Capitolo cinque

Maya

 

«Vuoi spiegarmi che cavolo è successo?», sbottai appena usciti dalla palestra.

Eli sospirò drammaticamente. «Ci siamo».

«Mi hai sabotata, lì dentro!». Mi dovetti trattenere dal gridargli contro mentre tornavamo a casa.

«Hai incontrato il tuo ex, non è successo niente di che. Datti una calmata».

Sentii montare un’ondata di rabbia. «In pratica mi hai fatto fare una lezione privata, e in qualche modo dovrebbe pure starmi bene andare a bere con lui e il fratello stasera?»

«E quindi? Da quando hai scoperto che era a New York sei andata in crisi. È palese che senti ancora qualcosa per lui. Perché non ci provi?»

«Non provo cosa? Quello che avevamo non c’è più. Mi attrae, ma non significa che mi tufferò di testa in un’altra relazione con lui. E poi chissà se è quello che vorrebbe…».

Alzò gli occhi al cielo. «Certo».

«“Certo” cosa? Che vorresti dire?».

Si girò verso di me. «Al di fuori delle mie esperienze personali, non avevo mai percepito la chimica tra due persone. Fino a oggi. Si sentiva letteralmente l’elettricità nell’aria quando vi siete visti. Qualsiasi cosa stia succedendo, è ovviamente qualcosa di più di quello che vuoi far credere. Ti ho solo dato una spintarella nella giusta direzione». Si spostò i capelli dagli occhi. «Forse un giorno mi ringrazierai».

Mi fermai davanti all’appartamento, troppo irritata per arrivare all’ingresso del palazzo che condividevamo con pochi altri inquilini. «Questo non è un gioco, per me. Dovresti essere dalla mia parte, Eli». Parlavo in tono basso, la voce piena d’emozione. Vista la situazione con Cameron, avevo l’impressione di essere sulle montagne russe, e in qualche maniera Eli stava guidando la corsa.

«Neanche tu sei dalla tua parte. Lo sai quant’è difficile a volte vivere con te e il tuo atteggiamento autodistruttivo?»

«Be’, nessuno ti obbliga a stare qui. Di sicuro non andrò in rovina senza i soldi dell’affitto che non paghi», scattai.

Rimase a bocca aperta. Il silenzio tra noi era quasi doloroso.

«Cavolo».

Stavo per parlare, per ammorbidire in qualche modo quello che avevo detto, ma lui mi batté sul tempo.

«Vado a prendere qualcosa per cena e a cercare di dimenticare quello che hai detto. A dopo».

«Eli…». Incurvai le spalle quando mi passò vicino.

Imprecai e salii in casa, al caldo.

Nonostante mi sentissi energica per l’allenamento, restai di malumore per quasi tutto il giorno. Io e Eli parlammo a malapena, anche se lui faceva sentire i suoi movimenti in casa. Cercai di ignorarlo ogni volta che sbatteva una porta un po’ troppo forte, faceva rumore mentre sistemava i piatti o sospirava pesantemente. Se io ero autodistruttiva, lui era il tipico passivo-aggressivo.

Lasciai un libro che non mi stava prendendo e guardai fuori dalla finestra. Le strade erano vuote, gli alberi che le riempivano spogli. L’inverno era arrivato presto, con quel tipo di freddo che fa male appena si mette il naso fuori, quello che mi faceva chiedere perché fossi andata proprio lì dopo la laurea. Anche se non potevo saperlo, volevo credere di essere abbastanza vicina a mia madre, se avesse avuto bisogno di me.

Accesi il computer e aprii una finestra sul browser. Digitai “Lynne Jacobs” nella barra di ricerca e guardai i risultati. Controllai i soliti posti in cui avrei potuto trovarla: rapporti della polizia, notizie locali e infine necrologi. Non sapevo né dove fosse né se fosse ancora viva.

