Capitolo cinque

Il giorno dopo decisi che sarei andata al lavoro più tardi così da poter assistere alla partenza di Alli. Heath e Blake erano nel soggiorno, che parlavano a bassa voce. Eravamo quattro persone che tenevano così tanto l’una all’altra, e avevamo tanto da dirci.

Aiutai Alli a fare le valigie dato che, avendo passato la notte con Heath, non ne aveva avuto il tempo. Dal suo aspetto spossato e assonnato capii che era stata una nottata intensa. Probabilmente non meno di quella che avevamo condiviso io e Blake. Aveva ragione quando diceva che questi fratelli Landon ci tenevano sempre sulla corda. Che il cielo ci potesse aiutare entrambe.

Ma aveva ripreso il suo colorito abituale e il suo umore era di nuovo vivace. Faticò a chiudere la zip della valigia, che al termine di ogni viaggio sembrava sempre più grande anche se non si era comprato niente di nuovo. Quando finalmente ci riuscì, si alzò in piedi, le mani sui fianchi. Controllai l’ora. Aveva solo pochi minuti prima di partire per l’aeroporto.

«A quanto pare ci siamo», dissi. Cercai di non pensare a quanto tempo sarebbe passato prima di rivederla.

Le lacrime le rigarono le guance. Mi strinse in un forte abbraccio e singhiozzò sulla mia spalla. Erano stati giorni meravigliosi, ma sapevo che il suo pianto non era solo per me.

«Andrà tutto bene, promesso».

«Promesso?». Si staccò, stringendomi forte le mani nelle sue.

«Promesso». Torna, così potremo stare tutti insieme, pensai, ma ingoiai le parole. Non lo avrei mai detto. La decisione era sua. Sapeva che poteva tornare indietro quando voleva.

«Heath ti ama e anche io».

«Tu ami Blake!», ridacchiò tra le lacrime.

L’abbracciai di nuovo. Ci separammo non appena Heath fece capolino in camera da letto.

«È ora di andare, tesoro».

Alli mi strinse ancora una volta e mi salutò, scomparendo al di là della porta con Heath.

Blake mi raggiunse mentre una lacrima mi scendeva lungo la guancia. Maledizione. Quanto mi sarebbe mancata. Blake mi asciugò il viso e mi strinse in un abbraccio, che ricambiai posandogli le mani intorno alla vita, contenta di non dovermene separare a breve. Non potevo e non volevo pensare a una simile eventualità, mai.

 

«Sei sicura che mi andrà?».

Aspettai con impazienza che Marie aprisse la custodia e tirasse via la plastica della tintoria.

«Penso di sì. A me sta un po’ grande la parte sopra».

Sorrisi e mi portai un braccio pudico intorno al seno, che sembrava sempre un po’ troppo pieno per la mia figura esile. Ero in piedi in camera da letto con solo la biancheria intima, mentre Marie scopriva il vestito. La gonna lunga fino a terra era di seta nera con un intarsio di velluto verde petrolio.

Lo infilai e Marie tirò su la chiusura lampo. Il corpetto con la scollatura a cuore stringeva comodamente sul seno. Contenta che riuscisse a contenerlo, mi spostai verso lo specchio per vedere come cadeva il resto del vestito. Il taglio a sirena della gonna abbracciava alla perfezione fianchi e vita e la grande fasciatura di stoffa vintage scendeva fino alle ginocchia.

Marie mi venne accanto, più alta di me di quasi tutta la testa e più bella e sgargiante che mai. Era la migliore amica di mia madre, ma nel tempo era diventata anche una delle mie. A volte era la mamma che mi serviva, altre volte solo un’amica con cui parlare di cose che non avrei mai potuto dire a un genitore. In momenti come quelli mi guardava come mi avrebbe guardato mia madre. I suoi occhi si offuscarono un po’ mentre ammiravamo quel vestito.

«A volte dimentico quanto le somigli».

Sorrisi e ingoiai le lacrime. Ora che sapevo chi era mio padre, potevo apprezzare un po’ di più quanto i miei lineamenti ricalcassero quelli di mia madre. Avevo i suoi stessi riccioli biondi e la pelle chiara, ma erano gli occhi di mio padre che mi guardavano dallo specchio.

