Capitolo quattro
La mia barista rossa preferita si mise al lavoro per prepararci i due latti macchiati da portar via mentre Alli tamburellava con le unghie sul bancone.
«Com’è andata la tua serata?», chiesi.
«Bene. Giusto qualche drink e il vecchio gruppo. La tua?»
«Bene». Mi guardai intorno, evitando il suo sguardo.
Blake era valorosamente riuscito a evitare l’argomento scopandomi fino a farmi impazzire. Anche se si era trattenuto, la sua strategia aveva funzionato alla grande. Non ricordavo neanche di essermi addormentata, troppo stanca e strapazzata per pensare a qualsiasi cosa.
Non ero certa di come colmare l’abisso tra noi. Blake era stato un mistero così grande per me, ma più scoprivo cose su di lui, più sentivo di innamorarmene perdutamente. In un modo o nell’altro dovevamo trovare una soluzione. Tenermi a distanza non avrebbe funzionato.
Tornai a guardare Alli. Non aveva quella solita aura di energia che si aggiungeva alla sua naturale bellezza. Aveva gli occhi gonfi e stanchi. «Va tutto bene?».
Cercò di riprendersi. «Sì, sto bene».
«Hai fatto tardi?»
«No, in realtà sono rientrata presto».
Scossi il capo, confusa, e attesi che continuasse. Si mise un po’ sulla difensiva e la sua espressione tradì di nuovo la stanchezza. «Heath non mi ha chiamato ieri. Sono preoccupata».
«Sono sicura che va tutto bene».
«Non siamo mai stati un giorno senza sentirci da quando è via. Sono rimasta sveglia ad aspettare la sua chiamata, ma niente».
«Sono certa che oggi ti chiamerà. Non preoccuparti».
Annuì e si morse il labbro.
«Vuoi che spostiamo la riunione a più tardi, così puoi riposarti un po’?». Posai una mano sulla sua, sperando che riemergesse la mia amica allegra ed esuberante. In quello stato era quasi irriconoscibile.
«No, sto bene e hai ragione. Sono sicura che non è successo niente». Mi rivolse un debole sorriso.
Simone ci portò le nostre ordinazioni e pagai, lasciandole una generosa mancia. Quando uscimmo, ci salutò con la mano.
Salimmo le poche scale fino al piano di sopra. Risa era già lì. Controllai l’orologio: era in anticipo. Ci accolse con ogni grammo di quella vivacità che a noi mancava. Indossava un paio di pantaloni a pinocchietto neri stampati e una camicia nera che le conferiva una professionalità impeccabile. Con i miei jeans neri e una blusa Portofino che mi aveva prestato Alli, avevo approfittato del dress code decisamente casual stabilito dai ragazzi.
«Alli, lei è Risa Corvi, la nostra nuova direttrice marketing».
Risa le tese la mano. «Alli, è meraviglioso conoscerti. Sono felicissima che ci abbia potuto raggiungere oggi».
«Anch’io».
Ci sistemammo sul piccolo tavolo per le riunioni in fondo all’ufficio e aggiornai sia Risa che Alli.
Eravamo al lavoro da circa un’ora quando entrò Blake, un metro e ottanta di delizia. I miei occhi si posarono su di lui come se il suo ingresso avesse in qualche modo risucchiato l’ossigeno della stanza e io attendessi il suo permesso per riprendere a respirare. Smisi di fissarlo per rendermi conto quasi subito che anche Alli e Risa erano inebetite.
«Vi ho interrotto?». Mi scoccò un mezzo sorriso e si avvicinò con le mani in tasca. Era nella sua solita tenuta da lavoro, blue jeans e una maglietta attillata del convegno a Las Vegas cui avevamo partecipato. Era stato un bel viaggio.
Risa fece quasi ribaltare la sedia, balzando in piedi per stringergli la mano, gli occhi scintillanti di evidente apprezzamento. «Lei deve essere il signor Landon. Io sono Risa Corvi».
«Chiamami Blake».
«Stavamo riguardando le cifre delle adesioni, se vuoi unirti a noi», dissi rapidamente.
«Certo, ma prima fammi parlare con Sid».
Annuii e lo guardai allontanarsi, godendomi in pieno il modo in cui quei jeans facessero apparire fantastico il suo sedere e gli fasciassero le cosce. Datti una regolata, Erica. Sei al lavoro. Non ne avevo avuto abbastanza di lui, la notte prima? Gesù, ma che mi prendeva?
Scossi il capo e tornai alla realtà. Gli occhi di Risa erano piantati nel punto esatto in cui erano stati anche i miei. Mi schiarii la voce per richiamare la sua attenzione.
Si voltò di scatto verso di me. «Scusami, ma lui è… wow». Sospirò e si mise a scorrere gli appunti.
Alli alzò gli occhi al cielo. Il mio corpo si irrigidì immediatamente, entrando in modalità gelosia irrazionale e protettiva. Feci scattare la penna con un gesto nervoso, mentre nella mia testa rivolgevo a Risa una serie di epiteti accuratamente selezionati. Per mia sfortuna, nessuno di essi era adatto a essere pronunciato ad alta voce. Mi morsi la lingua, per evitare che la sua prima riunione di lavoro finisse con il capo che dava di matto reclamando diritti sul finanziatore con il quale si dava il caso fosse impegnata.
Respirai lentamente e cercai di concentrarmi sui miei appunti. Blake era stupendo. Faceva girare tutte ovunque andasse e anche quella volta non era stato da meno.
«Dove eravamo rimaste?», mi interruppe Alli, apparentemente desiderosa di concludere.
Prima che potessi rimettermi in carreggiata, squillò il telefono sulla mia scrivania. «Scusatemi un minuto, voi proseguite». Andai dietro al divisorio e cercai il telefono nella borsa. Quando vidi il numero rimasi di sasso. Mi riscossi velocemente e presi la chiamata.
«Daniel, ciao», mi affrettai a rispondere, sperando che non avesse già riattaccato. Non gli parlavo da quando avevo lasciato casa sua a Cape Cod qualche settimana prima, per motivazioni di cui era totalmente all’oscuro. Non potevo sapere se in quel lasso di tempo fosse stato a disagio come me.
«Erica, come stai?».
Sorrisi al suono della sua voce profonda e sicura. «Tutto bene. E tu?»
