Capitolo due
«Io adoro la moda».
Non ne dubitavo. Con un abito fasciante di sartoria nero lucido abbinato a tacchi da cui io sarei sicuramente caduta, Risa Corvi si presentava molto bene. Quasi troppo. Non aveva l’innata bellezza di Alli, ma non aveva niente fuori posto, dai capelli corvini lunghi sulle spalle alla french manicure.
Dava l’impressione di essere una persona che si curava molto. Scommetto che si faceva anche la ceretta alle sopracciglia a intervalli regolari come un orologio. Sfortunatamente, avrei avuto ben pochi appunti da farle. Diedi una scorsa al suo curriculum. Come candidata per un incarico iniziale vantava alcuni lavori notevoli, ma ero ancora scettica all’idea di assumere l’amica di un’amica.
«Lo vedo. Parlami delle ultime campagne su cui hai lavorato».
Risa tirò fuori un portadocumenti suddiviso in sezioni che raccoglieva le stampe di materiale classificato in base alle campagne. Ogni pagina era impostata alla perfezione e anche il contenuto era pulito e professionale. Molte foto di modelli che sfoggiavano sorrisi falsi e perfetti, perché i conteggi della pensione li rendevano davvero felici. Era una tecnica abusata e molto lontana dall’immagine della nostra azienda.
«Grandioso, Risa. Ma in tutta onestà è roba convenzionale. Noi vogliamo sì essere convenzionali, ma anche dare al nostro brand un mordente che lo faccia percepire come giovane, esclusivo e di tendenza».
«Capisco perfettamente. Questa è roba sicura. Ovviamente ero vincolata a quello che voleva il cliente, ma con Clozpin posso esplorare nuovi campi. Possiamo fare alta moda che sia incisiva e renderla pulita ed elegante, sai? Semplice, ma sexy».
A parlare era brava, ma sarebbe stata capace? Scorsi il resto della sua documentazione e la studiai per un momento.
«Come te la cavi con le pubbliche relazioni e le tecniche di vendita? Acquisire nuovi clienti è forse la parte più critica di questo lavoro. Puoi amare la moda quanto vuoi, ma poi devi essere in grado di venderla».
«Sono d’accordo, ma è davvero difficile vendere qualcosa che non ti piace. Io posso vendere quello che offrite e se devo partecipare a eventi fuori orario per cercare nuovi contatti, sono assolutamente disponibile».
Mi appoggiai allo schienale e soppesai le sue parole. Era grintosa. Non si poteva negare. Nelle ultime due settimane di colloqui, non avevo trovato nessuno da cui trasudasse tanta passione quanta ne aveva comunicata lei negli ultimi cinque minuti.
Non avevamo ancora un vero e proprio codice di comportamento in ufficio, quindi non avevo idea di come si sarebbe trovata con Sid e il nuovo staff di tecnici. Ma, cosa più importante, come si sarebbe trovata con me? Il tempo passava e il nostro progetto si assestava, e io dovevo prendere una decisione. Assumerla all’istante sarebbe stato precipitoso ma, fondamentalmente, era perfetta.
Fece un profondo respiro. «Ascolta, capisco che questo progetto sia come un figlio per te, Erica. Mi dai l’idea di essere la persona ideale con cui lavorare e da cui imparare. La decisione è tua, naturalmente, ma mi piacerebbe davvero molto far parte di questo team».
Mi fissò con quei suoi occhi blu, senza dubbio in attesa che le ponessi la domanda successiva del colloquio.
«Lo stipendio ti va bene?»
«Assolutamente». E accompagnò l’affermazione con un gesto netto della mano.
Feci scattare la penna, guadagnando tempo pur avendo già preso la mia decisione. «Va bene».
«Va bene?»
«Partiamo».
Un ampio sorriso le illuminò il volto. «Davvero? Oh, mio Dio, non te ne pentirai».
Mi alzai e, quando le strinsi la mano, tremava leggermente. Wow, era così nervosa?
«Puoi cominciare lunedì. Al tuo arrivo ti faremo trovare i documenti pronti».
«Fantastico, grazie davvero». Quel sorriso che le si era stampato sulla faccia non se ne sarebbe andato più, ne ero certa.
