Epilogo

 

         Inverness – cinque anni dopo…

 

 

Si può tornare a essere felici, sorridendo alla vita ogni giorno, e alle opportunità che ci riserva? Si può amare ed essere amati tanto intensamente da superare il dolore legato ai ricordi di un passato che segna nell’anima?

La risposta è sì, si può.

Ci sono riuscita io, così come è riuscito a farlo David Alexander Hamilton.

Mi capita spesso di ripensare al passato ritornando indietro di dieci anni, e di rivedere quella ragazza disperata, con una bambina di tre giorni e neanche tre chili, tra le braccia. Ricordo me stessa e ripenso al dolore di quei giorni, ma la rabbia ha finalmente lasciato il posto a qualcosa di diverso, ripenso a me e alla mia bambina con tenerezza e vedo quel giorno come l’inizio della nostra vita. Non avrei mai creduto di arrivare a dirlo, ma a distanza di tanti anni mi ritrovo a ringraziare il padre di mia figlia – che per coerenza continuo a non nominare – per averci abbandonato in ospedale, a Torino, in un piovoso pomeriggio di novembre di tanti anni fa.

Sorrido al pensiero, la vita è imprevedibile e non smette mai di riservarci delle sorprese, sempre quando meno ce l’aspettiamo.

Poso il coltello con cui sto affettando della verdura e guardo l’orologio appeso al muro. Le quattro, tra poco saranno qui.

Mi sciacquo le mani e metto sul fuoco un bollitore per il tè. Mi appoggio al piano da lavoro, guardandomi intorno. La mia cucina, il mio ristorante, tutto è come cinque anni fa, come quel pomeriggio di maggio, quando il mio cuore congelato ha ricominciato a battere…

La cucina sarà rimasta la stessa ma da quel giorno, nella mia vita, molte cose sono cambiate.

Non vesto più di grigio e non vado più dallo psicologo, giusto per fare un esempio.

Rido al ricordo di tutte le sterline spese in analisi, mentre abbasso il volume dello stereo con il CD dei Green Day che mi ha tenuto compagnia nell’ultima ora. Certe abitudini sono dure a morire, di conseguenza anche se gli anni passano e sono più vicina ai quaranta che ai trenta, non riesco proprio a fare a meno della musica quando lavoro. Nonostante questa cucina sia sempre il mio regno, ho imparato a godermi la vita anche lontano dai fornelli. Più serate libere e più tempo da dedicare a me stessa e alle persone che amo. Pochi anni fa non l’avrei creduto possibile, ma dopotutto David Hamilton, allora, doveva ancora entrare nella mia vita, non gli avevo ancora rovesciato una tazza di tè addosso!

Preparo la tavola per la merenda, come allora, ancora oggi, il nostro rito pomeridiano, la nostra occasione per passare qualche momento insieme dopo la scuola o il lavoro.

È tutto pronto, sento abbaiare Freddie dalla veranda e subito dopo aprirsi la porta che dà sul giardino. Mi volto e sorrido, Viola entra di corsa gettando senza troppe cerimonie lo zaino in un angolo e viene a darmi un bacio prima di correre a prendere un biscotto. La osservo e non riesco a non ricordarla minuscola e indifesa, adesso che è una ragazzina di quasi undici anni dai capelli lunghi e biondi, con la passione per la ginnastica artistica e i romanzi d’avventura.

Mi siedo con lei a tavola e prendo un biscotto.

«Gli altri dove sono finiti?» domando osservando il profilo di mia figlia, crescendo la somiglianza tra noi è sempre più marcata.

«Papà, si è fermato a parlare con il nonno. Stanno arrivando» mi dice.

Papà…

Credevo che non avrei mai sentito pronunciare questa parola da mia figlia, invece è successo.

Viola ha un padre e non è l’uomo che le ha donato la vita, per poi rifiutarla e dimenticarsi di lei. Viola ha scelto suo padre  nell’uomo che è riuscito a rendere felice sua madre.

Mia figlia ha voluto conoscere la verità, non è più stato possibile a un certo punto nasconderle come sono andate le cose, così in occasione del suo ottavo compleanno, l’ho portata a Torino. Le ho fatto vedere l’ospedale dove è nata e i posti in cui ho vissuto prima di tornare a Inverness. Era felice e curiosa. Finalmente poteva conoscere quella parte del nostro passato che le avevo sempre tenuta nascosta. Quando le ho domandato se voleva che cercassimo suo padre e provassimo a metterci in contatto con lui, ricordo che mi ha guardato come se fossi matta.

«E perché dovremmo cercare una persona che non conosco?» aveva domandato e ricordo si era girata verso David che era insieme a noi «Io non voglio conoscere questo signore, mamma. Io ho David» aveva concluso e, come mio solito, non ero riuscita a trattenere le lacrime.

Con quel viaggio mi sono tolta un enorme peso dal cuore e da quel momento, anche le mie mille paranoie e paure incentrate su mia figlia e sul padre naturale, sono state messe da parte.

