Capitolo tre

Mentre ci preparavamo nel mio bagno, Alli si applicò un po’ di autoabbronzante. Mi aveva prestato una gonna leopardata attillata che mi calzava come un guanto e si era presa la libertà di abbinarla con un top senza spalline. Avevo la sensazione che, nel giro di poche ore, Blake mi avrebbe strappato di dosso quel completo con i denti. Dio, quanto volevo che lo facesse.

Dopo due giorni esclusivamente tra ragazze, Alli sarebbe uscita a cena e a bere qualcosa con alcuni amici, in modo che io e Blake potessimo incontrarci. Avevo la pelle d’oca per quanto sentivo la sua mancanza.

Eravamo già sopravvissuti a brevi periodi di separazione prima di allora, ma era sempre dipeso dal fatto che fossi totalmente infuriata con lui, il che aiutava a trattenere quell’irresistibile attrazione tra noi. Tutto quello che provavo per Blake in quel momento era una brama di dimensioni epiche, soprattutto dopo il sesso sconvolgente che avevamo fatto in ufficio pochi giorni prima.

Adoravo passare il tempo con Alli ed ero contenta di staccarci un po’ dai nostri compagni se significava ravvivare l’amicizia che negli ultimi tre anni avevamo coltivato con tanto impegno. Tra i due Landon avevamo il nostro bel da fare. L’avevo aggiornata su tutto quello che era accaduto, da Blake che faceva saltare il mio accordo professionale con Max, a Mark che era sbucato fuori dal nulla sconvolgendomi profondamente.

Heath spuntava nella nostra conversazione con una frequenza che mi faceva sorgere dei dubbi su quanto effettivamente Alli beneficiasse di quel periodo di separazione. Quella sera, però, era molto silenziosa.

«Tutto bene?».

Sorrise con un po’ troppa rapidità. «Sì, certo».

Finii di mettermi in ordine e quando uscii, Blake era in attesa nel nuovo salotto che avevo appena acquistato. In camicia bianca con le maniche arrotolate e jeans blu scuro era figo da paura, tanto che pensai seriamente di farmelo lì, subito.

Quando i nostri sguardi si incontrarono, rimase a bocca aperta per una frazione di secondo. Il sentimento era reciproco.

«Pronta?».

Sorrisi. Alli si intromise interrompendo la mia radiografia sul meraviglioso corpo di Blake, che si alzò per salutarla e le diede un leggero bacio sulla guancia.

«Stai benissimo, Alli. Mi fa molto piacere vederti».

«Lo stesso per me». Fece un sorriso tirato, probabilmente per via di qualche emozione che ribolliva sotto la superficie.

Cercai di interpretarne il linguaggio del corpo. Era nervosa o a disagio nel rivedere Blake dopo quello che era successo con Heath a New York?

«Allora, immagino che possiamo andare», dissi piano, cercando di rompere quell’imbarazzo che mi augurai di aver colto solo io.

Ci salutammo e Blake fece scorrere la mano lungo la mia schiena, spingendomi delicatamente verso la porta. Il potere e la suggestione di quel tocco mi fecero fremere, i nervi in allerta. Mi trovai improvvisamente a maledire la cena che avevamo in programma, perché non volevo fare altro che trascinarlo nel suo appartamento al piano di sopra e darci dentro fino all’alba.

 

Uscimmo sul pianerottolo e Blake mi portò di sopra, le dita intrecciate alle mie.

«Hai dimenticato qualcosa?».

Prima che potesse rispondere, varcammo la soglia del suo appartamento e un delizioso profumo pervase l’aria. Blake aveva preparato la cena senza alcun aiuto da parte mia.

«Wow». La cucina era un casino, ma in compenso la sala da pranzo era apparecchiata alla perfezione con diversi piatti da portata di porcellana, ricolmi di pasta, insalata e pane. La stanza era in penombra, l’atmosfera accentuata dal lume delle candele sparse un po’ ovunque.