«Oh, lo sai, impegnato nella campagna elettorale. Ma volevo chiederti se avevi programmi per mercoledì. L’azienda sponsorizza lo Spirit Gala quest’anno e abbiamo dei biglietti in più. Ci sarà un sacco di gente importante, forse anche un paio di celebrità. Potrebbe essere un’ottima occasione per te per stabilire contatti».
«Sarebbe meraviglioso. Sei sicuro?»
«Assolutamente. Mi piacerebbe rivederti».
«Grazie, per me è lo stesso. Avevo intenzione di chiamarti, ma…». In verità, non sapevo proprio cosa provasse Daniel ad avere contatti con me. Certo, era il mio padre biologico, ma lo avevamo scoperto solo di recente. Ci conoscevamo a malapena. A parte essermi imbattuta in Mark, suo figliastro nonché mio incubo vivente, il nostro incontro era stato piacevole e significativo. Volevo instaurare un rapporto con lui, ma tra la sua corsa alla carica di governatore e la macchina corporativa che era la sua vita, non capivo molto bene dove potessi collocarmi. Eravamo entrambi d’accordo che, quale figlia illegittima, sarei dovuta passare inosservata.
«Non preoccuparti. Ti spedirò i biglietti. Porta anche Landon e chiunque altro possa fare pubbliche relazioni a tuo nome».
«Meraviglioso. Grazie mille».
«Allora ci vediamo presto, Erica».
L’affetto che percepii nella sua voce si perse bruscamente alla fine della telefonata. Fissai il cellulare per qualche istante fino a che non mi accorsi che Blake mi aveva raggiunto.
Avvolse le braccia intorno a me, il corpo curvo sul mio.
«Tutto bene?», mormorò stampandomi un caloroso bacio sul collo.
Misi le mie braccia intorno alle sue. Volevo tenermelo vicino nel caso gli venisse in mente di andarsene all’improvviso. Di certo non sarebbe riuscito tanto presto a liberarsi di me.
«Che cosa devi fare mercoledì sera?», chiesi.
«Te».
Con il viso in fiamme, mi girai tra le sue braccia per guardarlo negli occhi.
«Si può combinare, dal momento che Daniel ci ha invitato a un certo gala che la sua azienda organizza e hanno qualche biglietto in più».
«Mi stai dando un appuntamento?».
Feci un sorrisetto e considerai l’allusione all’“appuntamento” della notte prima, che aveva comportato la cena a casa sua e un bel po’ di sesso intenso e folle, ma ci ripensai.
«Ti interessa? Altrimenti potrei trovare qualcun altro in sostituzione», lo stuzzicai.
«Dovrai passare sul mio cadavere». Strinse l’abbraccio, premendomi delicatamente contro di sé, facendo aderire il mio corpo al suo.
«È in abito scuro. Pensi di poter accantonare le tue T-shirt spiritose e metterti in tiro?»
«Secondo te?».
Il cuore mi accelerò al solo pensiero di lui in smoking. Quello che avrebbe potuto farmi di persona era quasi spaventoso. «Non vedo l’ora».
«Devo tornare al lavoro, ma pensavo che stasera potremmo andare a cena con Alli, dato che è la sua ultima sera in città».
«Sarebbe bello».
«Ti scrivo quando esco».
Fece un passo indietro, ma lo afferrai per l’orlo della maglietta, come se potessi trattenerlo con una piccola porzione di stoffa.
Non volevo che se ne andasse. La sera prima era stata intenso e dovevo sapere che lui era ancora con me. Per quanto eravamo stati vicini, spogliati emotivamente, il pensiero che lui mi respingesse di nuovo, per sempre, mi spaventava a morte. Non volevo più sentirmi così.
«Che c’è?»
«Voglio farti restare ancora un po’. C’è qualcosa di male?»
«Non ho niente da obiettare». I suoi occhi si fecero più scuri e si avvicinò. Facendo scivolare le mani lungo le mie braccia, si chinò per baciarmi.
Ben cosciente della nostra totale mancanza di privacy, mi bloccai, cercando di resistere alla carica di sensazioni che mi provocava. Stavamo rubando un momento per noi. Le sue labbra incontrarono le mie, calde, controllate. Le aprii, ma lui si staccò.
«Di nuovo», dissi.
Rispose alla mia espressione esasperata con un sorrisetto e accarezzò il labbro inferiore con il pollice. «Penso che tu abbia un’ossessione per il sesso in ufficio, dolcezza», sussurrò.
«Sei tu la mia ossessione, Blake. Il luogo non importa granché».
Rise, e quel suono sordo rimbombò dentro di me. Mi morsi il labbro troppo forte, sostituendo il formicolio che mi aveva provocato con una punta di dolore.
«Il sentimento è reciproco. Ma la nostra attuale situazione imbarazzante persiste. Vorrei spalancarti le gambe qui su questa scrivania e scoparti fino a farti urlare, ma, come hai fatto opportunamente notare una volta, uno di noi due ha da lavorare».
«Sta’ zitto».
Lo afferrai per la maglietta e lo tirai di nuovo a me, forzando la sua bocca sulla mia, soffocando il ringhio sordo che gli risuonava dentro. Mi strinse il sedere, premendo i nostri corpi l’uno contro l’altro e facendomi tornare in mente le gesta della sera prima. Mi lasciavo sopraffare molto facilmente dal suo corpo, dalla sua presenza. Un’ondata di desiderio mi stordì, facendomi dimenticare tutto tranne il modo in cui lo sentivo avvolto intorno a me, le sue mani su di me, la sua lingua dentro di me. Volevo di più. Lo avevo sempre voluto.
Udii a malapena il rumore di tacchi che si avvicinava. Mi staccai dal suo bacio e colsi Risa che ci guardava a bocca aperta. Una scintilla di puro orgoglio femminile si accese in me. Mangiati le mani, dolcezza. Blake era mio e non avrei potuto renderlo più chiaro di così. Se voleva prendersi un’infatuazione per lui, doveva mettersi in fila.
Blake sembrò attendere la mia reazione. Io sorrisi e gli diedi un rapido bacio prima di tirarmi indietro leggermente. «Ciao, tesoro».
Un lampo di comprensione gli attraversò i lineamenti. Era fin troppo calcolatore, e sapeva quanto potessi essere gelosa. Di certo la mia era stata una reazione esagerata, ma Risa aveva afferrato il concetto.