Mi irrigidii improvvisamente al pensiero di rivederlo quella sera. Il nostro rapporto era tutt’altro che semplice.

«Beh, lei aveva un gusto straordinario».

Inarcò leggermente le sopracciglia. «In realtà questo glielo aveva comprato Daniel. Lo aveva indossato al ballo dell’ultimo anno».

«Ma lo ha lasciato a te».

«Ha lasciato un po’ di cose, per comodità penso. Mi ha detto di regalarle. Ma questo era troppo bello per darlo via. Sono così felice di averlo tenuto. Guardati». La sua mano scivolò lungo il mio braccio e me lo strinse leggermente.

«È perfetto». Accarezzai la stoffa, mi piaceva la combinazione di tessuto morbido e ruvido, dal velluto alla seta. Mi stava a pennello. In un modo o nell’altro, senza saperlo, mia madre era riuscita a farmi un regalo veramente bello.

Prima che le emozioni potessero prendere di nuovo il sopravvento, qualcuno suonò alla porta in cucina. Mi trascinai fuori dalla camera da letto per andare ad aprire. Pochi secondi dopo feci entrare il corriere. Aveva un pacco rosa con un nastro nero lucido. Inarcò il sopracciglio nel vedermi vestita in quel modo a metà pomeriggio.

«Scusi, sto sistemando l’armadio», scherzai nervosamente.

«Non si deve scusare». Mi squadrò in modo palese per poi pescare dalla tasca un foglietto. «Ehm, mi serve solo una sua firma qui».

Scarabocchiai il mio nome e presi il pacco. Chiusi la porta alle sue spalle e lo posai sul tavolo, ansiosa di aprirlo. Recuperai il bigliettino sul nastro e lo lessi.

 

Erica,

Viziami e indossalo questa sera.

Con amore, B

 

Mi sentii sprofondare. Merda, e se mi avesse comprato un vestito? Non poteva competere con quello. Mancavano ancora diverse ore al gala, ma non volevo proprio toglierlo.

Con riluttanza, tirai l’estremità del nastro e strappai gli strati di carta rosa fino a raggiungere una serie di indumenti di pizzo nero accuratamente ripiegati. Tirai fuori un reggiseno a fascia con slip coordinati e autoreggenti di seta con balza in pizzo.

Quell’uomo aveva gusti costosi e la lingerie non faceva eccezione.

Marie mi venne alle spalle e fece un fischio di apprezzamento.

«Okay, è il segnale. Qui ho finito».

Improvvisamente in imbarazzo, rimisi tutto nella confezione.

«Sei la mia salvatrice ufficiale per gli eventi formali. Grazie davvero, Marie».

«Di niente, bambina. Sono felice di averti potuto aiutare. Mi raccomando, fai le foto! Ah… a proposito. Ho dimenticato di dirti che ci sarà Richard con un fotografo a seguire l’evento. Magari ti citerà nel suo pezzo».

«Meraviglioso. Cercherò di individuarlo».

«È alto, scuro e non vuole impegnarsi. Non ti può sfuggire».

Risi.

«A parte gli scherzi, però, ha visto le tue foto in giro a casa mia, quindi sono sicura che si presenterà lui a un certo punto».

«Okay, starò di vedetta».

Mi diede un rapido bacio e se ne andò, lasciandomi da sola in preda a un’ansia soffocante per la serata che si prospettava.

 

Indossai la lingerie che mi aveva mandato Blake e feci una piccola giravolta davanti allo specchio per osservarmi. Avevo i capelli tirati su e alcuni riccioli biondi mi incorniciavano il viso. Portavo degli orecchini di diamanti appartenuti a mia madre, che si abbinavano con i braccialetti che mi aveva dato Blake.

Sono una ragazza fortunata, pensai, elettrizzata dall’attesa. Cercare di stringere rapporti di lavoro con tutta quell’aspettativa per il sesso che sarebbe seguito si preannunciava interessante.

Alli era partita per New York e Heath stava dal fratello. Forse era una buona cosa. Di recente Blake aveva accennato a certi accessori, e il pensiero di ritrovarmi in balia del suo arsenale di giochi da dominatore mi intimidiva un po’. I nostri soli corpi sarebbero stati già abbastanza. Di certo non avremmo avuto bisogno di ausili.