«Ho pensato che avremmo potuto restare a casa», mormorò.

«Ma io mi sono vestita bene». Mi appoggiai a lui abbandonandomi al suo abbraccio, mentre mi circondava con le braccia.

«E ne sono contento. Sei bellissima. Sarà una fortuna se arriviamo alla fine della cena».

Mi morsi il labbro e l’appetito vacillò. Blake era di gran lunga la pietanza che mi dava più acquolina in qualsiasi menu, ma mi serviva carburante se avevo intenzione di strapazzarlo per tutta la notte come mi ero ripromessa.

«Sembra tutto squisito. Non posso credere che abbia fatto tutto da solo».

«Spero che ti piaccia».

Ci sedemmo a tavola e lui versò due bicchieri di vino, mentre mi servivo una porzione di quelli che mi assicurò sarebbero presto diventati famosi come “Spaghetti alla bolognese alla Blake”. Ne presi un boccone e rimasi piacevolmente sorpresa. Era molto facile sbagliare la cottura degli spaghetti, e con la sua minima esperienza culinaria ero preparata al peggio. Mentre mangiavamo, piombò su di noi un piacevole silenzio. Stavo però ancora pensando a Alli.

«Come vanno le cose per Alli?», mi chiese Blake come se mi leggesse nel pensiero.

Prima di rispondere presi un pezzetto di pane all’aglio. Alli stava attraversando un momento difficile, era malata d’amore, ma anche con il cuore infranto per la turbolenta relazione con Heath. Ero incerta su quanto raccontare.

«Penso che ne stia passando troppe in questo momento. Tra Heath e il trasloco».

«Trasloco?»

«Ha lasciato il condominio in cui abitavano».

«Spero che non l’abbia fatto per me». Alzò lo sguardo a incontrare il mio.

Scossi il capo, ricordando quanto avesse insistito perché tenessi le distanze da Alli fin quando fosse stata insieme a Heath. Mi ero subito rifiutata, fregandomene della sua richiesta e, grazie al cielo, la discussione era finita lì. Con tutto quello che stavo passando in quel periodo, l’ultima cosa di cui avevo bisogno era di isolarmi dalle poche persone su cui potevo contare.

«No, penso che le serva spazio per chiarirsi le idee mentre Heath è via. Credo che non abbia avuto molta indipendenza da quando si è trasferita». Esitai sull’ultima frase. Dovevo andarci piano. Blake e Heath avevano i loro conflitti, ma erano pur sempre fratelli. Non volevo causare tensioni tra Heath e Alli nel caso lui non sapesse ancora del trasloco.

Annuì. «E come va il lavoro?»

«Bene e male».

«Cioè?».

Finii l’ultimo boccone di spaghetti prima di scegliere le parole.

«Ho assunto una direttrice marketing. Inizia lunedì e Alli mi aiuterà ad aggiornarla dal punto in cui ha lasciato lei».

«E il male?»

«Sono molto preoccupata per la sicurezza del sito. Sid ha le mani nei capelli. Non so cosa dirgli». Arrischiai uno sguardo interrogativo verso di lui. Stavo trattando un argomento che odiava affrontare.

Si appoggiò allo schienale e tirò il tovagliolo sul tavolo. «Non mi dai accesso ai codici, Erica. Cosa diavolo vuoi che faccia?»

«Non è mancanza di fiducia, Blake, dobbiamo tenere strettamente riservato il codice sul lungo termine e lo sai. E continuiamo a brancolare nel buio sul motivo di questi inspiegabili e instancabili attacchi da parte di quel gruppo».

Fissò un punto alle mie spalle, evitando i miei occhi e la supplica che vi albergava. Per il disagio sentii un peso alla bocca dello stomaco. Odiavo i suoi segreti. Mi mangiavano viva proprio come faceva una volta il mio, prima che riversassi cuore e anima su Blake. Nel mio caso, rivelargli il mio passato aveva alleggerito il carico, ma non sapevo come fare perché lui si fidasse di me per fare lo stesso.

