Capitolo dieci

Maya

 

Cameron allentò la presa per aprire la porta di casa sua. Incespicai e i tacchi mi fecero cadere sulla soglia. Mi ritrovai di schiena sul pavimento. La mia risata ubriaca rimbombò nella stanza buia. Il pavimento era freddo e liscissimo. Tutto odorava di nuovo. Pittura fresca, forse.

«Dove siamo?». La mia voce sembrava molto meravigliata, come se fossimo appena entrati in un qualche posto incredibile. Forse era davvero così. Non lo sapevo, perché sul taxi mi era sceso tutto. Se prima ero eccitata come un animale in calore, in quel momento ero sbronza marcia, in grado di stare in piedi solo grazie al corpo forte di Cameron che mi teneva su. Oh, be’. Ero ancora eccitata.

«Questo è il terzo piano di casa mia. Olivia è al secondo. Sto ancora sistemando, quindi non fare caso al macello. Vieni».

Non riuscivo a vedere niente né mi importava. Il pavimento era molto più comodo di quanto mi aspettassi. Cazzo, sono stanchissima.

Cameron mi prese la mano e mi tirò su, tenendomi così stretta al suo petto che riuscivo a malapena a toccare il pavimento. E riuscivo appena a muovermi.

«Riesci a camminare?».

Ridacchiai, appoggiando la testa sulla sua spalla. Volevo stare stretta a lui. Era talmente caldo, talmente forte. Avevo preso peso e lui riusciva ancora a sollevarmi come se fossi una piuma. La sua presa si allentò leggermente quando mi avvolse l’altro braccio intorno ai fianchi, scaldandomi la schiena.

«Stai bene?», chiese, e mi diede un bacio leggero sulla spalla.

Annuii. Il suo tocco risvegliò una sensazione familiare dentro di me. Non potevo stringermi ancora di più a lui, quindi alzai la testa e lo baciai. Lui si scostò quando cercai di schiudergli le labbra con la lingua.

«Non mi hai trascinata qui solo per rimboccarmi le coperte, vero?».

Non rispose, ma mi portò un braccio sotto le ginocchia e mi sollevò portandomi verso l’unica luce della casa. Aprì delicatamente la porta con un piede e mi posò sul letto. Tenni gli occhi socchiusi, c’era troppa luce.

Tentennai e mi aggrappai alla sua camicia. Lui mi strinse di nuovo a sé e io nascosi il viso nell’incavo del suo collo. Il suo odore, spezie e sandalo, mi inondò. Ansimai, gli passai la lingua sulla pelle e poi succhiai.

Lui mi allontanò, spostandosi per evitare il mio attacco alla sua bocca. «Devi riposarti, Maya, hai bevuto troppo».

«Chi se ne importa».

«A me importa».

«Stai dicendo che stasera sei uscito con me e non pensavi di portarmi a letto?».

Scosse la testa. «Non sapevo cosa aspettarmi, ma tendo a non andare con donne mezze svenute».

«Certo». Alzai gli occhi al cielo e mi allontanai leggermente da lui. Il rifiuto si mischiò a tutti gli shottini che avevo mandato giù.

«Non mi credi?»

«Come no», dissi sventolando la mano. «Non sei interessato, lo capisco».

I suoi occhi azzurri si spalancarono. «Sono interessato, fidati».

Piegai la testa di lato. «Magari Raina è ancora sveglia. Miss Perfezione ti starà aspettando pazientemente da qualche parte».

Le sue labbra si piegarono in un sorriso. «Sei gelosa, Maya?»

«Proprio no». Merda, mi aveva scoperta. «Puoi farti chi ti pare, e anch’io».

Il sorriso sparì e il suo sguardo si fece serio. «L’hai fatto chiaramente capire stasera. Chi era quella ragazza, comunque? La conosci, almeno?»

«Si chiama Jia. Lavoro con lei». Le parole per giustificare il bacio di prima sembrarono fluttuare nell’aria verso Cameron per poi tornare indietro, e mi sembrarono stupide quanto dovevano essere sembrate a lui.