Circa sei mesi dopo la rottura con Cameron, avevo perso i contatti con mia madre. Ci vedevamo raramente da quando ero andata via per studiare, ma in qualche modo restavamo sempre in contatto. Poi il suo numero di telefono risultò staccato. All’epoca andai nel panico, arrabbiata e terrorizzata perché non mi ero mai disturbata a chiedere i recapiti al suo ultimo compagno né l’ultimo indirizzo in cui aveva abitato. Si trasferiva così spesso che avevo smesso di tenere traccia dei suoi spostamenti, immaginando che sarebbe riuscita sempre a trovarmi. Chiusi gli occhi immaginandomi il suo viso. Non mi sarei mai perdonata.

«Trovato qualcosa?». La voce di Eli era dolce quando si sedette accanto a me, guardando lo schermo.

Scossi la testa.

«Tregua?», chiese.

Chiusi il computer e lo strinsi in un abbraccio. Vero, mi facevo carico della maggior parte delle spese comuni, ma la mia amicizia con Eli era stata la mia àncora di salvezza ed era impagabile. Me l’ero presa con lui in un momento di debolezza e non se lo meritava.

Riavere Cameron nella mia vita mi stava portando a una crisi su cui non avevo controllo. Quasi riuscivo a vedere il passato e il futuro che si scontravano. Semplicemente non ero più la stessa persona di prima, sentimentale e profondamente innamorata di quell’uomo. Avevo rinunciato all’amore dopo qualche relazione di ripiego andata male. Niente reggeva il paragone con l’amore che avevo provato per Cameron e, alla fine, avevo deciso di smettere di perdere tempo. Non frequentavo nessuno e non mi innamoravo.

Eppure non riuscivo a scacciare la sensazione che riaverlo nella mia vita sarebbe potuta essere una sfida su entrambi i fronti.

 

 

Cameron

 

I minuti passavano mentre l’aspettavo al bancone. Ogni volta che ci incontravamo sembrava una scommessa, un’occasione che avremmo potuto perdere facilmente. E non volevo più perdere altre occasioni. L’attrazione che provavo per lei era forte, ma il vuoto che avevo sentito per tanto tempo voleva essere riempito, ancora di più da quando l’avevo rivista. L’istinto di autoconservazione mi diceva di scappare dall’altra parte, ma in fondo sapevo di rivolerla, in qualche modo.

Il problema era che non sapevo se anche lei lo volesse. Magari avevo interpretato male i segnali, ma di sicuro non poteva negare che, al di là della rottura e delle conseguenze, avevamo avuto qualcosa che valeva la pena salvare. Non solo il sesso, che era fantastico, ma semplicemente lo stare insieme era sempre stato magnifico. Non mi ero mai sentito così a mio agio, così felice con un’altra persona. Stavamo bene anche in silenzio. Non come adesso. Ora lei per me era un bellissimo mistero e mi stavo mettendo in gioco, stavo abbassando tutte le difese, e non in senso buono. A ogni parola, mi aspettavo che rifiutasse di nuovo: no all’amicizia, no al rivedermi, no a qualcosa di più che non ero ancora sicuro di volere.

Battei le dita sul bancone, girandomi per studiare la sala in attesa del suo arrivo.

«Datti una calmata, mi stai facendo agitare».

«È la mia ex. Se c’è qualcuno che si sta agitando, quello sono io».

Darren distolse l’attenzione dalla TV sopra il bancone. «Credi che te la farai?».

Lo guardai infastidito. «Ma che cazzo dici? Sei serio?».

Darren spalancò gli occhi. «Ehm… sì?»

«Dovresti davvero provare ad avere una relazione stabile. Non si riesce a parlare, con te».

Scoppiò a ridere. «Vivi con Liv da un paio di settimane e sei diventato uguale a lei».

Sospirai e mi accasciai sullo sgabello. Magari aveva ragione, ma era anche un cretino, come al solito.

