Capitolo tredici
Cameron
«Inizia ad essere carino, qui. Forse dovresti continuare a vivere con Liv».
Darren gironzolava per la stanza, con le mani in tasca, mentre esaminava i progressi di giornata. Olivia gli lanciò uno sguardo seccato, risistemandosi la ciocca di capelli che le era scappata dalla coda, prima di dare un’altra passata di pittura sulla parete.
Nascosi un sorriso. Non ci stancavamo mai di prenderla in giro. «Sì, ora inizia a sembrare una vera casa. Si intravede la fine».
Le settimane prima avevo fatto molti progressi con la ristrutturazione. Olivia era un buon incentivo: mi girava intorno, supervisionava all’eccesso, brontolava ed essenzialmente mi aiutava con i dettagli che trasformavano le mie buone intenzioni in progetti concreti. Avevamo sistemato pavimenti, finestre e decorazioni della cucina del secondo piano, e ora stavamo finalmente dando le ultime passate di pittura.
«La prossima settimana tocca al terzo piano, poi per Natale sarà tutto perfetto», disse Olivia.
Darren annuì. «Ecco, la mattina di Natale la passiamo qui? Non sono stato molto bravo, non credo che Babbo Natale mi porterà regali».
Olivia non rispose e continuò a dare il bianco in silenzio.
«Hai impegni, Liv?», le chiesi.
«In realtà, credo che vengano mamma e papà. Sarebbe carino se vedessero la casa sistemata».
Io e Darren ci scambiammo uno sguardo che parlava da solo. Magnifico, cazzo.
Lui si fece sfuggire una risata, ma non era per niente divertito. «Complimenti, Liv, bel modo di sganciare la bomba. Da quanto tempo è in programma questa cosa?».
Lei scrollò le spalle.
«Ti rendi conto che è questo fine settimana, vero?». Il mio tono tradì l’irritazione al pensiero di quella visita.
«Avremo già finito». Si stampò in faccia un sorriso allegro e si avvicinò a me e Darren, che stavamo in piedi con le braccia incrociate. «Dobbiamo solo prendere dei mobili e dare una ripulita. È vero, la mamma è pignola, ma sono sicura le piacerà».
Alzai una mano per zittirla. «Non me ne frega un cazzo dello stato della casa e a chi piacerà. Voglio sapere perché hai pensato di poterli invitare senza prima parlarmene. Questa è casa mia».
«Lo so, continui a ricordarmelo». Il suo tono non era meno tagliente del mio. «Lo so che avete i vostri problemi, ma sono pur sempre i nostri genitori. Non possiamo escluderli dalle nostre vite».
Scoppiai a ridere. «Stai scherzando? Sei tu quella che non è riuscita a fuggire da loro abbastanza in fretta. È passata solo qualche settimana e ti mancano così tanto che hai sentito il bisogno di invitarli qui?»
«Non li ho invitati, va bene?».
Restai in silenzio, cercando di immaginare un’altra spiegazione. «Be’, di sicuro non sono stato io. Lo sanno come la penso».
Abbassò lo sguardo e si morse il labbro. «Potrei essermi lasciata sfuggire che stai di nuovo frequentando Maya, e la mamma potrebbe essersi un po’ preoccupata».
Assimilai quelle parole insieme all’incredulità per ciò che avevo sentito. «Non ci posso credere».
Lei alzò lo sguardo, i suoi occhi erano grandi e innocenti. «Ha pensato fosse una buona idea venire qui e vederci tutti. Una volta presa la decisione, non sono riuscita a farle cambiare idea. E, credimi, ci ho provato. Ma hanno fatto programmi, quindi a questo punto ci conviene abituarci all’idea».
Mi passai le mani tra i capelli e iniziai a camminare per la stanza. Farla venire a vivere da me era stata una pessima idea. Cosa cazzo mi era venuto in mente? Darren era un rompicoglioni, ma in questo momento Olivia gli faceva un baffo.
«Non essere arrabbiato», supplicò.
