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Domenica pomeriggio.
Il giardino della scuola è gremito di persone, mi guardo intorno e individuo mia sorella che si fa strada tra la folla con due bicchieri di succo di frutta in mano. Mi vede, le faccio un cenno con la mano e mi raggiunge all’ombra dell’albero dove mi sono seduta. È una bella giornata, calda, soleggiata.
Laura mi porge il bicchiere colmo di succo alla pesca, il mio preferito.
«Scordati che io mi sieda lì con te, rischio di non alzarmi più» mi dice con una smorfia massaggiandosi la schiena. La pancia cresce, la bambina pesa sempre più e Laura ha già l’atteggiamento da donna al termine della gravidanza anche se mia nipote non nascerà prima della fine di settembre.
Siamo contente che sia una femmina.
Viola non vede l’ora di giocare con la nuova cuginetta.
«Guarda che ti sporchi i jeans» mi fa notare, appoggiando la schiena al tronco dell’albero, mentre mi accorgo che con lo sguardo osserva Malcom e i bambini che giocano alle altalene non molto distanti da noi.
Anche io mi guardo intorno e controllo per l’ennesima volta l’iPhone.
Niente.
Butto il telefono in borsa senza tante cerimonie e bevo un sorso di succo. Ci vorrebbe un bel Martini, altro che succo di frutta.
Guardo l’ora. Le quattro. Tra non molto lo spettacolo dei bambini dovrebbe cominciare. Mi alzo pulendomi il fondoschiena da residui di terra ed erba e mi appoggio anche io al tronco accanto a Laura.
«Ha chiamato? Ti ha scritto?» mi domanda.
Mia sorella sa tutto, le ho raccontato della discussione con David di questa mattina e come me, fatica a comprendere l’atteggiamento del mio fidanzato.
Fidanzato… Sorrido. Sarà poi la parola giusta?
In queste settimane abbiamo parlato di noi e del nostro rapporto ma ho come la sensazione che qualcosa stia andando nel verso sbagliato. Come se avessi interpretato male le sue intenzioni e i suoi sentimenti nei miei confronti. E nel male interpretare io sono bravissima, tanto è vero che per anni ho amato e ho vissuto con un uomo a cui non gliene fregava niente di me, di noi e della figlia che stava per venire al mondo.
«No, non ho notizie» dichiaro rispondendo a Laura, mentre affondo le mani nelle tasche posteriori dei jeans, mi mordo le labbra fino a farle sanguinare come faccio quando sono nervosa.
«Smettila subito!» ordina mia sorella dandomi una gomitata nelle costole, tirando fuori dalla borsa un burro-cacao. Le rispondo con una smorfia ma prendo lo stick passandomelo sulle labbra.
«Non so cosa gli sia preso, Laura» affermo poi restituendo il burro-cacao a mia sorella, «so solo che è strano. Sento che c’è qualcosa che non va, ma non riesco a capire cosa! Non capisco se il problema sono io, se è mia figlia, se è lui… Non capisco un cazzo come sempre!» sbotto alla fine.
Laura rimane in silenzio per un po’, finisce con calma il suo succo e poi si china a raccogliere il bicchiere vuoto che ho lasciato per terra.
«Non si inquina l’ambiente, Lu» mi rimprovera con un sorriso prendendomi poi sotto braccio.
«Andiamo a vedere Viola?» le dico e ci incamminiamo verso l’area intorno al palco allestito nel cortile della scuola per lo spettacolo.
Facciamo un cenno a mio cognato e i bambini perché ci raggiungano e procediamo facendoci strada tra gli altri genitori e parenti presenti per l’occasione.
Di colpo però mia sorella si ferma e le vado a sbattere contro.
«Ehi… Perché ti sei fermata?» le domando e noto che sta osservando qualcosa. Seguo il suo sguardo e mi blocco anche io, forse ho anche smesso di respirare per qualche momento.
«Lu… Guarda» mi dice ma io ho già visto.
E mi si è fermato il cuore.
David è qui, si sta guardando intorno, non mi ha ancora vista. Tutto avrei pensato tranne che di rivederlo qui a scuola.
«Io vado da Malcom e i bambini, ci avviciniamo al palco. Tu corri da lui» esorta mia sorella e prima di allontanarsi mi dà una pacca sul sedere.
Vorrei muovermi, certo. Vorrei andare da lui, come no! Ma ho le gambe molli e non riesco a muovere un passo. Mi sento incredibilmente stupida per essere una donna adulta che ha superato i trenta, ma la verità è che non so cosa fare. Da una parte vorrei urlare per la gioia e saltargli al collo ma dall’altra, sento un gran bisogno di prenderlo a schiaffi e fargliela pagare per l’atteggiamento da idiota bastardo che ha avuto questa mattina. Il risultato è che non riesco a schiodare i piedi da questo pezzettino di prato.
