Capitolo undici

Maya

 

Mi svegliai dopo quelle che mi sembrarono poche ore. Di sicuro non era passato abbastanza tempo da farmi dimenticare il disastro che avevo combinato. La luce fioca filtrava dalle tende beige. Cameron non c’era. Avrei dovuto approfittare della sua assenza e andarmene, ma non ero nelle condizioni per la camminata della vergogna verso casa.

Esausta e con dei postumi epocali, mi rigirai nel letto. Le lenzuola bianche e morbide attorcigliate alle mie gambe erano l’unica protezione contro i brividi e le ondate di calore che mi stavano tormentando. Mi insultai mentalmente, odiando la tortura fisica che mi ero inflitta. Avevo esagerato di nuovo. Cercai di placare il disgusto per me stessa e pregai di riuscire a dimenticare presto tutto con una dormita. Ma non riuscivo a rilassarmi abbastanza da ignorare la nausea.

Mi tornarono in mente alcuni momenti della sera prima; il mio corpo si scaldava ogni volta che ricordavo la mia stupidità. Scalciai le lenzuola e mi resi conto che ero nuda. La sera prima… Oddio. La bocca di Cameron su di me. Le sue parole erano incorniciate da una nottata confusa di divertimento e cattive decisioni. Non osavo immaginare cosa pensasse di me. All’imbarazzo che provavo si aggiunse una nuova ondata di nausea. Cazzo.

Mi alzai velocemente. Trovai la maglietta di Cameron sul pavimento e la indossai. Entrai velocemente in bagno e mi inginocchiai davanti al water. Dopo qualche conato, il mio corpo rigettò finalmente tutto quello che avevo bevuto la sera prima. Avrei voluto che il rimpianto facesse la stessa fine. Senza fiato e tremante, mi alzai. Trovai uno spazzolino ancora nella confezione in uno dei cassetti e lo usai per eliminare il saporaccio dell’alcol con cui mi ero avvelenata. Guardai male il mio riflesso nello specchio e mi pulii le sbavature di mascara dagli occhi. Che disastro, cazzo.

Tornai in camera e osservai per un secondo il letto di Cameron, grande e morbido; poi mi rimisi sotto le coperte, non ancora pronta a rinunciare a quel benessere per uscire nel mondo esterno. Sperai che lui non tornasse ancora per un po’. Mi rannicchiai in posizione fetale, affondando il viso nel cuscino che aveva il suo odore. Inspirai profondamente e mi riempii i polmoni di un leggero profumo di muschio misto a quello del suo sapone. Se non fossi stata in quello stato pietoso, avrei potuto sentirmi in paradiso. Il mio corpo si rilassò all’istante e cadde in un sonno pesante e senza sogni.

Quando mi risvegliai, il braccio di Cameron mi avvolgeva la vita e il suo corpo era premuto contro il mio. Considerando la luce della stanza e la mia leggera fame, doveva essere pomeriggio. Sbattei le palpebre e riuscii a vedere chiaramente la stanza: bianca e vuota, eccetto i mobili indispensabili, sembrava scialba rispetto al bagno rimodernato, che aveva la doccia e il pavimento in marmo e dove ogni cosa brillava. Cercai di ricordare cos’aveva detto sul risistemare la casa.

I ricordi della sera prima erano confusi, ma l’immagine del suo corpo che sovrastava il mio e delle sue dita che si muovevano dentro di me mi mandò a fuoco. Era come se si fossero sbloccati ricordi potenti, pensieri di quanto il sesso con lui mi ossessionasse. Continuai a scuotere la testa, cercando di scacciarlo fisicamente dai miei pensieri.

Sentii il suo braccio stringersi intorno a me e l’erezione premermi contro i glutei. Per quanto promettesse bene, dovevo andarmene da lì prima che la sua vicinanza offuscasse tutto il mio buonsenso. Mi mossi, sfuggendo poco alla volta dalla sua presa. Lui gemette e mi attirò a sé.

«Buongiorno». Strofinò il naso sul mio collo e lo baciò.