«In che cazzo di universo non dovrei essere arrabbiato per questa cosa? Prima fai l’iperprotettiva in palestra e ora devo sorbirmi loro? Ho passato tre anni a schivare proiettili e a sperare che una qualche bomba non mi facesse saltare in aria o mi mutilasse. Pensi davvero che abbia bisogno che mi ronziate intorno? Che mi stiate in qualche modo proteggendo, a questo punto della mia vita? Perché, se è così, devi capire che il mio rapporto con Maya e gli eventuali rischi che comporta non si avvicinano neanche ai pericoli che ho affrontato. Non ne hai la minima idea, Liv».
Feci un respiro profondo. Olivia sembrava piccolissima davanti alla mia rabbia, ma aveva la mascella serrata e lo sguardo determinato.
«È il motivo per cui sei andato lì», disse a bassa voce.
Strinsi i denti, sforzandomi di sbollire qualche secondo per evitare di attaccarla di nuovo. Mantenni la voce ferma. «È qui che ti sbagli. Mi sono arruolato per allontanarmi da loro e farmi una vita che non dipendeva dalle porte che mi aprivano».
«L’abbiamo fatto entrambi», si fece avanti Darren.
Se qualcuno era in grado di capire ciò di cui stavo parlando, quello era lui.
Mi fermai di nuovo davanti a mia sorella. «Ascoltami bene: questo posto non sarà pronto per Natale. E, soprattutto, sono io a non essere pronto. Li incontrerò quando sarà il momento, ma ora te li gestisci tu. Hai combinato questo casino e ora lo sistemi. Di’ che abbiamo preso altri impegni o quel che ti pare. Sinceramente non me ne frega niente di che scusa userai, ma non li vedrò finché non sarò pronto».
«E quando sarai pronto? È passato quasi un anno».
«Te lo farò sapere».
Maya
La settimana mi sembrò corta e lunga contemporaneamente. I giorni si mischiavano tra loro. Non mi sentivo così sotto pressione dagli ultimi esami all’università.
Il lavoro non stop era però galvanizzante, a modo suo. Stare fianco a fianco con Jia mi aveva fatto aprire gli occhi. Anche se avevo conosciuto un lato di lei più gentile, in ufficio era spietata. Era molto educata, specialmente nei confronti dei suoi pari e dei superiori come Dermott, ma non perdeva tempo in smancerie. Assunse il comando degli aspetti del progetto che ci trovavamo per le mani e, una volta risolti, lo conoscevamo in maniera così dettagliata e approfondita che diventava chiaro che fossimo entrambe cruciali per la sua realizzazione.
La stronzaggine di Dermott era significativamente diminuita, e notai qualche sguardo complice da parte di Jia. Doveva aver notato il cambiamento. Se aveva previsto che le cose sarebbero andate così, aveva fatto un ottimo lavoro. Lo odiavo ancora, ma era diventato molto più sopportabile, soprattutto visto quanto tempo stavamo passando insieme a lavorare.
Per quanto le nuove opportunità lavorative fossero elettrizzanti, ero esausta. Un’altra giornata di lavoro si era allungata fino alla sera. Avevo gli occhi stanchi per le ore passate a fissare lo schermo del computer e le tabelle, e avrei ucciso per del cibo del fast food. Avevo mandato un messaggio a Cameron pregandolo di portarmene un po’ quando fossi andata in pausa per la cena.
«Fermiamoci e andiamo a mangiare», disse finalmente Dermott.
Jia si alzò. «Ottima idea. Hai fame, Maya?»
«Da morire, ma vedo Cameron. Stava aspettando che andassi in pausa».
«Certo. Vuoi che ti portiamo da mangiare?»
«No, grazie, mi porta qualcosa lui».
Lei si chinò e parlò a voce bassa per farsi sentire solo da me. «Puoi usare il mio ufficio».
Inarcai le sopracciglia.
«Staremo via almeno per un’ora. Farò in modo che sia così». Mi fece l’occhiolino e fece un cenno agli altri uomini che la seguirono fuori dalla sala riunioni.