Proprio in quel momento, la sagoma di Blake si stagliò sulla porta. Rimasi senza fiato a quella vista. Le sfumature verdi dei suoi occhi risaltavano sul bianco e nero del suo smoking tagliato su misura.

Guardai il suo riflesso mentre si avvicinava lentamente a me, gustandosi la mia figura da dietro.

«Sei in anticipo».

Si fermò alle mie spalle, guardandomi negli occhi attraverso lo specchio. «Ho sottostimato quanto mi avresti tentato con questa mise. Queste mutandine sono una meraviglia sul tuo sedere».

«Serviti pure», lo stuzzicai, facendo un passo indietro tanto da sentire il calore del suo corpo pericolosamente vicino.

Sibilò. Mi posò una mano sul fianco e mi tirò contro di sé per far aderire i nostri corpi.

«Non vedevo l’ora di vedertelo addosso».

«Mi sei mancato anche tu». Sorrisi e mi appoggiai a lui, portando la mano dietro di me per toccarlo, felice di averlo di nuovo vicino. Il mio corpo si rilassò contro il suo. Ogni momento che passavamo lontani era una vera sofferenza. Non potresti apparire più dipendente e patetica di così. Ignorai quella vocina dentro di me, perlomeno per il momento, e mi abbandonai al senso di completezza che provavo in sua presenza.

Il mio sorriso svanì quando mi strofinò le labbra lungo il collo, prese tra i denti l’orecchino di diamante e mi morse delicatamente il lobo. Mi sfuggì un piccolo gemito e il mio corpo si tese in ardente attesa. Passò in rassegna le mie curve. Fece scivolare la mano sulla pancia e si infilò negli slip, sul pube. Poi si bloccò improvvisamente, con gli occhi spalancati.

«Ma che…?».

Mi voltò, agganciò i pollici alle mutandine e le tirò giù senza troppe cerimonie, scoprendo il risultato della mia primissima cera brasiliana.

Mi morsi il labbro, nervosa per la sensazione di essere così nuda. «Ti piace? Volevo farti una sorpresa».

«Ci sei riuscita eccome». Mi spinse contro l’armadio e si mise in ginocchio, portando i miei slip con sé sul pavimento. «Buon Gesù, tu mi ami».

La mia risatina si trasformò in affanno quando si mise una mia gamba sulla spalla e si seppellì dentro di me, leccandomi, aprendomi con le dita in modo da solleticare le parti sensibili. Quell’uomo aveva una bocca abilissima, e percepivo tutto in modo così… diverso laggiù. Più intenso, come se venissi toccata per la prima volta. Un nervo esposto, nudo solo per lui. Rabbrividii al soffio del suo respiro contro di me. La sensazione delle sue labbra e della sua lingua che mi stuzzicavano la carne nuda mi fece fremere.

Guardai di lato il nostro riflesso nello specchio a figura intera. Avevo il viso in fiamme e il seno gonfio, pesante e morbido nel reggiseno. Guardarlo assaporarmi con tale passione, quell’uomo elegante e bellissimo nel suo impeccabile smoking che mi dava piacere come se la sua vita dipendesse da quello, era la cosa più erotica che avessi mai visto con i miei occhi. Il mio cuore traboccò. Il calore mi invase, diffondendosi come un incendio incontrollato mentre bruciavo d’amore e di eccitazione.

Quando mi succhiò il clitoride serrai gli occhi. Il mio corpo scivolò verso l’orgasmo impellente. «Non fermarti, ti prego…».

«Non potrei mai. Sei troppo dolce, cazzo. E ora… scopiamo». Passò la lingua tutt’intorno e poi la infilò dentro, scopandomi con colpi superficiali.

Afferrai il bordo della cassettiera. Le gambe erano a un passo dal cedermi e pregai di restare in piedi quando fosse venuto il momento.

«Sì, mi piace così. Blake, oh, mio Dio, sto per…».

«Vieni per me, piccola».

La sua voce bassa e roca che vibrava sul mio sesso mi spinse al limite. Le flebili grida esplosero in un guaito mentre raggiungevo il culmine. Scossa da fremiti incontrollati, persi il controllo per il piacere. Mi tenne salda sui fianchi, sorreggendomi, mentre il tremore scemava. Cercai di ricompormi e riprendere fiato.