I capezzoli mi si inturgidirono e sentii un brivido lungo la schiena. Mi morsi il labbro, irrigidendomi a causa della risposta del mio corpo.

Mi fece girare per guardarmi. Incurvò la bocca in un sorriso assonnato mentre si appoggiava sul gomito. Anche se era così rilassato, gli addominali erano incredibilmente definiti. Nessuna donna sana di mente avrebbe potuto resistergli. Smisi di respirare per un attimo quando assimilai la sua bellezza. Non volevo andare via, ma avrei dovuto farlo prima di commettere qualche stupidaggine. Avevo già raggiunto il limite per quel fine settimana ed ero di nuovo sobria, quindi non avevo scuse.

«Come ti senti? Hai dormito parecchio».

«Meglio», risposi. L’energia sessuale che mi attraversava sembrava aver eliminato i residui della sbornia. Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era lui. Il mio corpo si risvegliò, come se avessi aspettato tutta la vita di essere desiderata come mi stava desiderando lui in quel momento.

Feci un respiro incerto. «Ma ora dovrei andare. Si sta facendo tardi».

«Dobbiamo parlare, Maya». La sua mano mi accarezzava pigramente la gamba. Che stesse temporeggiando o cercando di trovare le parole giuste, quel movimento mi stava facendo impazzire. Ero ancora senza biancheria e fin troppo accessibile per la sua mano vagabonda. «Non mi hai detto perché eri così arrabbiata, ieri».

«Non lo ero», mentii.

«Hai parlato di Raina. Darren non ha detto una balla, non c’è davvero niente tra noi».

«Puoi frequentare chi vuoi, Cam, non ho il diritto di dirti niente».

«Invece sì». Il tono di voce era dolce, il suo sguardo calmo ma più serio rispetto a un attimo prima. «Sei l’unica che ne ha sempre avuto il diritto».

Mi sentii avvampare. Mi sfiorò la guancia, dove di sicuro il rossore si notava. A quel semplice gesto desiderai di più. Strinsi i pugni per impedirmi di toccarlo.

«Ti desideravo, ieri notte. E mi ci è voluta tutta la forza di volontà per fermarmi, perché non potevo sopportare l’idea che te ne saresti pentita perché eri ubriaca. O peggio, che non ti saresti ricordata niente».

«Mi ricordo». Quasi tutto. Mi morsi il labbro all’immagine confusa ma eccitante che mi passò davanti agli occhi: come i suoi capelli scuri si muovevano tra le mie gambe, e come i suoi stupendi occhi azzurri mi avevano osservata come stavano facendo in quel momento. L’orgasmo era stato intensissimo, ed ero così indebolita che l’avevo supplicato di avere di più, di avere lui.

«Anch’io. Ma ora voglio di più».

La nota lievemente rauca nella sua voce scacciò ogni pensiero che avevo sull’andarmene via. Schiuse le labbra e si leccò il labbro inferiore. Quella visione mi mandò in pappa il cervello e annientò la mia forza di volontà.

Per suggellare il momento e vincere le mie esitazioni mi baciò, un bacio delicato ma esigente. Io risposi, desiderando il suo sapore pur sapendo che sarebbe stata la mia rovina.

Riuscii a percepire la sua determinazione mentre mi allargava delicatamente le gambe per posizionarsi tra esse. Mi tolse la maglietta, lasciandomi nuda ed esposta.

I lineamenti del suo viso mi tolsero il respiro. La sua pelle si tese mentre mi guardava. C’era fermezza nei suoi movimenti: nel controllo del nostro bacio mentre le sue labbra si scontravano con le mie, mentre i suoi palmi mi scivolavano sulla pelle reclamando ogni centimetro che un tempo conosceva così intimamente. Tanto, tanto tempo fa.

Le nostre labbra continuavano a scontrarsi, la sua erezione pulsava nei suoi boxer e contro il mio ventre. Il suo petto, che si alzava e si abbassava, andava a tempo con il mio respiro affannoso. La mia pelle era rovente di un desiderio che scacciò qualsiasi imbarazzo.

«Non dovremmo farlo».

Si bloccò. «Dimmi perché, Maya. Mi respingi, ma non mi hai mai dato motivi validi».