Aspettai qualche minuto prima di scendere alla reception. Cameron stava leggendo una delle noiose riviste di finanza disponibili. Indossava un maglione nero con lo scollo a V che accentuava i muscoli di petto e braccia e metteva in mostra l’incavo della clavicola. Mi venne subito voglia di leccarlo, fino al collo e poi… Merda. Sentii una fitta familiare nello stomaco. Il mio sguardo cadde più in basso: i jeans gli fasciavano le gambe distese.
Mi costrinsi a smettere di cercare di dare un nome a tutti i gruppi muscolari sotto i suoi vestiti e incrociai i suoi occhi azzurri. Il mio stomaco fece una capriola e, al di là della stanchezza e della fame, riconobbi che mi era mancato. Mi era mancato ogni suo meraviglioso centimetro.
Dopo il nostro ultimo incontro carico di emozioni, ero impaziente di appianare i toni duri della conversazione. Ci eravamo detti parole forti; mi aveva ferita e io non ero stata da meno. Forse ci eravamo detti cose che volevamo dirci da tanto tempo. E ora ci eravamo liberati. Lui mi voleva ancora nonostante tutti i miei difetti, e io lo volevo ancora nonostante i nostri trascorsi dolorosi. Ma proprio quando mi sentivo pronta a ricominciare di nuovo, il lavoro aveva occupato ogni attimo libero della mia vita.
Vederlo era una splendida ricompensa. Sorrisi al pensiero che fosse mio. Quando mi avvicinai si alzò. Mi sollevai sulle punte dei piedi e lo baciai. Contemporaneamente, il mio stomaco brontolò.
«Dimmi che hai portato la cena».
«Sì». Tirò su una busta di carta che però non conteneva cibo del fast food né nient’altro che avesse grassi saturi.
Arricciai il naso, sospettosa. «Vieni, possiamo mangiare nell’ufficio di Jia».
Si accigliò leggermente. «Jia?».
Ignorai il ricordo imbarazzante del nostro momento di trasgressione e lo presi a braccetto, conducendolo nel piccolo ufficio. Chiusi la porta a chiave.
«Cosa mi hai portato? Qualcosa di buono, voglio sperare».
«Un panino che ti cambierà la vita. È tutto biologico».
Alzai gli occhi al cielo e gemetti. «Oddio. Stai cercando di uccidermi, vero?»
«Ti piacerà, piantala di lamentarti». Si sedette sul divano all’angolo e lo raggiunsi.
Nessun panino si era mai lontanamente avvicinato a cambiarmi la vita, e niente di biologico era buono come la versione piena di grassi. Il mio stomacò brontolò di nuovo mentre Cameron tirava fuori i panini. Troppo affamata per protestare, scartai il mio e gli diedi un morso senza indugiare oltre.
«Cavolo, è buono davvero». La mia voce era attutita dal cibo, e mi coprii velocemente la bocca con la mano. Pollo, avocado e una salsa che mi stava facendo impazzire. Non riuscivo a capire cosa fosse, non me ne intendevo di cucina.
«Te l’avevo detto», sorrise compiaciuto. Adorava avere ragione, era evidente. «Come va il lavoro?»
«Siamo in dirittura d’arrivo. Domani finiremo prima perché c’è la festa, quindi sarà una pausa meritata. Hai ancora intenzione di venire?»
«Mi stai chiedendo un appuntamento?».
Sorrisi. «Sì. E comunque mi servono rinforzi».
«Non dovrò picchiare nessuno, vero?».
Risi, mandando giù l’ultimo boccone del panino e bevendo un sorso del succo di frutta che aveva portato. «Spero di no. Non dovrebbe essere malaccio. Ma se Reilly si accanisce di nuovo con Vanessa davanti a me, giuro che gli alzo le mani».
«Fai paura. Ma ti ci vedo, ora sei talmente irascibile…».
Avvampai. Il modo in cui mi guardava mi ricordò un’altra persona, una ragazza innocente e spaventata dal mondo. Appoggiai la schiena sul divano, chiusi gli occhi e lasciai cadere indietro la testa. Un’altra ondata di stanchezza mi assalì.
«Sei ancora con me?».
Alzai lo sguardo.