Ho vissuto davvero molto meglio da quel momento.

Mi alzo e vado a versare l’acqua bollente nella teiera, proprio mentre mio marito entra in cucina con i bambini. Arthur in braccio e Daniel per mano, mi sembrano piccolissimi rapportati a David e mi fanno sempre tanta tenerezza. Gli vado incontro e prendo Daniel in braccio ma prima bacio David.

Sono passati cinque anni da quando quest’uomo è entrato nella mia cucina e nel mio mondo, e ancora adesso dopo la nostra vita insieme, il matrimonio e i gemelli, quando lo vedo non riesco a non pensare a quanto lo ami e lo desideri. È sempre bellissimo… anche con i primi capelli grigi e qualche ruga che quando ci siamo conosciuti non c’era ancora.

Bacio i bambini e poi insieme a mio marito, li facciamo sedere a tavola, nei loro seggioloni vicino a Viola. Da brava sorella maggiore si occupa dei bavaglini e di intrattenerli mentre io e David li osserviamo appoggiati al bancone da lavoro. Daniel e Arthur hanno compiuto tre anni a maggio e frequentano l’asilo. Sono dei bravi bambini, vivaci ma molto affettuosi e io sono felice che siano gemelli… anche se, quando ho partorito, non ho provato lo stesso entusiasmo, ma questa è un’altra storia!

I nomi li ho scelti io e David ha approvato la mia scelta grato di trasmettere qualcosa del fratello con i nomi dei figli, so che per lui è stato come omaggiarne il ricordo. Arthur e Daniel, come il primo e il secondo nome di battesimo del suo gemello. Un ricordo quello di Arthur  sempre vivo nel suo cuore, ma che finalmente si è liberato dal dolore, lasciando posto all’accettazione per quanto accaduto. Anche il senso di colpa grazie al cielo si è alleviato, permettendo a David di superare la fase peggiore della sua vita. Solo il rapporto con i suoi genitori non ha subito una svolta significativa, continuano a ignorarlo, così come non hanno interesse nel conoscere me e i nostri figli. David se ne è fatto una ragione, quindi io non insisto spingendolo a ricostruire un rapporto irrimediabilmente deteriorato. Quello che non hanno compreso i signori Hamilton è che la vita, nonostante tragedie come queste, va avanti, con questo loro atteggiamento di chiusura, non solo hanno perso un altro figlio, ma anche i loro nipoti.

Siamo vicini, mi cinge le spalle con un braccio e io mi rilasso appoggiandomi al suo corpo.

«Tutto bene al lavoro?» domando.

Lo ascolto parlarmi della sua giornata senza distogliere lo sguardo da Viola e dai gemelli. Capelli scuri e occhi verdi, proprio come David.

Dopo la fuga a Edimburgo, David ha lavorato in albergo ancora qualche tempo. I miei genitori saputa la verità e messi al corrente di ciò che aveva passato, l’hanno riaccolto a braccia aperte, ma quando si è presentata l’occasione di un nuovo lavoro, sono stata la prima a spingerlo ad accettare. Ora è un agente immobiliare, vende case e, anche se mi dispiace non averlo più intorno in albergo  godendo della sua presenza, sono contenta che abbia trovato un lavoro che svolge con passione, senza però i ritmi frenetici di quando faceva l’avvocato a Edimburgo.

Sono felice di non avere mai conosciuto quell’uomo.

Per me David Hamilton rimane sempre colui che è entrato nella mia cucina con indosso una t-shirt degli AC/DC e un sorriso che mi ha ucciso. Lo amo per aver riempito quel vuoto che avevo nel cuore, lo amo per tutto quello che mi ha dato e so mi darà ancora.

Chiudo gli occhi e sorrido.

«Cosa c’è Mac Kinnon, la mia giornata ti fa ridere?» mi domanda scostandomi e accarezzandomi il viso. Adoro quando fa così…

«No, Hamilton. Per niente» ribatto ridendo, mentre lo abbraccio cingendogli la vita.

«Allora cosa c’è?» chiede senza smettere di baciarmi in viso e sulle labbra. Baci leggeri che continuano ad avere il potere di farmi rabbrividire.

Inclino la testa di lato per indirizzare i suoi baci sul collo; sa che mi piace.

Con la coda dell’occhio vedo Viola che ci guarda con finta aria disgustata e copre gli occhi dei fratelli perché non assistano allo spettacolo indecente che i genitori stanno offrendo loro, in cucina, all’ora del tè.

Rido, sono felice e vorrei urlare al mondo quanto amo lui, i nostri figli, la nostra vita.

Mi sciolgo dall’abbraccio e mi allontano.

«C’è che ti amo, David» gli dico e vedo il suo volto illuminarsi in un sorriso che mi scioglie il cuore, «vai a tavola. È ora del tè.»

Ora ho tutto l’amore che ho sempre desiderato.

Per sempre…

 

 

 

FINE