Capitolo quattordici

Cameron

 

Aveva mentito. L’indomani il lavoro l’aveva completamente assorbita. Avevamo stabilito di incontrarci direttamente alla festa, ma all’ultimo avevo deciso che non mi stava bene. Dovevo vederla prima che la sua attenzione fosse monopolizzata da un gruppo di estranei noiosi.

Eli aprì la porta e spalancò gli occhi per la sorpresa. «Ciao, Cameron. Si sta preparando», mi disse indicando la camera.

Fui pervaso da un’ondata di soddisfazione quando entrai nella stanza. Era ora, cazzo. Maya era davanti allo specchio intero, il vestito da cocktail aveva la cerniera aperta a metà. Mi fissò nel riflesso mentre indossava gli orecchini.

«Che ci fai qui? Non dovevamo incontrarci alla festa?».

Lanciai il cappotto sul letto e la raggiunsi.

«Non è nel mio stile. E poi non volevo che qualcuno pensasse che mi stessi usando come finto ragazzo per aumentare le possibilità di essere promossa».

Le sue labbra rosse si incurvarono. «Questo porta a un’altra domanda: con che titolo ti presentiamo? Mi piacerebbe farti conoscere a un paio di persone».

Le feci scivolare l’indice lungo la schiena fino al gancetto del reggiseno, leggermente tentato di aprirlo. D’altronde, era presto.

«Vediamo. Che ne dici di “incredibile”? Mi piace come suona. Ma c’è da dire che avevo in mente certi pensieri sulla tua bocca mentre facevi la domanda».

Mi chinai a baciarle il collo e sentii il suo battito accelerato sulle labbra. Il suo profumo floreale mi riempì i polmoni riportando alla mente tantissimi ricordi. Lei tremò al mio tocco, e quella reazione mi tentò ancora di più.

Mi raddrizzai, ricordando a me stesso di non esagerare. «Vuoi che chiuda la cerniera?»

«Sì, grazie».

Procedetti, pentendomi del fatto di non stare facendo l’opposto. Alzò lo sguardo e mi osservò, schiudendo leggermente le labbra.

«Stai benissimo anche tu», sussurrai, avvertendo benissimo quanto ci piacevamo quella sera. «Deliziosa, direi». Mi sporsi per baciarla, ma lei si scostò.

«Così mi farai eccitare prima ancora di arrivare alla porta».

«Per me non c’è problema», borbottai, incapace di impedire alle mie mani di esplorare ogni curva coperta dal vestito di raso. Mi fermò ma io la avvicinai ancora, eliminando ogni eventuale dubbio sull’effetto che mi faceva.

«Dico davvero, come ti devo presentare?». Le vacillò la voce mentre poneva la domanda.

Le sfiorai la guancia e la mascella. «Credo che “il mio ragazzo” per ora vada bene».

Fissai lo sguardo sulle sue labbra carnose pensando alle cosette che sapeva fare con la bocca. Tracciai il contorno del labbro inferiore. Vidi la lingua muoversi e, d’impulso, le infilai un dito in bocca. Chiuse le labbra e mi massaggiò il polpastrello con la lingua, prima di succhiare.

La mia stretta su di lei si fece più forte e premetti l’erezione contro il suo fianco. «Porca vacca, quanto dura la festa?».

Sorrise lievemente mentre toglievo il dito. «Al massimo qualche ora».

«Conterò i minuti finché non sarai sotto di me».

«Siamo un po’ impazienti?»

«Non è la parola esatta».

«Disperati?»

«Forse».

«E come mai sei così disperato?», sussurrò sfiorandomi le labbra con le sue.

Cazzo. Si sarebbe pentita di averlo chiesto.

La baciai appassionatamente affondando la lingua nella sua bocca, facendo gli stessi movimenti che avrei voluto fare in un altro punto del suo corpo.

«Ora ti dico esattamente quello che voglio: ti voglio bagnata, nella mia bocca, e voglio che tu venga finché non penserai di non poterlo più fare».

«Oh», disse in un soffio, quasi annaspando.

«E poi mi supplicherai di scoparti».

