Capitolo diciotto

Cameron

 

Cercai invano di rallentare. Mi mossi sopra di lei, assaggiandone ogni centimetro. Stringeva e apriva le mani lungo i fianchi. Il suo corpo si muoveva impaziente sotto il mio, rispecchiando il desiderio divorante che pervadeva anche me. Lottai contro quel desiderio, intenzionato a fare con calma e amarla lentamente.

«Maya», sussurrai, mettendole una ciocca dietro l’orecchio per avere libero accesso alla pelle sensibile del suo collo. Mi deliziai delle piccole reazioni del suo corpo: la pelle d’oca che le veniva quando la toccavo, succhiando, leccando e sussurrando il suo nome come un mantra, come un’eco in un sogno. Tremò. La strinsi a me per darle tutto il calore che desiderava.

Vederla così sconvolta mi aveva distrutto. Volevo cancellare i ricordi e le situazioni che non poteva controllare e che la rendevano infelice. Volevo avvolgere la sua oscurità di luce, d’amore. Continuai a pensare a quella parola, analizzandone il significato nel contesto in cui mi trovavo: con l’unica donna che avevo mai amato nel mio letto, tra le mie braccia, che si stava aprendo completamente, anima e corpo.

Le sue mani tremanti mi passarono leggere sulle spalle e poi sul petto. Le presi e baciai la punta delle sue dita. Poi mi chinai su di lei e le afferrai il seno, prima di succhiare e far inturgidire i capezzoli, stuzzicandoli con la lingua e con i denti finché non gridò e allacciò le gambe ai miei fianchi.

Mi spostai per baciarle le spalle, il collo e poi il lobo, godendomi i suoi piccoli fremiti. Mi afferrò per la vita spingendomi più vicino. Volevo affondare dentro di lei, il mio autocontrollo stava per abbandonarmi.

«Prendi la pillola?».

Sbatté rapidamente le palpebre, come se avesse avuto bisogno di riacquistare lucidità per rispondermi. «Sì».

Le sfiorai la gola con la mano, fermandomi per un secondo sul battito pulsante. Mi mossi verso il basso finché non arrivai alle gambe e al cotone morbido dei suoi slip, umidi per me. Spostai il tessuto e passai le dita tra le pieghe della sua intimità. Lei si aggrappò al mio braccio e sussultò quando spinsi per entrare. Mi faceva male l’erezione, dalla voglia che avevo di essere dentro lei, di devastarla. Ed entro breve l’avrei fatto.

«Voglio essere lì, Maya, venire dentro di te…».

«Ho sempre preso precauzioni, Cam. Tu sei l’unico».

La baciai, assaporando quella promessa. Lei gemette e si inarcò contro il mio petto. Mi fidavo di lei, e lei si fidava di me tanto da lasciare che la guidassi.

La fiducia, quella guerriera benevola che lottava contro i timori che ci avevano tormentati, in quel momento pulsava tra noi. Erano la fiducia e quell’amore che neanche lei poteva più negare a formare il ponte che forse avrebbe unito chi eravamo stati a chi saremmo diventati. Forse sarebbe bastato per far scomparire tutto il male che ci eravamo fatti a vicenda.

«Voglio fare l’amore con te, ma mi devi dire se sarebbe troppo, ora».

«Ho bisogno di quel troppo». Fece vagare le dita sul mio petto e mosse il corpo contro il mio, facendo ulteriormente aumentare la mia erezione. «Ne ho bisogno. Fammi scordare tutto. Voglio solo questo momento tra noi. Fai in modo che duri il più possibile».

Posai le labbra sulle sue, baciandola dolcemente. Emise un piccolo gemito quando trovai la sua lingua, la succhiai e approfondii ancora il bacio, esplorando la sua bocca. Quando aprì gli occhi, il suo sguardo incontrò il mio, e mi si strinse il cuore.

«Potrei baciarti così per sempre. Sei talmente dolce e morbida». Le passai le nocche sulla guancia arrossata, che a quelle parole si imporporò ulteriormente.

«Mi servirà qualcosa di più di un bacio».