Schiusi le labbra ma non riuscii a emettere alcun suono, le parole erano bloccate in gola. Doveva sapere anche lui quali fossero i rischi per entrambi.

«Ci tengo troppo a te», sussurrai.

Il suo sguardo si addolcì e mi si strinse la gola. Serrai gli occhi, incapace di incontrare i suoi per dire quello che dovevo dire.

«Mi hai spezzato il cuore. Vorrei… vorrei essere forte e far finta che la cosa non mi abbia distrutta, ma è successo. Non posso passarci un’altra volta. Provo ancora qualcosa per te, ma…».

«Maya». Mi prese il viso tra le mani, zittendomi. «Stavolta la faremo funzionare».

Cercai di distogliere lo sguardo, ma non me lo permise.

Quello che voleva sembrava impossibile, considerando ciò avevamo passato. Per quanto lo desiderassi anch’io, la realtà delle cose mi colpì. Avevo pensato che sarei riuscita a gestire la situazione, cedendo all’attrazione, addirittura a provare alcuni dei vecchi sentimenti – quelli buoni, che riuscivo a dominare. Ma le forze che avevano preso il controllo in quella settimana non avevano suscitato sentimenti gestibili. Neanche un miracolo avrebbe rimesso insieme i cocci se mi fossi di nuovo abbandonata per poi vederlo andare via. Come potevo dargli quella possibilità?

«Adesso è tutto diverso, siamo cambiati».

«Esatto, ma non è passato un giorno senza che pensassi a te. Né senza desiderare tutto questo. La maggior parte del tempo avrei voluto non averti mai incontrata, pur di non provare più quel vuoto che la tua mancanza aveva creato. Credimi, nemmeno io voglio rivivere quei momenti, ma non riesco a toglierti dalla testa». Esitò, ma poi andò avanti. «Ti amo, Maya. Non ho mai smesso».

Il cuore mi batteva all’impazzata. La pressione del suo corpo sul mio mi tolse di colpo la capacità di respirare regolarmente. Le sue parole rimbombarono nello stesso posto in cui avevo sepolto la capacità di amare un uomo, di dare corpo e anima a un’altra persona affinché li custodisse. Avevo preso molte decisioni stupide nella mia vita, ma speravo che andare a letto con Cameron in quel momento non sarebbe stata una di quelle. Era stato difficile rinunciare a qualcosa che volevo così tanto, e non avevo mai desiderato niente o nessuno così.

«La domanda è: tu mi vuoi? Vuoi tutto questo… con me?». I suoi occhi furono attraversati da un lampo di incertezza.

«Sì, ma ho paura». Di innamorarmi ancora di te. Che mi lasci un’altra volta.

L’orgoglio mi impedì di dare voce a quella confessione, ma il mio cuore sanguinò, doloroso testimone di quanto fossero profondi i miei sentimenti per Cameron. Solo che ora il dubbio accompagnava quell’amore a cui un tempo avevo ceduto con innocenza e abbandono.

Ma tutto ciò non diminuiva il mio desiderio. In fondo, volevo perdermi in quell’amore. Lo vedevo: era una massa tangibile che potevo tenere in mano nonostante i bordi affilati e irregolari dei pezzi dei nostri cuori. Non potevo negarne la forza irresistibile, anche sapendo che avrei sanguinato se l’avessi fatto entrare e mi avesse ferita di nuovo.

«Ho paura anch’io, ma il desiderio è più forte della paura». Non staccò mai gli occhi dai miei, non mi diede modo di dubitare delle sue intenzioni. Era lo sguardo che mi aveva scavato dentro quando mi aveva chiesto di sposarlo.

Chiusi gli occhi, stringendoli forte per non far uscire le lacrime. Come riusciva ad abbattere tutte le mie difese con le parole e a farmi crollare così facilmente?

«Di’ di sì», sussurrò accarezzandomi le labbra con il suo respiro.

