Capitolo dodici
Quando arrivai, Marie non mi fece domande. Si limitò a stringermi così forte da farmi quasi male. Singhiozzai tra le sue braccia, sfogando la mia infelicità.
«Qualunque cosa sia, ne usciremo, tesoro», promise.
Avevo bisogno di quello, di qualcuno che mi amasse, che non sapesse un accidenti di niente e mi promettesse che tutto sarebbe andato bene. Lo volevo così tanto che ci credetti.
Trascorsi l’intera giornata guardando in televisione programmi idioti mentre lei era fuori per alcune commissioni. Volevo riempirmi la testa di cose senza senso, tutto quello che potesse soffocare l’infelicità.
Dopo un’ottima cena fatta in casa e qualche bicchiere di vino, la mia tensione stava iniziando ad allentarsi un po’. Non mi sentivo più così stordita e avevo finalmente smesso di piangere, il che era già un bel passo avanti.
Io e Marie ci accomodammo in sala sui suoi due grossi divani, con un basso sottofondo di jazz. Mi coprii con una coperta e strinsi un grande bicchiere di vino tra le mani. Tra noi era piombato un confortevole silenzio.
«Mi dispiace essere piombata qui in questo modo».
«Non essere ridicola. Puoi venire qui quando vuoi. Giorno e notte. È anche casa tua».
«Grazie. Vuol dire tanto per me». La cosa triste è che non avevo tanti altri posti in cui rifugiarmi.
«Ti va di parlarne?». Spostò la testa di lato.
Gli avvenimenti degli ultimi due giorni mi attraversarono la mente. Prima Mark, poi quello. Non avevo fatto in tempo a togliermi un peso di dosso, che subito ne era arrivato un altro. A parte il mio totale e assoluto crollo quando ero arrivata, avevo evitato di dirle qualsiasi cosa. Lei aveva capito che era successo qualcosa di terribile con Blake e, per il momento, andava bene così.
«Non proprio», dissi infine.
«Forse dovresti. Non ti ho mai visto così, tesoro».
Ero un disastro, è vero. Avevo un aspetto tremendo, ma era un sollievo non dover indossare una maschera felice né fingere con Marie. Potevo essere me stessa, anche se non avevo in programma di dirle tutta la verità.
«Ci siamo presi una pausa. Tutto qui. Non mi aspetto che sia facile, ma fidati se ti dico che è la cosa migliore».
«Che cosa ha fatto?»
«Non è lui, sono io. Ma… davvero non voglio parlarne, Marie. Non adesso comunque».
Non sembrò accettare totalmente la mia riluttanza a parlarle, ma non mi fece pressioni. Non lo faceva mai. Era sempre propensa a concedermi spazio, a non soffocarmi di preoccupazioni e domande. Ecco perché di solito andava a finire che le dicevo più di quanto probabilmente avrei dovuto. Ma quella volta era diverso.
«Però voglio parlare di Daniel».
Alzò gli occhi al cielo e sospirò. «Ti prego, non ricominciare. A questo punto di quell’uomo potresti dirmi più cose tu di quante possa raccontartene io».
«Hai letto le notizie?».
Annuì. «Sì. Ho visto che suo figlio è morto. Che tragedia. Ci hai parlato?»
«Sì. L’ha presa fin troppo bene».
Suonai più sarcastica di quanto avessi voluto. Il vino mi stava rilassando troppo. Posai il bicchiere. Non potevo permettermi dei lapsus in vino veritas. Avevo troppo da perdere se non fossi stata prudente.
«Voglio che tu mi dica tutto quello che sai di lui, Marie. Non preoccuparti di indorare la pillola del passato. Fidati quando ti dico che non mi faccio illusioni su di lui».
Rimase seduta in silenzio, tracciando con il dito l’orlo del bicchiere. I nostri sguardi si incrociarono e capii che c’era qualcosa che non mi aveva mai detto. Per il mio bene, senza dubbio.
«Perché lo vuoi tanto sapere? Non ti viene da pensare che se Patty non te ne ha mai parlato c’era un motivo?»
«Lo penso ogni giorno».
Cosa sarebbe successo se non fossi stata così maledettamente curiosa? Non avrei mai trovato Mark. Sarei stata ancora senza padre e Mark ancora vivo. Blake non sarebbe stato per metà responsabile della sua morte e a rischio di perdere la propria vita. Oddio, come sembrava tutto diverso in quel momento. Assolutamente diverso.