Si passò una mano tra i capelli. «Cavolo».

Mi scappò una risata a quella reazione, e feci un passo indietro sui miei tacchi pericolosamente alti. Sbattei le palpebre, sperando poi di vedere più chiaramente la stanza e Cameron. Cazzo, odiavo essere così ubriaca. Come avevo fatto a ridurmi di nuovo in quello stato? Porcaccia puttana.

Mi schiarii la gola. «Non sono più la tua verginella pura, Cameron, quindi dovresti finirla qui. Mi dispiace che tu abbia assistito alla mia caduta dal piedistallo. Che posso dire? Sono piena di sorprese, come hai detto tu».

«La smetti? Sto solo dicendo che vorrei ti rispettassi di più. Te ne vai in mezzo alla pista da ballo vestita da rimorchio, con tutti quegli estranei che ti mettono le mani addosso. Volevi provocare?»

«Avevo addosso anche le tue, di mani. Cosa ci dice di te questa cosa?». Pungolai la sua maglietta, e il mio dito si fermò contro i muscoli che c’erano sotto.

«Non sono un estraneo allupato. Sono stato dentro di te, Maya, ti ho amata. Questo non mi dà forse il permesso di toccarti, soprattutto quando vuoi essere toccata? Non preferiresti che fossi io, invece che qualcuno che nemmeno conosci? O questo fa parte della tua routine del fine settimana? Andare a ballare e scoparti un ragazzo, o una ragazza, a caso?».

Il modo pietoso in cui mi guardò mentre diceva quelle parole mi fece venire la nausea. Detestavo l’idea di essere giudicata da qualcuno che non aveva il diritto di farlo. Sentii le lacrime di imbarazzo e vergogna affacciarsi e fui attraversata dalla rabbia.

«Preferisco una sfilza di avventure da una notte che si prendono quello che vogliono, mi danno quello di cui ho bisogno e non mi giudicano la mattina dopo, piuttosto che essere guardata come mi stai guardando tu ora, come se fossi una puttana perché vado a ballare e attiro l’attenzione. Quindi vaffanculo».

Avevo tutto il diritto di essere sessualmente emancipata come cavolo mi pareva. Mi ero aggrappata a quel principio mentre cercavo di raccogliere da terra la mia autostima. Mi girai, più o meno consapevole che la borsa mi era caduta da qualche parte mentre entravo. Dovevo trovarla e uscire da lì.

«Me ne vado». Esaminai ogni superficie facendomi strada nella grande camera da letto. La piccola lampada sul comodino illuminava debolmente il letto bianco, le pareti bianche e il parquet chiaro, dov’era sistemato qualche mobile. Era lì che Cameron dormiva ogni notte. Chiusi gli occhi al pensiero che aveva passato lì centinaia di notti, molto più vicino di quanto avessi mai pensato.

«Neanche per sogno. Sei ubriaca. Starai qui e domani mattina ti riporterò a casa». Il tono di voce era duro.

Trovai la borsa e mi girai verso di lui. «Non sono così ubriaca da non riuscire a prendere un taxi». Mantenni la voce calma. La rabbia mi stava facendo pensare lucidamente, grazie a Dio.

«Di sabato sera, a quest’ora, no. Non si discute. Tieni». Aprì l’armadio e lanciò una maglietta bianca sul letto. «Puoi usare quella per dormire».

Mi irritai per quella freddezza e per il fatto che desse per scontato che sarei rimasta solo perché lui lo ordinava. «Non puoi tenermi in ostaggio, stronzo arrogante».

Incrociò le braccia al petto muscoloso, sulle labbra l’ombra di un sorriso, come se mi stesse sfidando. Era proprio uno stronzo arrogante.

La mia irritazione stava scemando, ma la testa mi girava ancora un po’ quando valutai il letto accanto a noi. Tornare a casa mi entusiasmava forse anche meno che cedere alle sue richieste. Mi raddrizzai per non perdere l’equilibrio sui tacchi, mentre prendevo in considerazione l’idea.

«E tu dove dormi?», chiesi, cercando di sembrare indifferente.