«Tu vuoi che mi fidi di te, Blake. Ma ecco perché ci metto tanto. Tu continui a tenermi nascoste le cose».

«Se non condivido certe informazioni, è solo per il tuo bene».

«E non posso decidere io cosa è per il mio bene? Gesù, non sono più una bambina».

Imprecò tra sé e sé, spostandosi in soggiorno e sprofondando nel divano.

Lo seguii e optai per un posto sul divano accanto, incerta di dove quella conversazione sarebbe andata a parare. Una distanza sessuale di sicurezza era la cosa migliore se volevamo concludere qualcosa di costruttivo.

«Hai detto che avresti sistemato tutto. Me l’hai promesso. E se non è così facile, va bene, ma merito di sapere cosa sta accadendo davvero. Magari posso aiutarti».

Soffiò l’aria dal naso e buttò la testa indietro sul divano. «Sai già che ho fatto parte dell’M89 da ragazzo».

«Sì», dissi a bassa voce.

Si protese in avanti e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, evitando i miei occhi. «Quello che non sai è che alla guida del gruppo eravamo io e un altro».

«Chi?». La mia voce era bassa e titubante. Non volevo dargli alcuna ragione per non dirmi le cose che desideravo – necessitavo – sapere.

«Cooper. Si chiamava Brian Cooper».

Feci una pausa. «Si chiamava?».

Irrigidì la mascella. Si tirò indietro i capelli neri, che erano cresciuti dall’ultima volta che ci eravamo visti e gli cadevano disordinati sulla fronte. Avrei voluto allungare le mani e sistemarglieli, ma non volevo interrompere quel momento.

«Si è ucciso».

«Oh, mio Dio». Mi portai una mano a coprirmi la bocca. Non mi meravigliava che non volesse parlarne. «Quando?»

«Dopo che il gruppo è stato beccato per aver hackerato i conti bancari, ci misero tutti dentro. Ma io ero fuori dal giro da settimane. Cooper era un amico e quando avevamo approntato il piano originario di attaccare quelli di Wall Street, ero d’accordo, ma poi lui ha voluto continuare con i conti personali. Gente normale che investiva le proprie speranze di pensionamento con quegli idioti ma che, a parte quello, non avevano alcun legame con quella merda del Ponzi. Non potevo partecipare a una cosa del genere e lasciai il gruppo. La nostra amicizia finì e ovviamente tra noi non correva più buon sangue. Quando i federali iniziarono a farmi domande…».

Piombò il silenzio e sentii una stretta al cuore. Blake era indissolubilmente legato alle circostanze che avevano portato al suicidio del suo giovane amico.

«Cazzo, non lo so, ero giovane e mi giravano le palle e tutto è successo così in fretta». Si strofinò gli occhi con il palmo delle mani, come se volesse sfregare via qualsiasi immagine gli fosse apparsa.

«Va tutto bene. Dimmi». Mi spostai sul divano a fianco per sedermi accanto a lui; volevo stargli vicino, ma ero preoccupata di quello che avrebbe potuto dirmi. Eppure volevo sapere.

«Dissi la verità. E dal momento che collaborai, fondamentalmente io ne uscii e gli investigatori iniziarono a pressare lui. Non l’ho fatto per salvarmi, Erica. Volevo solo sistemare le cose. Se dovevo affondare con la nave, volevo che la gente sapesse per cosa mi ero battuto».

«Tesoro…». La parola mi si fermò in gola.

Il dolore gli offuscò lo sguardo. Anni e anni di rimpianto lo avevano trattenuto dal raccontarmi tutto la prima volta che il sito era stato attaccato.