Ricambiò il mio eloquente sorriso e si allontanò lentamente, salutandola con un gesto di cortesia mentre passava oltre.
«Mi dispiace tanto. Io non…». Risa era rimasta con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
Mi pentii immediatamente di quello che avevo fatto. Era il suo primo giorno, dopotutto. «Non ti preoccupare. In effetti volevo chiederti una cosa».
«Certo, cosa?»
«Abbiamo dei biglietti per lo Spirit Gala mercoledì sera. Ti interesserebbe andarci in rappresentanza della società? Puoi portare qualcuno, ovviamente».
«Preferirei di no».
Inarcai un sopracciglio.
«Cioè, mi piacerebbe molto andarci. Ma preferirei non portare nessuno. È più facile fare pubbliche relazioni».
«Oh, giusto. Va bene. Fammi sapere se cambi idea».
«Grandioso. Non vedo l’ora». Fece un ampio sorriso, poi abbassò gli occhi sul taccuino che aveva in mano. «Io e Alli abbiamo chiarito la maggior parte dei miei dubbi, ma mi ha detto di rivedere con te alcune cose di cui non è sicura. Hai un minuto?»
«Certo. Siediti, torno tra un attimo».
La lasciai per andare da Alli, che aveva ancora l’aria stanca come tutta la mattina, mentre controllava il telefono seduta al tavolo.
«Avete fatto?».
Annuì. «Penso di sì. Se non ti dispiace, tornerei a casa. Devo fare i bagagli e sbrigare alcune cose di lavoro».
«Sei in vacanza, sai?»
«Con questo lavoro no, purtroppo».
«Va bene, ci vediamo stasera. Possiamo andare a cena con Blake, se ti va».
«D’accordo». Si alzò per stringermi in un rapido abbraccio, salutò Sid con un gesto della mano e se ne andò.
Io e Alli sedevamo al tavolo di un cocktail bar all’aperto, sorseggiando il nostro martini alla pesca, in attesa che Blake ci raggiungesse. Il tempo era perfettamente mite. Il sole stava tramontando e soffiava su di noi una tiepida brezza. Giornate come quella rendevano sopportabili anche i lunghi inverni. Tutto sembrava possibile. Speravo solo che anche Alli si sentisse così. Sembrava stare meglio, un po’ più riposata, ma qualcosa ancora non andava.
«Non riesco a credere che sia già ora di ripartire. Mi sembra ieri che sei arrivata».
Alli aveva scelto di andare a lavorare a New York mentre io ero rimasta a Boston, e le nostre vite stavano prendendo piede. Ma io volevo spingerla a tornare. Avrebbe potuto benissimo farlo, ora che l’azienda era avviata. Lo sapeva come lo sapevo io, ma tenni quei pensieri per me. Non aveva bisogno di ulteriore confusione o, peggio, di sensi di colpa, con tutto quello che stava affrontando in quel momento.
«Lo so. Neanch’io mi sento pronta a ripartire».
«Magari posso venire a trovarti presto».
Si illuminò. «Mi piacerebbe davvero. Voglio farti vedere come mi sono sistemata».
«Ne sarei felice. Ma immagino che dovremo capire come vanno le cose. Il lavoro probabilmente sarà molto intenso per un po’, fino a che tutti non si sistemeranno e non saremo entrati nella routine».
«Giusto».
«Come ti sembra Risa?». Non avevamo avuto la possibilità di parlare della sua sostituta dopo la riunione di quella mattina.
Prese un altro sorso del suo drink. «È sveglia. Sembra motivata, come te. Penso che se la caverà bene».
Il suo commento netto mi portò a chiedermi se non fosse un po’ gelosa. Me lo aspettavo, ma Alli aveva un bel carattere e alla fine avrebbe sostenuto qualsiasi decisione avesse ritenuto buona per l’azienda.
«Sono contenta che la pensi così. Non è Alli Malloy, ma sembra una che ci mette passione. Spero che dopo l’incidente con Blake di stamattina prenda a lavorare sodo e ci faccia fare il salto di qualità».
«Speriamo. E a te, piace?».
Colsi il suo sorrisetto e capii immediatamente dove volesse andare a parare. «So a cosa stai pensando e no, non mi arrabbierò con lei per aver sbavato dietro a Blake. Mi ritroverei infelice vita natural durante se cominciassi a comportarmi così già da ora. Giuro, se ricevessi un dollaro ogni volta che una donna lo guarda un po’ troppo, non avrei bisogno di finanziamenti».
«Vita natural durante, eh?».
Mi accigliai. «Quello che è, è. È un modo di dire, Alli».
Scoppiò a ridere, poi si fermò di colpo. La sua concentrazione non era più su di me. Impallidì.
«Che c’è che non va?»
«Oh, mio Dio», sussurrò.
Mi girai sulla sedia e il mio sguardo si fissò velocemente su Blake, con accanto niente di meno che suo fratello.
Alli sembrava aver appena visto un fantasma, se non fosse che Heath appariva più in salute di quanto non fosse mai stato, con guance rosee e occhi brillanti che non si staccavano da lei. Nell’aria qualcosa cambiò. Fui totalmente catturata da loro due, come lo erano l’uno dall’altra.
Alli riprese il suo colorito. Scivolò giù dallo sgabello e si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio con mano tremante. Fece un paio di passi titubanti nella sua direzione e lui due falcate verso di lei, per poi prenderla tra le braccia e sollevarla. Lei squittì e un ampio sorriso le illuminò il volto mentre la posava giù e l’abbracciava di nuovo.
Alli gli si avvinghiò al collo, strusciandoglisi contro stretta a lui. Rimasero così per quelli che mi sembrarono diversi minuti. Quando Alli si scostò, gli occhi le brillavano di lacrime non scese. Tirò Heath a sé per dargli un bacio e lui le si fece incontro con uguale fervore, come se fosse affamato di lei.
Non avremmo dovuto essere lì – o loro non avrebbero dovuto essere lì –, ma il fatto che ci fossimo tutti non sembrava importar loro molto. Diedi di gomito a Blake che annuì.
«Andiamo a vedere se il nostro tavolo è pronto», mormorò.
Li lasciammo e raggiungemmo l’addetto all’accoglienza, che ci fece accomodare subito. Ero ancora sbigottita.