«Lo voglio sapere perché non mi fido completamente di lui. Mi vuole nella sua vita. Non pubblicamente come sua figlia, è ovvio, ma ho bisogno di sapere in cosa mi sto infilando. Non succederà a breve e poi sua moglie vuole che mi tenga a distanza. È complicato. Immagino che se tu mi dicessi qualcosa del suo passato sarebbe un inizio. Quanto meno mi piacerebbe sapere chi era».
Marie fissò il bicchiere, inespressiva. «Non pensavo neanche che lo avresti trovato, ma quando è successo, ho avuto la terribile sensazione che saremmo arrivati a questo».
«A cosa?»
«A me che devo raccontarti tutto. Patty mi fece promettere di non dirtelo mai. Fino a poco tempo fa mi è stato facile mantenere la promessa perché non mi hai mai veramente fatto domande. Ma ora mi stai chiedendo di andare contro i suoi desideri dopo tutti questi anni?».
Non c’era niente di più importante in quel momento che arrivare a capire chi fosse veramente Daniel. Che cosa lo portasse a comportarsi così, a chi tenesse veramente. Dovevo capire come far ragionare un uomo tanto spietato e senza compromessi. Insistetti, non volevo che il senso di colpa si andasse ad aggiungere ai sentimenti che già provavo in quel momento.
«Non vai contro i suoi desideri. So già chi è. Ho fatto tutto da sola. Ora serve che tu mi aiuti a colmare le lacune».
«Quella maledetta fotografia». Mormorò un’imprecazione tra sé e sé. Raramente diceva parolacce. Sospirò di nuovo. «Si amavano. Lo poteva vedere chiunque. Ti ho già detto una volta che tutti volevano bene a Patty. È vero. Era carina, naturalmente, ma anche calorosa e carismatica. Aveva una magnifica energia che attirava le persone e Daniel se ne accorse. Come una falena brama il fuoco, lui doveva averla. Le fece la corte, con tutti i passaggi canonici. Fu maledettamente romantico, davvero, e non passò molto tempo che anche lei perse la testa. Fu questione di pochi mesi e diventarono inseparabili».
«E poi cosa è successo?»
«L’anno accademico stava per finire. Ovviamente lei voleva sapere come sarebbe andata avanti la loro relazione e se avevano un futuro. Ogni volta che glielo chiedeva, lui schivava la domanda. Rimandava, diceva che non se ne dovevano preoccupare allora, che ne avrebbero parlato quando fosse venuto il momento. Ovviamente il momento arrivò quando lei si accorse di essere incinta. Aveva bisogno di risposte. Prima o poi, avrebbe dovuto sapere se sarebbero rimasti insieme».
«Lui l’ha lasciata?»
«No, la fece tornare a casa dai genitori a Chicago dopo la laurea. Le disse di dover risolvere la questione con la sua famiglia. Una famiglia potente e devotamente legata alla politica come la sua aveva un’opinione netta al riguardo. Non importava che lei fosse di buona famiglia. Il figlio poteva andare in giro a divertirsi quanto voleva, ma doveva sposarsi con una figura strategica, una donna che portasse un valore aggiunto alla famiglia e al nome dei Fitzgerald».
«Sembra un film d’altri tempi».
«Non quando sono implicati soldi e potere, credimi».
«E quindi cosa accadde?»
«Patty tornò a casa e aspettò. Passarono le settimane. Alla fine, lui la chiamò e le disse che la loro storia non sarebbe andata avanti. Che avrebbe iniziato la scuola di legge in autunno e avere moglie e figli non rientrava nei piani. Che la sua famiglia non aveva avuto nessun ruolo nella decisione».
«E l’ha lasciata così?»
«Le disse che l’amava, che l’amava davvero. Lei mi raccontò che sembrava dispiaciuto, per quello che contava, ma che era un burattino nelle mani dei genitori. Così dipendente dal lusso, schiavo delle aspettative. La sua vita era già stata pianificata da altri. Lei, e te, non rientravate in quel piano».
Conoscevo bene la storia, ma ebbi difficoltà a immaginare Daniel – il Daniel intimidatorio e potente – in quel modo. Era uguale a molti dei miei compagni di studi a Harvard: indipendenti e presuntuosi da morire fino al fine settimana con i genitori, quando rientravano subito nelle righe. Non potevano rischiare di perdere il sostegno finanziario di mamma e papà.