«Non avevano scoperto molto prima che lui si uccidesse. Quell’episodio segnò la fine delle indagini. I fondi vennero restituiti e noialtri rilasciati con una bacchettata sulle mani. Ci considerarono tutti come figure minori, così fu scritto sulle carte. Ecco perché la maggior parte delle cose che leggi su di me sono solo voci non confermate. Solo un pugno di persone sa cosa accadde veramente».

«Come ha fatto il gruppo a restare attivo per tutto questo tempo?»

«Non lo è stato, infatti. Qualcuno lo ha resuscitato qualche anno fa».

«Uno del gruppo originario?»

«Ne dubito, ma onestamente non lo so. Non frequento più il giro, ma dal momento che è sempre stata la mia spina nel fianco, chiunque ci sia dietro questa nuova generazione ha una venerazione per Cooper. Probabilmente lo adorano come fosse una sorta di maledetto martire della causa. Quale sia poi questa causa è ancora un mistero pure per me».

«Hai provato a metterti in contatto con loro?»

«No. Non tratto con i terroristi».

La rabbia da frustrazione che avevo imparato a riconoscere ogni volta che parlavamo degli hacker sostituì l’espressione addolorata sul suo viso. Blake era potente e aveva un incredibile talento, ma quelle persone in qualche modo lo innervosivano. E dato che lui era la mia sola e ultima difesa contro di loro, spaventavano anche me.

«Non è una posizione troppo netta, la tua, considerando quanto si dedichino a rovinare tutto quello che tocchi?»

«Conosciamo le loro strategie. Sono prevedibili, quindi il mio team ha trovato metodi efficaci per tenerli alla larga dai nostri affari. Sono vandali, ma una volta che capisci le loro intenzioni, li puoi battere. Non posso fare la stessa cosa per te, finché non me lo permetterai».

«Tu non vai alla fonte del problema».

Sospirò. «Chiunque sia, lo vede come un martire. E io sono un Giuda. Niente al mondo cambierà questo stato di cose finché esisteranno loro».

«Penso che tu abbia perso il punto».

«Parlerò con Sid domattina, va bene? Questo è tutto».

L’incisività della sua voce mi impose di fermarmi. La sua vulnerabilità era scomparsa, mascherata con esperienza dietro la rabbia. Ma io avevo capito tutto. Lui e Cooper una volta erano stati amici. Di certo la sua morte doveva averlo segnato. Blake sembrava assumersi la responsabilità di chiunque gli fosse accanto. Glielo avevo letto negli occhi mentre mi parlava di lui, ma proprio quando sembrava che stesse per aprirsi, si era chiuso di nuovo.

Volevo baciarlo, far uscire l’uomo che amavo e alleviare il dolore che ancora persisteva in lui. Allungai una mano titubante e gliela posai sulla guancia. Si girò a quel gesto e mise le sue dita sulle mie, per poi girare la mia mano e baciarmi il palmo delicatamente prima di posarla di nuovo tra noi sul divano.

«Non essere in collera con me».

«Non lo sono. Ma non mi piace parlare di queste cose».

«Potresti sentirti meglio se lo fai».

Gemette e alzò gli occhi al cielo. Dopo quel mio suggerimento, lo sentii scivolare via da me ancora di più. Gli infilai una mano dentro la camicia, apprezzando ogni curva degli addominali sotto i polpastrelli. Ero decisa a trascinarlo via dal malumore in cui era caduto. Niente mi distraeva dalla confusione dei miei pensieri meglio del trovarmi nuda con Blake. Sospettavo che per lui fosse la stessa cosa.

«Mi sei mancato».

Il suo volto si rilassò e sorrisi sollevata. Mi accarezzò il viso con reverenza, facendo scorrere le dita dalla guancia al mento. Prima che potessi dire altro, mise le labbra sulle mie e mi prese la bocca in un bacio. Dapprima dolce e tenero, poco dopo ardente. Poi si tirò via di colpo.

«Che c’è?».

Il suo sguardo era fisso dietro di me. «Non posso farlo ora».

«Che vuoi dire?».