Poi si alzò e mi diede una delicata spinta verso il letto. Vi caddi sopra, completamente in estasi.

«Questo sì che è stato inaspettato», dissi, la voce stridula, ubriaca di beatitudine.

«Beh, tu odi fare pubbliche relazioni, quindi forse questo ti rilasserà un po’».

Scoppiai in una risata e sorrisi, euforica e sazia. Poggiato sul gomito, Blake era steso accanto a me con un sorrisetto soddisfatto. Abbassai lo sguardo e riconobbi immediatamente la sagoma della sua erezione dentro i pantaloni dello smoking. La situazione era stata alquanto unilaterale. Il suo sorrisetto si amplificò quando mi fermò la mano che si muoveva verso di lui.

Protesi il labbro inferiore, interdetta dal suo rifiuto. «E adesso che c’è?»

«Quello può aspettare».

«E perché? Abbiamo tempo». Lo pensavo davvero. Avevo perso ogni concezione di tempo e spazio durante il mio recentissimo black-out orgasmico.

«A dopo i ringraziamenti, dolcezza. Mi annoierò a morte per questa serata, quindi ora posso immaginare di toglierti queste autoreggenti con i denti e leccarti dalla testa ai piedi tutta la notte. Per quando saremo tornati a casa, sarò pronto a farti cose veramente deplorevoli».

I capezzoli divennero turgidi, sfregando quasi dolorosamente contro la seta della lingerie mentre il seno si gonfiava a ogni inspirazione tremante. A volte ero convinta che potesse farmi venire solo con le parole. Amavo quanto fosse sporco e diretto quando si trattava di sesso. E dal suo tono stava scendendo a patti con la mia apertura verso i suoi modi perversi. Potevo solo sperare che mi ci portasse a piccoli passi. Non avevo mai saputo quali fossero i miei limiti fino a che Blake non mi ci avesse spinto oltre.

«Che genere di cose deplorevoli?», chiesi, curiosa tanto quanto in ansia.

«Ho in mente qualche idea».

«Dài, dimmelo».

«Mmh, no, mi piace troppo sorprenderti. E poi, questo ti darà qualcosa da pensare. L’attesa dell’ignoto».

«Dammi un indizio».

Una scintilla gli si accese negli occhi e fece un sorrisetto. «Neanche per sogno. Adesso metti quel bellissimo vestito prima che io perda la testa a guardarti in tutti questi pizzi».

Si tirò via, ma io lo riportai da me tirandolo per il bavero nero fino a congiungere le nostre labbra. Mi stavo ancora riprendendo dall’orgasmo e avevo l’inspiegabile urgenza di sentire il mio sapore sulle sue labbra. Lui mi restituì il bacio teneramente, accarezzandomi le guance con le dita. Mi sentii di nuovo persa, fuori dal tempo e dalla realtà, fino a che non si fece indietro.

«Se non mi lasci andare, piccola, ti farò venire di nuovo. E allora non usciremo più perché non potrei trattenermi».

 

Gli ospiti scivolavano lungo i corridoi del museo nei loro abiti eleganti. Io e Blake ci accodammo, attraversando un grande cortile interno. La sala era da togliere il fiato, con finestre dal pavimento al soffitto alte più di dieci metri che offrivano una vista dei muri in pietra originari illuminati contro l’estivo cielo notturno. Ero stata a qualche evento di Harvard prima di allora, ma niente che potesse competere con quello.

Mi fermai sulla balconata guardando la festa dall’alto.

«Che meraviglia», mormorò Blake nel mio orecchio.

«Da togliere il fiato». Osservavo ogni cosa con uno stupore infantile.

Lui mi mise un braccio intorno alla vita e mi tirò al suo fianco. Mi girai per guardarlo negli occhi. Ardevano nei miei con l’intensità da uragano che avevo imparato ad amare, a bramare.

«Non parlavo della vista». Mi strofinò il pollice sulle labbra e vi stampò un casto bacio.

Il mio cuore palpitò mentre lo respiravo. Intorno a noi suoni e immagini smisero di esistere per un minuto, mentre mi rendevo conto di quale capolavoro fosse Blake.

Una voce interruppe i miei pensieri. Qualcuno mi chiamò a distanza. Daniel, con Margo al braccio, si avvicinò al punto della balconata in cui eravamo. Daniel era elegantissimo nel suo smoking e Margo indossava un vestito lungo di seta verde smeraldo che si intonava perfettamente alla sua esile figura e ai capelli ramati.