«Qui, con te», rispose indicando il letto.

Risi. «Non penso proprio. Dormi sul divano».

Mi tolsi il vestito e scalciai via le scarpe, troppo arrabbiata e sbronza perché mi importasse di essere praticamente nuda davanti a lui. Coperta solo da un tanga nero, feci il giro del letto e allungai la mano per prendere la maglietta. La prese prima di me, ributtandola nell’armadio.

«Mettiti pure comoda».

«Me la dai, quella cavolo di maglietta, o devo sfilare nuda?».

L’angolo della bocca gli si piegò all’insù e si mordicchiò il labbro inferiore. «Ti vuoi calmare?»

«No».

Feci per superarlo e andare verso l’armadio ma lui mi prese per la vita e mi lanciò sul letto. Mi appoggiai sui gomiti e aprii la bocca per protestare. Le parole si bloccarono in gola quando si tolse la maglietta, mettendo in mostra i dettagli del suo corpo che avevo cercato di immaginare così tante volte.

Santo cielo.

I pettorali erano scolpiti, la pelle tesa nel punto in cui incontravano le braccia. Voglio leccarlo lì, e poi sui capezzoli, pensai. Il mio sesso si contrasse al pensiero della mia bocca che assaggiava ogni delizioso centimetro della sua pelle. Perché ogni centimetro era delizioso, lo sapevo per esperienza. Gli addominali tesi finivano con la V più marcata che avessi mai visto. Cristo santo, ma ci viveva in palestra? Nessuno – nessuno di reale, almeno – aveva un aspetto simile.

Il cuore mi batteva all’impazzata. Con la determinazione di un uomo che aveva intenzione di prendersi quello che voleva, mi stese sul letto. Mi afferrò la caviglia, mi sollevò la gamba e iniziò a lasciare una scia di baci dal polpaccio al ginocchio, ripetendo il percorso dall’altra parte.

Serrai la bocca per trattenere un ansito a quel contatto, desiderando di essere abbastanza sobria da trovare le parole giuste per fermarlo, per fare un po’ la difficile. Avrei potuto mandarlo a cagare, ma avevo l’impressione che avrei ottenuto l’effetto contrario. In più ero già una massa di carne tremula per il modo in cui mi stava attaccando, come un predatore a caccia. Ero arrabbiatissima, ma lo desideravo. Forse più di quanto l’avessi mai desiderato.

Il viaggio delle sue labbra proseguì più in alto, lasciando baci roventi lungo il percorso. Succhiò la pelle dell’interno coscia, a pochi centimetri dal mio sesso pulsante. Gemetti e lasciai cadere la testa all’indietro. Lui mosse la mano sul mio fianco e sul mio ventre, aprendola poi tra i miei seni. Alzai lo sguardo su di lui. I suoi occhi erano seri, talmente seri che mi tolsero il fiato. Con un po’ di pressione mi fece sdraiare completamente ed eliminò l’ultima barriera di stoffa che mi separava da lui.

 

 

Cameron

 

Rimasi sul bordo del letto un attimo di troppo, semplicemente a guardarla. La preoccupazione che potesse scappare o protestare se mi fossi fermato fu superata dal desiderio travolgente di incidere nella mente quel momento, nel caso l’avessi persa di nuovo. Era perfetta come la ricordavo: piccola e pallida, come la creatura a pezzi che era diventata. Non potevo averla quella notte. Non così. Dovevo trattenere in qualche modo l’animale che voleva aprirle le gambe e scoparsela fino a perdere i sensi. Ore e ore di sesso non sarebbero bastate. Una volta dentro di lei, non sarei mai voluto andare via. La serata non stava andando come avevo previsto, ma volevo che ricordasse vividamente quel momento inevitabile. Nel frattempo l’avrei soddisfatta e avrei cercato con tutte le mie forze di mantenere il controllo.

Il suo petto si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro, i capezzoli inturgiditi erano come gemme che agognavano la mia bocca.

«Che stai facendo?». La sua voce era sottile, il suo corpo nudo alla mia mercé.