Chiuse gli occhi e si morse il labbro. Le sua anche si muovevano senza sosta.

«Non mi è bastato quello che abbiamo fatto ieri sera», ringhiai. «Dobbiamo recuperare».

Sospirò. Il suo sguardo fermo era offuscato dal bisogno selvaggio che pulsava anche dentro di me.

«Lo prometti?». Le labbra le tremarono leggermente mentre lo diceva.

«Non posso prometterti di non prenderti ora, se non usciamo subito di qui».

 

 

Maya

 

Guidò il SUV con una mano sul volante e l’altra sulla mia gamba, tracciando con i polpastrelli disegni sopra il ginocchio.

Strinsi le dita sulla pelle liscia del sedile. Cercai di concentrarmi sulla strada, sul flusso del traffico serale, ma non servì a frenare le fantasie provocate dalle sue promesse sconce. Lo desideravo tantissimo, ma alla fine lui aveva avuto la forza di farci uscire.

Mi aveva tolto il respiro solo entrando in camera. Con il completo nero addosso, era ancora più irresistibile. In quel momento stavo lottando con una vocina nella mia testa che proponeva di fare marcia indietro, saltare la festa e andare dritti a letto. Dermott mi avrebbe fatto il culo anche solo per averci pensato, e da qualche parte nella mia mente ricordai che avrei deluso Jia, che aveva fatto tanto per me.

«Sei nervosa?»

«Un pochino», ammisi. Non ero mai andata a eventi del genere con altre intenzioni che non fossero chiacchierare con le poche persone che conoscevo. Non l’avevo mai considerata come un’occasione per fare carriera.

«Sei preoccupata perché ti accompagno?»

«No, anzi. Quando dicevo che avevo bisogno di rinforzi non scherzavo». Il pensiero che fosse al mio fianco mi rassicurava, anche se si sarebbe sentito molto più fuori posto di me.

«Andrai benissimo», disse in tono incoraggiante, stringendomi delicatamente il ginocchio.

Ci fermammo all’entrata dell’albergo e il valletto ci aiutò a scendere. Nella sala c’erano già centinaia di persone. Speravo di scorgere un viso amico, quando vidi Vanessa parlare animatamente con una persona che sembrava far parte del personale dell’albergo.

La sua espressione si fece amichevole quando ci avvicinammo. «Siete venuti!». Mi abbracciò e diede a Cameron un bacio sulla guancia.

«Come va?»

«Per ora bene, credo».

Prima che le potessi chiedere altro, Jia comparve accanto a me.

«Maya». Si chinò e mi baciò la guancia. «Sei uno splendore».

Il sollievo per averla trovata in quella folla sparì quando ricordai dell’ultima volta in cui Cameron ci aveva viste insieme. Mi irrigidii al loro sguardo. Jia alzò gli occhi su Cameron, che torreggiava su di noi. Sembrava ancora più imponente vestito così, anche se in fondo sapevo che non era affatto il suo stile.

Mi schiarii la gola, cercando di trovare la voce. «Jia, lui è Cameron. Il mio… ragazzo. Cameron, Jia è uno dei vicepresidenti del mio ufficio». L’ultima informazione non era necessaria, ma volevo che la presentazione sembrasse più formale. Cristo santo, che imbarazzo.

Jia porse la mano e gliela strinse. «È un piacere, Cameron».

La mascella di lui si contrasse mentre faceva un cenno col capo senza dire una parola.

«Ti spiace se ti rubo un attimo Maya?».

Lui inarcò le sopracciglia.

Lei mi prese a braccetto e sorrise. «Dobbiamo socializzare un po’».

Cameron mi guardò, come ad assicurarsi che la cosa mi andasse bene. Gli sorrisi rassicurante.

«Se hai bisogno di me, mi trovi al bar».

Gli strinsi la mano prima che Jia mi trascinasse via, interrompendo così il contatto con lui e lanciandomi nel vivo della festa.

«Champagne?». Jia prese un calice dal vassoio di un cameriere che stava passando.

«No, grazie, sono a posto».

«Sicura? Sembri nervosa».