Mi misi a cavalcioni su di lui come avrei già voluto fare, la gonna mi salì in maniera indecente. Lo tirai in un altro bacio. Mi piegai contro il suo petto senza lasciare spazio tra noi, alla ricerca rabbiosa di contatto. Non appena gli afferrai i capelli, lui si tirò via, liberandosi delle mie dita e posandomi delicatamente le mani lungo i fianchi.

«Erica, basta. Mi devo… raffreddare».

Prima che potessi ribattere, mi diede un colpo delicato sulla coscia, un gesto di invito ad allontanarmi. Lentamente, obbedii. Lui si ritirò in cucina dove iniziò a rassettare. Lo raggiunsi e lo aiutai, ma mi fermò.

«Non preoccuparti. Ci penso io». Si bloccò e mi guardò. Appoggiato con il fianco al piano, appariva stranamente rilassato, considerata la tensione che lo aveva investito. «Ascolta, ho parecchio lavoro da fare domani e penso che sia la stessa cosa per te. Ti dispiace se chiudiamo presto la serata?».

Lo guardai negli occhi in cerca di risposte, ma sembrava freddo e distaccato come non mai. Lo fissai, sbalordita e senza parole, deglutendo mentre prendevo atto di quel rifiuto. Ero stata invadente? Non capiva le mie ragioni nel voler sapere?

Tutto quello che avrei voluto ribattere suonava debole e disperato nella mia mente. Perché non vuoi stare con me? Perché non posso restare? Il pensiero di lui che rispondeva a queste domande in tutta onestà mi spaventava. Non ero sicura di voler sapere per quale motivo quella notte non mi volesse.

 

Il mio appartamento era vuoto e senza alcun segno di vita da parte di Sid o Alli a consolare la solitudine e l’offesa che mi si erano riversate addosso. Blake non mi aveva mai rifiutato così prima d’allora. Ero vestita da paura e lui era un uomo da maratona del sesso. Negli ultimi giorni eravamo riusciti faticosamente a sopravvivere lontani l’uno dal letto dell’altra, e quando era arrivato il momento mi aveva cacciato via?

Posai la borsa sul piano e rimasi nella quieta oscurità della stanza, cercando di capire in che modo quella confessione sul suo passato avesse incastrato una zeppa tra noi. Andai in camera da letto e mi guardai allo specchio. Mi sentivo terribilmente male. Blake non aveva solo stroncato una notte nel suo letto. Il suo rifiuto mi feriva nel profondo, lasciandomi con una sensazione di disagio e disperazione.

No. Non potevo lasciar correre.

Tornai indietro, prendendo le chiavi lungo il tragitto.

Entrai nell’appartamento di Blake, ma non lo vidi da nessuna parte. Mi avviai verso la camera da letto dove sentii il rumore della doccia. Esitai sulla soglia, poi mi diressi verso il bagno. Attraverso il vetro, riuscivo a vederlo con le mani contro la parete, l’acqua che colava lungo la sua sagoma massiccia e immobile. Era bellissimo, nonostante la tristezza che si era insinuata tra noi mettendo a rischio la nostra notte. Feci un altro passo avanti. Girò la testa verso di me.

Mi bloccai, aspettando la sua reazione. Chiuse il getto. Mi si fermò il respiro a vederlo uscire. Già in circostanze normali era una visione notevole. In quel momento, completamente nudo e grondante acqua, non sarebbe potuto essere più attraente. Un vero e proprio paradigma di bellezza maschile.

Aveva la pelle d’oca e il pene duro come la pietra, sporgente dalla sua formidabile struttura.

Che cazzo significava?

«Blake». La mia voce era quasi un sussurro.

«Che cosa vuoi, Erica?».

Il tono era piatto, il viso inespressivo, come se fossi un’estranea. Prese ad asciugarsi metodicamente.

«Io…».