Esitai, incerta di come dovessi salutarli in pubblico, fino a che Margo non venne a darmi un bacio.

«Erica, che bello incontrarti. Sei incantevole».

«Grazie, sono felice di vederti».

Gli uomini si strinsero la mano e Daniel mi salutò con un sorriso caldo. Il suo viso tradì un’emozione subito mascherata dal suo sorriso perfetto, perfino più ampio del solito in quel momento.

«Sei bellissima, Erica. Landon è un uomo fortunato».

Arrossii a quel complimento.

«È vintage?». Margo fece scorrere le dita delicate sul drappeggio di velluto del mio vestito, con eloquente apprezzamento.

«Ehm, sì», risposi nervosa, con lo sguardo che scattava su Daniel. Gli occhi lo tradirono. Nella mia eccitazione infantile per quel vestito non avevo pensato che Daniel potesse veramente notarlo, né tantomeno ricordare da dove venisse. Ma a giudicare dal suo sguardo sofferente, era proprio così.

Daniel si schiarì la voce. «Bene, perché non ci mescoliamo agli ospiti e vediamo di capire a chi possiamo presentarti?»

«Sarebbe magnifico», dissi in fretta, ansiosa di dissolvere quel disagio che solo io e Daniel avremmo potuto capire.

Margo si accigliò leggermente. «Porterò io un po’ in giro Erica, tesoro. Perché voi due non andate a bere qualcosa?».

Comunicarono tra loro senza parlare, ma non riuscii a capire quale potesse essere il messaggio.

«Bene, lascia che ti offra uno scotch, Landon. Magari riesco a convincerti a sovvenzionare la mia campagna».

Le labbra di Blake si sollevarono di un millimetro. «Non mi occupo di politica, ma accetterò lo scotch».

Daniel scoppiò in una sonora risata, dando pacche rilassate sulle spalle di Blake. Margo agganciò velocemente il suo braccio al mio e mi guidò lungo un’ampia scalinata verso la folla sottostante.

«Come stai, cara?». Rallentò abbastanza da prendere due bicchieri di champagne dal vassoio di un cameriere di passaggio e porgermi una delicata flûte.

«Bene, e tu?»

«Abbastanza bene. Naturalmente la campagna elettorale è piuttosto stressante».

«Immagino. A quanto dice Daniel le cose si stanno mettendo bene, però».

«I numeri variano, i pronostici oscillano. Stiamo perdendo terreno, ma lui dice che all’ultimo minuto cambierà tutto». Si strinse nelle spalle e mi rivolse un sorriso a metà.

«C’è ancora tempo. Sono sicura che ha le persone migliori a lavorare per lui».

«Certo. Questo lo so. Sono solo preoccupata. Gli serve tutta l’energia possibile per questo sforzo, per poter proseguire».

Mi fissò come se volesse dirmi altro. Aspettai che continuasse.

«Parla spesso di te, Erica. So che vuole costruire un rapporto con te, tirar fuori qualcosa da questi nuovi sviluppi. Ma se ci tieni a lui, dagli un po’ di spazio fino alle elezioni. Deve vincere e se, Dio non voglia, si venisse a sapere qualcosa del vostro rapporto… sarebbe devastante. Lo capisci, cara?».

Mandai giù l’ultimo sorso di champagne, sperando che non si accorgesse di quanto le sue parole mi avessero ferito. Non gli avevo fatto alcuna pressione dopo il nostro ultimo incontro proprio per quel motivo. Speravo che Margo sapesse che era stato lui a invitarmi e non il contrario. Non era ostile, ma covava comunque del risentimento in merito a un mio potenziale coinvolgimento nella vita di suo marito.

«Naturalmente. Mi… mi terrò a distanza. Non dovrebbe essere difficile dal momento che le nostre vite non hanno praticamente punti di contatto».

Mi prese per mano, la strinse un po’ e sorrise. «Grazie».

Soffocata da quelle parole, passai in rassegna la sala, desiderando di aver già stretto relazioni e di conoscere tutti quelli che avevo intorno; finalmente il mio sguardo si posò su due volti familiari.