Intrecciò le nostre dita e mi portò le braccia sopra la testa. Ero impotente, completamente esposta, prigioniera del desiderio. Il dolore acuto che la sera prima era stato più forte del mio buonsenso tornò a farsi sentire con prepotenza. Mi abbandonai a quell’abbraccio, lasciando che il calore del suo corpo mi avvolgesse.

Ero spaventata da morire, ma ogni cellula del mio corpo voleva stare con Cameron. Bramavo il tocco leggero delle sue labbra sulla pelle, il vigore delle sue spinte dentro di me. Ero in fiamme, e il desiderio stava vincendo.

«Sì».

Poi le sue labbra furono su di me. Si avventò sulla mia bocca con urgenza e impazienza. Risposi al bacio, arrendendomi alla scelta che avevo fatto. Mi pizzicavano le labbra, gonfie per la sua passione.

Mi sentii rinascere mentre la sua bocca vagava sulla mia spalla e poi sul collo, leccando e succhiando. Boccheggiai, inarcandomi contro di lui. Il movimento dei nostri corpi nudi che scivolavano l’uno sull’altro mi scaldò. Mi sentivo bruciare in ogni punto in cui eravamo a contatto. Faceva quasi male. Un dolore acuto e umido che solo lui poteva placare.

Mi afferrò un seno con la mano, stringendo delicatamente la carne morbida. Ne lambì uno, poi l’altro, massaggiando e succhiando. Mi mossi sotto di lui, ancora impotente e bloccata.

Mi lasciò una mano e sfiorò il mio sesso. Boccheggiai e inarcai il bacino, impaziente per quel tocco intimo.

«Sei pronta per me». I suoi occhi azzurri erano colmi di lussuria e le pupille dilatate.

Mi contrassi intorno al dito che mi esplorava. «Ho bisogno di te». Sì, era bisogno, ormai avevamo superato il desiderio. Dovevo averlo, anche se lasciarmi andare così avrebbe significato finire di nuovo in pezzi. Ne sarebbe valsa la pena.

Allungai la mano verso di lui e gli tirai giù i boxer, rivelando la sua erezione. Mi mordicchiai il labbro e sfiorai quella carne calda con le dita. Poi la strinsi delicatamente, sopraffatta dal desiderio, dalla prospettiva del piacere che mi avrebbe dato. Scalciò via i boxer e si sporse verso il comodino. Aprì un preservativo e lo mise. Mi dispiaceva che ci fosse qualcosa tra noi, ma in quel momento non volevo discutere dei nostri trascorsi sessuali.

In un attimo posizionò la punta contro la mia apertura, come volevo ormai da giorni. Mi contorsi, smaniosa di velocizzare la penetrazione, ma mi bloccò di nuovo le braccia e intrecciò le nostre dita. Inarcai la schiena, impaziente, avvolgendolo con le gambe e facendo leva per avvicinarlo di più. Lui infilò solo la punta.

«Lo volevo…», respirò e spinse, «da tantissimo».

«Sbrigati». Gli afferrai il dito. Il desiderio mi aveva lasciata senza fiato. «Cam…», piagnucolai. Avrei potuto supplicare da quanto controllo quell’uomo aveva su di me, da quanto ero alla sua mercé. Quando fu completamente dentro di me, trattenni l’impulso di gridare. Qualcosa nel legame profondo tra i nostri corpi mi illuminò: lo amavo, anche se non potevo ancora dirlo a parole. Lo amavo talmente tanto da non riuscire a respirare.

Si chinò su di me, baciandomi possessivamente. Uscì lentamente e poi diede un’altra spinta. Fremetti, ancora e ancora, alla squisita sensazione di averlo dentro. Mi allungai per accogliere meglio quell’invasione, un piacere dolceamaro che avevo imparato ad amare, a bramare.

Spostò una mano sulla mia anca, sollevandomi e spostandomi per arrivare più in profondità. Feci scivolare la mano libera tra i capelli, sul petto, mi aggrappai ai suoi fianchi mentre si muoveva dentro di me. Il suo bacino si scontrava con il mio mentre mi reclamava nel modo più intimo.

Il suo glande mi massaggiava dall’interno, raggiungendo il punto sensibile. Mi riempiva completamente. Il piacere mi attraversava come un lampo ogni volta che mi toccava, soddisfacendo quel dolce dolore.