Non sapevo cosa dire. Il mio gran bel piano di intrufolarmi in casa sua e sedurlo, di non accettare un no come risposta, se n’era andato all’inferno dall’improvvisa presa di coscienza che la seduzione avrebbe potuto essere una causa persa.

«Vai a casa, Erica. Te l’ho detto, ho del lavoro da fare».

«Stronzate, mi vuoi spiegare, allora, perché sei stato finora sotto una doccia, fredda presumo, e hai la più grande erezione che io abbia mai visto, ma mi stai cacciando via?»

«Non voglio litigare con te. Non potremmo semplicemente chiudere qui la serata?».

Mi oltrepassò e si diresse in camera da letto. Lo seguii, decisa a ottenere delle risposte.

«Ne abbiamo già parlato. Se mi rifiuti, cazzo, devi dirmi perché». Mi tremò la voce. Stavo perdendo il controllo e gli scenari peggiori mi attraversarono la mente. «Hai un’altra?», chiesi, incredula. Cosa era successo dall’ultima volta che ci eravamo visti? Avevo fatto qualcosa di sbagliato?

Mi guardò in cagnesco e strinse i pugni. «Cristo, no. Mi vuoi lasciare in pace e basta?».

Le sue parole mi fecero male. In quel momento lo odiavo. Come poteva farmi sentire così piccola e insignificante con la sua indifferenza quando ero lì, quasi maledettamente sul punto di implorare un po’ di intimità?

«Hai ragione, non me ne faccio niente di queste stronzate».

Sospirò. «Piccola».

Mi girai e mi diressi verso la porta, ma prima che potessi raggiungerla, lui mi superò e la chiuse di scatto davanti a me. Mi prese per un gomito e mi fece girare per guardarlo in faccia.

«Che cosa vuoi da me, Erica?».

Il mio respiro accelerò. Il cuore prese a battere, mentre la rabbia si mescolava con il desiderio che cresceva a ritmo esponenziale. Non riuscivo a capire quale delle due emozioni avrebbe vinto o quale volessi incoraggiare. Ma non ero lì per litigare.

«Voglio che mi scopi».

La sua mascella si irrigidì e la presa sul mio braccio si strinse dolorosamente.

«Perché non mi vuoi?». La mia voce era flebile, quasi irriconoscibile. Mi sentii cedere nella sua presa e la rabbia lasciò il posto a qualcos’altro: una cruda vulnerabilità, che Blake aveva messo a nudo.

I suoi gesti successivi furono così rapidi che a malapena riuscii a distinguerli. Mi tirò su la gonna e strappò via le mutandine con un unico movimento violento, bruciandomi la pelle delle cosce quando la stoffa vi si lacerò contro. Un secondo dopo mi sollevò all’altezza dei suoi fianchi e mi sbatté contro la porta. E poi era dentro. Spingendosi così in profondità da farmi gridare. Inarcai la schiena, quel dolore crudo mi lacerava da dentro. Piagnucolai per il sollievo che ne seguì. Alla fine era di nuovo con me.

Spinse ancora e io gridai. Il calore mi invase mentre mi scioglievo intorno a lui.

Mi rilassai quando percepii l’immobilità di Blake. Il suo corpo era rigido contro il mio, misteriosamente fermo. Aprii gli occhi per incontrare il suo sguardo intenso e interrogativo. Dio, era bellissimo. Ed era mio, ma in qualche modo nelle ultime ore lo avevo perso. Dovevo tenerlo con me, mostrargli quanto disperato fosse il bisogno che avevo di lui.

«Non fermarti, ti prego», lo implorai.

Gli passai le dita tra i capelli umidi, stringendogli delicatamente le ciocche. Serrandogli le gambe intorno alla vita, agitai i fianchi per incoraggiare il suo movimento. Avevo bisogno di una minima frizione per arrivare all’orgasmo. Ero già lubrificata intorno a lui. A malapena si mosse quando un gemito sordo mi uscì dalle labbra tremanti. La mia pelle era in fiamme e sussultai, il mio sesso pulsava sulla sua erezione, i miei occhi sempre fissi nei suoi.