«Puoi scusarmi, Margo? Ho visto un’amica».

La donna annuì. Attraversai la sala per raggiungere Risa, in un severo vestito nero con una scollatura sulla schiena pericolosamente profonda.

«Erica, ciao! Sei meravigliosa».

«Grazie, anche tu».

Ricambiò il sorriso e alzammo entrambe lo sguardo verso l’uomo che avevo interrotto con il mio arrivo.

«Erica, immagino che tu conosca Max».

«Naturalmente».

«Ti trovo bene, Erica».

Max mi diede un’occhiata veloce che terminò con un sorriso obliquo. Avevo dimenticato quanto potesse essere affascinante, con i suoi capelli biondi corti e la pelle abbronzata in contrasto con il bianco abbagliante della camicia dello smoking. In effetti, mi sorprese che Risa non fosse ridotta a un budino ai suoi piedi, visto il suo evidente e sfrontato apprezzamento dei notevoli esemplari maschili che deliziavano il nostro ufficio. Se l’avessi di nuovo trovata a flirtare alla scrivania di James, sarei dovuta intervenire. Per il bene di James.

«Posso dire lo stesso di te», risposi.

«Risa mi ha detto che il sito sta andando bene».

Lanciai un’occhiata a Risa e mi resi conto, sollevata, che non aveva idea di quello che era successo tra noi. Non parlavo né vedevo Max da quando Blake aveva fatto saltare il nostro accordo a pochi minuti dalla finalizzazione. Ero fuggita dalla sala conferenze della Angelcom in lacrime per la rabbia, incapace di spiegarmi cosa fosse effettivamente accaduto. Con quello, il nostro rapporto di lavoro era stato troncato del tutto, dal momento che, quando si era trattato di investimenti, Blake non aveva voluto avere niente a che fare con lui e viceversa.

«Finora tutto bene. Abbiamo buone speranze di crescita ora che abbiamo Risa nel team».

«Non ne dubito. Si sta lavorando la sala come una vera professionista».

Lei gli diede uno schiaffetto sul braccio e rise. «Beh, è Max che mi sta presentando, quindi non posso prendermi tutti i meriti».

Risa trasmetteva un misto di eccitazione e timidezza cui la maggior parte dei ragazzi probabilmente abboccava. Era carina e sembrava una ragazza dolce. Però si prendeva quello che voleva e mi interessava vedere come si sarebbe comportata. Soprattutto con uno come Max. Non mi avrebbe sorpreso se l’avesse spuntata sul playboy dai superpoteri.

Continuammo a parlare finché l’attenzione di Max non fu attirata da qualcun altro.

«MacLeod. Che piacere vederti. Ti stai godendo la festa?». Max tese la mano per stringere quella dell’altro ospite in smoking, i cui occhi scuri luccicarono quando incontrarono i miei.

«Ci sto lavorando».

«Erica, lui è…».

«Come va, Mark?», dissi interrompendo la presentazione di Max e sforzandomi di sostenere lo sguardo fisso di Mark. Dentro di me scattò l’allarme e il cuore prese a battermi forte. Ma rifiutai di mostrargli il benché minimo cedimento.

«Molto meglio ora», mormorò.

Max sorrise, notando lo sguardo lascivo di Mark su di me. Strinsi la mano sulla borsetta e chiamai a raccolta tutte le mie energie per apparire gentile e indifferente, più che cosciente che la mia reazione alla vicinanza di Mark sarebbe stata notata da chiunque lì intorno. Ovviamente i due si conoscevano per lavoro, dati i rapporti con l’azienda di Daniel, ma Max era l’ultima persona a dover sapere del mio oscuro trascorso con Mark.

Sapevo che avrei potuto incontrarlo, e avevo giurato che, se si fosse presentata l’occasione, non avrei ceduto. Se, a un certo punto, Daniel fosse entrato nella mia vita, Mark avrebbe continuato a fare la sua comparsa. E non potevo avere attacchi di panico ogni volta.

Mark non era più un fantasma, era diventato reale. Troppo reale. Una creatura tangibile con un nome e un passato, con tutte le sue vulnerabilità e debolezze, reali quanto le mie. Cercai di tenerlo bene a mente, mentre mi guardava senza ritegno.

«Che ne diresti di ballare?».