Ogni movimento mi portava sempre più vicina all’estasi. Il ritmo dell’attrito, la presa della mia carne sulla sua stava per farmi andare in pezzi. L’orgasmo era vicino; il solo pensarci mi faceva fremere e mi contrassi intorno a lui per intensificare l’effetto di ogni affondo. Gridai, lasciando cadere la testa sul cuscino.

«Cazzo». Poggiò la fronte sul cuscino e sentii il suo respiro sul collo. «Maya… sei così ricettiva».

«Non posso farci niente, sei incredibile». Respiravo velocemente, nella mia mente c’era solo desiderio. «Non ti fermare».

Lo intrappolai con le gambe, avevo bisogno di sentire quant’era forte quando si lasciava andare.

«Forte, Cam. Ti prego, ti voglio sentire fino in fondo».

Gemette nelle mie orecchie, prendendomi il lobo con la bocca. «Ma ti farei male».

«Allora fammi male. Non posso più aspettare, devo averti completamente».

Trovò la mia bocca, e l’intensità di quel bacio fu il preludio di quello che sarebbe successo. Le mie parole lo fecero scatenare, lo spronarono ad andare a un ritmo più impetuoso. Mi aggrappai a lui, il mio corpo avvolto al suo. Si muoveva con un’energia intensa, i muscoli tesi sotto la carne bollente mentre spingeva fino in fondo.

Volevo gridare, ma ormai ero al limite. La mia voce e ogni parte del mio corpo erano paralizzati dall’orgasmo che mi stava invadendo. Dal mio centro esplose un calore violento che finalmente portò aria ai polmoni. Un grido soffocato mi sfuggì dalla gola, e così anche l’ultimo briciolo di resistenza.

Anche se mi sentivo disorientata dall’orgasmo rimasi con lui, pronta a guardarlo arrivare al limite. Strinse la mascella, chiuse gli occhi. Imprecò. Spinse un’ultima volta dentro di me arrivando fino in fondo, poi si fermò.

«Maya».

Gli sfuggì un suono gutturale mentre veniva. Mi crollò addosso, il suo sesso pulsava dentro di me.

Mi strinse tra le braccia. Il suo cuore batteva contro il mio petto, prova dell’energia che scorreva tra noi. Mi baciò la pelle per riprendere fiato. Gli passai le dita tra le ciocche sudate. Ogni piccolo tocco sembrava giusto e reale.

Mi pervase un senso di beatitudine, un appagamento inebriante. Ripensai al piacere appena provato. Quando si spostò, aprii gli occhi. Era appoggiato sui gomiti, un sorriso pigro gli illuminava il viso.

Sorrisi in risposta. «Che c’è?»

«Niente è come il sesso riparatore atteso per cinque anni».

Scoppiai a ridere. Sentii un peso sollevarsi dentro di me lasciando spazio al suo calore, a quella semplice sensazione di felicità. La mia anima era più leggera, libera da ogni difesa. Come se, grazie a una luce che splendeva attraverso le nuvole, un ricordo oscuro del nostro passato si fosse illuminato. Lo ricordavo. Era stato così il nostro amore.

 

 

Cameron

 

Restammo sdraiati a lungo, addormentandoci e risvegliandoci. Non volevo spostarmi o muovermi, se significava mettere distanza inutile tra noi. Era mia, e non avevo intenzione di lasciarla andare.

Mi dava le spalle, il suo corpo era a malapena coperto dalle lenzuola. Il suo petto si muoveva al ritmo regolare del suo respiro, e capii che stava dormendo. In qualche modo, tra la sera prima e il pomeriggio, non mi ero accorto del tatuaggio che aveva. Spostai le lenzuola in modo da vederlo tutto. Seguii le linee di inchiostro nero che marchiavano la schiena, la carne leggermente sollevata sotto le mie dita come una cicatrice. Mi chiesi cosa significasse: rami appuntiti all’altezza dei reni e uno stormo di uccelli neri che spiccavano il volo verso il lato del busto.

