Capitolo quattordici

Mi fermai all’appartamento per prendere qualcosa da indossare per l’occasione. Nell’ansia di andarmene non avevo portato con me abiti formali e io Marie non avevamo lo stesso fisico per poterceli prestare.

Essere di nuovo in quella casa mi fece uno strano effetto. Non mi ero impegnata molto per trovare un’altra sistemazione. Non che ne avessi avuto il tempo, ma, in fondo in fondo, non potevo immaginarmi da nessun’altra parte. La camera di Marie era carina. Era un posto dove tentare di dormire, e quanto meno non ero sola. Non riuscivo a concentrarmi sul progetto di ricominciare da qualche altra parte, però. Lasciai a Sid l’assegno per l’affitto in cucina. Per abitudine, iniziai a mettere a posto la poca confusione che si era accumulata.

«Lascia stare, non serve».

Cady uscì dalla camera di Sid con una lunga maglietta che sembrava inghiottirla. Aveva l’aria stanca ma soddisfatta quando arrivò in cucina scalza per aiutarmi. I suo capelli biondi a spazzola erano sparati in tutte le direzioni.

Mi voltai per mettere i piatti nel lavandino, celando un sorriso. Sid aveva reso una ragazza stanca e soddisfatta. Buon per lui.

«Figurati», dissi.

«Non so come farà Sid a sopravvivere senza qualcuno che si prenda cura di lui». Rise.

«Non scherziamo. Ragazzi…».

Sistemammo tutto in un attimo e lei prese l’assegno dell’affitto, guardandomi negli occhi.

«Pensi di tornare prima o poi?».

Esitai. Certo, era la ragazza di Sid, ma era anche l’assistente di Blake. Ero quasi sicura che tutto quello che avrei detto gli sarebbe stato riferito.

«Penso di no, ma non ho ancora trovato un altro posto».

Mi fece un sorriso comprensivo. «Non è una bella cosa. Sono sicura che a Sid mancherà non vederti in giro».

«Forse, ma lui adesso ha te».

«Sì, be’, non penso che sia l’unico a sentire la tua mancanza».

Presi una bottiglia d’acqua dal frigo e ne bevvi un po’, rifiutando di soffermarmi sulle sue ultime parole.

«So che non sta a me dirlo. Qualunque cosa sia successa tra te e Blake riguarda solo voi due ma, per quello che vale, io ho sempre pensato che insieme foste fantastici. Lui sembrava davvero felice. E lo conosco da tantissimo tempo».

«Come sta?».

Non ero sicura del perché lo avessi chiesto. Di certo, conoscere lo stato emotivo di Blake non mi avrebbe fatto sentire meglio sulle altre cose.

Mi rivolse uno sguardo empatico. «Dovresti parlargli, Erica».

 

Optai per un semplice abito da cocktail nero senza spalline che abbracciava le mie curve e arrivava appena sotto il ginocchio. Raccolsi i capelli in uno chignon lento e indossai un paio di scarpe nere alte con il cinturino e uno scialle leggero nel caso la serata fosse stata fresca.

Quando arrivai, trovai Risa e Max che chiacchieravano con altre persone. Max mi scoccò il suo sorriso vincente. La coppia con cui stavano parlando salutò e se ne andò, lasciandoci soli.

«Sei bellissima, Erica, grazie per essere venuta stasera».

«Grazie, sono felice di averlo fatto. Risa mi ha detto qualcosa, ma come sei coinvolto tu in questa iniziativa di beneficenza?»

«La Angelcom ne è sostenitrice da diversi anni. Sponsorizziamo questo evento annuale per attirare nuovi donatori e dare visibilità alla causa».

«È meraviglioso».

Non avevo ancora perdonato Max per avermi spinto in quell’ultimo ballo con Mark, ma dovevo ammettere che si era rivelato incredibilmente utile alla nostra azienda da allora. Non volevo né dargli troppa fiducia, né, visto che Blake era uscito di scena, cancellarlo del tutto. In tempi come quelli, mi era molto difficile credere alle terribili cose sul suo conto che Blake giurava fossero vere.