Mascherai il mio disgusto per quella proposta. Max e Risa ci guardarono in attesa.

«Magari dopo, ho bisogno di rifornimento». Tamburellai con le dita sulla mia flûte vuota. Mi serviva più di un bicchiere per poter prendere in considerazione la sua richiesta.

«Te lo prendo io. Vai a ballare». Max mi fece l’occhiolino e mi tolse di mano il bicchiere.

Max non mi aveva mai dato occasione di odiarlo. Nonostante gli avvertimenti di Blake, non ero sicura che le sue intenzioni fossero così maliziose come le faceva sembrare il mio uomo. In quel momento, però, lo odiavo per ragioni che non avrebbe mai potuto capire.

Mark mi prese per mano e mi tirò sulla pista da ballo, tenendomi stretta. Mi mossi meccanicamente per seguirlo, troppo colta di sorpresa dalla situazione per cercare una via d’uscita. Poi rallentò e mi attirò tra le braccia. Quell’improvviso contatto tra i nostri corpi mi provocò un’ondata di nausea.

Mi irrigidii, consapevole che vomitare sulla pista da ballo non avrebbe portato niente di buono per qualsiasi cosa sperassi di ottenere da quella serata dal punto di vista professionale.

«Rilassati», disse, facendo il romantico e portandosi così vicino che la sua bocca sfiorava il mio orecchio, il suo respiro caldo e umido sulla mia pelle.

Da ogni punto in cui i nostri corpi si toccavano partivano delle scosse che risalivano fino al sistema nervoso. Anni e anni di riluttanza verso quell’uomo e i ricordi che mi aveva lasciato impressi nel cervello dicevano al mio corpo di ribellarsi. Serrai la mascella e feci un profondo respiro a denti stretti, non perché lo volesse lui, ma perché ero determinata a passare quella prova senza il minimo cedimento.

«Perché lo fai?», chiesi con voce malferma. Sperai di apparire più controllata di quanto mi sentissi in realtà.

«Non riesco a starti lontano. Penso di aver sentito la tua mancanza. Sono davvero felice che Daniel ti abbia invitato. Avevo la sensazione che saresti venuta se te lo avesse chiesto lui».

«Che cosa vuoi da me? Lasciami stare e basta, per favore».

«Penso che tu lo sappia».

Strofinò la bocca sul mio collo e tutto il mio corpo si raggelò, il panico cominciava a salire. Mi si offuscò la vista e le lacrime minacciavano di uscire. Le coppie intorno a noi sorridevano e danzavano, ma non riuscivo a scorgere Blake da nessuna parte. Max e Risa erano ai piedi della pista e chiacchieravano. Non mi erano di alcun aiuto in quel momento.

Non può farti niente qui dentro. La voce della logica era flebile, sovrastata dai pensieri allarmanti che mi passavano per la mente. Mi aveva preso una volta nonostante il gruppo di amici e una folla di gente. Non l’avrei mai superata.

«Lo sai, ricordo ancora tutto di quella sera».

L’unico lato positivo di essere tanto vicini era che non riuscivo a vederlo in faccia. La sua faccia. Quel terribile ghigno che si era impresso in maniera indelebile nella mia memoria. Serrai gli occhi, cercando di chiudere fuori tutto, ma ricordavo ogni dettaglio.

«Era la tua prima volta? Evidentemente sì. Eri così stretta, così spaventata».

Mi sforzai di non vomitare e cercai di tirarmi via, ma mi bloccò il polso come in una morsa, avvicinando ancora di più i nostri corpi con l’altro braccio.

«Mi piace una bella lotta, ma non faremo una scenata alla festa di papino, vero?»

«Lasciami andare. Per favore», implorai. Presi a tremare in maniera incontrollata. Che fosse un fantasma o un uomo, dovevo andarmene.

La musica della banda scemò concludendo il brano.

Quando pensavo che mi sarei effettivamente messa a urlare, Mark allentò la presa e mi lasciò andare.

«Alla prossima, Erica», sogghignò.

Mi allontanai, appena un minimo rilassata. Cercai di orientarmi sulla pista da ballo. Dov’era Blake? Dovevo andarmene da lì. La musica riprese e le persone ricominciarono a muoversi intorno a me, tra il vociare e le risate. Mi sentivo circondata dal caos.