Socchiuse di poco le labbra, lo sguardo offuscato dall’emozione. «Tu mi farai morire, giuro».

Lo baciai appassionatamente. «Finiscimi, non farmi pregare», gli sussurrai sulle labbra.

«Che Dio mi aiuti, non ho mai voluto altro. Tu… questo». Si tirò via e poi mi penetrò di nuovo.

Imprecai, gridando a ogni spinta punitiva che inviava sensazioni indescrivibili in tutto il mio corpo. Fui invasa da un misto di piacere, dolore, rabbia e amore, che mi portò direttamente da un orgasmo a un altro. Incapace di trattenere la frenesia che aveva preso il sopravvento, mi avvinghiai disperatamente a lui, la mia bocca sulla sua spalla.

Ogni muscolo si contrasse, tirato e rigido al mio tocco. I denti affondarono nella sua pelle mentre le unghie entravano in profondità, graffiandogli le braccia fino al gomito. Anche il mio sesso si contrasse forte intorno al suo. Lui ringhiò, aumentando il ritmo.

«Guardami». La sua voce era tesa per l’eccitazione. «Ti devo vedere».

Raccolsi tutta la forza che avevo per alzare lo sguardo e incrociare il suo. Osservarlo in tutta la sua bellezza mi indebolì tra le sue braccia, ero creta tra le sue mani. Non mi ero mai preoccupata di cosa facessi io a lui. Quello era quanto faceva lui a me.

I suoi occhi non lasciarono mai i miei mentre mi sbatteva contro la porta in una spinta finale.

Gemetti. «Blake!».

«Sentimi. Voglio che tu senta tutto di me, Erica», rantolò. Poi seguì un gemito strozzato mentre si svuotava dentro di me e mi concedeva l’ultimo orgasmo che il mio corpo potesse sopportare.

Restammo così per un attimo prima di crollare a terra. Si girò di schiena sul tappeto orientale. Mi abbandonai sopra di lui pigramente, esausta da quello che era appena accaduto, ma ancora con la necessità di contatto, di sapere che eravamo connessi, insieme.

Restammo così, senza parlare, senza muoverci, fino a che non mi tirò su la gonna di pochissimo, accarezzandomi con il pollice la carne tenera da dove pochi attimi prima aveva rimosso l’ostacolo rappresentato dagli slip.

Guardai giù e la sua mano mi prese il sedere. «Ti verranno dei lividi qui».

Tornai a guardare in su e vidi che non sorrideva. «Dovrei farmene un problema?»

«Forse sì».

Feci scivolare la mano sul suo petto. «Non so cosa sia successo nella tua testa, ma mi auguro che me ne parlerai. Se poi davvero non vorrai, posso vivere lo stesso. Ma non farmi questo. Non posso sopportarlo».

«Non fare cosa? Usare il tuo corpo come fosse un ariete?».

Rimasi perplessa a sentirlo descrivere in quel modo quello che avevamo appena fatto. Certo, era stato un po’ rude e probabilmente avrei accusato il colpo il giorno dopo, ma il nostro stare insieme era sempre prezioso.

Mi alzai in ginocchio, mi misi a cavalcioni delle sue gambe e posai le mani da una parte e dall’altra del suo corpo. Cercai di leggere nei suoi occhi, ma lui evitò il mio sguardo penetrante, più preoccupato per gli arrossamenti della mia pelle tra le pieghe delle cosce.

Mi sfilai maglietta e reggiseno.

«Che stai facendo?»

«Sto attirando la tua attenzione».

Un lampo di desiderio gli attraversò gli occhi. «Ci sei riuscita».

«Mi piace quando perdi il controllo in quel modo, Blake. Non cercare di trasformarlo in qualcosa di sporco o di sbagliato».

Il suo membro si irrigidì sotto la mia coscia.