Risi piano. Le abbassai gli slip e non persi tempo. Impaziente, avrei voluto entrare dentro di lei con una spinta decisa, ma allo stesso tempo volevo vivere ogni secondo di quel momento, prolungandolo mentre mi faceva andare più a fondo.

Ed era incredibile, calda e accogliente, l’unico posto in cui volevo stare.

Era quello che desideravo dall’inizio, ma si erano messe troppe barriere tra noi per parlare prima dei nostri trascorsi sessuali. Sarebbe quasi valsa la pena evitarlo del tutto, se non fosse stato per l’impeto dei nostri corpi uniti senza niente a separarli.

Il solo pensiero di Maya con altri uomini mi riempì di gelosia. In un disperato bisogno di rivendicarla, spinsi più a fondo di quanto non avessi mai fatto. Lei sussultò, contrasse tutti i muscoli e mi bloccò dentro di sé. Quando la guardai, la sua bocca era aperta e il respiro affannoso le faceva sollevare ritmicamente il petto. Le labbra le tremavano. La sentii pulsare intorno alla mia erezione mentre ero fermo dentro di lei.

«Stai bene?»

«Oddio, sì».

«Ti ho fatto male?»

«È impossibile che tu mi faccia male, conosci il mio corpo troppo bene. È sempre stato così».

Allentai un po’ la tensione, anche se ero ancora rigido e pronto ad amarla appassionatamente.

«È quello che voglio, Maya: che non ci sia niente a separarci».

«Lo voglio anch’io. Voglio te, noi. Ti prego, non ti fermare».

Affondò le unghie nei miei glutei e mi mossi dentro di lei con la prima di una serie di spinte che la fecero sciogliere tra le mie braccia. Il piacere si diffuse velocemente.

«Cam, oddio».

Il modo in cui era stretta a me, bagnata e possessiva… Non riuscii a fermarmi. Al contrario, aumentai la velocità, spinsi più a fondo, e la frizione dei nostri corpi ci fece andare in estasi. Raggiungemmo insieme l’orgasmo, un’esplosione di calore ed emozioni sfrenate. Venni dentro di lei. Imprecai e le tenni fermi i fianchi.

Volevo riempirla, possederla completamente, sempre in quel modo. Nello stato di irrazionalità in cui mi trovavo, osai pensare che il tempo non si fosse messo tra noi. Come poteva essere venire dentro di lei con la speranza di creare una vita grazie al nostro amore? Un amore che cresceva ogni giorno, che metteva radici nelle nostre vite nonostante i dubbi.

Espirai e mi appoggiai a lei. Pensieri folli. L’amore per lei mi stava condizionando in diversi modi. Il pensiero era inebriante, anche se decisamente prematuro.

Si inarcò sotto di me, riprendendo fiato. Spinsi di nuovo delicatamente e lei si contrasse, e quella morsa piacevole mi fece fremere. Ero distrutto e ancora eccitato, ma non era mia intenzione venire così presto, avevo in programma di fare molto di più.

Scivolai fuori e mi distesi accanto a lei, i nostri corpi si toccavano. Si girò per guardarmi: la preoccupazione e lo stress di poco prima erano spariti.

«È stato incredibile».

Le mie labbra si incurvarono in un sorriso storto. «È solo l’inizio».

Le passai la mano sul seno e sulla pancia per poi andare più in basso. Tremò quando la toccai. Piegai il ginocchio sotto le sue gambe mentre le lasciava cadere, e diedi un colpetto finché non furono completamente aperte.

Esplorai la peluria e tracciai il contorno della sua vagina. Era bagnata del mio umore. Mi morsi il labbro. Il mio sesso tornò in vita velocemente e sentii dolore per il bisogno che avevo di ricominciare da capo. Resistetti, bloccando Maya con uno sguardo rovente mentre le mie dita raggiungevano il traguardo. Accarezzai le sue grandi labbra e stuzzicai la carne morbida finché non entrai di nuovo dentro di lei. Muovendomi con attenzione, trovai il punto G e lo sfregai delicatamente, e lei fremette a quel tocco leggero.