Cosa simboleggiava? Per quanto fosse cambiata, Maya non mi sembrava il tipo da farsi un tatuaggio senza un significato. Non mi sembrava il tipo da farsi un tatuaggio, in realtà, ma era una continua fonte di sorprese. Questa nuova Maya era ancora un mistero, per me.

Inspiegabilmente, mi venne voglia di baciarla. Le posai le labbra sulla spalla e poi sul braccio, lentamente e delicatamente, per non spaventarla nel caso si fosse svegliata. A ogni tocco la respiravo. Quella pelle vellutata era inebriante. Nessuna donna era così morbida. Le sue curve mi attiravano come non mi era mai successo con nessun’altra. Mi pizzicavano le mani per il desiderio, volevo attirarla a me, sopra di me. Volevo affondare nel suo corpo caldo. La desideravo di nuovo, e il tempo non sarebbe bastato.

Si era concessa. Non mi ero mai sentito così svuotato, non avevo mai desiderato così disperatamente possedere fisicamente qualcuno come mi succedeva con lei. Avevamo girato intorno a quell’attrazione per tutta la settimana e avevo dato retta a malincuore al consiglio di Darren di arrenderci a quello che volevamo. Ora bisognava vedere come sarebbe andata. Non avevo pianificato di dirle che l’amavo. Forse non l’avevo neanche ammesso a me stesso. Ma qualcosa tra noi era cambiato e quelle parole mi erano semplicemente uscite dalla bocca.

Con Maya era così: un impulso familiare, un desiderio a cui non volevo resistere perché lo stavo già assecondando. Il mio corpo e la mia mente si rifiutavano di farsi scappare la cosa migliore che avessi mai avuto, l’incarnazione del suo amore.

Passai pigramente le dita su uno degli uccelli neri, le cui ali erano spiegate sulla costola. Maya si mosse in quel momento. Mi guardò con i suoi bellissimi occhi castani.

Mi si strinse il petto quasi dolorosamente, come se mi fosse stata tolta l’aria dai polmoni. «Sei bellissima», sussurrai.

Lei aggrottò leggermente le sopracciglia mentre si girava completamente, con un sorriso confuso che le curvava le labbra. «Ne dubito».

Sollevò le lenzuola per coprirsi il seno. Io le tirai ancora più giù di prima, accarezzandole la pelle, ossessionato da ogni curva del suo corpo.

«Non sei mai stata così bella. Mi piaci così come sei ora: senza trucco, i capelli scarmigliati… Il look postscopata ti dona».

Scosse la testa con un sorriso. «Sì, certo. Sono un disastro».

«Un bellissimo disastro». La baciai, e con la mano seguii i contorni del disegno sulla schiena che non riuscivo più a vedere. «Cosa significa?»

«Cosa?»

«Il tatuaggio».

Esitò, il suo sguardo si fece vigile. Mi portò le braccia al collo. «Prima è stato incredibile», sussurrò avvicinandosi. «Non so come ho fatto a vivere senza per così tanto tempo».

Il suo respirò mi scaldò le labbra. Mi lambì il labbro inferiore prima di iniziare a mordicchiarlo delicatamente. Gemetti e lei passò la lingua dove aveva morso. Mi eccitai, ero di nuovo pronto per lei. Le afferrai il fianco e resistetti a stento all’impulso di affondare dentro di lei.

Ma che cazzo…? Il tatuaggio. Tornai lucido. Stava evitando l’argomento, ma la incalzai. «Parlamene. Quando l’hai fatto?».

Si rimise comoda sul letto. Il suo sguardo era cupo, più scuro, come se stesse ricordando qualcosa di spiacevole. «Tanto tempo fa».

«E?».

Sospirò, come se avesse abbassato leggermente le difese per parlare dell’argomento.

«Era un brutto periodo della mia vita. Tu non c’eri e… stavano succedendo altre cose».

Inarcai un sopracciglio. «E l’hai voluto commemorare con un tatuaggio?».

Si accigliò e distolse lo sguardo. «No. Immagino sia difficile da capire». Il suo corpo si irrigidì e il gelo iniziò a insinuarsi tra noi. Le presi il mento, facendole girare il viso verso di me.