«Ma cosa è successo?». L’adrenalina circolava nel mio corpo. Ero elettrizzata per Alli, ma la mia testa ancora girava per la rapidità con cui era successo tutto.
«È tornato», rispose semplicemente Blake.
«Definitivamente?»
«Fino a che si terrà fuori dai guai».
Li guardai. Alli stava ridendo e si asciugava le lacrime mentre lui la tempestava di baci. Sembravano davvero incredibilmente felici. Nel giro di pochi istanti, la nuvola di dubbi e di infelicità che incombeva sulla mia migliore amica si era dissolta. La gioia che provavo per lei vinceva la preoccupazione che ancora nutrivo sulla loro relazione.
«Come ha fatto a uscire così presto?»
«Ho parlato con il giudice e ho risolto. Ha preso il primo volo».
A quel punto si unirono a noi, l’eccitazione ancora palpabile. Alli sembrava una persona nuova. Entrambi davano quell’impressione.
«Erica, che bello rivederti».
Mi alzai e abbracciai Heath. Lui mi restituì la stretta, forte, poi si staccò e mi rivolse un mezzo sorriso, come se stesse cercando di comunicarmi qualcosa senza parlare. Forse era preoccupato per aver emotivamente distrutto Alli nelle ultime settimane. Sorrisi di rimando, all’improvviso incapace, davanti alla loro gioia, di qualsiasi riserva sentimentale.
«Come te la passi?», chiesi sentendomi subito in difetto. Era la domanda sbagliata da rivolgere a una persona fresca di disintossicazione.
«Meravigliosamente. Mai stato meglio».
L’entusiasmo e la sicurezza della sua risposta placarono i miei dubbi e prendemmo posto al tavolo. Sembrava così diverso. Non solo più in salute, ma più reale, più genuino in un certo senso.
Ordinammo da bere e da mangiare. Heath prese solo acqua. Mi sentii subito in colpa per aver chiesto un altro martini.
«Facciamo un brindisi», disse Heath non appena arrivò da bere, come era prevedibile.
«Assolutamente», concordai.
«A cosa brindiamo?», chiese Alli.
«Ai nuovi inizi…». Heath posò lo sguardo su di lei, che lo fissava con occhi innamorati.
«Ai nuovi inizi», mormorò Alli.
E così fu. Qualsiasi domanda ci si fosse potuta porre sullo stato della loro relazione dopo la disintossicazione aveva avuto una risposta. Conoscevo solo due altre persone così perdutamente innamorate e non riuscivo neanche a immaginare quanto mi avrebbe distrutto dover trascorrere qualche settimana lontana da Blake. Sarei stata un viscidume di romanticismo esattamente come loro.
«Quando si dice il tempismo», dissi. «Alli torna a New York domani. Potreste fare il viaggio di ritorno insieme».
Heath si schiarì la voce e appoggiò i gomiti sul tavolo. Guardò rapidamente Blake e poi me.
«In realtà mi fermerò a Boston per un po’».
Alli impallidì e lo guardò.
«Che cosa? Perché?»
«Questione di tribunali. Blake mi ha fatto uscire prima, ma devo restare qui per il resto del periodo che avrei dovuto passare in comunità a Los Angeles, in modo da finire il trattamento qui».
«Ma…». Alli si interruppe.
Non c’erano “ma” a quella condizione. Era già una fortuna che fosse così vicino.
«Non ci avevo pensato». Alli si girò per guardarlo in faccia, staccandosi da lui per la prima volta da quando si erano seduti.
«Troveremo una soluzione, okay?», disse Heath a bassa voce, allungando la mano a prenderle la sua.
Dopo un istante, Alli deglutì e annuì. «Okay». La sua vivacità ritornò con un piccolo sorriso.
Il resto della serata trascorse senza incidenti. Per un po’ parlammo, aggiornandoci e raccontandoci aneddoti. Heath mi chiese della mia azienda, facendomi capire che Blake gli aveva già raccontato quasi tutto. Che avesse parlato di me a Heath, nonostante la distanza e le circostanze, aveva già un significato per me. Che avesse reso possibile questo ricongiungimento poi, ne aveva ancora di più.
Solo poche settimane prima sarebbe sembrato impossibile che noi quattro ce ne stessimo seduti lì. Blake non aveva voluto che frequentassi Alli, per non parlare di Heath, con tutti i problemi che aveva causato. Ora si era mosso autonomamente per poterli riunire. Non riuscivo a capire, ma ero davvero felice che lo avesse fatto.
Mentre tornavamo a casa, Alli e Heath camminavano davanti a noi. Alli ridacchiava e si appoggiava a lui. Quasi mi aspettavo che schizzassero verso il letto più vicino. L’ultima volta che ero stata insieme a loro a malapena riuscivo a sopportarli. Quella sera era diverso. Non ero in astinenza da Blake come a New York e in qualche modo il loro amore amplificava il nostro. Mi appoggiai a Blake e lui mi mise un braccio sulle spalle. Gli feci scivolare la mano intorno alla vita e agganciai il pollice al passante della cintura, godendomi la sensazione di stare bene insieme.
«Grazie», dissi.
Le cose non erano perfette, ma Alli era felice, io ero felice e tutto grazie a Blake.
Sprofondai nella mia vasca, ancora un centimetro e il naso sarebbe stato sommerso. Mugolai nell’acqua calda, lasciandomi avvolgere dall’ondata di relax. Le dita di Blake mi massaggiavano le piante dei piedi con fare esperto. Non sapevo cosa avessi fatto nella vita precedente per meritare quel momento così assolutamente perfetto, ma lo adoravo.
Quando mi sentii massaggiata a dovere, scivolai via dalla sua presa. Mi posizionai sulle ginocchia, mettendo le gambe da una parte e dall’altra delle sua cosce muscolose.
Seguii la linea netta della sua mascella con le dita, apprezzando ogni lineamento, dono di Dio, che mi rendeva impossibile non sentirmi attratta da lui. «Tu sei troppo buono per me».
«Non dirlo neanche», mormorò, stampandomi un dolce bacio sulle labbra.
«Ma mi vizi».
«Meriti di essere viziata».
Mi sciolsi a quelle parole. Il suo viso era rilassato, felice, un riflesso di quel momento. Mi sentivo quasi di non meritarlo, sebbene non sapessi dire perché.
