Capitolo diciotto

Sulla via del ritorno mi raccolsi i capelli in uno chignon per nascondere il fatto di essere appena stata scopata su una scrivania. Rientrai in ufficio ignorando lo sguardo colpevole che mi rivolse Risa. Non riuscivo a guardarla negli occhi. Non appena passai il divisorio, mi trovai James alle spalle.

«Come è andata?». Aveva un tono aspro, dovuto alla mia amara gelosia per Blake di cui gli avevo dato prova. Sospirai, pentendomi di non essere passata in ufficio prima di andare da lui.

«Bene. Adesso abbiamo trovato un accordo».

«Lo vedo», disse a bassa voce, posando il pollice su un punto tenero del mio collo. Scosse il capo e se ne andò, rapido come era venuto.

Sedetti e aprii il mio specchietto. Nel riflesso vidi un bel livido violaceo lì dove James mi aveva toccato.

Arrossii violentemente. Maledizione, Blake.

Era spietato nella sua gelosia e ora James era ovviamente arrabbiato, convinto che fossi andato da Blake per fare esattamente quello che aveva detto che avrei fatto.

Imbronciata, mi abbandonai stravolta sulla sedia. E pensare che una volta mi ero preoccupata del codice comportamentale in ufficio. Sarebbe stata già una fortuna se James non se ne fosse andato prima che avessi la possibilità di rifare i connotati a Risa per aver cercato spudoratamente di sedurre il mio ex o qualunque cosa fosse Blake a quel punto. Per un momento provai un’immensa gratitudine per Sid e Chris e la loro vita sociale praticamente piatta. Avevo già creato drammi a sufficienza in ufficio io da sola.

Aspettai che tutti andassero via alle diciassette. Per la prima volta, dopo tantissimo tempo, James non si trattenne. Capii che era avvilito perché non si degnò neanche di salutare.

Chiusi la porta e andai alla scrivania di Risa. Guardai con attenzione tra le sue carte. Tutto sembrava in ordine. Contratti, appunti, allegati.

Mi sedetti e mossi il mouse. Lo schermo si accese e iniziai a guardare i suoi file. Cliccai sulle mail scorrendo le dozzine di messaggi scambiati con i clienti, con me e con gli altri del team. Tutto sembrava nella norma. Sperai che Blake non mi stesse facendo fare ricerche inutili solo per giustificare quella loro pausa pranzo.

Controllai nella posta inviata e diedi un’occhiata alle prime pagine dell’elenco. Mi soffermai su una mail spedita a Max con oggetto “File”.

 

Max,

Ecco i documenti che avevi chiesto,

XO, Risa

 

In allegato c’era una serie di file con tutti i nostri dati e i documenti riservati dell’azienda che le avevo passato durante la riunione con Alli settimane prima.

Rimasi a bocca aperta. L’avevo formata, avevo condiviso con lei le mie risorse, le avevo insegnato tutto quello che sapevo e offerto la possibilità di ricoprire un ruolo importante nella nostra azienda. Certo, avevamo alcuni conflitti personali, ma quello superava ogni limite.

Chiamai immediatamente Sid. «Ehi, puoi cambiare le password di accesso alla mail di Risa?»

«Certo. Che succede?»

«Ancora non lo so bene, ma sembra che sia in combutta con Max, il tipo che avrebbe dovuto finanziarci in origine».

«Non capisco».

«Gli ha inviato una copia di backup del sito e tutti i contatti degli inserzionisti, oltre a una tonnellata di dati finanziari dell’azienda che le avevo passato all’inizio».

«Cavolo. E perché?»

«Non lo so, ma ho un brutto presentimento».

«Le hai già parlato?»

«Non ancora. Mandami la nuova password, così continuo a fare un po’ di ricerche stasera. Voglio scoprire più cose possibili prima di parlarci, ma di certo non tornerà qui lunedì».

«Va bene. Lo faccio subito».

Riagganciai, ancora fumante di rabbia. Mi ero già innervosita con lei nel pomeriggio, ma in quel momento aveva oltrepassato un ulteriore confine, dal quale non ci sarebbe stato ritorno.