«Scherzavo, prima. Ma ti sei zittita. Ho di nuovo detto qualcosa di brutto senza rendermene conto?»
«No». Gli presi la mano. «Non lo so… A volte, quando sono con te, ho dei flash su com’ero. Le persone cambiano, è inevitabile. Ma a volte la cosa mi intristisce».
«Come mai?»
«All’epoca ero ingenua, in molti sensi, ma c’erano tante possibilità. Era come se il mondo fosse a nostra disposizione, hai presente? La vita non era sempre perfetta, ma per certi versi lo era».
«Mi sento anch’io così».
«E se non potessimo riavere quello che avevamo?». Disegnai dei cerchi sui suoi palmi callosi. «E se non fossi quello che vuoi perché sono troppo diversa da quella che ero?».
Mi avvolse la vita e mi fece sedere in braccio a lui.
«Sei tutto quello che voglio». Giocherellò con una ciocca dei miei capelli e continuò. «Mi sorprendi, e mi piace. Solo perché siamo cambiati, non vuol dire che non andiamo più bene l’uno per l’altra. Abbiamo avuto le nostre esperienze, ci serve solo del tempo per recuperare. Non pensare già al peggio, va bene?».
Gli sfiorai il petto, le curve dei muscoli. Mi aveva di nuovo ipnotizzata. Avevo vissuto e visto abbastanza, negli ultimi anni, da credere che nessuno mi avrebbe più preso così. Non avrei potuto sbagliarmi di più.
Cameron
Mi posò la mano sulla nuca e mi schiuse le labbra con la lingua. A ogni movimento sentivo la sua passione pervadermi. Ogni leccata e ogni morso incontravano ancora più desiderio, una fiamma potente che era diventata più calda e intensa da quando eravamo stati insieme l’ultima volta.
La strinsi a me. La mia lingua cercava la sua, andava a fondo, la baciava intensamente ed esplorava la sua bocca umida. Ansimò piano, aumentando la presa sui capelli. Lasciai vagare le mani, sui glutei e sulle gambe, sulla stoffa scura della camicetta. Passai i palmi sopra i capezzoli inturgiditi e le strinsi il seno attraverso la barriera leggera degli indumenti. Si mosse sopra di me, aumentando la pressione sul mio sesso.
Nella mia mente, avevo già delle visioni erotiche di quello che avrei potuto farle. Ero più o meno consapevole che il posto non era molto appropriato, ma mi era mancata così tanto da star male.
Il corpo mi faceva male dal bisogno che avevo di lei; ma quando eravamo insieme ed era premuta contro di me, come in quel momento, succedeva qualcosa al mio cuore. Nel mio cervello avveniva una qualche reazione chimica che mi ricordava come fosse la vera felicità. Una felicità – beatitudine, perfino – che sembrava raggiungermi quando eravamo insieme, in quei momenti in cui non litigavamo o rivangavamo il passato e il modo in cui ci eravamo lasciati. Ora che avevo messo in chiaro che non avrei negoziato più riguardo il nostro rapporto, speravo che la calma avrebbe preso il posto del braccio di ferro continuo per riconquistarla.
Le misi una mano tra le gambe e trovai il punto in cui era più sensibile attraverso i pantaloni. Il movimento ripetitivo le fece emettere un gemito. Le sue labbra si staccarono all’improvviso dalle mie, respirava affannosamente.
Afferrò febbrilmente l’orlo del mio maglione. «Toglietelo».
La sua impazienza stava mettendo a dura prova la mia capacità di pensare lucidamente. «Sicura?»
«Sì, fallo».
Lo tolsi e mi ritrovai Maya in ginocchio davanti a me. Le sue mani viaggiarono sulle mie cosce e si fermarono più su. Espirai lentamente, cercando disperatamente di riprendere il controllo della mia testa e del mio buonsenso.
«Non credo sia una buona idea, potrebbe entrare qualcuno».
«Ho chiuso a chiave. E poi, il panino di prima non mi ha soddisfatta».
Si leccò le labbra in modo sensuale e il mio sesso iniziò a fare male.