Grazie all’eredità di mia madre, mi erano state offerte possibilità che molte persone potevano solo sognare. Ma non riuscivo a ricordare l’ultima volta in cui mi ero sentita viziata, o qualcuno che stravedesse e nutrisse un tale affetto per me, a parte Marie. Sotto sotto, non riuscivo a farmene una ragione.
«Come fai a sapere che me lo merito?». Cercai di leggere nei suoi meravigliosi occhi nocciola. Lui sfoderò un sorriso a trentadue denti e il mio cervello andò in corto circuito.
«Io so tutto».
Girai la testa di lato e lo studiai con un sorrisetto. «Come ho potuto dimenticarmene? Il signore dell’universo».
Mi baciò il collo, approfittando della posizione. «L’hai capito, adesso». Il suo respiro caldo mi fece venire i brividi sulla pelle bagnata.
«Pensi che staranno bene?».
Mi avvolsi una ciocca dei suoi capelli intorno al dito.
Annuì. Nutrivamo entrambi dei dubbi sul futuro di Alli e Heath, anche se, mentre noi parlavamo, loro due stavano probabilmente disturbando la quiete della camera degli ospiti di Blake.
«Che farà lui ora?»
«Starà da me per un po’, per cominciare, fino a che non capiremo quale sarà la mossa successiva. Nel frattempo, lo coinvolgerò di più nel lavoro. Deve cominciare a prendere sul serio l’azienda. Ha cazzeggiato troppo perché io gliel’ho permesso. Ma, in questo momento, quello che più gli serve sono le responsabilità… qualcosa o qualcuno cui rendere conto che non siano solo i suoi bisogni superficiali».
«Non riesco a credere che tu abbia fatto questo per loro. Non sembravi molto propenso prima».
«Non lo ero infatti».
«Cos’è cambiato?».
Si spostò sotto di me e io indietreggiai un po’, sentendo che aveva bisogno di spazio per dire quello che voleva. Inzuppò i capelli sottili nell’acqua saponata. Posai le mani sulle curve solide dei suoi pettorali. Non c’era niente di più sexy di Blake bagnato.
Interruppi l’inventario mentale delle sue qualità più eccitanti per fargli pressione. «Parla».
Sospirò. «Non lo so. Immagino di essere diventato più comprensivo nei confronti della sua situazione. Non la questione della droga. Ovviamente non posso riferirmi a quello. Ma la disperazione nella sua voce quando mi parlava di Alli… Come se senza di lei non potesse respirare, come se tutto quello che gli era rimasto e lo faceva andare avanti, che probabilmente non era poi molto, stesse affondando dal giorno in cui non l’aveva più accanto».
Si fermò, immerse le mani nell’acqua e mi carezzò i fianchi con i pollici, stringendo la presa con fare possessivo.
«La ama», terminai il suo pensiero, più convinta che mai di cosa ci fosse tra loro.
«Lo so che la ama. Il suo stato quando non stanno insieme, è come mi sento io ogni volta che ti allontani da me. Non lo augurerei a nessuno».
Sentii il mio cuore andare in pezzi. Tutte le volte che lo avevo respinto, per paura, per proteggermi o per pura e comprensibile rabbia… Ma ogni volta che lo avevo fatto, il mio cuore ne aveva risentito, con un dolore che mi arrivava alle ossa e mi indeboliva fin nelle viscere. Una parte di me voleva mantenere una barriera tra noi, tenerlo a distanza di sicurezza dalla mia vita professionale, ma combatterlo così duramente mi distruggeva.
«Mi dispiace». La mia voce era carica di emozione.
Lui mi zittì e mi tirò a sé, tanto da far aderire i nostri corpi. Bagnati, scivolammo l’uno contro l’altro. La sua pelle sulla mia, le sue braccia intorno a me, eravamo vicinissimi. Quella presa di coscienza si fece sentire in basso, avvolgendomi lentamente a ogni contatto, ma i nostri movimenti erano cauti e deliberati mentre ci accarezzavamo a vicenda con cura estrema. Ero sopraffatta, scossa dalle potenti emozioni che mi travolgevano in sua presenza.
Forse Marie aveva ragione. Avevamo superato il punto in cui eravamo il meglio che potevamo da soli. Quello che eravamo insieme era diventato di gran lunga più potente, una forza che mi levava il respiro e faceva passare qualsiasi cosa in secondo piano. Per quanto odiassi ammetterlo, Blake Landon stava rapidamente diventando tutto per me.
A ogni contatto tra le nostre lingue, a ogni tocco delle nostre mani, il mio cuore traboccava d’amore. Di fiducia. Mentre le mie carezze si facevano frenetiche, quelle di Blake divennero più controllate, più gentili quando invece avrebbero dovuto possedermi con il desiderio selvaggio che provavamo l’uno per l’altra. Mi tirai via, decisa a rendere tutto diverso quella notte.
«Voglio che stanotte tu prenda il controllo».
Mi guardò dritto negli occhi.
«Controllo totale, tutto quello che ti serve». Tenni la voce ferma anche se ero preoccupata di cosa stessi per affrontare.
Il suo corpo si irrigidì sotto di me. «Erica, non lo faremo, okay?»
«Io ti amo e voglio fare questo per te. Mi fido di te e so che mi porterai fin dove sai che potrò arrivare. Non… non posso promettere niente perché non so cosa vuoi esattamente, ma voglio provarci».
«Basta».
Si spostò dandomi una piccola spinta per farmi indietreggiare. Fui presa dal panico.
«No, aspetta, ti prego». Sospirai e mi premetti le tempie, infastidita da quello che stavo per ammettere. «C’è una parte di me… Anche quando mi sforzo di bloccare ogni passo che fai, c’è una parte di me che vorrebbe darti il controllo di ogni cosa. Sottomettersi per la vita». Mi sentii piccola piccola subito dopo aver pronunciato quelle parole. «Il pensiero di abbandonarmi a te… mentirei se dicessi che non mi tenta e mi stordisce. Mi sono presa cura di me stessa per così tanto tempo».
Strofinò le nocche contro le mie guance e un calore mi invase. Mi stava ascoltando. Volevo credere che in qualche modo capisse, sentisse il peso che portavo per il fatto che le persone su cui potevo contare fossero così poche.
