.
Alzai gli occhi al cielo, sperando che se ne andasse, ma sapendo bene che non era da lui desistere.
«Pensavo ti piacessero le sfide».
Senza aspettare la mia replica, che avrebbe previsto alcune parole accuratamente selezionate, si chinò per cambiare il mio programma e adeguarlo al suo. Il mio agevole pendio aumentò all’improvviso fino a che non ci trovammo entrambi nel pieno di una corsa veloce. Avrei voluto portare avanti la conversazione, ma conservai il fiato per la corsa, consapevole che a breve mi avrebbe messo a dura prova.
A cosa diavolo pensavo? Erano mesi che non facevo esercizio fisico, a parte quello in camera da letto e un po’ di yoga. Non riuscivo a ricordare l’ultima volta che avessi dormito di filato per una notte intera. Stavo correndo a un ritmo assurdo. Mi bruciavano i polmoni e i muscoli erano sofferenti mentre mi sforzavo di tenere la velocità. Solo l’orgoglio mi trattenne dall’arrendermi. Non potevo dargli quella soddisfazione, neanche allora, quando non aveva più alcuna importanza.
Diversi minuti dopo, pregavo tra me e me per un po’ di tregua, senza sapere quanto ancora mi avrebbero retto le gambe in quel chilometro e mezzo che Blake aveva programmato sul mio tapis roulant. Fradicia e ormai totalmente senza forze, rallentai fino a camminare.
Blake saltò giù dal suo macchinario e si appoggiò con indifferenza alla griglia alle nostre spalle. A malapena riuscivo a stare in piedi, figuriamoci camminare. In qualche modo mossi le gambe e scesi, chiedendomi come avrei potuto riportare a casa il mio culo sfinito in quelle condizioni.
«Come vanno le gambe?».
Mi rivolse un sorrisetto che mi fece desiderare di dargli uno schiaffo su quel bellissimo viso.
«Vaffanculo», riuscii a dire con il respiro spezzato. Presi una lunga sorsata di acqua. La nostra gitarella chiaramente non aveva avuto su di lui lo stesso effetto. A malapena sembrava affannato.
«Con piacere, ma sembri un po’ sfinita. Spero che non avessi programmi per dopo».
Sollevò l’orlo della maglietta per asciugarsi il leggerissimo sudore sulla fronte, mostrando in modo sfacciato i propri addominali. Erano belli come sempre. Non si stava esattamente trascurando.
«Ehi». James si avvicinò, il petto gonfio alla vista di Blake.
Blake gli scoccò quel tipico sguardo che riservava agli altri sfortunati che facevano l’errore di avvicinarmisi troppo. Di puro sdegno, come se la sola esistenza di James fosse un’offesa per lui. E quello non era un bene sotto nessun aspetto. Per quanto insistessi nel dire che io e James non andavamo a letto insieme, Blake aveva l’incredibile capacità di sorprenderci sempre nello stesso luogo, nello stesso momento.
«Hai fatto?», chiesi a James sperando di interrompere la guerra di sguardi tra loro due.
«Si, quando vuoi sono pronto». Gli occhi di James non si mossero.
«Ci vediamo, Blake».
Diedi un colpetto sul petto a James per spingerlo a girarsi e seguirmi fuori. Quando mi voltai, vidi l’espressione tesa di Blake, le mani serrate intorno alla grata.