********************

 

 

 

Parcheggiamo proprio davanti all’ingresso della palazzina in cui vive David, alla periferia di Inverness.

Lungo il tragitto non sono riuscita a proferire parola limitandomi a rispondere alle domande di mia sorella con cenni del capo, ascoltando più che altro in silenzio, le sue mille supposizioni. Il tutto senza mai smettere di provare a telefonare.

Dannato cellulare del cazzo.

«Ora, Lu. Un bel respiro e scendiamo dall’auto» mi dice Laura stringendomi la mano. Devo essere pallida e avere un’aria sconvolta, me lo sento.

Annuisco ricambiando la stretta e balziamo fuori.

Non perdiamo tempo a suonare il campanello, approfittando di una signora che sta uscendo dal portone per intrufolarci all’interno del palazzo. L’ascensore è già al piano terra e ci fiondiamo dentro prima che qualcuno possa chiamarlo. Schiaccio il pulsante del quarto piano e appoggio la schiena allo specchio che fa da parete all’interno dell’ascensore.

«Quattro piani a piedi mi avrebbero ucciso» afferma Laura con un mezzo sorriso in viso. Le metto una mano sul pancione e cerco di concentrarmi su tutto, tranne che sui pensieri cupi che mi affollano la mente. Mia sorella poggia la mano sulla mia.

«Andrà tutto bene» sostiene nello stesso momento in cui le porte dell’ascensore si aprono.

Usciamo, l’appartamento di David è proprio davanti a noi.

Busso. Prima colpi leggeri, poi quando non ottengo risposta e sento il panico impossessarsi di me, con colpi sempre più forti.

Vorrei sfondare questa maledetta porta a calci.

Laura suona il campanello ma l’unica risposta che otteniamo è il silenzio.

«David! David Hamilton apri questa cazzo di porta o la sfondo, giuro!» grido mentre continuo, senza sosta, a tempestarla di colpi.

Giuro che gliela farò pagare. Non può farmi spaventare in questo modo, non può! Sembro una pazza, me ne rendo conto, ma mi pare tutto così assurdo che stento a credere che stia succedendo veramente.

Se David non si è presentato al lavoro deve essergli successo qualcosa. Qualcosa di grave ovviamente, e il pensiero mi spaventa a morte.

«Lu… Luisa, basta» dice mia sorella afferrandomi il polso. Rimaniamo in silenzio alcuni istanti, il mio respiro affannoso mi rimbomba nelle orecchie e la voce di Laura mi pare arrivare da così lontano…

Devo calmarmi, respirare normalmente e rimanere lucida.

Lascio ricadere le mani lungo i fianchi, gli occhi fissi sulla porta chiusa.

«C’è un custode o qualcosa di simile in questo palazzo?» domanda Laura.

Un custode. Sì, David una volta mi ha accennato qualcosa…

«Deve esserci un tizio al piano terra» dico.

Mia sorella annuisce.

L’ascensore è occupato ma non abbiamo tempo da perdere. Non c’è bisogno di dire nulla, scendiamo a piedi. Arrivate al piano terra faccio subito caso alla targhetta con la scritta “Mr Mac Farland – Custode” in bella vista su una porta, e corro a bussare. Non l’avevo notata entrando.

«Lu, con calma, non sfondargli la porta!» mi ammonisce Laura spingendomi da parte, «Lascia parlare me.»

Ha ragione, sono troppo nervosa. Meglio che se ne occupi lei…

Ma quanto ci mette Mac Farland ad aprire questa dannata porta? Oggi qualcuno ha intenzione di darmi retta, Dio santo?

Un minuto che pare eterno e finalmente la porta si apre.

Un uomo di mezza età ci osserva con aria scocciata. Cominciamo bene!

«Che c’è? Che volete?» ci urla praticamente contro.

Sto per partire in quarta, minacciandolo di morte se non si decide subito a farci entrare nell’appartamento di David, quando mia sorella mi precede.

«Gentilissimo signor Mac Farland, mi dispiace davvero moltissimo averla disturbata. Immagino che stesse pranzando, mi rincresce davvero» dice, la osservo e realizzo che ha stampato in viso, il suo miglior sorriso da iena. Capisco che è determinata quanto me a entrare in quel dannato appartamento.

«Non vi conosco, chi siete? Volete vendere qualcosa? Chi vi ha fatto entrare?» domanda in tono indisponente.

«Non desideriamo venderle un’aspirapolvere né parlarle di Nostro Signore Gesù Cristo, mi creda. Vogliamo solo che ci apra la porta dell’appartamento di un condomine, David Hamilton, al quarto piano. Tutto qui, caro Mac Farland. Poi può tornare al suo pranzo e alla sua soap opera» conclude Laura in un tono falsamente cordiale, che spaventerebbe chiunque la conoscesse bene, almeno quanto me.

«Cosa? Sta scherzando vero? Se lo scordi!» ride ironico, deciso a chiuderci la porta in faccia, ma Laura lo blocca.

«Non ci provi, carissimo. Forse non ci siamo capiti bene» continua imperterrita mia sorella, che nel frattempo si è appoggiata alla porta, in modo che l’uomo, anche volendo, non possa richiuderla.

«Non posso farvi entrare a casa di nessuno senza autorizzazione!» protesta.

Oh, al diavolo lui e l’autorizzazione!

«Quella è casa del mio fidanzato che non risponde al telefono, non si trova da nessuna parte e potrebbe essere morto là dentro, per quanto ne sappiamo!» intervengo incapace di stare calma.

Lo vedo vacillare per un attimo, per poi però tornare a fare lo stronzo.