«Wow».
Non so cosa Daniel avesse davvero provato, ma Marie aveva screditato completamente tutto quello che mi aveva raccontato lui.
«Sapeva che mia madre mi avrebbe tenuto?»
«No. Le consigliò di interrompere la gravidanza, ma Patty non gli rivelò mai quali fossero le sue intenzioni. Non si parlarono più, quindi lui deve aver pensato che le avesse dato retta».
Ripensai a quel breve incontro a casa sua a Cape Cod, quando gli avevo chiesto perché mia madre non mi avesse mai parlato di lui. Una volta che era tornata a Chicago, ero convinto che se ne sarebbe occupata lei. Non ne ho più sentito parlare, e io non volevo farmi vivo e portare il sospetto nella sua famiglia.
Sporco, fottuto bugiardo.
Rimasi in silenzio, sbalordita, cercando di raccapezzarmi sul perché a quel punto volesse avere a che fare con me, dopo avermi tagliato fuori in modo così freddo. La sua vita si stava svolgendo secondo il grandioso piano che era stato predisposto per lui anni prima. Cos’era cambiato in quel momento per cui voleva allargarlo a comprendere anche me?
Marie mi si venne a sedere accanto e mi prese le mani tra le sue. «Ecco perché non te l’ha mai detto, tesoro. Mi odi per avertelo raccontato?»
«Certo che no. Dovevo saperlo. Davvero. Solo che non ha molto senso il fatto che ora mi voglia conoscere». Scossi il capo.
«Erica, non so cosa sia successo per fargli cambiare idea e desiderare di averti nella sua vita, a parte il fatto che tu l’abbia rintracciato. Ma mi auguro davvero che ti meriti, dopo tutto quello che ha fatto».
Mi protesi per abbracciarla. Marie mi tenne stretta, accarezzandomi i capelli come faceva sempre mia madre. Mi abbandonai contro il suo corpo esile con una gran voglia di piangere. Mi trattenni sapendo che, se avessi ricominciato, probabilmente non avrei più smesso. Stavo perdendo il mio già debole controllo sulle emozioni. Le diedi il bacio della buonanotte e mi ritirai, giurandole che stavo bene. Stavo bene e basta.
Mi sistemai nella stanza degli ospiti. Mi ero portata il bicchiere di vino ancora pieno a metà e decisi di svuotarlo tutto d’un fiato. Al diavolo Daniel. Al diavolo quella terribile giornata del cavolo.
Posai il bicchiere sul comodino e presi a disfare la valigia. Non mi era mai pesato venire a stare da Marie, ma le circostanze attuali non erano proprio normali come vacanze estive o fine settimana liberi. Ora stavo fuggendo dalla mia vita e non avevo idea di dove sarei approdata dopo.
Guardai il telefono e, contro ogni buonsenso, aprii un messaggio di Blake.
Chiamami. Fammi sistemare tutto. Ti amo.
Faticai ad arrivare al lavoro in orario. Avevo vagamente considerato l’idea di prendermi il giorno libero, ma in ufficio c’era tutta la squadra tranne me. Avevo pianto fino a addormentarmi dopo il messaggio di Blake. Se i messaggi avessero potuto uccidere, le sue parole mi avrebbero accoltellato da dentro. Avevo spento il telefono subito dopo, determinata a non riaccenderlo fino a che non fossi riuscita a riprendere il controllo di me stessa. Tutto quel piangere doveva finire.
Feci un gesto di saluto al gruppo quando entrai per poi sparire nel mio ufficio. Risa arrivò immediatamente per aggiornarmi, il che comportò altri contratti da predisporre e nuove attività da coordinare con i ragazzi. Per una volta le fui grata per la sua instancabile energia e l’indefessa etica lavorativa. Anche se ero esausta, riportò la mia concentrazione dritta sul lavoro, dove avrebbe dovuto essere nelle ultime due settimane.
La mia mente era stata troppo spesso altrove, a pensare a Blake, a preoccuparsi per Mark; ma quel giorno mi tuffai nelle carte con un fervore che fece sfocare tutto il resto sullo sfondo. Se non potevo farlo andare per il verso giusto, avrei scelto di tenerlo sfocato.