«Maya non è una che rimorchi e ti porti a casa».

«E allora che tipo è?»

«È una persona con cui ho dei trascorsi. Ero pronto a sposarla. Ovviamente questo complica le cose».

«Perché? Non l’hai vista per anni. È sexy, e se le piaci… perché no? Dovresti davvero rilassarti un po’. Da quant’è che non vai a letto con una donna?».

Bevvi un altro sorso di birra, rifiutandomi di essere trascinato in un’altra conversazione insensata.

«Così tanto, eh? Senti, facciamo così: ti do una settimana per portarti a letto Maya, e se non ce la fai, ti presento qualcuno io. Questo tuo periodo di castità non sta funzionando».

«Non è castità, e se stai pensando di pagare una professionista puoi andartene a fanculo subito».

Rise. «Sei preoccupato di non riuscire a concludere in una settimana?».

Avvertii una scarica elettrica a quella sfida. Maya non era una conquista, almeno non una solo sessuale, ma Darren trovava il modo di sfruttare la nostra natura competitiva. «Non mi preoccupa quello, no».

«Vuoi il romanticismo e cazzate del genere, per vedere se prima si mette con te?».

Alzai gli occhi al cielo.

«Magari ti do una settimana e poi ci provo io», provocò.

Strinsi i pugni. Ribollivo di rabbia. «Magari dovresti farti i cazzi tuoi. Andrò a letto con lei quando mi starà bene e sarò pronto. Pensa anche solo a toccarla e ti ammazzo, hai capito?».

Nei suoi occhi passò un lampo di malizia. Il suo sguardo si spostò alle mie spalle e il suo sorriso si allargò. «Ciao, Maya».

Mi girai sullo sgabello e me la trovai affianco, gli occhi castani che brillavano sotto le ciglia scure. Non sapevo quanto avesse sentito, ma se aveva ascoltato anche solo una parola non osavo immaginare a cosa stesse pensando.

«Ciao». Restò immobile. «Ho interrotto qualcosa?»

«No». Spostai lo sgabello per farla accomodare. «Stavo per trascinare fuori Darren e ammazzarlo di botte, quindi sei arrivata giusto in tempo. Ti ha salvato la campanella».

«O l’adorabile ex, in questo caso», se ne uscì Darren, con gli occhi fissi su Maya.

Mi stavo mentalmente prendendo a calci per aver lasciato che Darren coordinasse questo incontro. Dovevo pure sopportare che facesse l’idiota per tutta la sera. Come se la situazione non fosse già abbastanza difficile.

Quel commento si guadagnò un sorriso di Maya. Si sporse dallo sgabello e ordinò da bere. Approfittai della sua distrazione per guardarla. Stava bene; era vestita casual ma carina, con un vestito blu scuro che le arrivava a metà coscia e metteva in mostra le gambe fasciate dai collant, abbastanza da farmi venire voglia di vedere di più.

«Stai benissimo, Maya». Darren diede voce ai miei pensieri.

«Grazie». Maya sorrise prima a lui e poi a me.

Quando mi guardò, tutto sembrò andare fuori fuoco tranne lei. Quel momento frivolo fu velocemente interrotto.

«Cam, come mai non mi hai mai detto quanto Maya fosse stupenda?».

Sospirai a denti stretti, resistendo all’impulso di prenderlo a calci. «Che ne dici di andare a importunare qualcun altro per un po’, così noi ci facciamo due chiacchiere?».

Prese la sua birra e scese dallo sgabello. «Certo, fratellino. Da qui puoi andare avanti da solo». Mi diede una pacca sulla schiena e fece l’occhiolino a Maya prima di andare verso due donne sedute alla fine del bancone.

Poverette.

«Cosa intendeva?». Maya bevve un sorso del suo Martini appena fatto.

«Darren stava solo facendo il cretino, come sempre. Non farci caso».

«Per avermi fatto un complimento?»