 

Mi feci una doccia veloce nell’appartamento e cercai qualcosa da mettere. Non avevo idea del programma per la serata, quindi decisi per un top leggero senza maniche e una gonna corta a fiori che Alli aveva dimenticato da me dopo la sua ultima visita. Per i capelli, non avevo altra scelta che tenerli sciolti, dal momento che Blake mi aveva marchiato con un succhiotto. Mi misi un trucco leggero e arricciai qualche ciocca di capelli in morbide onde, soddisfatta del risultato.

Controllai la strada cedendo a qualche scampolo di paranoia che Connor potesse essere di nuovo appostato, ma non vidi segni della Lincoln. Forse quella storia era finita. Se così fosse stato, rubare un po’ di tempo con Blake sarebbe stato fattibile. Ma a Blake probabilmente non interessava una relazione in sordina, senza alcuna spiegazione. Le cose tra noi stavano cambiando di nuovo e tutto sembrava sfuggire al mio controllo.

Scrissi a Blake che ero a casa e lui scese pochi minuti dopo. Bussò e, quando aprii la porta, mi prese tra le braccia prima ancora che potessi dire ciao. Mi sollevò, allungando il collo per darmi un bacio. Il suo sorriso era contagioso. Abbassai la testa per baciarlo dolcemente, cullandogli il viso tra le mani. Mi tenne ostaggio del suo bacio, coinvolgendomi con quei colpi appassionati di lingua, fino a che rimasi senza fiato a desiderarlo di nuovo con tutta me stessa.

Infine mi mise giù, tenendomi però attaccata a sé. «Perfetta».

Arrossii a quella parola. Mi ero sentita tutto meno che perfetta per talmente tanto tempo. Come poteva definirmi così?

«Dove andiamo?», chiesi, ansiosa di deviare l’attenzione dalle mie presunte qualità.

«Lo vedrai. Ma ora faremo meglio ad andare, è un bel tratto in macchina».

Dopo essere stati immersi per un bel po’ nel traffico del fine settimana, arrivammo sulla costa proseguendo verso nord. Il paesaggio cittadino cambiava gradualmente mentre superavamo i piccoli quartieri suburbani. A differenza delle residenze di cedro colorate di Cape Cod, le case della spiaggia a nord della città erano più storiche e caratteristiche. Più ci allontanavamo, più erano affascinanti. Lasciammo la strada principale verso Marblehead Neck, un quartiere esclusivo che si stendeva lungo il mare. Ogni edificio era maestoso a modo suo, grandioso sia nelle dimensioni che nell’architettura. Ci immettemmo in una via circolare che portava verso una casa di mattoni irregolari con vista sull’oceano e sullo skyline di Boston. Nel vialetto sul lato erano parcheggiate altre auto.

Restammo seduti in macchina per un momento. Blake mi prese la mano stringendola forte.

«Mi vuoi dire dove siamo?»

«A casa dei miei genitori».

La sorpresa mi fece inarcare le sopracciglia di scatto. «Ah».

«È da un po’ che vogliono conoscerti. Ho pensato che non ci fosse un momento migliore di questo».

Mi controllai nello specchietto. Era tutto così improvviso.

Ammiccò. «Sei perfetta, piccola. Non ti preoccupare. Ti adoreranno».

Mi aprì la portiera e mi avviai sul sentiero di mattoni che conduceva all’ingresso principale. La madre di Blake uscì sulla soglia un attimo dopo.

«Erica!». Sorrise e mi tirò dentro con un caloroso abbraccio.

«Erica, lei è mia madre, Catherine».

Catherine era una donna minuta, capelli biondi corti, abbronzata dal sole. Aveva dei begli occhi azzurri che mi ricordarono i miei. Fece un passo indietro, sorridendo.

«Tesoro, stavamo letteralmente morendo dalla voglia di conoscerti! Blake ti voleva tenere tutta per sé», disse, dandogli uno schiaffo giocoso sul braccio per poi prendermi per mano. «Vieni, voglio presentarti Greg».

Ci portò in una grande cucina dove il padre di Blake stava tirando fuori delle teglie dal forno. Indossava un grembiule sopra i jeans e una maglietta. Capii da chi Blake avesse preso il proprio stile di abbigliamento.