Nel weekend James aveva tracciato alcune opzioni di campagne per noi. Passammo il pomeriggio a cercare di concordare un orientamento. Io volevo dare più peso all’opinione di Risa, ma se al momento di chiudere contratti con i nuovi clienti tirava fuori tutta la sua grinta, con James sembrava rammollirsi. Ogni volta che lui parlava, lei approvava con enfasi. Quando si protendeva per indicare qualcosa, lo faceva anche lei, cogliendo ogni minima possibilità di un contatto casuale.
Quando infine le affidai un altro compito che la portò fuori dal mio ufficio, James apparve visibilmente sollevato. Esaminammo il resto degli appunti e la conversazione si fece più facile. Ma lo vidi lanciarmi sguardi interrogativi.
«Stai bene?».
Cercai di evitare i suoi occhi. Erano piantati nei miei con un’intensità cui mi stavo man mano abituando. «Sì», risposi stampandomi in faccia un sorriso finto.
«Sembri stanca».
«Infatti», ammisi, sentendomi ancora più esausta.
«Come è andata tra te e Landon dopo l’altra sera?».
Chiusi gli occhi per un attimo, respingendo l’emozione che era sorta a sentirlo nominare.
«Penso che siamo tutti d’accordo su queste grafiche, James. Concentrati solo sulle piccole modifiche di cui abbiamo parlato e dovremmo essere pronti a svilupparle».
Tutto il resto non erano maledetti affari suoi. Non volevo parlare del fastidioso teatrino di quel venerdì tra lui e Heath, della fine della mia relazione con Blake o del modo in cui quella sera mi aveva toccato come se ci conoscessimo da più tempo e meglio di quanto non fosse effettivamente. Dovevo ricacciare giù tutto, insieme agli altri sentimenti che non sarei stata in grado di affrontare in quel momento.
«Non è una vera risposta».
Sospirai e mi appoggiai allo schienale. «Ci siamo lasciati questo fine settimana, se proprio vuoi saperlo».
«Avrà conseguenze sulla società dato che ne è il finanziatore?»
«No. È un investitore silente e non può ritirare il prestito, ma non lo avrebbe fatto comunque. In ogni modo, vorrei saldarlo il prima possibile, così da poter essere totalmente indipendenti».
«Come l’hai presa?»
«Sto bene», mentii. Gli ero grata per la sua premura, ma temevo che i suoi sentimenti andassero oltre.
«Spero che tu sappia che puoi parlarne con me. Sono qui».
«Grazie, James».
«Chiedo scusa».
Il mio sguardo schizzò all’ingresso del mio ufficio dove era appena apparso Blake. Mi guardò per un attimo, dopodiché posò lo sguardo su James, che lo sostenne con uno d’acciaio che non gli avevo mai visto prima. Santo cielo, non andava bene.
Nessuno si mosse.
Blake tornò a guardare me, la sua voce mascherava a stento l’irritazione. «Ti posso parlare in privato?».
Aprii la bocca per rispondere, ma James mi precedette.
«Siamo in riunione». Si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia, come a dire che non si sarebbe mosso.
«Non stavo parlando con te». A quel punto Blake non si sforzava neanche di fingersi calmo. Fece un minaccioso passo avanti, con la conseguenza che si alzò in piedi anche James. Erano a pochi passi di distanza e si fissavano. Blake era un po’ più alto, ma James più robusto, ben piazzato di natura. Avrebbero potuto fronteggiarsi alla pari, ma avevo visto Blake in azione prima di quel momento: il modo in cui attaccava quando si trattava di proteggermi era un asso nella manica contro cui James avrebbe potuto fare poco.
Mi alzai di scatto e presi Blake per un braccio, allontanandolo dallo scontro. «Blake, andiamo a parlare fuori». Rimase fermo, i muscoli tesi e immobili. Alla fine si rilassò abbastanza da girarsi e lasciare l’ufficio con me. Lo guidai lungo il pianerottolo, contenta di esserci allontanati a sufficienza per avere un po’ di privacy anche se avessimo alzato la voce.
«Di cosa vuoi parlare?», gli chiesi, tesa.
«Perché non cominciamo da lui? Cosa è successo questo weekend? Te lo sei scopato?».
Quasi mi mancò il fiato a quell’accusa e la mia rabbia fece il paio con la sua. «No! Ti ho detto che è soltanto un amico. Sta solo cercando di proteggermi».