«No, ovviamente no».

Non avevo intenzione di raccontarle quanto potesse essere irritante, né che il suo unico obiettivo era fare in modo che il fratello si accoppiasse.

«Sei andata bene stamattina», dissi, sperando di cambiare argomento.

«Grazie. L’attività fisica non fa proprio per me».

«Dovresti provarci più spesso. Potrei farti prendere l’abitudine».

Scrollò le spalle. «Non lo so. Lavoro tutto il giorno, e sinceramente mi serve solo un bicchierino per scaricarmi».

«L’esercizio funziona quanto un po’ d’alcol, fidati».

Rise. «Ne dubito».

«Mettimi alla prova».

Inarcò le sopracciglia a quella sfida.

«Dammi una settimana. Ti faccio vedere come usare il corpo per scaricare lo stress, e ti garantisco che dormirai come un ghiro e il giorno dopo avrai più energie».

Le si imporporarono lievemente le guance e mi resi conto che il mio discorso suonava strano, considerando che lo stavo facendo a una persona con cui un tempo andavo a letto. Nonostante le frecciatine di mio fratello, non mi sarebbe dispiaciuto usare il suo corpo per scaricare lo stress. Mi sistemai meglio sullo sgabello, sforzandomi di non fare quei pensieri. Dopo aver sentito la fine della mia conversazione con Darren, probabilmente pensava che avessi solo intenzione di farmela. Sperai ci fosse un modo più semplice per affrontare la situazione; e forse c’era, ma ero troppo fuori allenamento per capirlo.

«Non credo sia una buona idea», disse infine.

«Che vuoi dire?».

Bevve l’ultimo sorso di Martini. Scostò il bicchiere e si girò per guardarmi in faccia. Raddrizzò le spalle. «Hai detto che volevi fossimo amici».

«Sì».

«Davvero? Mi spiace rovinare l’atmosfera, ma devo sapere a cosa sto andando incontro. Insomma, un giorno incontro Olivia, il giorno dopo ti trovo fuori dal mio ufficio, e ora eccoci qui. Possiamo continuare a girarci intorno per le prossime settimane, se vuoi, oppure possiamo mettere le cose in chiaro. Se sei interessato solo al sesso me lo puoi dire, sono adulta e vaccinata».

Sospirai. Merda, non era mai stata così diretta. «Mi stai dicendo che saresti aperta all’idea di una relazione di tipo sessuale con me, se ti dicessi che è quello che voglio?».

Non fece una piega. «Non necessariamente, ma almeno saprei quali sono le tue intenzioni. Ho sentito la fine della conversazione con Darren. Qualcosa sul venire a letto con me quando ti starà bene e sarai pronto?».

Feci una smorfia, maledicendo mio fratello e la sua boccaccia. «Mi dispiace, Maya. Vorrei non avessi sentito. Mi stava provocando e…». Imprecai, passandomi una mano tra i capelli. Non c’era modo di ricostruire quella conversazione senza che sembrassimo due coglioni di prima categoria. «Non ho secondi fini, se è quello che ti preoccupa».

Chiuse gli occhi e scosse leggermente la testa, la sua espressione ammorbidita. Mi rilassai, sperando che mi perdonasse per quell’uscita infelice. Speravo davvero che andasse così. Altrimenti Darren le avrebbe prese come mai nella vita.

«Sinceramente, non so se potrò mai esserti amica, Cameron. Dopo che te ne sei andato niente è stato semplice, e forse per me c’è ancora qualcosa di irrisolto. Averti intorno sta riportando tutto a galla, cose che avevo messo da parte tanto tempo fa. Non sono sicura di essere pronta, al momento».

Non riuscii a parlare per un po’. Aveva sganciato un po’ di bombe e io, come al solito, non ero preparato a nessuna. Questi incontri improvvisati non erano il mio forte. Ma come potevo biasimarla? Me n’ero andato all’improvviso tagliando tutti i ponti. Non avevamo neanche avuto l’occasione di litigare. Tra noi c’erano troppe cose non chiarite. Mi voltai a guardarla, cercando di riordinare rapidamente i pensieri.