«Sì, un po’, ma sto bene». Un bicchierino avrebbe decisamente aiutato i miei nervi, ma dovevo restare lucida. La mia forza di volontà era in carreggiata, ed essere con Jia mi avrebbe aiutato.

«Quindi tu e Cameron ora siete ufficialmente una coppia?».

Giocherellai nervosamente con la pochette. «Sì, credo di sì. Vogliamo vedere come va».

Bevve lentamente e lanciò un’occhiata al bar, dove Cam era seduto rivolgendoci le spalle. Sospirai al pensiero che quella sera gli avrei tolto il completo per gustarmi quello che c’era sotto.

«È un po’ veemente».

«Sì, può esserlo», risposi. In realtà mi piaceva, lo volevo così. Quando mi guardava, come se stesse guardando direttamente la mia anima, non importava nient’altro. Nessuno mi aveva mai vista né mi conosceva come mi vedeva e mi conosceva lui. Nessuno.

 

 

Cameron

 

Maya si spostava di gruppo in gruppo con Jia al suo fianco. Non sapevo niente di quel mondo, ma speravo per lei che stesse andando tutto bene. Il lavoro non sembrava renderla molto felice, ma forse le cose potevano cambiare, con gli agganci giusti. Tornai a girarmi verso il bar, dispiaciuto che Jia potesse essere uno di quegli agganci. Qualcosa di quella donna non mi convinceva. I suoi intensi occhi castani sembravano studiarmi ogni volta che ci incontravamo, come se cercasse di capirmi. Maya, saggiamente, non parlava molto di lei, ma sapevo che passavano molto tempo insieme in ufficio.

Sentii una voce sensuale alle mie spalle. «Cam».

Mi girai e mi trovai davanti Jia che mi sorrideva.

«Jia», salutai freddamente. «Dov’è Maya?»

«In giro a parlare con delle persone. Ho pensato di darle qualche minuto per cavarsela da sola».

Inclinò la testa verso di me. Mi venne la pelle d’oca. Forse non avrei dovuto provare tanta antipatia per lei, ma andava detto che l’ultima volta in cui l’avevo vista aveva la lingua nella bocca di Maya.

«Maya è stupenda, stasera», mormorò, lanciando un’occhiata alle sue spalle.

Era vero: la sua pelle pallida era messa in risalto dal raso nero del vestito. Jia si voltò di nuovo e mi guardò provocante. Mi mossi, desiderando che se ne andasse. Non conoscevo nessuno lì, ma lei non era proprio quello che avrei considerato un viso amico.

«Anche tu stai benissimo, Cam».

Passò un dito sull’orlo della mia giacca. Trattenni l’impulso di scostarle malamente la mano e presi il bicchiere per bere un bel sorso di liquido ambrato. Maya non aveva bisogno di drammi, quella sera; avevo promesso di sostenerla.

«Ti sei divertito l’altra sera?».

Scrollai le spalle. «Non posso dire che lo rifarei».

«No? Ve ne siete andati presto. Non dev’essere andata così male».

Evitai il suo sguardo, non intendevo abboccare.

«Dovremmo uscire tutti e tre insieme, qualche volta. Sarebbe divertente».

La sua bocca si incurvò in un sorriso sensuale e si passò la lingua sul labbro inferiore. Quel gesto alimentò l’irritazione che già provavo.

«Cosa fate dopo?».

Feci un respiro profondo, chiedendomi quanto ancora sarebbe durato quel terzo grado. «Torniamo a casa, immagino».

«Io abito qui vicino, potete venire a bere qualcosa».

La guardai storto. «No, grazie».

Si avvicinò ancora e sentii il suo profumo. «Non devi fingere con me, Cam», sussurrò, strusciando il fianco contro di me.

Vista da fuori, quella vicinanza sarebbe sembrata normale, ma dal modo in cui si muoveva sembrava avere uno scopo preciso.

«Qualsiasi cosa tu stia sottintendendo, Jia, non sono interessato. E neanche Maya, fidati».

Lei inarcò un sopracciglio e tornò a guardare Maya. «Non ne sarei così sicura. Potrebbe essere un po’ più curiosa di quanto tu creda. Potremmo divertirci».