Per fortuna mi vede, mi sorride e io sento lo stomaco stringersi. Perché mi fa sempre questo effetto? Vorrei recitare la parte di quella offesa, risentita, incazzata, invece non riesco. Ricambio il sorriso e lo osservo venirmi incontro facendosi strada tra la gente.
Dovrei essere arrabbiata, furiosa, nera. Giuro che lo vorrei. Ma quando realizzo che ha indossato la camicia di cotone in tartan rosso e blu che io e Viola gli abbiamo regalato, le mie difese crollano, non ci riesco. Se l’è ricordato… si è ricordato che il tema dello spettacolo dei bambini è la rievocazione di storie e leggende della tradizione scozzese e per questo al pubblico è stato chiesto di indossare qualcosa che ricordasse i vari Clan della Scozia. Porto anche io la stessa camicia comprata per l’occasione insieme a mia figlia, che mi suggerì, proprio allora, di comprarne una uguale per David. Lo guardo e mi viene da ridere. Dio quanto riesce a essere bello con una semplice camicia più da boscaiolo che da Highlander e con quei jeans logori che gli stanno così bene… Rido e ride anche lui. Mi ha raggiunta e adesso siamo l’una di fronte all’altro.
«Stai bene vestita così, Mac Kinnon» mi dice mettendo le mani nelle tasche posteriori dei jeans e mi rendo conto di essere nella stessa identica posizione.
Vorrei ridere forte ma il rischio di passare per isterica è alto e quindi mi trattengo.
Alzo il viso per guardarlo negli occhi. Mi sembra sereno, non ha l’aria cupa che aveva quando l’ho lasciato. Sembra diverso, di nuovo normale direi.
«Anche tu stai bene, Hamilton» gli dico scherzando.
La verità è che queste camicie sono orribili ma non mi preoccupo, intorno a noi il tartan imperversa, di tutti i colori e tipi. Molti padri hanno tirato fuori il kilt dall’armadio così come lo indossano i nostri bambini per lo spettacolo.
Sorride ancora ma si fa serio. Siamo molto vicini ma non ci sfioriamo, anche se ho voglia di toccarlo. Intorno a noi ci sono decine di persone, voci e risate. Ma ho come la sensazione di essere da sola con lui. Ogni volta è così, mi fa questo effetto. Mi fa sentire come se al mondo ci fossimo soltanto noi… Non va bene, lo so, ne sono consapevole.
Dovrei amare un po’ meno quest’uomo, quel tanto che basta per rimanere lucida, almeno!
«Lu, ascoltami. Ci sono delle cose…» esordisce ma viene interrotto dalla voce squillante di una delle insegnanti che, dal palco con un microfono, annuncia che lo spettacolo sta per cominciare, i bambini sono pronti e invita il pubblico a fare silenzio e a prendere posto.
Torno a guadare David. Voglio sentire cosa ha da dire. Voglio sentirgli dire che non è venuto fin qui per dirmi addio. Voglio togliermi di dosso questa sensazione come se stessi costantemente trattenendo il respiro…
«Dimmi, David. Cosa c’è?» domando.
Lui non parla, si limita a guardarmi con quel sorriso che mi mette sempre in grave pericolo di vita. Mi poggia le mani sulla vita e si avvicina. I nostri corpi ora si toccano. Finalmente.
«Scusami, Luisa. Scusami per questa mattina» mormora e si china verso di me poggiando la fronte contro la mia. Chiudo gli occhi. Non desideravo sentire altro. Forse sono una sciocca, una stupida illusa e una romantica senza speranza ma era tutto ciò che avevo bisogno di sentire.
Annuisco chiudendo gli occhi.
Mi bacia in fronte e mi prende le mani stringendole.
«Ora andiamo» mi dice «non mi sono messo questa ridicola camicia per venire fin qui e poi perdermi tua figlia che balla in kilt e canta in gaelico.»
Questa volta rido, mi lascio andare e sento sparire la tensione una volta per tutte. Ci teniamo per mano, camminando vicino e raggiungiamo mia sorella e mio cognato che ci stanno aspettando con i bambini, vicino al palco.
Voglio vedere Viola, voglio vedere la mia bambina sotto questo caldo e rigenerante sole di luglio, cantare e ballare con indosso il suo kilt rosso e blu.
Chiudo gli occhi e inspiro stringendomi al braccio di David, fermo accanto a me. Sorrido e sento di stare bene.