«Ma cosa mi fai?».

Uscii e iniziai a massaggiarle il clitoride con il pollice; poi entrai di nuovo, stuzzicandola dentro e fuori. «Ti faccio perdere il conto dei modi in cui ti faccio godere stasera».

I suoi fremiti e il suono erotico di quella rapida penetrazione erano gli unici rumori intorno a noi. La sua pelle, madida, si scaldava contro di me. Si mosse e si contorse, come se potesse liberarsi nel suo crescente fervore. Mi sollevai sul gomito e mi chinai su di lei, spingendola giù con un bacio. Mi mossi più forte, più vigorosamente e con meno controllo finché non venne di nuovo. Le nostre labbra si staccarono e il suo urlo gutturale riempì la stanza.

Quando tirai fuori le dita stava tremando, braccia e gambe ciondolavano dal letto. Avrei potuto avere pietà, ma ero eccitato e pronto di nuovo per lei. Avevo intenzione di scoparla fino a che non mi avesse supplicato di smettere.

«Ancora una volta, amore. Riesci a tirarti su sulle ginocchia?».

Inarcò leggermente le sopracciglia. «Col cavolo. Non riesco a muovermi. Chi sei, Ercole?».

Risi e mi girai su un fianco, stringendola da dietro.

«Non ti lascio andare così facilmente».

Le baciai il disegno che aveva sulla schiena, le spalle, il collo. Poi entrai di nuovo dentro di lei. Per quanto fosse debole un secondo prima, la sentivo già contratta.

«Adoro sentirti così. Non mi stancherei mare di esserti così vicino, Maya», le sussurrai con voce roca. La respirai, assaporai ogni secondo di quel momento tutto nostro. «Come sei profonda». Posò il braccio sul mio mentre glielo avvolgevo intorno alla vita per avvicinarla a me. La sua intimità era ancora contratta per gli orgasmi, ancora ricettiva mentre affondavo dentro di lei.

Spinsi più forte ed emise un gemito che le tolse il respiro. Mosse i fianchi e si piegò per farmi andare più in profondità, finché non fui sicuro di essere arrivato al suo centro.

Spinsi, ancora e ancora, a un ritmo regolare, inseguendo il mio piacere. Ero perso in lei, avrei voluto che quella nostra vicinanza non finisse mai. Era tutto così intenso da essere quasi palpabile. Il giorno dopo avrebbe avuto male dappertutto, ma non mi importava.

Quella sera la stavo spingendo oltre i limiti e mi stavo perdendo io stesso. Le afferrai il gluteo, esaminandone l’abbondanza, ed era perfetto sotto tutti i punti di vista.

Le diedi una sculacciata e guardai comparire l’impronta della mia mano. Maya gridò, premuta contro il mio corpo, contratta intorno al mio sesso. La sculacciai di nuovo e spinsi più a fondo che potevo. Emise un debole gemito e chiuse le mani stringendo il lenzuolo.

«Vieni, Maya. Dammi tutto quello che hai».

Cedette con un grido soffocato, il corpo rigido per la tensione dell’orgasmo, e la raggiunsi subito, esplodendo dentro di lei. Fu quasi doloroso. Rimasi così, unito a lei, finché non ci addormentammo.

Quando mi svegliai, la stanza era buia tranne che per la luce della luna che filtrava dalla finestra. Ci eravamo addormentati intrecciati l’uno all’altra. Credo. Non ricordavo di essermi addormentato. Mi sfregai gli occhi, ricordandomi che non avevo bevuto, ma la notte era confusa: nella mia testa comparvero immagini di quello che avevamo fatto. Non avevo mai scopato con una donna nel modo in cui l’avevo fatto con Maya quella sera. Se lei non era impazzita per il desiderio, io di sicuro lo ero. Dopo eravamo praticamente svenuti. Se quello non eguagliava una notte di bevute selvagge, non sapevo cos’avrebbe potuto farlo.