Mi irrigidii. Non mi importava niente dei gusti sessuali degli altri, ma col cavolo che avrei condiviso l’affetto o il corpo di Maya con qualcun altro. Jia aveva descritto quella che poteva essere la fantasia di chiunque, ma ci sarei stato solo io nel letto di Maya.

Mi posò la mano sul braccio e strinse leggermente. «Tranquillo. Stai pensando troppo. Potresti fare quello che vuoi con noi, averci entrambe o solo guardare. Non ti piacerebbe vedere un’altra donna farla venire?».

L’avrei trascinata via per i capelli, se il pensiero di essere geloso di una donna che ci provava con la ragazza che amavo non mi fosse sembrato un motivo troppo strano per fare qualcosa. Respirai lentamente, cercando di mantenere il controllo. Avrei voluto spingerla via e portare Maya a casa per poterle dimostrare che sarei stato l’unico a soddisfarla.

«Apprezzo l’offerta, Jia, ma, con tutto il rispetto, col cazzo che succederà».

Rise piano. «Non sono una minaccia, eh. La stai prendendo troppo seriamente».

Mi raddrizzai e mi voltai completamente verso di lei, per farle capire che non avrebbe potuto fregarmi con i suoi trucchetti. «Vuoi scoparti la mia ragazza, certo che la prendo seriamente. Ma Maya ti considera un’amica, quindi stavolta te lo dico educatamente: abbandona pure quell’idea, altrimenti…».

«Altrimenti cosa?».

Sospirai a denti stretti, trattenendo un ringhio. «Sono sicuro che qui ci sono persone a cui interesserebbe sapere cosa stai tramando».

Mi guardò storto e si irrigidì leggermente.

«Non c’è bisogno delle false minacce, Cameron. Ho capito». Deglutì mentre guardava il suo calice di champagne. «Sei possessivo, e ne hai tutte le ragioni. È adorabile. Capisco perché sia tanto importante per te».

«Hai ragione, è molto importante per me. Ma le mie non sono false minacce».

«Quali minacce?».

Maya si unì a noi, interrompendo il discorso. Spostò lo sguardo da me a Jia e si accigliò. Nessuno di noi due sembrava felice, ma fu abbastanza saggia da non chiedere spiegazioni.

Jia sorrise. «Stavo solo chiedendo a Cameron se dopo volevate andare a bere qualcosa, ma pare abbiate già altri programmi. Non c’è problema. Io devo parlare con delle persone. Divertitevi. Ci vediamo domani».

Si allungò e baciò Maya sulla guancia, lanciandomi uno sguardo malizioso prima di sparire tra la folla.

Strinsi i denti e resistetti all’impulso di stringere Maya tra le braccia, l’unico posto in cui avrei potuto tenerla al sicuro da persone che facevano solo finta di tenere a lei.

«Che cavolo è successo?»

«Andiamocene, la comparsata l’hai fatta. Non si aspetteranno che tu stia qui a socializzare tutta la notte, no?». Volevo andarmene prima di fare una scenata. Continuavo a sorprendermi di quanto sarei stato disposto a fare per lei. Per quanto la volessi proteggere, rischiavo anche di rovinare i progressi che speravo avesse fatto sul lavoro.

L’ultima cosa che volevo era diventare un ostacolo in quell’ambito della sua vita – in ogni ambito della sua vita.

«Certo, possiamo andare. Mi dici cosa c’è?». I suoi bei lineamenti erano preoccupati mentre mi accarezzava il viso.

Feci un respiro per tranquillizzarmi. Mi girai leggermente per baciarle il palmo, poi la presi per mano. «Ne parliamo mentre andiamo a casa», dissi, andando verso il guardaroba.

Non volevo raccontarle i dettagli sconci della proposta di Jia, ma più tempo passava più la mia irritazione cresceva. Quando entrammo nel suo appartamento, le parole mi uscirono più aspre di quanto avessi voluto.

«Quella stronza porta guai».

Maya sobbalzò e si bloccò, mentre io facevo avanti e indietro davanti al letto.

«Jia?»

«Sì».

«Sei arrabbiato perché ci ha invitati da lei a bere?»