Alli si stese sulla coperta accanto a me mentre lanciavo le briciole di pane alle papere nello stagno. I giardini pubblici erano a pochi isolati dal mio appartamento e, in una bella giornata come quella, il parco si riempiva di famiglie, turisti e gente come noi. Avevo staccato prima dal lavoro per passarla a prendere e avevamo deciso che un po’ di sole sarebbe stato il primo punto all’ordine del giorno per quel suo weekend lungo in cui era venuta a farmi visita.
«Avevo dimenticato quanto adoro l’estate qui». Il suo sguardo era offuscato e assorto, come se i suoi pensieri fossero con noi, ma anche da qualche altra parte.
«Già ti manca Boston?».
Alli si tirò su poggiandosi sul gomito. «Penso di sì. New York in qualche modo ti risucchia nel suo vortice. A volte faccio una gran fatica a immaginare la mia vita al di fuori della City, ma devo dire che sto beneficiando del cambio di scenario. Mi serviva un break».
Le ultime settimane erano state di assestamento per entrambe. Dopo tre anni nella stessa camera, essere a trecento chilometri di distanza aveva messo alla prova la nostra amicizia. Ma in fondo, sapevo che non sarebbe bastata la sola lontananza a turbare quello che c’era tra noi.
«Non ne dubito. Notizie da Heath?»
«Procede bene».
«Ho pensato che forse saresti dovuta andare a trovare lui, non me». Ero felice che non lo avesse fatto, naturalmente. Dopo averla messa al corrente di quello che era successo tra me e Blake e poi di Mark che era saltato fuori quasi dal nulla, eravamo state entrambe d’accordo che dovevamo vederci di persona.
«Prima le amiche, bastarda». Sorrise e mi diede un colpetto amichevole.
Contraccambiai tirandole un po’ di briciole sui capelli perfettamente scompigliati che le cadevano sulla schiena.
«Pensi di andare a trovarlo a Los Angeles?»
«No, ha bisogno di tempo e, a essere onesti, anch’io. Ho finalmente trovato una casa mia e il trasloco è stato stranamente liberatorio. Ogni giorno mi sembrava di aspettare il suo ritorno. Ora sto per iniziare una vita in città senza passare tutto il tempo a rimuginare su lui e noi».
Annuii, sapendo più che bene quanto fosse importante l’indipendenza in un nuovo rapporto. Tenere Blake a distanza era una guerra costante, quando non avrei voluto altro che essere avviluppata nella sicurezza e nella tranquillità del suo ipercontrollo. Il mondo di Blake era una sicurezza, ma non era sempre la realtà.
«Giusto. Quando tornerà dalla riabilitazione?»
«Ha ancora un altro mese o giù di li. Non so bene».
«E poi che farete? Metterete insieme i pezzi e proverete a ricominciare?»
«Penso di sì. Non ci siamo fatti promesse, ma…». Guardò gli alberi sopra di noi.
«Cosa?»
«È solo che… mi manca. Tutto qui».
Rimasi in silenzio, non volevo farle pressioni. Soffriva molto quella separazione, ma io restavo dell’idea che Heath non fosse la persona giusta per lei. Anche se era il fratello minore di Blake.
«A volte mi sembra di percepire solo persone che ci giudicano».
Mi feci piccola piccola, pregando che non avesse interpretato la mia espressione o letto nella mia mente.
«Del tipo, come cavolo faccio a perdere tempo con uno come lui? I miei amici, perfino tu, pensano che sia un problema e, lo ammetto, di problemi ne ha. Ma non posso arrendermi così. Merita un’altra occasione». Si asciugò una lacrima prima che avesse il tempo di scendere.
Mi stesi accanto a lei sulla coperta e aspettai che si riprendesse. Scoprire che Heath aveva problemi di droga era stato uno shock, ma non potevo ignorare il fatto che fossero perdutamente innamorati l’uno dell’altra. Non avevo mai visto Alli in un tale stato di grazia e il merito era stato di Heath. Mi augurai che lei potesse fare altrettanto per lui, tirandolo via da una dipendenza che rischiava di rovinare le loro chance di felicità insieme.
«Alli, io ci tengo a te e voglio che tu sia felice. Se passo per una che spara giudizi, è solo perché sono preoccupata e voglio che tu stia bene, e non perché metto in dubbio il valore di Heath. Fidati, so bene che nessuna relazione è perfetta. Lui ha le sue questioni da risolvere, ma non tutto è perduto, ne sono certa».
Girò il capo e mi rivolse un debole sorriso. «Grazie».
«Se lui riesce a rimettersi in sesto, puoi ancora tentare di far funzionare le cose. Solo pensa sempre prima a te mettendoci la testa. È tutto quello che ti chiedo».