I miei occhi si abituarono al buio. Maya era accoccolata accanto a me. Il suo corpo sembrava piccolo nel silenzio della stanza. Scostai le coperte e la attirai più vicina a me, per poi coprirci di nuovo. Lei emise un suono leggero e si allungò verso di me, strofinando il naso contro il mio petto, la sua pelle fredda contro la mia. La avvolsi in un abbraccio e la tenni stretta finché il suo corpo non si scaldò.

Le scostai i capelli dal viso e la guardai imbambolato. Nonostante tutto quello che era successo tra noi nelle ultime settimane, non riuscivo ancora a credere che fosse tornata nella mia vita. Era come se si fosse esaudito un desiderio che esprimevo da tanto, e non ero mai stato pieno di gratitudine come in quel momento.

Quella sera qualcosa era cambiato. Da qualche parte tra il piacere fisico, l’amore e il non averle dato la possibilità di scappare via, avevo trovato l’anima della ragazza che conoscevo. E, oltre le stampelle e l’atteggiamento menefreghista, eccola lì: la mia Maya.

Ogni preoccupazione sui rischi emotivi che avrei corso innamorandomi di nuovo di lei furono spazzati via dalla paura di cosa le sarebbe successo se avesse continuato a vivere in quel modo. In fondo, aveva bisogno di me così come io avevo bisogno di lei, e saperlo mi legava a lei in una maniera nuova, che non avevo mai provato. Avevo intenzione di sistemare tutto, avrei riaggiustato quello che avevo rovinato e l’avrei fatta tornare come prima, fosse stata l’ultima cosa che avrei fatto.

 

 

Maya

 

Parcheggiammo davanti al mio appartamento. La macchina era ferma, ma non riuscivo a scendere. Erano successe troppe cose in quel breve viaggio. Cameron aveva scavato fino a trovare quel lato della mia vita che avevo sempre tenuto nascosto. Nella stanzetta di quella casa di riposo, in una cittadina sconosciuta e lontana dal brusio urbano, il mio universo era andato in tilt. Guardai fuori dal finestrino l’inferriata coperta di neve oltre cui stava il mio palazzo in arenaria e, in qualche modo, niente mi sembrò reale.

«Resta con me».

Mi girai verso Cameron con uno sguardo interrogativo.

«Magari sono solo io, ma al momento non voglio starti lontano. Ho la sensazione che potresti sparire, e il solo pensiero mi fa andare fuori di testa. Fammi stare tranquillo e vieni da me per un po’».

«Non vado da nessuna parte», promisi.

«Dimostralo».

«Ma non voglio disturbare, ci sono i tuoi genitori».

«Se ne sono andati, Darren mi ha scritto che la via è libera. C’è Olivia, ma di solito si sa fare i fatti suoi. E dovrà comunque abituarsi ad averti intorno, quindi tanto vale che lo faccia subito».

«Non voglio creare problemi, Cam».

Rise con gli occhi che gli brillavano. «Be’, invece li crei. Sei una gran rottura di palle».

Sbuffai e gli diedi un colpetto sulla spalla. «Non è che stare con te sia una passeggiata».

Mi prese la mano e la strinse. «Lo so, scherzavo. Più o meno. Ma vieni da me. Mi manchi già, è patetico».

Le sue labbra si incurvarono in un sorriso e il mio cuore si sciolse. Sospirai. Neanch’io volevo staccarmi da lui.

«Be’, non tornerò in ufficio per un altro paio di giorni. Preparo una borsa e torno tra qualche minuto».

Feci per scendere ma lui mi tirò indietro, avvicinandomi a sé. Mi schioccò un bacio sulle labbra, la sua stretta era calda e possessiva.

«Ti amo».

«Ti amo anch’io», dissi in un soffio. Mi girava la testa e avevo caldo, come se avessi assunto una dose di qualcosa di forte. La normale attrazione che c’era prima tra noi era amplificata dal fatto che ci stavamo innamorando perdutamente di nuovo. Le reazioni del mio corpo e del mio cervello erano quasi più di quanto riuscissi a gestire.

Quando mi lasciò, corsi a preparare la borsa con un sorriso stupido stampato in faccia. Aggiornai brevemente Eli, terminando con una scrollata di spalle piena di impotenza che lui sembrò comprendere.