«Non voleva bere, voleva organizzare una specie di roba a tre e io non sono interessato. Devi starle lontana».

«Eh?».

La sua voce era calma, troppo calma. Mi avvicinai e le presi la mano, come se quel contatto potesse essere un’àncora di salvezza, un modo per farle capire la realtà della situazione senza che si arrabbiasse con me.

«È una manipolatrice, non puoi fidarti di lei».

«E come lo sai?». Ritirò la mano e mi fissò.

Scossi la testa e mi passai le mani tra i capelli. Avrei voluto che avesse visto lo sguardo di Jia mentre mi faceva quella proposta. «Lo so e basta».

Maya tremò e fece un passo indietro, abbassando lo sguardo.

«Che succede? Hai freddo?»

«Dovresti andartene».

«Perché?»

«Domani sarà una giornata impegnativa. Dobbiamo terminare il progetto prima delle vacanze, se possibile».

«Il progetto che sta dirigendo Jia».

Prese il mio cappotto e me lo porse.

«Maya».

«Grazie per avermi accompagnata, ho davvero apprezzato il tuo supporto».

Lanciai via il cappotto e feci un passo verso di lei. I nostri corpi erano così vicini che sentivo il suo calore. Era letteralmente con le spalle al muro. Percepivo chiaramente la sua frustrazione mista alla tensione sessuale che ora era dannatamente palpabile.

«Non puoi dirmi cosa fare». Il tono aspro della sua voce si addolcì leggermente.

«No?». Inarcai le sopracciglia. Se si trattava di Jia, la pensavo diversamente.

«Da quando siamo insieme, non hai fatto altro che dirmi cosa fare e cosa no, e ora mi vorresti dire con chi passare il mio tempo. Cosa ti fa credere che mi serva una persona così nella mia vita?»

«Hai bisogno di una persona così nella tua vita perché nessuno ti dice la verità. E quando starai per fare cazzate, ti fermerò. Se per te questo è dirti cosa devi fare, okay. Ma non vado da nessuna parte, credo tu lo sappia».

La sua maschera vacillò e per un istante vidi la sua vulnerabilità. La ragazza spaventata tornò per un attimo, prima che la sua espressione si facesse di nuovo impassibile.

«Credo ti sia dimenticato con chi stai parlando».

«Lo stai facendo di nuovo».

«Cosa?»

«Ti stai nascondendo», sussurrai. Le sfiorai la mascella, il collo e le afferrai delicatamente la nuca. Lei si scostò, una nuova fiamma nello sguardo. Le presi una mano e la bloccai contro la porta, poi feci lo stesso con l’altra che cercava di spingermi via.

Mi guardò male, aveva le narici dilatate. Trattenni un sorriso: era facile farla arrabbiare. Nonostante la sua espressione fosse decisa, il suo petto palpitava. Mi studiò. Le nostre labbra quasi si toccavano. Ero infiammato quanto lei. Sostenni il suo sguardo, sfidandola a guardare da un’altra parte, a nascondersi.

«Sei sprezzante».

«Non sono mai quella che ti aspetti».

«No», ammisi. «Ma non mi aspettavo neanche che litigare con te mi eccitasse». Mi leccai le labbra, impaziente di assaggiarla, ma mi trattenni e prolungai quel momento di tensione.

«Se litigare con me ti eccita, abbiamo un grosso problema».

Sorrisi e la lasciai andare, facendo scivolare le mani sui suoi fianchi e poi sui glutei. «Concordo. Ma puoi sempre usare quell’ardore in altri modi». La strinsi a me.

«Dovresti andartene», disse in un soffio chiudendo gli occhi.

Era come se avesse detto “Scopami subito”, considerando la forza che ci aveva messo.

«Ho fatto una promessa e intendo mantenerla». La premetti contro il muro le sollevai la coscia. Lei ansimò e strinse la mia camicia. Azzerai lo spazio tra noi unendo le nostre labbra. Le lingue iniziarono a intrecciarsi con urgenza. Sentivo la passione, il desiderio. La sollevai e andai verso il letto, con le sue gambe intrecciate intorno alla vita.