«E cosa gli fa pensare che tu abbia bisogno di protezione?»
«A quanto pare tu lo pensi su base regolare, quindi forse è un’epidemia. Forse sono una che sembra sempre una damigella da salvare. Non lo so, cazzo, ma non ho bisogno che tu venga qui a crearmi problemi. Qui ci lavoro. Se vuoi parlare, facciamolo, ma non qui. Non ti puoi presentare in questo modo».
«Adesso non ho il permesso di venire qui?».
Esitai, chiedendomi se fosse opportuno. Vederlo era già alquanto rischioso in qualsiasi circostanza. «Non penso sia una buona idea, Blake».
«Fammi capire. Mi lasci senza altra ragione se non che hai bisogno di spazio per mettere ordine nella tua vita. E ora mi stai tagliando fuori da un’azienda in cui ho investito quattro milioni di dollari e ti aspetti che io mi faccia da parte? Che non ti faccia domande?».
Mi appoggiai al muro, mi sentivo di nuovo totalmente esausta. «Tu non sei qui per lavoro. Altrimenti, la nostra conversazione sarebbe molto diversa».
«Hai ragione, il motivo non è il lavoro».
«Allora te ne dovresti andare».
Girai la testa, evitando di incrociare il suo sguardo. Lui sollevò lentamente la mano e mi fece girare costringendomi a guardare i suoi occhi intensi e pieni di determinazione.
«Tu stai scappando da qualcosa. Forse da me, ma indovina? Stavolta non te lo permetterò. Ti serve tempo per capire le cose. Va bene, ma lo faremo insieme. Andiamo a casa e finiamo questa discussione».
Fui presa dal panico. Non avrei mai potuto sopravvivere a un simile testa a testa con lui, a dirgli mezze verità cercando di convincerlo in qualche modo. Avrebbe continuato così, placcandomi, venendomi dietro fino a che non gli avessi dato una risposta sensata. Più ne avessimo discusso, più le mie argomentazioni sarebbero apparse deboli. Doveva credermi una volta per tutte perché se Daniel ci avesse visto insieme… Non potevo rischiare.
«Non ho bisogno di capire quello che già so». Allontanai la sua mano dal mio viso. «Non c’è niente che tu possa dire per cambiare come mi sento. Ti ripagherò appena possibile, ma non posso permettermi che tu sia coinvolto con la mia azienda in questo momento. Parlerò con Sid per subentrare nella locazione appena possibile, ma tu riceverai comunque il tuo affitto». Feci in modo di crederci e lo guardai. Non potevo permettermi che ne dubitasse, né di rischiare tutto perché non riuscivo a porre fine a quella cosa.
Lui colmò la distanza tra noi, prendendomi il viso nel palmo della mano con rinnovata determinazione. Mi mancò il fiato e mi sforzai di vincere l’istinto di baciarlo. Le sua labbra erano così vicine. Il suo respiro rabbioso andava di pari passo con il mio.
«Tu mi ami». Digrignò i denti mentre pronunciava quelle parole come se bruciassero.
Lottavo contro la forza magnetica che c’era tra noi, anche se sentivo che stavo perdendo la presa e il controllo su di me. Lo devi proteggere, ricordai a me stessa. La sua vita dipendeva da quello.
«Se mi ami, lasciami andare». Mi si spezzò il cuore a usare le parole di Daniel contro l’uomo che amavo.
Facendo scivolare un dito sulla linea dura della sua mascella, la sentii ammorbidirsi al mio tocco. Mi alzai sulle punte per baciarlo dolcemente. Un ultimo bacio. Lui inclinò il viso per approfondirlo, ma lo spinsi via prima che potesse farlo.
«Addio, Blake».
Ero già alla fine del corridoio quando mi arrivò la sua voce.
«Non tornare indietro, Erica».
Le sue parole mi annientarono. Mi si rivoltò lo stomaco all’eventualità di perdere qualsiasi possibilità di un futuro con lui. Mi girai a guardarlo, spaventata da quello che avrei potuto vedere nei suoi occhi. Aveva i pugni chiusi lungo i fianchi e la mascella tanto serrata da far contrarre i muscoli.
«Se la chiudi qui, non ti prendere il disturbo di tornare indietro».
Con mani tremanti, aprii la porta dell’ufficio e scomparvi al suo interno. Chiudendo fuori la cosa più preziosa che avevo.