Rise. «Ci sto provando. Ma non riesco a starci tanto con la testa quando c’è di mezzo l’amore, immagino».
«Magari questo stacco vi farà bene. Ovviamente dovrà lavorare su alcuni suoi problemi, ma entrambi avrete tempo di pensare sul serio alla vostra relazione senza restare invischiati nella sua intensità».
«Hai ragione. Sto già entrando nel giusto ordine di idee, sai, quanto più restiamo separati». Fece un profondo respiro. «Comunque, ora basta parlare di me e dei miei problemi. Che mi dici di te e Blake? Ti fa ancora impazzire?»
«Lo sai».
«In modo positivo o negativo?»
«Entrambi. Ma ci stiamo lavorando».
Mi rivolse un sorrisetto. «Penso che Blake in te abbia trovato la persona giusta, Erica».
«Eh?»
«Sì, sono sicura che non gli fai passare le sue stronzate. Mr Software Miliardario probabilmente non sa come comportarsi con una come te che lo rimette in riga».
Risi a quella descrizione di noi. Alli poteva anche aver ragione. Non riuscivo a immaginare molta gente che lo sfidasse come facevo io. Per me era autoprotezione, però, non divertimento. Eppure quel tiro alla fune ci faceva impazzire entrambi. Perlopiù in modo positivo.
«Mi tiene sempre sulla corda e probabilmente dirà lo stesso di me. Non ci si annoia mai, questo è poco ma sicuro». Sorrisi a me stessa ed ebbi un piccolo tuffo al cuore pensando a lui. Blake era una sfida continua. Non sapevo mai cosa diavolo aspettarmi da lui, ma era un’altra parte del nostro rapporto che non mi bastava mai. Il trambusto, la trattativa e, quando l’occasione lo richiedeva, la dolce resa.
«Okay, la tua espressione mi sta dando la nausea».
Risi. «Scusa».
«Non ti scusare. Sono solo inacidita e sola. Comunque, tieni il punto. So che lo farai, ma questi Landon sanno essere maledettamente persuasivi».
Rimase seria per un minuto, poi le mie labbra si incurvarono e scoppiammo a ridere.
Ogni tanto entrare in ufficio ancora mi sorprendeva. La stanza era grandiosa con i faretti e le postazioni di lavoro lucide. Sid era seduto accanto a uno dei due nuovi. Mi chinai sulla scrivania su cui erano indaffarati. Si fermarono e mi guardarono.
«Novità, ragazzi?».
Chris era di una decina di anni più grande di noi. Non era il suo primo lavoro in una start up, per cui apportava quell’esperienza che a molti di noi mancava. Era un tipo robusto, con capelli rossi più lunghi del normale che gli si arricciavano sulle spalle. A giudicare dall’abbigliamento delle ultime settimane, sembrava avere una predilezione per le camicie hawaiane.
Al suo opposto, avevamo assunto James come designer e sviluppatore front-end. Era un tipo totalmente diverso. Con una zazzera di capelli neri ondulati e occhi di un blu acceso, era di gran lunga il più estroverso dell’intero gruppo. Ben piantato, con un tocco da cattivo ragazzo datogli da qualche tatuaggio che spuntava dalla camicia button down, non era proprio male a vedersi.
«’Giorno, Erica», mi salutò, scoccandomi un sorriso che mi colse impreparata.
Sorrisi di rimando, sorpresa di essere stata salutata con tanto entusiasmo così di prima mattina. Ottimo acquisto, pensai.
Sid sbuffò, a quanto pareva non condivideva la stessa vivacità di James a quell’ora. «Stiamo cercando di studiare come sviluppare gli upgrade di cui abbiamo parlato, ma è un po’ difficile con questa banda di disadattati che cercano di abbatterci ventiquattr’ore su ventiquattro».
«Oh-oh». Mi sentii piccola piccola, non avendo idea di come comportarmi per sistemare dal punto di vista tecnico quel problema, se non ossessionare Blake perché facesse la magia. Era stato fastidiosamente vago circa la sua associazione con il gruppo di hacker M89 ma era chiaro che, per via di qualsiasi cosa avesse fatto per infastidirli così, non si sarebbero arresi tanto presto.
«Ma comunque la risolveremo, non preoccuparti». Con un’occhiataccia si concentrò sul monitor, fermandosi a intervalli regolari per prendere appunti.