«Forse dovremmo trovare il nostro tavolo. A breve serviranno la cena», disse lui, interrompendo i miei pensieri.

Seguii Risa e Max al tavolo e riconobbi i volti degli altri che erano con noi. Heath si alzò immediatamente quando mi vide, ma il mio sguardo andò subito a Blake e alla donna al suo fianco.

Sophia.

Mi bloccai all’istante, impietrita alla prospettiva di affrontarli proprio in quel momento. L’uomo che amavo accanto a una donna che detestavo. La sofferenza della nostra separazione divenne incredibilmente acuta. Il rammarico per ogni secondo che avevamo trascorso divisi mi colpì con tale forza da bloccarmi i polmoni. Rimasi senza fiato.

Odiavo Sophia e quello che in passato aveva significato per Blake, e non ero minimamente pronta a vederli insieme quella sera, né mai in effetti. Appariva impeccabile in un vestito di seta rosso che creava un contrasto magnifico con i lisci capelli neri che le cadevano sulle spalle. Con Blake nel suo completo grigio, quello che adoravo, formava una bellissima coppia. Il miliardario e la modella. Un cliché.

«Mi fa piacere vederti, Erica», Heath ruppe il silenzio e mi strinse in un rapido abbraccio.

Blake sostenne il mio sguardo, come se si aspettasse una mia reazione. Ma non mi mossi. Non riuscivo letteralmente a fare un passo verso il tavolo.

Risa prese posto accanto a Max, lasciandone uno libero tra lei e Heath. Lo guardai titubante, preoccupata di come sarei potuta uscire indenne da quella cena di fronte a Blake e Sophia. Forse potevo andar via prima che la serata iniziasse davvero, fingendo di stare male o qualcosa del genere.

Come se mi leggesse nel pensiero, Sophia mi rivolse uno sguardo eloquente che mi fece fremere di rabbia. «Sono davvero felice che tu sia venuta Erica. Unisciti a noi».

Le sue parole in qualche modo ruppero la trance e sentii il bisogno di muovermi. In direzione opposta.

«Risa, vado a prendere da bere. Vuoi qualcosa?».

Scosse il capo. «Sono a posto, grazie».

Blake si alzò quando feci per muovermi. Lo ignorai e proseguii verso il bar, ricordando a me stessa che con i tacchi non potevo realmente mettermi a correre.

«Jack Daniel’s con ghiaccio», dissi al barista.

Blake mi venne vicino. «Due».

Non ci toccavamo ma eravamo vicini, a pochi centimetri. Mi ricordai la nostra prima settimana insieme, quando cercavo invano di ignorare la palpabile energia che pulsava tra noi, un’innegabile attrazione che si era presto trasformata in una dipendenza, un’ossessione.

«Non sapevo che saresti venuta». Aveva la voce bassa, intessuta di rimpianto.

Altrimenti? Non l’avresti portata?

Respirai lentamente, cercando di tenere a bada le emozioni. Si stava comportando in maniera carina, e quanto meno avrei dovuto fare lo sforzo di portare avanti una normale conversazione postrottura. Ma il silenzio tra noi sembrava una risposta più che sufficiente. Ero infelice, ossessionata dal lavoro e senza la minima idea di come far ragionare il mio follemente potente genitore assassino per poter porre fine a tutto quello.

Anche se forse era già troppo tardi. Sophia aveva probabilmente accampato i propri diritti su quello che avevo lasciato, non appena si era resa conto che ero uscita di scena. Sarebbe stata una stupida a non farlo e non potevo biasimare Blake. Gli avevo detto in termini piuttosto chiari che non volevo vederlo più. Gli avevo chiesto di lasciarmi andare.

«Come se la cava, Risa?», chiese infine in un altro tentativo di farmi parlare.