«E se invece lo fosse? Provocarti dei lividi… spaventarti».

«È per questo che ti sei trattenuto per tutta la serata?»

«Quello che provo… per te, Erica… con quello che è successo, a volte è troppo intenso. A volte ho la sensazione che potrei distruggere tutto. Volevo che stanotte fosse diverso. Lo volevo davvero». Chiuse gli occhi per un attimo. «Tu meriti di essere adorata. Amata».

Aggrottai la fronte, cercando di capire in che modo il mio amante solitamente dominatore mi stesse sfuggendo di mano. «Ma io mi sento amata. Mi piace che qualcosa mi ricordi le tue mani su di me, anche se sono un po’ dolorante. È una cosa nuova per me, lo ammetto».

«A volte però ti ho spaventata». Sostenne il mio sguardo, sfidandomi a dire il contrario.

«A volte mi spaventa, sì, ma mi fido di te». Feci una pausa. «Mi piace quello che abbiamo fatto».

«Ti sei resa conto che non ho nemmeno grattato la superficie di tutte le cose che ti vorrei fare?».

Mi si mozzò il respiro, ma non persi tempo a rimuginare sulla paura che mi si annodò nello stomaco. «Allora scaviamo più a fondo».

Dubitai delle mie parole subito dopo averle pronunciate; il battito accelerò. Blake mi stava già spingendo oltre dei limiti che non pensavo di avere. Lo avevo seguito abbastanza bene, ma in quel momento, con la consapevolezza che i suoi desideri fossero così ampi e oltre la mia concezione, non potei fare a meno di sentire che forse erano un po’ al di sopra delle mie possibilità.

«No». La sua voce era bassa ma decisa.

«Perché?». Sperai di mascherare i miei dubbi.

«Perché non è giusto. Non dovrei desiderare di… farti male o di bloccarti. È una cazzata ed è l’ultima cosa cui dovresti pensare con tutto quello che hai passato. Me ne sono reso conto l’ultima volta. Mi sono spinto troppo oltre. Nel momento in cui ti ho legato, me ne sono pentito».

«E allora perché non ti sei fermato?».

Rimase in silenzio.

«Dimmelo».

Sospirò. «Perché sapevo che sarei riuscito a calmarti e mostrarti come goderne».

«E così è stato».

«Non significa niente. Non avrei dovuto sfidarti in quel modo».

«Ma io voglio queste sfide, Blake. Se è una cosa che vuoi tu, la voglio anche io».

«No. Non sarebbe così, Erica. Te lo puoi togliere dalla testa. Non prenderai questa strada per me. Tu sei stata… violentata, Cristo. La mia mania di controllo quando scopiamo è l’ultima cosa di cui hai bisogno. Non sei la persona giusta per questo».

Un senso di nausea si insinuò nelle mie viscere e mi sentii gelare. E se non potevo essere quello che voleva? Quello di cui aveva bisogno? Nella sala riunioni potevo atteggiarmi quanto volevo, ma il mio bisogno dell’amore di Blake si era radicato ben oltre qualsiasi controllo razionale. «Che cosa vuoi dire?».

Si tirò su, portandosi petto contro petto, trasmettendomi il calore del suo corpo. Mi accarezzò la schiena. «Voglio dire che troverò una soluzione, per te, per noi. Ovviamente così su due piedi non so cos’altro fare per mettere a tacere questa cosa, se non evitarti qualche volta. Stasera era…».

«Averti fatto parlare di Cooper ti ha fatto accendere».

Chiuse gli occhi, trasalendo a qualsiasi ricordo gli si affacciasse nella mente. Poi li aprì e mi baciò dolcemente.

«Tu sei tutto per me, piccola. Non voglio tornare indietro e parlare del passato. Di quella merda che non posso controllare».

«Mantenere il controllo su di me, però, ti fa sentire meglio», sussurrai.

Annuì. «Devo fare in modo di cambiare».

«E se io non fossi d’accordo?».