«Non capisco, ma voglio farlo. Aiutami».

Strinse le labbra, le sue difese ripristinate.

«Ti prego», la esortai, sfiorandole la bocca.

Fece un respiro profondo. «Credo che farsi un tatuaggio sia una sorta di purificazione, che ci sia qualcosa di catartico, addirittura: la decisione di farlo, il dolore e poi la guarigione. Non solo quella della pelle, quella fisica. Mi ha aiutato a guarire dentro. Ricordo che ci ho passato sopra le dita lo stesso giorno e sentivo che si stava cicatrizzando. L’ho fatto impulsivamente, ma mi ha dato la forza quando ne ho avuto bisogno».

«È enorme. Deve aver fatto un male cane».

Scrollò le spalle. «Sapevo che avrebbe fatto male, ma non credo che l’esperienza sarebbe stata la stessa, senza quel dolore».

Annuii cercando di capire quello che aveva detto. Per combattere i miei demoni ero corso verso il pericolo, ma non li avevo mai commemorati.

«Sembrerà strano, ma il tatuaggio è stato come un rito di passaggio. Averlo e ricordare quello che ho provato in quel periodo non mi rende triste, ma mi ricorda che posso sopravvivere, che sono uscita tutta intera da un periodo difficile».

Le labbra le tremarono e iniziò a giocherellare con l’orlo del lenzuolo. Forse non si era mai aperta così tanto con me. L’immagine che avevo di Maya, di com’era in fondo all’anima, iniziò a separarsi dal ricordo. Non era più l’angelo biondo che avevo amato, la sua luce di colpo era diventata più scura e intensa, come se avesse incontrato un’ombra fredda sul suo cammino e avesse passato gli ultimi quattro anni a cercare di superarla.

«A volte non sembri contenta. Non ho molti elementi con cui fare paragoni, ma eri più infelice di quanto lo sei ora?»

«Decisamente sì. Ti avevo perso, e…». Deglutì e si morse il labbro, facendo arrossare quella carne già rosea.

Fui invaso dal senso di colpa ripensando al modo in cui l’avevo lasciata. Per dimenticare quel momento, le baciai la spalla. Respirai il suo odore, deliziandomi della pelle calda e morbida sulle mie labbra. L’anima di Maya era rinchiusa in quell’involucro di carne calda e appassionata. Marchiato da simboli neri, il suo corpo custodiva i segreti del suo passato.

Mi chiesi quali altre verità avrei potuto scoprirvi se lei non avesse cercato di allontanarmi dai suoi pensieri più intimi.

Resistetti all’impulso di far vagare le mie labbra, di farla gridare come aveva fatto prima. Non potevo ignorare il presentimento che era appena sotto la superficie.

«Hai parlato di altre cose… Cosa stava succedendo?».

Mi allontanò delicatamente e si tirò su. Spostò le gambe e scese dal letto velocemente, prima che potessi attirarla di nuovo giù con me. Prese il vestito dal pavimento e lo indossò, il tessuto sottile avvolgeva tutte le sue curve.

«Cosa stai facendo?»

«Devo andare a casa. Eli si chiederà che fine ho fatto».

Non aveva tutti i torti. Anzi, mi chiesi perché il suo telefono non avesse squillato neanche una volta. Era sparita quasi per un giorno intero e non avevamo detto a nessuno che ce ne stavamo andando. Forse davano per scontato che saremmo finiti insieme, ma forse era semplicemente la routine per lei.

Mi tornarono in mente alcuni momenti della sera prima, uno su tutti le labbra di quella donna sulle sue. Strinsi un pugno, imbestialendomi per lo spettacolino che avevano dato e per come avevo quasi preso a pugni i loro spettatori.

«Sparisci spesso il sabato sera?». La domanda uscì prima che potessi pensare all’insinuazione o mitigare il tono amaro che permeava ogni parola.

Mi lanciò uno sguardo glaciale. Mi fissò, immobile, e mi sentii pervadere dal senso di colpa. Prese la borsa e il cappotto.

«Ciao, Cam».