«Non è possibile» sentenzia e giuro che sto per esplodere.

«Ascolti, Mac Farland. Forse mia sorella non è stata sufficientemente chiara, o probabilmente lei non si è reso conto di avere a che fare con una donna incinta all’ottavo mese che potrebbe da un momento all’altro mettersi a urlare. A urlare molto forte, mi creda. E quando gli altri condomini scenderanno al piano terra curiosi di capire cosa stia succedendo, allora dirò che il gentile custode ha tentato di aggredirmi. Il tutto in presenza di testimoni…» dice guardandomi.

Annuisco.

«Certo, tutti sapranno in che modo vergognoso se l’è presa con una povera donna incinta» sostengo, capendo che abbiamo fatto centro.

Ci guarda entrambe a bocca aperta.

«Siete due pazze» dice tra i denti, mentre si avvia dentro casa.

Io e Laura ci scambiamo un’occhiata sempre più tese, ma forse ce l’abbiamo fatta.

Un minuto e il custode torna con il mazzo di chiavi di riserva dell’appartamento di David.

Tiro un sospiro di sollievo.

Laura prende le chiavi ringraziando il signor Mac Farland per la gentile e pronta collaborazione. Dal canto suo il custode ci manda a farci fottere, ma a noi non interessa. Abbiamo le chiavi e corriamo al quarto piano. Apro la porta e finalmente  entriamo nell’appartamento di David.

«David!» chiamo varcando la soglia, ma non ci vuole molto per capire che l’appartamento è vuoto. Corro in camera da letto, mentre Laura controlla in bagno. Torno in soggiorno e mi guardo intorno. Vorrei piangere per la delusione ma allo stesso tempo mi sento sollevata. Ero terrorizzata dall’idea di trovarlo privo di sensi o peggio…

Laura esce dal bagno e mi si avvicina.

«Vedi qualcosa di strano, Lu?» mi domanda.

No, anzi, in camera sua regna il solito disordine, come sempre i vestiti sono gettati sulla poltrona accanto al letto sfatto. Il resto della casa pare a posto, non noto nulla che mi insospettisca.

Mi siedo sul divano prendendomi il viso tra le mani.

Non so cosa pensare.

«Mi sembra tutto a posto» dico infine e sento che lo sconforto sta prendendo il sopravvento.

Prendo il telefono e riprovo a chiamarlo ma ancora senza successo. Chiamo mia madre per sapere se per caso, nel frattempo, non si sia presentato in hotel, mentre mia sorella si aggira per l’appartamento aprendo cassetti, mobiletti e armadi.

Dopo aver parlato con mia madre e aver perso l’ultima speranza, raggiungo Laura in camera da letto, trovandola a rovistare dentro i cassetti del comodino. Io vado dritta all’armadio, ma dopo averlo aperto mi rendo conto che non saprei dire se mancano dei vestiti. Torno in salotto e guardo sullo scaffale dove di solito so che lascia il portafoglio e non lo trovo, così come il suo telefono e il carica batterie, non sono dove li tiene abitualmente.

«Dove cazzo sei!» Sono arrabbiata. Spaventata. Non so cosa fare. Mi sento impotente ed è una sensazione insopportabile.

Continuo a cercare nella speranza di trovare un indizio, qualcosa che mi possa fare capire cosa sia successo.

Ieri andava tutto bene, stava bene. O almeno così mi sembrava. Deve essere accaduto qualcosa, non ho altra spiegazione.

Vado in cucina per prendere un bicchiere d’acqua.

Noto subito le nostre fotografie attaccate al frigorifero con dei magneti. Quasi mi metto a piangere. Ne sfioro una in cui sorridiamo, mentre lui mi abbraccia teneramente. Poi l’occhio mi cade in quella che amo di più, in cui c’è anche Viola, la stacco dal frigorifero per osservarla meglio. Ho gli occhi lucidi, sto per crollare. In questa foto vedo una donna, un uomo e una bambina felici. Possibile che sia finito tutto? Possibile che sia davvero successo qualcosa di brutto?

«Proviamo a chiamare i suoi genitori» sussulto sentendo la voce di mia sorella. Non mi sono accorta che mi ha raggiunto in cucina. Mi mostra un’agenda in cui, in rubrica insieme a pochi altri numeri di telefono, c’è quello dei suoi familiari.

Annuisco ma sento una lacrima bruciarmi una guancia.

Non voglio piangere, non devo.

Laura mi poggia le mani sulle spalle e nel tentativo di tranquillizzarmi, mi massaggia i muscoli tesi.

«Coraggio, Lu. Andiamo di là, sediamoci e iniziamo con le telefonate. Chiameremo tutti i numeri di questa rubrica… Qualcuno saprà dirci qualcosa, magari proprio i suoi genitori» dice cercando di darmi speranza.

Annuisco poco convinta.

Dubito che David abbia deciso di fare visita alla sua famiglia con cui pare non vada d’accordo, così di punto in bianco, dimenticandosi di parlarmene, non presentandosi al lavoro, senza avvisare, sparendo come un fuggiasco

Seguo Laura in salotto, e mentre ci accomodiamo sul divano, continuo a sperare che David da un momento all’altro varchi la soglia di casa sua. Che mi fornisca una scusa, anche la più banale, per giustificare la sua scomparsa nelle ultime ore e che almeno, possa levarmi definitivamente dalla mente e dal cuore, la paura che gli sia successo qualcosa di brutto.

Prendo l’iPhone e digito il numero di telefono dei signori Hamilton. Chiudo gli occhi, pregando silenziosamente che, almeno loro, possano essermi in qualche modo d’aiuto nel capire cosa sia accaduto a David.