Mi leccai le labbra, paralizzato dalla pelle umida tra le sue gambe. «Ho fame».

«Credevo che non mi volessi».

«Al contrario. Ti voglio, e ho tutta l’intenzione di averti».

«Sei ancora vestito», sussurrò.

Mi passò un piede sulla coscia, e sentii l’erezione tendersi sotto i jeans, dove sarebbe rimasta finché non avessi soddisfatto Maya. Non mi fidavo di me stesso.

Le presi il piede e lo misi di nuovo sul letto. «Apri le gambe».

Dopo un attimo di esitazione, sollevò leggermente le ginocchia e le allargò, mostrandosi completamente. Mi chinai su di lei e la aprii ancora con le dita. Ero quasi ubriaco per il suo odore ancora prima di assaggiarla. Fui sommerso dai ricordi. Trattenni un gemito quando incontrai la sua umidità con le labbra e con la lingua. Cazzo.

Mi sforzai di andare piano, con movimenti cauti. Trascurai di proposito il punto che l’avrebbe portata al limite troppo presto. Anche se la mia risolutezza vacillava, mi impegnai a far durare quel momento. Quando passai la lingua sul clitoride, inarcò la schiena.

«Oddio», ansimò.

Mi affondò le dita tra i capelli e li tirò. Quella punta di dolore crebbe il mio appetito. Sollevò il bacino e quasi crollai su di lei. Persi la ragione e iniziai a muovere la lingua senza pietà. Le infilai due dita dentro e massaggiai quella zona sensibile che l’avrebbe mandata in estasi. Si contrasse intorno alle mie dita quasi dolorosamente, le gambe tese sulle mie spalle.

«Cazzo, Cam. Sto per venire, non fermarti».

Mi sfuggì un ringhio che mi rimbombò nel petto, uscì dalle labbra e finì contro la sua carne. Le afferrai il fianco con la mano libera per tenerla giù. Si aggrappò a me, emettendo una serie di grida spezzate per i fremiti che la scuotevano. Dio, cos’avrei dato per esserle dentro, sepolto in quel paradiso caldo tra le sue gambe.

Incapace di staccare la bocca da lei, le baciai i fianchi, il ventre, il seno e la clavicola. Dopo pochi secondi si stava di nuovo contorcendo sotto di me, tirandomi debolmente la cintura.

«Levati quest’affare».

Nascosi un sorriso e accarezzai l’idea di lasciare che si affannasse o di eliminare io stesso quell’ostacolo. Sarei scivolato dentro di lei facilmente, era più che pronta. Sarebbe stato bello, ubriaca o no. Quei momenti tra noi erano sempre stati appaganti. Combaciavamo alla perfezione, era sempre stato così, e farla venire dava assuefazione, ecco perché non riuscivo a smettere di stuzzicarla. Avrei potuto continuare per tutta la notte e portarci entrambi alla pazzia.

«Cameron, ti prego. Non posso più aspettare», supplicò.

«Certo che puoi». Le baciai il collo, leccando e succhiando quella pelle sudata. Mossi le dita dentro di lei, maledicendomi perché la volevo del tutto lucida quando il momento sarebbe arrivato. Ma non potevo essere come qualsiasi altra bestia egocentrica che si era portata a letto dopo di me. Volevo venerarla, amarla, e volevo che sentisse ogni attimo.

«Cosa aspetti? Ti voglio, ora». Mosse il bacino contro di me, si era arresa con la cintura.

Respirai il profumo eccitante del suo corpo e quello floreale dei capelli – un ultimo respiro inebriante di Maya. Era troppo, e stavo perdendo il controllo. «Voglio fare l’amore con te, Maya».

«E allora fallo, Cristo santo. Sto impazzendo».

«Voglio che tu senta tutto. Che ti ricordi tutto».

Mi attirò a sé, tenendomi il viso tra le mani. I suoi occhi erano lucidi, traboccanti di desiderio. Serrai la mascella, resistendo all’impulso di baciarla. Lentamente, utilizzando ogni grammo di fermezza che avevo in corpo, mi staccai da lei.