«È molto motivata. Sta chiudendo una tonnellata di contratti».

«Sembra piuttosto presa da Max».

Guardai verso il tavolo. Risa era allegra come suo solito e l’attenzione di Max si concentrava su qualsiasi cosa stesse dicendo. Non avevo fatto caso al modo in cui il loro legame si era evoluto nelle ultime settimane. Come aveva giustamente notato anche lei, avevo troppe cose per la testa per rendermi conto di come svolgesse il suo lavoro e quanto ci stesse facendo progredire.

«La sta aiutando a prendere contatti con gli inserzionisti. Sembra che stiano facendo un buon lavoro. Gli introiti aumentano». La mia attenzione si spostò su Sophia, che si accorse che la fissavo. Mi voltai, guardando il mio riflesso nello specchio dietro il bancone. «Sophia sembra bellissima come al solito».

Blake bevve un sorso dal suo bicchiere. «È in città per lavoro».

«Non mi devi delle giustificazioni, Blake. Io… sono felice per voi». Irrigidii la mascella a quella emerita bugia che avevo appena detto nel tentativo di essere educata e permettere a entrambi di andare avanti. Poi lasciai che metà del mio bicchiere mi scivolasse giù per la gola.

«Sei pessima a dire bugie».

 

Ritornai al tavolo e Blake mi seguì senza dire una parola. Mi sedetti volentieri accanto a Heath. In qualche modo, a quel tavolo di colleghi ed ex amanti, mi sembrava un alleato. Parlammo un po’ dell’evento e di come andava il lavoro.

«Hai già parlato con Alli del tuo trasferimento?», gli chiesi.

Scosse il capo.

«C’è una ragione particolare?»

«Immagino di avere un po’ di paura per quello che potrebbe dire. Di contro, però, sto quasi concludendo il mio programma quindi devo trovare una soluzione quanto prima».

«Dovresti parlarle, Heath».

«Anche tu».

Annuii e feci l’errore di guardare Sophia che coglieva ogni occasione di contatto con Blake. Piccoli tocchi, il dito che sfiorava l’orlo della giacca all’altezza della spalla. Il suo protendersi verso di lui quando gli parlava, con quelle piccole tette che strusciavano contro di lui. Digrignai i denti.

«È molto preoccupata per te».

Tornai a guardare Heath, incapace di rilassarmi. «La chiamerò presto. Sono stata davvero molto occupata al lavoro, sai. Non ho avuto molto tempo per altro».

«Non è la sola a essere preoccupata».

I miei occhi balenarono di nuovo su Blake, che era appoggiato allo schienale e passava in rassegna la sala con sguardo annoiato. Sophia gli stava mormorando qualcosa all’orecchio con una risatina sommessa, come se stessero condividendo uno scherzo tra loro. Quando la sua mano sparì sotto il tavolo, non resistetti più.

Mi alzai e mi diressi sparata in bagno. Mi pentii di aver mangiato, dato che fui travolta da un’ondata di nausea. Allontanare Blake era stato meno devastante quando ancora mi voleva. Mi ero trastullata con la fantasia che mi aspettasse fin quando non avessi risolto le cose con Daniel. Ma quel momento era passato. Sophia si era fatta avanti, aveva preso il posto che avevo lasciato e gli stava senz’altro dando tutto quello che lui aveva desiderato tanto ardentemente mentre eravamo insieme.

Se già mi si era spezzato il cuore, vederlo con lei lo aveva ridotto in poltiglia.

Per fortuna il bagno delle donne era deserto. Mi guardai nello specchio. Nonostante la mia crisi emotiva, il mio aspetto non era male. Il trucco nascondeva le occhiaie, quanto meno. Non ero una modella, ma ero abbastanza per Blake. Una volta ero stata quella che voleva. Mi rimproverai per quel pensiero. In qualche modo l’avrei superata. Avevo passato di peggio, giusto?