«Visto che siamo adulti che parlano onestamente, ammetto che vorrei di più di un’amicizia, ora che mi sei vicina. Ma non sei l’unica a pensare che anche solo prendere in considerazione la cosa sia una pessima idea».

Annuì, tenendo lo sguardo basso. Il suo linguaggio del corpo era indecifrabile: le spalle leggermente incurvate, un’aura triste che la circondava. Sentii stringersi il cuore al pensiero che stesse male, soprattutto per colpa mia. Allungai una mano e le sfiorai la guancia.

«Ci tengo ancora a te, Maya. Questo non cambierà mai».

Incontrò il mio sguardo, i suoi occhi sembravano caramello. Mi affascinava sempre con una sola occhiata. Schiuse le labbra. La paura che mi attanagliava lo stomaco si sciolse, sostituita dall’impulso di stringerla, farle credere di nuovo in noi. Quell’impulso si ripresentava, sempre più forte, ogni volta che ci vedevamo. Un’energia invisibile mi attirava verso di lei, verso le sue labbra e il suo corpo. Volevo averla talmente vicina da non riuscire a pensare lucidamente. Ma non potevo correre troppo.

«Perché non proviamo a conoscerci per un po’? Sembra strano, ma è passato molto tempo e non ti conosco più molto bene».

«Ti risparmio la suspense, Cam. Non sono la ragazza che ero. La mia vita è… diversa». Sventolò la mano e poi si massaggiò la fronte ansiosamente. «È solo una sensazione, ma ho l’impressione che viviamo due vite talmente diverse che sarebbe difficile anche essere amici».

Annuii. La paura che fossimo ormai troppo lontani mi attanagliava lo stomaco, ma non potevo badarci. Non potevo arrendermi prima ancora di iniziare, sarebbe stato peggio che sparire dalla sua vita cinque anni prima, un errore a cui intendevo rimediare se ne avessi avuto l’occasione. «Siamo cambiati entrambi. È naturale».

«Forse non è una buona idea prendere questa strada, al momento». Si spostò una ciocca dietro l’orecchio. «Insomma, possiamo restare in contatto. Facebook o qualcosa del genere».

«’Fanculo Facebook».

Rise. «Va bene».

«Inizia a venire in palestra, la settimana prossima».

Spostò lo sguardo per un minuto, come se stesse cercando di raccogliere la sua determinazione. «Pensi davvero che riuscirai a farmi allenare ogni giorno?»

«Dammi una settimana».

«Niente cocktail?».

Esitai per un istante. «Niente cocktail».

Piegò la testa di lato. «Disse quello con un boccale vuoto in mano».

«Questa è un’eccezione, Darren mi ha obbligato a uscire. I pub non sono esattamente il mio ambiente».

«Adesso capisco perché ti chiama “vecchietto”». Mi fece un sorriso sbilenco. Bastò questo a evitare che mi irritassi per il nomignolo offensivo di Darren.

«Non trovo che socializzare con estranei mezzi ubriachi sia particolarmente appagante. Immagino che questo mi renda vecchio».

«Io non sono un’estranea».

«No, non lo sei», dissi piano. La frangia le cadde sulla fronte, sfiorandole le ciglia. Avrei voluto allungare la mano di nuovo per ricordare a entrambi che non eravamo due sconosciuti, anche se a volte lo sembravamo.

«Va bene, allora farò gli allenamenti, ma mi riservo il diritto di una bevuta», disse, sollevando l’indice per rimarcare la cosa.

«Stai già infrangendo le regole?».

Incurvò le labbra in un sorriso. «Hai intenzione di essere pedante?»