«Va tutto bene?», mi chiese Daniel alle mie spalle, abbracciandomi con Margo al suo fianco.

Il fatto che Daniel fosse legato a Mark, quell’uomo orribile che mi aveva quasi maledettamente rovinato per sempre, era più di quanto potessi sopportare. Mi girai senza rispondere e lasciai la sala, fuggendo lungo un corridoio verso il cortile interno.

Il cortile era quasi buio, illuminato solo dalle lucine appese intorno agli alberi che fiancheggiavano le pareti di mattoni. Non appena uscii, respirai profondamente l’aria notturna. Ero scossa, mi tremavano le mani, e sapevo per esperienza di essere sul punto di entrare in iperventilazione. L’aria fredda mi accarezzò la pelle coperta di un velo di sudore, traccia degli ultimi minuti di panico assoluto.

«Erica».

Daniel mi raggiunse in fretta, lo sguardo molto preoccupato.

«Stai bene?»

«No». Scossi il capo, ma ci ripensai e controllai la mia reazione. In assenza di Mark stavo lentamente tornando razionale. «Sì, sto bene. Mi dispiace. Avevo solo bisogno di prendere un po’ d’aria».

«Qui, da questa parte». Mi mise un braccio sulle spalle e mi guidò gentilmente verso un angolo vuoto del cortile. Sedemmo su una panchina di ferro battuto. Sentivo il corpo inerte e pesante. Se non crollavo era solo per il vestito, un vestito che era stato indecentemente premuto contro l’uomo che mi aveva violentato.

Mi presi la testa tra le mani. Odiavo Mark. Profondamente e con ogni grammo del mio essere. Per anni avevo avuto paura di lui. Di non sapere dove o come potesse ritornare nella mia vita. E ora che era lì, la paura lasciava il posto a una rabbia potente. Prima, l’unica persona da biasimare per la violenza subita ero stata io stessa. Mi ero ubriacata troppo, ero stata troppo ingenua. Qualsiasi scenario riportava gli eventi di quella notte alle mie azioni e a cosa avrei potuto fare per fermarli in qualche modo.

Quei giorni erano finiti. Mark era cattivo come non avrei mai potuto immaginare che fosse e la mia rabbia e tutto il dolore che avevo provato dopo quella notte, a causa di quella notte, erano colpa sua.

Daniel mi mise delicatamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Mark ti ha detto qualcosa?».

La sua voce mi riportò al presente e, quando spostai lo sguardo su di lui, lo trovai perplesso e palesemente preoccupato. Chiusi gli occhi, premendomi le tempie. Le lacrime minacciavano di scendere e repressi un singhiozzo. Qualcosa di Daniel, il modo in cui mi guardava, mi fece desiderare più di quanto mi fossi mai aspettata di ricevere dal padre che non avevo mai avuto.

«Erica». La sua voce si fece più tagliente.

«Conosco Mark», sbottai, pentendomi subito di averlo detto.

«Non capisco».

Deglutii e cercai di nascondere le emozioni che montavano mentre sceglievo le parole giuste. Non ne avevo mai parlato a voce alta. Era successo tutto troppo in fretta.

«Dal college. Ci eravamo già incontrati. Non… non lo so». Lo guardai negli occhi, augurandomi che in qualche modo potesse saperlo… o capirlo senza che dovessi dirlo io. Il suo viso appariva pallido e stoico, non mi dava nessuna indicazione di cosa stesse pensando di me.

Avrei voluto che l’edera del giardino mi fagocitasse per depositarmi di nuovo in camera mia, lontano da quella gente, da tutte le persone che non avrebbero mai potuto capire cosa stessi passando. Poi sentii la voce di Blake, come una luce in fondo al tunnel. Si affrettò a raggiungerci.

«Erica, ti ho cercato dappertutto».

Ormai senza forze, annuii in silenzio e mi alzai per andargli incontro. Daniel si tirò in piedi insieme a me, sorreggendomi con la mano sotto il gomito.

«Blake, penso che Erica non si senta bene. Forse dovresti accompagnarla a casa».

Blake corrugò la fronte e guardò prima me e poi lui.

«Certo».

Poi, Daniel si allontanò rapidamente, scomparendo nel pieno della festa.

«Piccola, stai bene?»

«Sì», sussurrai. «Portami a casa».