«Posso essere d’aiuto?»
«No».
La sua risposta fu prevedibilmente secca. Per il Sid che avevo imparato a conoscere, regolarmente scontroso a causa dei suoi irregolari ritmi del sonno, trovarsi di fronte sfide del genere alle dieci di mattina era inaccettabile. Alzai gli occhi al cielo e colsi il sorrisetto di James.
«Tienimi aggiornata». Mi allontanai dalla scrivania e sparii dietro al paravento cinese che separava il mio ufficio dal resto dello spazio di lavoro. Data la metratura e il budget, avevo deciso di soprassedere sulla privacy che un’altra stanza avrebbe garantito e, alla fine, ero stata grata a Blake che aveva onorato quel desiderio con la sua ristrutturazione segreta. Mi sentivo abbastanza isolata da fare il mio lavoro in pace, ma comunque connessa per potermi inserire in qualsiasi cosa Sid e il suo gruppo stessero facendo. E poi, presto si sarebbe unita Risa e avremmo dovuto comunicare di continuo. Perlomeno, parlavamo la stessa lingua.
Quando la loro riunione informale terminò, contattai Sid via Skype perché mi raggiungesse. Arrivò, la sua figura imponente incombeva su di me e sulla mia scrivania. Prese posto sulla sedia di fronte.
«Perché questo atteggiamento, Sid? Qui siamo nello stesso team».
«Me ne rendo conto, ma mi riesce davvero difficile continuare a chiudere falle in una barca che affonda».
«Stiamo affondando?».
Sospirò. «No. Ma continuare a rattoppare i punti deboli e aggiustare tutto quello che loro rompono e nello stesso tempo cercare di far andare i nuovi aggiornamenti sta diventando una bella rottura di cazzo, Erica».
Mi appoggiai allo schienale, sbalordita. Sid raramente diceva parolacce, quindi significava che aveva i nervi a pezzi. Quando capitava a me, piangevo nella riservatezza della mia camera o incanalavo la mia rabbia concentrandomi sul lavoro in maniera compulsiva. Quando i nervi a pezzi li aveva Sid, ne risentivamo tutti.
«Che facciamo? Voglio darvi una mano. Ma non ho idea di come, Sid».
«Parla col tuo amico. Non ha forse tutte risposte?»
«La maggior parte delle volte, sì. Ma non ha una pillola magica per questo. Sono a un punto morto».
La strategia di Blake fino a quel momento era stata di rendere il sito impenetrabile. Poiché avevo rifiutato di farvi mettere mano dalla sua squadra di programmatori, la responsabilità era ricaduta interamente sulle spalle di Sid. Ora anche di Chris e James.
«Al livello più basso, posso apportare qualche miglioria. A un certo punto, sarà necessario sviluppare il sito da capo in ogni caso, per seguire la crescita su larga scala. L’unica soluzione che mi viene in mente è di lavorare su quello invece che fare questi aggiornamenti. In quel caso quanto meno lavoreremo con delle fondamenta più solide, dato che saremo sicuramente sotto attacco nel prossimo futuro».
«Sid, mi stai spaventando. Rifare il sito da capo? Ci dev’essere un altro modo. Siamo sotto una campagna di marketing piuttosto pesante».
«Non sono qui per dirti quello che vuoi sentirti dire. Io suggerisco di parlarne con Blake. Qualunque cosa abbia fatto per scatenare tutto ciò, dovrebbe sapere come sistemarlo perché non è per questo che ho firmato».
La sua risposta fu come un pugno allo stomaco.
«Okay, allora appronta il lavoro dei ragazzi e prenditi la giornata libera. Torna ricaricato e magari domani ti porterò delle risposte».
Cercai di mantenere la voce ferma, anche se avrei voluto dirgli di crescere, cazzo. Il lavoro era pieno di sfide. Mi ero accollata io il peso maggiore della responsabilità, lasciandogli il compito di concentrarsi solo su quello che lo interessava: lo sviluppo. E già se ne usciva come se tutto il mondo ce l’avesse con lui. Okay, una piccola fazione stava effettivamente complottando contro di noi, ma la metteva troppo sul drammatico.
Sbuffò e lasciò il mio pseudoufficio. Bofonchiò qualcosa ai ragazzi e si ributtò a sedere alla sua postazione.
Sorrisi. In fondo in fondo, Sid era ostinato a non arrendersi tanto quanto me. Avevamo quello in comune.