«Tu ti prendi cura degli altri e io so che posso fidarmi di te in qualsiasi cosa ti affiderò. L’ho capito e mi ribello, perché questa cosa mi spaventa a morte. Non posso permetterti di controllare così la mia vita. Non posso e basta. Ma penso di poterti dare il tipo di controllo che vuoi nel sesso».
«E come pensi di poterlo fare? Spegnendo un interruttore?»
«Penso di sì. Io…».
«E che mi dici di tutto quello che hai passato? Come puoi pensare che le cose che io voglio siano sane per te?»
«Io non so cosa vuoi. Fammi vedere e te lo dico».
Sospirò profondamente. «Erica, tu sei una donna forte e indipendente. Diversa da chiunque abbia mai conosciuto prima. Me lo dimostri ogni giorno, non importa quanto io te lo renda difficile. E non voglio cercare di cambiarti, di piegarti a fare cose non vuoi veramente fare».
«Come sai che non le voglio fare?».
Scosse il capo e distolse lo sguardo. «E se io mi spingessi troppo in là, oltre un confine da cui non c’è ritorno?»
«Mi fido di te».
Lo baciai, godendo della setosa frizione dei nostri corpo sotto l’acqua. Era duro. Forse stava già progettando qualcosa. Gli avrei dimostrato che ero la persona giusta per qualunque cosa volesse. Poi un pensiero gelido mi attraversò la mente.
Sophia.
Non capii di aver pronunciato quel nome ad alta voce fino a che non vidi l’espressione di Blake raffreddarsi. Strinse le labbra in una linea netta.
«No, piccola. Non andremo in quella direzione».
«No, aspetta. Lei era d’accordo su quella roba della sottomissione che ti eccita così tanto?».
Esitò.
«Dimmelo», sbottai. Non volevo tirarla per le lunghe su questo.
Rimase in silenzio per un po’. Annuì lentamente senza guardarmi negli occhi.
Non appena rispose alla domanda mi pentii di averla fatta. Vaffanculo a Sofia. Ora la odiavo molto più di prima. La gelosia quasi mi paralizzò. Era già abbastanza dura dovermi paragonare fisicamente alla modella ex fidanzata di Blake. Sapere che nel sesso gli dava quello che voleva era perfino troppo. Mi ritirai nella mia parte di vasca. L’acqua stava diventando fastidiosamente fredda.
Mi osservò. «Non è una questione di “essere d’accordo”. Lei voleva essere sottomessa da me. Era una sua maledetta idea. Va da sé che avere un ruolo dominante con lei non era una sfida. Ma lei voleva sempre spingersi oltre. Le cose che mi chiedeva a volte erano al limite del pericoloso. Non è questo che voglio fare con te. Ma dopo una relazione di quel tipo per così tanto tempo come la nostra…».
«È quello che adesso desideri», terminai la frase per lui, sapendo che era così prima ancora che lo confermasse.
«A volte, sì».
«Quello che abbiamo fatto noi… mi stavi mettendo alla prova per vedere cosa potessi sopportare?»
«In un certo senso. Ti ho fatto pressione. Penso che lo abbiamo capito entrambi».
«E le volte in cui ho preso il controllo io …».
Appoggiò la schiena alla vasca. «È stato difficile per me. Ho cercato di stare attento con te, Erica. Non sai quanto».
«Dimmi cosa vuoi, Blake».
«Non importa a questo punto».
«Merito di sapere». Trattenni il fiato, aspettando che parlasse.
«Sottomissione totale. Controllo totale sul tuo piacere e sul tuo dolore». La sua voce era piatta, un dato di fatto, come se stesse trattando un affare e dettando le sue condizioni.
Rimasi completamente senza fiato quando la realtà delle sue parole mi colpì. Era una cosa che avrei potuto dargli? Fui presa da una forma diversa di panico. Avvolsi le braccia intorno alle ginocchia, cercando di prevenire il gelo che si era fatto più profondo. Non potevo rischiare di perdere Blake.
«Bene, lo farò», mi affrettai a rispondere prima che potessi pensarci davvero.
Una ruga profonda gli solcò la fronte e i suoi occhi si spalancarono un po’, come se la mia concessione lo spaventasse davvero. Raddrizzò la schiena, poggiando il braccio sulle ginocchia. «Perché dovresti farlo?»
«Perché per me significhi molto di più di chiunque altro. Devo perlomeno provare».
«Qui non si tratta di compiacermi».
«Hai ragione. Qui si tratta di amarti abbastanza da correre il rischio. Penso che alla fine potrei abituarmi».
Mi alzai e iniziai ad asciugarmi mentre mi avviavo verso la camera da letto. Avevo cominciato a tremare, scossa. Eppure l’acqua non era così fredda. Ero terrorizzata. Perché? Blake non mi aveva mai davvero fatto male. Non mi farebbe mai male. Mi fermai ai piedi del letto, incerta sul da farsi.
Blake mi arrivò alle spalle. Serrai i pugni a stringere il tessuto di stoffa dell’asciugamano che era annodato all’altezza del seno. Con un respiro profondo cercai di calmare il lieve tremore che mi faceva vacillare.
«È questo che non voglio. Quello che stai provando ora. Non abbiamo ancora fatto niente e sei già spaventata a morte».
Mi voltai per guardarlo in faccia. «Dimmi cosa devo fare, sono nervosa. Ho paura di fare qualcosa di sbagliato».
«No, tu hai paura che possa farti del male».
Serrai la mascella, non sopportando che avesse dato voce alle mie paure – paure che erano radicate a fondo dentro di me. Mi avevano seguito per anni. Mi veniva da piangere al pensiero che non me ne sarei mai liberata. «So che non mi farai mai del male».
«Se ne sei tanto sicura, perché sei così spaventata?».
Deglutii rumorosamente. «Lo sai il perché».
Mi sollevò il mento, girandomi il viso verso di lui. I suoi occhi trasudavano emozione alla morbida luce della camera. Stava decidendo. Riuscivo a vedere che stava facendo le sue valutazioni, soppesando la spinta del suo desiderio e l’eventualità più che reale che io potessi spaventarmi a morte se avesse fatto qualcosa che andava oltre la mia soglia di sopportazione.
Feci cadere l’asciugamano e premetti il mio corpo contro il suo. La sua pelle bruciava, la mia iniziò a sciogliersi al suo calore.