«Sono un vecchietto. Ho una reputazione da difendere. E poi ho maggiori possibilità di farti diventare un membro pagante della palestra, se sperimenti una settimana intera di vita salutare».

«E se decidessi che il tuo regime di allenamento non mi piace?»

«Ti piacerà».

«Prendo atto della tua sicurezza, ma non dovrebbe esserci un qualche sforzo anche da parte tua, visto che io mi farò il culo e mi priverò dell’alcol per una settimana?».

Scrollai le spalle, scettico che si potesse sentire così una volta terminato l’esperimento.

«Che ne dici se io accetto la tua proposta di una settimana infernale – perché so già che lo sarà – e poi festeggiamo a modo mio? Posso farti vedere come scarico lo stress e tu mi dici se le cose sono paragonabili».

Ero intrigato. «E come scarichi lo stress?»

«Andando a ballare».

«Ehm… okay. Dove?»

«Ci sono un paio di locali in cui vado con gli amici. Ci andiamo e balliamo tutta la notte. È un ottimo esercizio. Ma immagino che neanche quello sia il tuo ambiente».

«No, direi di no, ma voglio essere corretto. E non mi dispiacerebbe passare più tempo con te, quindi va bene».

Alzò il bicchiere di nuovo pieno verso il mio vuoto, il che calzava a pennello.

«Stiamo brindando?», risi.

«Mi sembra appropriato. Siccome non ho molta fiducia nelle tue capacità di trasformarmi in una fissata della palestra, mi sentirei meglio se suggellassi l’esperienza con un po’ di vodka».

Alzai il bicchiere e lo feci tintinnare con il suo. «Cin cin, allora».

«Ai nuovi ricordi», disse, e si portò il bicchiere alla bocca.

 

 

Maya

 

Il cameriere ci fece sedere vicino alla finestra e la mia attenzione fu catturata dal traffico all’esterno finché Jia non parlò.

«Allora, chi è il ragazzo?».

La guardai confusa. «Chi?»

«Intendo quello che ti ha schiacciata contro il muro, l’altro giorno». Incurvò le labbra in un sorriso malizioso. «Stavo pranzando dall’altra parte della strada, quando sei tornata».

Non potevo vedermi, ma sapevo che stavo arrossendo. “Mortificata” non era la parola giusta. «Oddio, mi dispiace. Era solo…».

Scoppiò a ridere. «Non importa. Ma sembrava un momento piuttosto intenso. È il tuo ragazzo?»

«No, un ex».

«È sempre interessante. Vi state rimettendo insieme?».

Mi morsi il labbro e guardai la sala del ristorante, sperando che il cameriere tornasse in modo da non dover divulgare nessuno dei miei pensieri confusi sulla ricomparsa di Cameron nella mia vita.

Rifiutare le sue avance quel giorno era stato più facile che declinare i suoi tentativi di passare semplicemente del tempo con me. Permettergli di avvicinarsi era stata una reazione troppo naturale. Avrei potuto ingannare me stessa e pensare che eravamo di nuovo giovani e innamorati, che non importava nient’altro. Solo che non ero interessata a innamorarmi di nessuno. Il solo pensiero mi terrorizzava, così come mi faceva paura escludere di nuovo Cameron dalla mia vita, anche se sembrava l’unico modo per mettermi al riparo da un’eventuale ricaduta dolorosa.

Forse accettare la sua offerta era stata una decisione emotivamente avventata, ma non ero pronta a vederlo allontanarsi di nuovo. In più, quella poteva essere la spinta che mi serviva per rimettermi in forma, e osservare il suo corpo magnifico era un ottimo modo per farlo.

Mi voltai di nuovo e trovai Jia in attesa di una risposta. «Stiamo recuperando, immagino».

Sorrise. «Capisco».

«Non in quel senso. Insomma, non ci siamo visti per anni e ci siamo resi conto che abitiamo nella stessa zona. Credo di voler vedere come andrà, imparare a conoscerlo di nuovo. Ma non cerco una relazione».