Andammo a casa di Cameron. Non c’era traccia di Olivia e ci sistemammo. Preparò qualcosa da mangiare e mi portò a fare il giro della casa, mostrandomi tutto quello che lui e la sorella avevano aggiunto nelle ultime settimane. Era migliorata molto dall’ultima volta che ero stata lì, e per quanto ce l’avessi con Olivia per motivi personali, dovevo ammettere che si era rivelata una presenza positiva. Volendo far progredire le cose con Cameron, senza più nascondergli nulla e decisamente più speranzosa di quanto non fossi stata in precedenza, pensai con una punta di ottimismo che io e Olivia avremmo trovato il modo di superare le nostre differenze.

«È tutto magnifico. È comunque troppo spaziosa per voi due, no? Non andrà a vivere per conto suo, a un certo punto?»

«Penso proprio di sì. Credo stessi pensando al mio futuro quando l’ho scelta. Non ho ancora abbandonato l’idea di convivere».

Arrossii. «È tanto anche per due persone. Considerando che siamo a New York, è davvero enorme».

Annuì e si morse il labbro. «Le famiglie possono allargarsi».

Rimasi senza fiato. Cazzo, stava parlando di noi. Forse quella con mia nonna non era stata una conversazione scherzosa. Spostai il peso da un piede all’altro, nervosa.

«Ragioniamo un po’ troppo sul lungo periodo, eh?».

Scrollò le spalle e fece un sorriso. Non dicemmo più niente in merito per tutto il resto del giro e tornammo nel rifugio che era l’appartamento del piano di sopra.

«Allora, stasera devo fare un salto in palestra per assicurarmi che Darren non le abbia dato fuoco».

Inarcai un sopracciglio. «Fa il pompiere».

«Si sa che tutti i pompieri sono piromani, non ci si può fidare di lui. Comunque, vieni con me».

«Non mi vuoi davvero lì a deprimermi, sarebbe un male per gli affari».

Scoppiò a ridere. «Ma figurati. Non saprei cosa fare se non ci fossi tu a lamentarti delle abitudini che cerco di farti prendere».

«Vuoi farmi fare esercizi?».

Mi fece un sorrisetto maligno. «Sì. Preparati».

Alzai gli occhi al cielo e gemetti. «Va bene».

Mi diede una pacca sul sedere e mi girai, guardandolo male. «E questa per che cos’era?»

«Da poco mi sono reso conto che mi piace sculacciarti, e quando dici qualche cazzata mi dai la perfetta scusa per farlo».

Strinsi le labbra. «Non so se mi piace come suona».

«Oh, a me sì». Mi cinse la vita con un braccio, facendomi girare in modo che ci trovassimo petto contro petto. Aveva la bocca chiusa e sentivo il suo respiro sulle labbra. I suoi occhi si fecero più scuri per le allusioni della sua frase. «Mi piace il suono della mia mano che schiaffeggia il tuo sedere. E mi piace anche il suono che fai tu quando succede».

Inspirai e mi sentii avvampare. «Okay, sei riuscito a convincermi ad andare in palestra». Mi liberai dalla sua presa e lo spinsi via prima che la libido prendesse il sopravvento e iniziasse a mettere in atto le sue minacce indecenti.

 

 

Cameron

 

La palestra era tranquilla. Raina non c’era, dato che le lezioni di yoga erano sospese fino all’anno nuovo. Ne ero felice. Non avevo avuto occasione di parlarle di Maya, ma l’avrei fatto se significava calmare le sue preoccupazioni sul tipo di rapporto che avevo con l’istruttrice. Il confine che avevo stabilito per mantenere le cose professionali andava ridisegnato. Avevo lasciato che flirtasse con me, immaginando fosse una cosa innocua, ma non poteva più succedere.

Stavo facendo degli addominali sul materassino mentre Maya ammazzava il tempo sul tapis roulant, e quando mi alzai comparve Darren.

«Ciao».

«Grazie per averci dato buca a Natale. La visita finirà di sicuro nei libri di storia».