Mi posò la mano sul seno e prese il capezzolo tra le dita, torcendolo delicatamente mentre si inturgidiva. «E sei io ti buttassi semplicemente sul letto e ti scopassi fino a farti perdere i sensi? Normale. Missionario. Duro».
Mi morsi il labbro. Le sue parole mi travolsero come un’onda calda. Suonava molto accattivante, ma mi stava eludendo. «Sono sicura che puoi tirare fuori qualcosa di più creativo».
Mi zittì con un bacio rabbioso. «Piano. Dobbiamo andarci piano. Io ti farò l’amore, piccola».
Le sue parole suonarono più come una constatazione che come l’espressione di quello che voleva veramente, in fondo in fondo. Le sue mani si muovevano senza sosta, afferrandomi e rilasciandomi con cura come se fosse in guerra con il suo stesso corpo. La sua frenesia mi accese un fuoco dentro. Un languore caldo crebbe d’intensità tra le mie gambe, trasmettendosi lungo di esse fino a che la mia pelle non divenne febbricitante come la sua.
Ricambiai il bacio, ingoiando le affermazioni che a breve ci avrebbero portato verso quello che volevamo, bramavamo. Lo afferrai per le spalle, poi infilai le dita tra i suoi capelli. Mi sembrava di non essergli abbastanza vicino. Volevo tirar fuori la parte animalesca che voleva venire da me con tutto quello che aveva. Non ero più spaventata. Avevo bisogno di lui.
«Prendimi come vuoi, fai quello che vuoi, Dio, ti prego. Ne ho bisogno, ho bisogno di te», gemetti, strofinandomi disperatamente contro di lui.
«No», espresse quel rifiuto a denti stretti. Il suo corpo era rigido, raggelato, come se il minimo movimento potesse infrangere la sua risolutezza.
Mi leccai le labbra, quasi feroce per la sensazione della sua erezione contro la pancia. Lo volevo così terribilmente che mi sembrava di impazzire. Non potevo più aspettare. In un attimo, mi misi in ginocchio e lo accarezzai tenendolo tra le mani in tutta la sua lunghezza. Avrei trovato il modo di sottomettermi, con o senza il suo aiuto. Lo presi in bocca e succhiai, facendo scorrere la lingua sulla parte sensibile. Gemetti, godendomi il suo sapore, il sottile aroma del suo corpo.
Rilasciò un sospiro, come se avesse trattenuto il fiato troppo a lungo. Leccai, succhiai e lo stuzzicai con i denti delicatamente fino a che non prese a tremare leggermente. Sottomessa o no, avevo il coltello dalla parte del manico in quella posizione. Ma forse non dovevo.
Rallentai i miei movimenti e rilassai la bocca. Lo afferrai da dietro e lo spinsi in profondità fino a che non colpì il fondo della gola. Il respiro gli sibilò tra i denti. Scivolò lentamente fuori da me, posandolo sulle mie labbra. Infilai le unghie nei suoi glutei e lui scattò di nuovo nella mia bocca. Deglutii, iniziando a muovere la testa e la bocca su di lui.
«Cazzo». Infilò le dita tra i miei capelli, cullandomi la testa. «Che cosa mi fai?»
«Voglio che scopi la mia bocca. Che mi controlli con le tue mani. Fammi vedere cosa vuoi». Pronunciai quelle parole come un ordine, ma non riuscii a evitarlo. Doveva capire che ero pronta, ormai.
«Non hai sentito una maledetta parola di quello che ho detto».
Ammiccai, leccandolo pigramente su e giù per la sua lunghezza, al rallentatore. Lo aspettai, spingendolo in fondo più e più volte.
Rilasciando un ringhio sordo, mi afferrò per i capelli e sgroppò leggermente con i fianchi. Lo presi totalmente e in totale bramosia, a ogni spinta controllata. Poi le spinte si fecero più profonde, toccandomi la gola, dandomi quello che potevo sopportare.
«Quanto sei bella così, piccola… in ginocchio. Tutta per me». Mi accarezzò le guance e si tirò via per permettermi di riprendere fiato prima di fare esattamente quello che gli avevo chiesto. La sua presa sui miei capelli si fece più stretta e quasi dolorosa mentre mi manovrava, scopandomi la bocca con colpi misurati. Sibilò e mi diede ancora di più.
Io gemetti, godendomi la sensazione della pelle setosa della sua erezione che mi scivolava sulla lingua mentre mi sforzavo di prenderlo completamente.
I suoi versi mi assicuravano che lo stavo facendo impazzire. Un leggero sudore mi coprì la pelle e mi abbandonai a quel momento. Volevo toccarmi, per sentire quanto fossi già bagnata, ma non lo feci. Mantenni le mani sui muscoli delle sue cosce che si erano indurite come tronchi.
Non riuscivo a smettere di pensare a cosa potesse provare dentro di me, pompando con lo stesso fervore e la stessa passione. L’assoluto potere del suo corpo era evidente in quella posizione. La mia bocca non avrebbe potuto sostenere le feroci spinte che mi dava quando scopavamo normalmente. Faceva attenzione a trattenersi in quella posizione più delicata, ma aveva il controllo totale. Ero così vulnerabile, completamente alla sue mercé. Fidarmi di lui e lasciargli prendere il piacere da me era inebriante.
Affondai leggermente le unghie nella sua carne, mentre il piacere raggiungeva l’apice.
«Tutto bene?»
«Non ti fermare».
«Non penso che ci riuscirei neanche se volessi. È così bello. Assolutamente meraviglioso, cazzo».
Chiusi di nuovo la bocca su di lui e feci scorrere le dita sui suoi addominali. Si flettevano e si tendevano a ogni spinta controllata fino a che non gridò, schizzandomi sperma bollente giù per la gola. Ingoiai e succhiai fino all’ultima goccia raccogliendola con la lingua.
Lui mi lasciò e ci tirò entrambi sul letto dove crollò, tenendomi sul suo petto. Aveva la fronte aggrottata e gli occhi chiusi mentre riprendeva fiato. Gli stampai baci ardenti lungo il petto, leccandolo sulle clavicole. Lui mi prese i polsi, gli occhi aperti ma ancora pesanti di desiderio.
«Hai cominciato, adesso ne pagherai le conseguenze».