«Greg, vieni a salutare Erica».

Il padre di Blake si tolse il guanto imbottito e il grembiule e ci raggiunse. Alto, con capelli grigio scuro, era bellissimo e dal sorriso gentile; aveva gli occhi lucidi mentre mi guardava. Ritrovai così tanto di Blake in lui.

«Wow. Bel lavoro, ragazzo mio». Rise di cuore e mi sorprese poi con un grande abbraccio. «È meraviglioso conoscerti. Blake parla benissimo di te».

Rimasi senza parole a quel complimento. In effetti non ero riuscita ad aprire bocca da quando ero entrata a casa Landon. Era tutto un bel carico emotivo.

«Spero che ti piaccia il pollo alla parmigiana», disse Greg, colmando agevolmente il silenzio.

«Lo adoro», sorrisi con calore.

«Oh, bene. Blake ci ha detto che sei una cuoca fenomenale. Maledizione, spero di essere all’altezza».

Blake rise mentre prendeva due birre dal frigo. «Bene, ragazzi, calmiamoci. Davvero. Vuoi prendere un po’ d’aria? Altrimenti questi due ti soffocheranno di domande e complimenti».

«Be’, non sarebbe mica male», scherzai. I genitori di Blake sembravano meravigliosamente affettuosi. Mi sentivo però del tutto sopraffatta.

«Andate voi due. Tutti fuori sulla terrazza», disse Catherine, spingendoci fuori dalla cucina.

Blake mi prese per mano e attraversammo un grande soggiorno fino ad arrivare alla grande terrazza che correva lungo tutta la casa e si affacciava sull’oceano.

Heath e Alli si girarono dalla balaustra dove erano appoggiati.

«Tu!». Alli incrociò le braccia sulla difensiva e mi scoccò uno sguardo tirato.

Oh, merda. Aveva ragione che mi avrebbe stanato prima o poi.

«Ciao», dissi timidamente.

Si staccò dalla ringhiera e si avvicinò, puntandomi contro un dito fresco di manicure. «Non dirmi “ciao” Erica. Sei in un mare di guai. Hai idea di quanto fossi preoccupata per te? Chi è che non richiama la sua migliore amica per settimane intere? Voglio dire, seriamente…».

«Calmati, tesoro, è appena arrivata». Heath le posò un braccio intorno alle spalla, con una leggera stretta.

Indietreggiai un po’, appoggiandomi a Blake sperando che in qualche modo potesse salvarmi dalla collera di Alli. La sua reazione era totalmente esagerata, per non dire che aveva distrutto l’atmosfera.

«C’è altro che vuoi buttare fuori? Perché questo è il momento», dissi scherzando solo a metà. Torse le labbra in un mezzo sorriso. «Mi piace quella gonna. La rivoglio».

Risi e prima che potessi dire altro, avanzò e mi strinse in un abbraccio. Ricambiai la stretta, rendendomi conto di quanto mi fosse mancata.

«Non farmi mai più una cosa del genere».

«Scusa». La mia voce era soffocata contro la sua spalla. Avevo mantenuto il segreto con così tante persone talmente a lungo, che a volte non sapevo più neanche io chi fossi.

«Scuse accettate». Fece un passo indietro. «E adesso vuoi spiegarmi che cosa diavolo ti è successo?».

Guardai Blake e poi di nuovo lei. «Ne parliamo dopo, okay? Sono sicura che i suoi genitori non sono interessati alle mie tragedie»

«Non ci spererei troppo», intervenne Heath a occhi spalancati. «È un doveroso avvertimento: sarà una fortuna se riusciremo a superare la cena senza che ci tocchi il terzo grado sul perché tu e Blake non stavate più insieme».

Strabuzzai gli occhi in ansia. Sembrava sempre più un incontro organizzato che sarebbe potuto finire in lacrime e riabilitazione anche per me. Nessuno avrebbe potuto capire appieno quanto fossi stata fragile nelle settimane passate. Ero sfatta al punto che mi chiedevo seriamente se non avessi perso qualche anno di vita per colpa dello stress.