Feci una smorfia e mi sentii decisamente più in colpa di quando Olivia mi aveva minacciato per telefono.

«Le cose con Maya si sono fatte… intense, credo. Non volevo lasciarla sola e ho immaginato che tu e Liv sareste riusciti a gestire mamma e papà. Quant’è andata male?».

Darren sospirò. «È stato insopportabile. Più del solito, direi, perché hanno dato di matto quando hanno visto che non c’eri. In pratica tutto il solito schifo all’ennesima potenza. Fai tu».

Prima o poi avrei dovuto incontrarli. Ero riuscito a evitarli per quasi un anno. Avevo avuto un sacco di cose a cui pensare, ma soprattutto non sembrava mai il momento giusto. Il tempo che passavamo insieme era forzato e imbarazzante, e anche senza vederli sapevo che le cose non sarebbero cambiate. Avevo passato tre anni guardando la morte in faccia nel deserto, lasciando che i giorni scivolassero via. Non potevo perdere altro tempo fingendo di essere il figlio che volevano che fossi o a scusarmi perché non lo ero. Ma, per il bene di Darren e Olivia, la prossima volta avrei fatto un passo avanti.

«Mi dispiace. Ti devo un favore».

«Fantastico, perché torneranno per Capodanno e lo coprirai tu quel turno. Io ho un appuntamento»

«Con chi?»

«Non lo so, ma ne avrò uno, fidati. E non guardarmi così, che cazzo. Mi devi un favore, come hai appena detto».

Dentro di me sospirai: odiavo dover mantenere quella promessa così presto. «Va bene».

«Comunque, che succede con Maya? È tutto a posto?»

«Sì, ora va tutto bene. Benissimo».

«Ottimo, mi fa piacere».

«Okay, esco per un po’. Ci vediamo domani».

«Va bene».

Uscì e io finii, impaziente di andare a cercare Maya.

Facemmo una lunga passeggiata, che ci portò in una pasticceria vicino al parco. Le avevo promesso del cioccolato se avesse fatto una serie extra di addominali. Lei, seppur riluttante, aveva accettato, e io presi mentalmente nota di corromperla ancora con il cioccolato, in futuro.

Entrammo nella piccola pasticceria e il profumo di impasto e cacao ci avvolse.

«Dio, sembra tutto buonissimo. Cosa prendi?». Gli occhi di Maya erano spalancati mentre esaminava i dolci dalla vetrinetta.

«Un caffè, ma tu prendi quello che vuoi».

Si girò e mi guardò con le sopracciglia inarcate all’inverosimile, come se avessi avuto tre teste. «Mi sfinisci, mi porti in una pasticceria che offre dei dolci che fanno venire l’acquolina in bocca solo a guardarli e mi dici che prendi un caffè?»

«Devo mantenere la linea», scherzai. «Altrimenti i miei iscritti mi prenderanno in giro».

«Va be’, quindi stai dando la colpa a loro».

«Dovrei incolpare anche te?»

«Non sono una dei tuoi iscritti, ma ti sto assecondando. Puoi torturarmi quanto vuoi con i tuoi esercizi, ma non metterti tra me e il cioccolato: divento cattiva».

Risi. «Ne prendo atto».

«Infatti, per rimarcare il concetto, prenderò due dolci».

Annuii con le sopracciglia inarcate. «Sei ambiziosa».

Mi rivolse un ampio sorriso e io sentii un brivido per il suo entusiasmo. Prendemmo i dolci e le bevande e ci sedemmo a un tavolino rotondo in un angolo della pasticceria. Lei non perse tempo ad assaggiare il primo dolce, poi ansimò piano.

«È davvero così buono?»

«Non sai cosa ti perdi», e mi mise davanti un cucchiaino di mousse al cioccolato.

«Sembra buono, ma sono a posto così. Piantala di punzecchiarmi».

Si portò il cucchiaino alla bocca e gemette talmente forte che mi venne l’acquolina in bocca, e non per il cibo. Aprì un occhio per controllare la mia reazione. La fissavo a bocca aperta come un idiota.

«Che c’è?».