«Sarà una punizione o una ricompensa per averti fatto esplodere il cervello?».
Il suo viso si addolcì un po’ e sorrise. «Non ho ancora deciso. Non riesco a essere lucido».
Mugolai per l’attesa. «Non vedo l’ora di scoprirlo».
Sapevo che non avrebbe potuto ricominciare tanto presto, e quindi con la bocca proseguii nel mio sabotaggio del suo torace. Non ne avevo mai abbastanza di lui. Compiacerlo era una dipendenza e avevo bisogno di un’altra dose. Mi mossi con bramosia sul suo corpo. Leccai la sua pelle salata, ancora scivolosa per il sudore del suo orgasmo. Il suo odore pulito e maschile mi drogava di lussuria. Prima che potessi scendere più in basso, mi girò sulla schiena. Mi spinse in alto sul letto e mi aprì le gambe al massimo. Squittii per quello che mi aspettava. L’unica cosa migliore di fare sesso orale a Blake era quando lui lo faceva a me. Aveva una bocca superbamente talentuosa.
Si posizionò e mi fissò, il suo respiro già affannoso. Mi accarezzò delicatamente, su e giù lungo le cosce. Rabbrividii ansiosa, fin troppo cosciente del languore tra le mie gambe.
«Toccati».
«Perché?»
«Fallo e basta. Fai tutto quello che faresti se in questo preciso momento non ci fossi io pronto a scoparti».
Titubante, abbassai la mano e iniziai dei movimenti lenti sul clitoride. Blake mi baciò su e giù per le cosce, i polpacci, le caviglie, ovunque tranne che dove lo volevo di più.
«Pensi a me quando lo fai?». Il suo respiro caldo mi faceva venire i brividi. Il mio corpo si tese in risposta.
«Non mi serve più da quando ti ho conosciuto. Preferisco di gran lunga che sia tu a toccarmi. Perché non mi tocchi? Ti prego».
«Non ti fermare. Ti voglio guardare. Ce l’hai un vibratore?».
Alzai gli occhi al cielo, leggermente offesa che me lo chiedesse. «Sono una donna moderna. Ovvio che ho un vibratore».
«Dov’è?».
Esitai, sentendomi improvvisamente tanto moderna quanto timida. «Nel cassetto della biancheria, perché?».
Mi stampò un bacio a bocca aperta sulla coscia interna che mi fece annaspare.
«Curiosità. Continua».
Obbedii, lasciando che le mie dita prendessero il ritmo che il mio corpo conosceva bene. I movimenti erano semplici e agevoli perché ero già bagnata. Avrebbe potuto entrare così facilmente in quel momento. Senza incontrare resistenza.
«Sei bellissima qua sotto. Così carina e rosa. Una volta o l’altra voglio raderti. Leccarti tutta la pelle morbida. Lo hai mai fatto?».
Scossi il capo. Non sapevo come sentirmi di fronte a una simile analisi delle mie parti intime. Mi stava facendo entrare in un loop. Volevo solo che mi succhiasse o mi scopasse.
«Non posso farlo». Per la prima volta nella mia vita, darmi piacere mi stava infastidendo. Volevo le sue mani su di me. Mi sentivo come se mi stessi accontentando di poco, imbarcandomi in un viaggio solitario che aveva come destinazione l’orgasmo. Niente in confronto alle inaspettate avventure da delirio di piacere in cui mi portava Blake.
«Ti imbarazza?»
«No… Un po’, forse. Ma non voglio venire in questo modo».
«Non succederà. Mi stai dando quello che voglio e, fidati, niente e nessuno ti farà venire da ora in poi se non io. Mi stai mostrando come ti tocchi e poi, quando starai per venire, io infilerò il mio uccello dentro di te. Pensi di poterlo sopportare?»
«Non puoi usare la bocca?», implorai.
Si poggiò sui gomiti e mi rivolse un’occhiataccia. «Sai, Erica, non sei esattamente obbediente. Ti ho detto quali erano le regole del gioco che, per tua fortuna, non prevedono accessori perché sono nel mio appartamento. Ma se continui a parlare, io ti prendo sulle ginocchia e ti sculaccio fino a mandarti all’inferno. Chiaro?».
Ridacchiai, ma la mia risatina scemò. Il suo sguardo era maledettamente serio. Ah, non stava scherzando.
Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi per non avere la tentazione di ridere. Sfidare Blake era molto divertente, ma non volevo essere sculacciata come una ragazzina petulante in quel momento.
Tenni gli occhi chiusi in modo da potermi concentrare, cercando di dimenticare che Blake stava guardando tutto. Mi tesi e mi irrigidii, poi mi afferrai il seno, inarcandomi al mio stesso tocco. Stavo per arrivare al limite, i miei movimenti si fecero più frenetici, meno aggraziati. La mente prese a girare. Immaginai che dentro di me ci fosse Blake. Il suo nome lasciò le mie labbra più e più volte. Avevo bisogno di averlo dentro di me. Stavo quasi per venire quando mi afferrò i polsi e li tenne stretti lungo i fianchi.
«Devo assaggiarti un minuto, piccola». Appiattì la lingua e mi colpì il clitoride. L’ascesa lenta e regolare verso l’orgasmo si acuì in qualcosa di tagliente. Gridai alla sensazione della sua bocca su di me che mi lanciava così pericolosamente vicino al precipizio. Inarcai i fianchi, nel disperato bisogno di lui, di un contatto con Blake che mi desse maggiore piacere. Si tirò via, ma prima che potessi protestare, mi penetrò fino in fondo in un’unica spinta, rapidamente seguita da un’altra.
«Blake, oddio, vengo», gridai, il mio corpo scosso dal violento piacere che mi travolgeva.
«È giusto, voglio sentire che ti contrai intorno al mio uccello. Sei già così fottutamente stretta».
Continuò con le sue spinte punitive, accarezzandomi il clitoride con il pollice in accurati movimenti circolari fino a che venni tra le urla. Avrei potuto giurare, nel mio rilassamento irrazionale, che non avevo mai provato niente di così bello. Mai.
Blake trovò il suo piacere da qualche parte nella foschia del mio orgasmo e crollò su di me. Restammo lì, con i corpi abbandonati l’uno sull’altro, il nostro respiro corto e irregolare.
«Brava ragazza», sussurrò Blake.