«Cosa stai dicendo?»
«Che ti voglio in bocca. È tutto il giorno che ci penso. Assecondami».
«Cristo. Be’, se la metti così, chi sono io per dire di no?»
«Infatti, non lo fare». Abbassò la testa, lasciandomi una scia di baci sull’erezione, che si scaldò attraverso i jeans. Strinsi i denti e persi la forza di volontà.
Un attimo dopo, mi aveva slacciato la cintura e abbassato la cerniera. Mi sollevai mentre lei abbassava i jeans abbastanza da liberare il mio sesso. Lo afferrò e iniziò a massaggiarlo delicatamente. Con l’altra mano mi accarezzò il ventre e i muscoli, tesi per l’aspettativa.
Iniziò a leccare leggermente la punta. La sua pelle si imporporò, e le sue labbra brillavano mentre si schiudevano. Ero già eccitatissimo, ma l’erezione aumentò quando sparì nella sua bocca calda e morbida.
Espirai, trattenendo le imprecazioni a quella sensazione.
A ogni movimento mi accoglieva sempre di più. Il massaggio si fece più deciso e mi eccitò ulteriormente con le mani e con la bocca. Ogni suo tocco mi portava sempre più vicino al limite.
All’improvviso la mano prese il posto della bocca. Aveva le labbra gonfie e respirava affannosamente. Gli occhi lucidi rispecchiavano il desiderio di entrambi.
«Tutto bene?»
«È che sei incredibile, cazzo. Il tuo corpo, tutto quanto».
Mi spuntò un sorriso stupido e risi piano. «Non so se mi si sta ingrandendo di più il pisello o l’ego».
Lei ghignò. «Credo di saperlo».
Si abbassò di nuovo e sparì dietro la sua cascata di capelli. La sentivo ovunque: la mano che massaggiava la base mentre le penetravo la bocca. Fece una cosa incredibile con la lingua che non riuscii a identificare del tutto. Il tocco leggero dei suoi denti mi portò al limite. Poi succhiò forte, ancora e ancora, finché fu chiaro che non avrei resistito per molto.
«Cazzo. Continua così».
Gemetti, le tirai leggermente i capelli guidando i suoi movimenti. Avrei voluto far cadere indietro la testa, chiudere gli occhi davanti a quelle sensazioni amplificate, ma mi aveva paralizzato. Le scostai i capelli dal viso per guardarla. Non potevo rinunciare a vedere lei e il modo erotico e altruista in cui mi stava soddisfacendo.
Affondò delicatamente le unghie nelle mie cosce, e io mi inarcai. Quando la punta le arrivò in fondo alla gola, persi del tutto il controllo. L’addome e le gambe si irrigidirono quasi dolorosamente, i fianchi si mossero con la forza dell’orgasmo. Le venni in bocca, ora morbida e premurosa. Appoggiai la schiena tenendomi la testa tra le mani, stordito dal buio improvviso. La sua lingua scivolò delicatamente sulla punta, e quel tocco leggero fu abbastanza per farmi fremere.
Mi sporsi in avanti, la strinsi e la feci sedere accanto a me. Ma non si fermò: mi lasciò una scia di baci delicati sulla spalla e sul collo, e con la lingua mi lambiva la pelle nello stesso modo stuzzicante di poco prima.
Mi scostai per fermare il senso di vertigine.
«Ferma. Non ce la faccio, davvero, mi stai facendo impazzire».
Lei rise piano. «Miglior pompino di sempre?».
Posai la testa all’indietro, stavo ancora cercando di riprendere fiato. «Altroché, cazzo».
Le sue labbra si curvarono in un sorriso compiaciuto, gli occhi brillavano per la gioia. Sembrava un felino soddisfatto. La posizionai sopra di me, le nostre bocche a un soffio di distanza. Feci scivolare di nuovo la mano tra le sue gambe, ma mi scostò.
«Fatti toccare, voglio vederti venire».
Mi sfiorò le labbra con un dito. «Domani».
«Non posso aspettare così tanto».
«Sì che puoi. Giuro che domani potrai farmi venire quanto vuoi».