Mi avvicinai con la sedia e le presi il cucchiaino. «Lascia fare a me». Presi un po’ di dolce e glielo portai davanti alle labbra, che lei schiuse lentamente prendendo in bocca tutto il cucchiaino. Lo pulì con la lingua e inghiottì. Trattenni un gemito. Volevo essere quel cucchiaio. Mi leccai le labbra e scacciai dalla testa l’immagine di lei che mi leccava della mousse al cioccolato dall’erezione. Come cazzo avevamo fatto a passare dai dolci al sesso così velocemente?

Presi un altro cucchiaio di dolce e la imboccai. Lei mangiò e chiuse gli occhi, emettendo un lieve gemito. Non capivo se mi stesse facendo andare fuori di testa di proposito. Ero troppo preso dall’imboccarla per preoccuparmene. Avremmo potuto andare avanti per tutta la notte, solo che ero già eccitato e dovevamo camminare parecchio per arrivare a casa.

«È buonissimo, Cam», disse, interrompendo una delle decine di fantasie che stavo avendo in quel momento.

«Sì, eh?».

Annuì e si leccò dalle labbra quella sostanza spumosa. «Delizioso».

Delizioso. Lasciai che quella parola mi entrasse nella testa e si unisse alle fantasie che già la riempivano.

Mi sporsi lentamente verso di lei finché le nostre labbra quasi si toccarono. «Allora lo devo provare».

Trattenne il respiro ma non fece resistenza. Mi spostai leggermente e le leccai il labbro inferiore; le presi il viso tra le mani e la tenni ferma per baciarla dolcemente.

Il rumore di una coppia che si stava sedendo accanto a noi interruppe il momento. Lei si scostò velocemente, e io studiai la sua reazione.

«Delizioso».

«Visto? Vorresti averlo preso, eh?». Il tono di voce era affannato, i nostri sguardi fissi l’uno sull’altra.

«Ma non l’avrei assaggiato dalle tue labbra. Va benissimo così».

Rimase in silenzio e fissò il tiramisù ancora intatto per un attimo.

«Passami la forchetta», dissi, e presi un angolo del dolce. Lo mangiai, pensando che sarebbe stato molto più buono sulle labbra di Maya.

Mi fece un sorriso enorme. «Ti sto corrompendo».

«Va bene, domani te la farò pagare».

In risposta, mi diede uno schiaffo sul braccio. «Non è giusto. Tu bari e devo pagare io?»

«Le regole le faccio io».

«Perché le devi sempre fare tu? Magari la prossima settimana le stabilisco io: niente esercizi e seguirai una dieta di pollo fritto e orsetti gommosi».

Feci una smorfia al solo pensiero. «Quelle porcherie ti fanno malissimo».

«Lo so, e il mio sedere lo conferma».

Mi accigliai, non gradii quel commento. «Io adoro il tuo sedere», dissi serio.

Spostò lo sguardo su di me e poi di nuovo sul dolce, che stava distruggendo con la forchetta. «Smettila», sussurrò, spostandosi una ciocca dietro l’orecchio e rivelando le guance arrossate.

Quel rossore mi incoraggiò. Mi avvicinai e mi assicurai che potesse sentirmi solo lei. «Non farmelo dimostrare qui».

«Come no».

Riappoggiai la schiena allo schienale della sedia e sorrisi. «Hai un corpo fantastico, davvero. Non dovresti affatto sentirti insicura».

«Non ti credo, ma grazie».

«Credimi, altrimenti mi sentirò in obbligo di farti i complimenti per il tuo bel culo e potrebbe diventare imbarazzante. Molto più imbarazzante di quanto non sia già», dissi, facendo un leggero cenno verso la coppia accanto a noi che forse aveva sentito la conversazione.

Scoppiò a ridere e mi unii a lei. Adoravo la sua risata, un suono genuino che mi riportò indietro nel tempo, a quando ridevamo sempre. Mi ripromisi di continuare a farla ridere, per il suo bene e per il mio.

Fui pervaso dalla felicità come non lo ero da… Be’, da quando eravamo stati insieme l’ultima volta.