Prima che potessi rispondermi, la porta si spalancò e vidi il riflesso di Sophia dietro di me. Il suo esile corpo da passerella si avviò verso il piano dove stavo cercando di riprendermi.

«Va tutto bene? Sembri avvilita, Erica».

Aveva la solita voce sensuale intessuta di cattiveria, come la ricordavo dalla prima volta che ci eravamo viste a New York.

Mi girai per guardarla in faccia. «Che cosa vuoi?».

Si appoggiò al muro in modo rilassato, a braccia conserte. «Pensavo potessimo fare una chiacchierata. Mi è dispiaciuto sentire che le cose tra te e Blake non hanno funzionato».

Strinsi le labbra. Non avrei abboccato. «Come no».

«Non poteva funzionare, immagino».

«E come faresti a saperlo?»

«Sono un’amica, Erica. Lui parla con me. Sono sicura che sia stato troppo soffocante per te, stare insieme a lui».

«Ma di cosa stai parlando?»

«Del sesso, naturalmente. Non fingere di non sapere che a lui piace violento». Mi rivolse un grande sorriso e appoggiò il fianco al piano, inclinando la testa come se volesse misurarmi. «Non mi hai mai dato l’idea di una che si sarebbe fatta frustare».

Faticai a riprendere fiato, incapace di nascondere la mia reazione. «Tu non sai un cazzo di me, Sophia».

Rise. Quel suono era pungente, come se mi avesse dato uno schiaffo.

«Oh, penso di saperne abbastanza».

Strinsi i pugni lungo i fianchi. Quanto avrei dato per colpirla in pieno viso. E anche Blake. Mi venne il voltastomaco. Le aveva raccontato particolari privati di noi due. Gelosia e tradimento erano un cocktail letale di emozioni ed erano troppo da sopportare.

«Ridi quanto ti pare, Sophia, ma non sono io quella che continua a correre dietro a un uomo che l’ha scaricata anni prima. Di nuovo, forse sarai fortunata e ti riprenderà. Altrimenti non me ne può fregare di meno».

Spinsi la porta e tornai al tavolo per prendere il mio scialle. Non fu difficile fingere un malessere, perché mi sentivo male davvero. Rivolsi qualche frettoloso saluto a Risa e Heath, ignorando Blake anche se percepivo il suo sguardo ardente su di me. Non potevo guardarlo in faccia in quel momento. Che i nostri ricordi contassero così poco per lui da condividerli con Sophia mi ferì più profondamente di quanto avessi creduto possibile.

Mentre il taxi mi riportava da Marie, le luci della città mi scorrevano a fianco. Le torri illuminate sparivano alle mie spalle, insieme alle mie speranze di riavere Blake. C’era qualcosa di terribilmente devastante e definitivo in tutto quello. La voglia di piangere e la disperazione che mi serravano la viscere furono rimpiazzate dalla sensazione – fredda e distaccata – che fosse la fine. Blake era andato. Dopo tutto lo avevo perso.

Avevo già perso altre persone prima. Sapevo come dire addio per sempre. Eppure non riuscivo a ricordare niente che mi avesse fatto soffrire così prima di allora. La mia ragione di vita, il motivo per alzarmi la mattina, tutto quello che mi aveva dato speranza fino a quel momento mi era stato strappato. Ma sapevo di essere già sopravvissuta a quel tipo di devastazione in passato.

Da qualche parte, nel profondo dell’anima, smisi di sanguinare. Il dolore incessante e pulsante si era calmato e il ricordo di quello che eravamo stati insieme divenne un’altra cicatrice.

Sapevo come vivere con le cicatrici.

Mi asciugai l’ultima lacrima, ingoiando la voglia di piangere fino allo stordimento, la reazione naturale del mio corpo quando affrontava un’inesorabile sofferenza psicologica. Il mio amore per Blake era mutato, si era trasformato in un ricordo oscuro e dolceamaro, impresso nel mio passato. Il mio più grande amore era diventato la mia più grande perdita.