Blake mi baciò sulla guancia e mi sussurrò all’orecchio: «Non ti preoccupare, li terrò occupati io. Tu rilassati e divertiti».

Catherine ci raggiunse seguita da Fiona, perfetta in un top senza maniche color petrolio e pantaloncini bianchi.

«Erica, sono così felice che tu sia venuta», squittì stringendomi in un forte abbraccio.

Mi si chiuse la gola per l’emozione. Troppi abbracci. Non potevo gestire tutte quelle persone così felici di vedermi. Prima che potessi pensarci troppo, Catherine avvisò che la cena era pronta. Prendemmo posto al tavolo nell’altra parte della terrazza. Con mio grande sollievo, ero seduta tra Alli e Blake.

«Erica, raccontaci qualcosa della tua famiglia», iniziò Catherine mentre attaccavamo la cena.

«Mamma», sbottò Blake.

«Che c’è?». Scosse il capo e poi mi guardò.

«È tutto okay. Ehm, mia madre è mancata per un cancro quando avevo tredici anni. Il mio patrigno si è risposato mentre ero al college, quindi non ho una vera e propria famiglia in questo momento».

«Oh, tesoro, mi dispiace molto».

Mi strinsi nelle spalle, non volevo sembrare emotiva o triste per quel motivo. In più, non avevo neanche approfondito l’argomento. «Grazie, ma va bene così. Costruirò la mia famiglia ovunque andrò adesso».

Alli sorrise e si appoggiò leggermente a me.

Greg terminò un boccone di insalata. «Parlaci della tua azienda. Blake ci ha detto che fai parte della specie rara di donne tecnologiche».

Guardai Blake le cui labbra si tirarono in un ghigno infastidito. Greg aprì la bocca, ma prima che potesse parlare, Heath si schiarì la voce.

«Mi dispiace interromperti, papà, ma qui abbiamo un annuncio da fare».

Catherine sbiancò. Alli si affrettò a dire: «Ho deciso di tornare a Boston».

«Oh, wow», rise Catherine, mettendosi una mano sul cuore come se avesse rischiato l’infarto.

Anche il mio cuore sperimentò un’esplosione di felicità a quella notizia. Mi spostai sulla sedia per guardarla negli occhi.

«Oh, mio Dio, dici sul serio?».

Annuì. «È ufficiale. Io e Heath ne abbiamo parlato questa settimana. Mi metto a caccia di un lavoro e mi trasferisco il prima possibile».

«È meraviglioso», disse Catherine con un caloroso sorriso. Greg snocciolò a Heath una serie di suggerimenti per appartamenti in città e io toccai Alli con la spalla.

«Apro le selezioni per un direttore marketing. Per caso sei interessata?».

Corrugò la fronte e si appoggiò allo schienale. «Dici sul serio?»

«In effetti, sì. Con Risa non ha funzionato. Ti ragguaglierò sui particolari più tardi, ma ti basti sapere che stiamo tagliando i ponti in maniera definitiva e irrevocabile».

«Wow. In questo caso, allora sì».

«Davvero? Sei sicura che sia quello che vuoi fare?»

«Scherzi? Ho passato gli ultimi due mesi a lavorare dodici ore al giorno per stilisti prime donne. In confronto, tornare a Clozpin sarà come una vacanza ai Tropici».

«Pensavo volessi far carriera nella moda, però».

Mi rivolse un sorriso senza troppo sentimento. «Lo pensavo anch’io. Forse a volte non ti rendi conto di quello che hai fino a che non lo perdi. Ho cambiato totalmente prospettiva e ho imparato un sacco, ma questa mossa mi sembra giusta sotto ogni aspetto. Heath sarà più felice qui, c’è la sua famiglia a sostenerlo e ci sei anche tu. Non riesco a pensare a dei motivi migliori per trasferirmi».

«Da me non avrai obiezioni. Morivo dalla voglia di riaverti da quando te ne sei andata. E francamente, con tutto quello che è successo con Risa, penso che non riuscirei più a fidarmi di nessuno in quel ruolo, a parte te».

«Non preoccuparti. Risolviamo tutto. Abbiamo costruito noi quest’azienda. Nessuno meglio di noi può farla crescere».

«Cin cin».