«Capisco. Come se il lavoro non fosse già abbastanza logorante. Neanch’io ho tempo di frequentare qualcuno. Non in modo serio, almeno».

«Sembra tu stia andando alla grande, in azienda».

Annuì, ma volevo saperne di più.

«Sei giovane per aver fatto tutta questa strada, Jia. Spero non ti offenda, se lo dico». Esitai mentre pronunciavo quelle parole, pentendomene per un attimo. Ma lei non si era fatta problemi a farmi domande personali. In più mi aveva invitata lei, quindi ne avrei approfittato per vedere di che pasta era fatta. Il cameriere arrivò con le nostre ordinazioni, ritardando la sua risposta, il che mi rese ancora più nervosa.

Appena si allontanò, lei parlò. «Figurati, hai detto quello che pensano tutti, e me ne rendo conto. Non è facile essere una donna giovane in questo campo. In più, se hai un bell’aspetto, tutti danno per scontato che tu l’abbia data ai pezzi grossi».

Mi morsi il labbro; non volevo far trapelare che tutti quelli con cui avevo parlato di lei avevano avuto qualcosa da dire sui suoi trascorsi nell’altra azienda. La gente era troppo superficiale. Sarebbe successo anche a me, se fossi mai riuscita a scappare dal mio box e ottenere una promozione? Ci sarebbero state persone che avrebbero speculato sulle cause di ogni successo che avrei ottenuto?

«Lo so che sono più giovane della maggior parte dei miei colleghi uomini, ma non sono qui per fare amicizia», disse. «Questa è la mia carriera, e intendo andare avanti, a qualunque costo».

«Anch’io. Voglio solo fare il mio dovere. Ma sembra non sia mai abbastanza».

«Non lo è. Devi giocartela fino in fondo. Non si può fare altro».

Mi sentii sprofondare. Aveva confermato quello che avevo sempre pensato e che mi ero rifiutata di fare per anni. «Non trovi deprimenti queste politiche?».

Scrollò le spalle e si portò il bicchiere d’acqua alle labbra. «Non particolarmente. Le considero parte del lavoro. Devi sapere cosa vuoi e, soprattutto, quello che vogliono gli altri. È questa la chiave».

«Cosa vuoi dire?»

«Guardati intorno, Maya. Guarda oltre i numeri. Guarda l’azienda e le persone che la mandano avanti. Hai conosciuto qualcuna delle persone con cui lavori? Qualcuno dei tuoi superiori?»

«Be’, no. Faccio il mio lavoro e basta. Non è quello che vogliono? Pensavo avessi detto che non siamo qui per fare amicizia».

«Sei una che ascolta. Bene». Sorrise. «Ma no, non vogliono solo che tu faccia il tuo lavoro. Diverse persone vogliono diverse cose. Se esci un po’ dal tuo guscio, alla fine troverai le connessioni che ti apriranno le porte».

«Giusto». Pensai a gente come Dermott, il mio capo, o Reilly: uomini severi e dediti che a malapena notavano persone come me e Vanessa, a meno che non ci calpestassero. Non ero sicura di voler aprire una porta con loro dall’altra parte.

«Considerami una di quelle porte».

Inarcai le sopracciglia.

«Mi piaci, Maya, e vorrei aiutarti, se a te sta bene».

«Aiutarmi?»

«È anche la tua carriera. Immagino non ti dispiaccia avere un mentore, un amico?»

«Be’… no. Insomma…». Non sapevo in che modo accettare un’offerta di aiuto così sfacciata, o anche solo come reagirvi. Jia sembrava sveglia e carismatica. Poterla definire un’amica era un’interessante opportunità.

«Bene». Sorrise e allungò la mano, sfiorandomi il dorso con le dita prima di tornare a mangiare. «Mi fa piacere che ne abbiamo parlato».