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Vado a cercare David.

Mi aveva detto che si sarebbe fermato oltre il solito orario per finire un lavoro.

«E così tua figlia ti ha dato il permesso di farmi dormire a casa vostra? Hai specificato che intendevi nel tuo letto e non sul divano in salotto, vero?» dice dopo avergli comunicato la notizia. Mi guarda e ride, posa il martello con cui sta inchiodando le assi della nuova cuccia del cane che si è offerto di costruire.

Prima il collare con i brillantini e adesso una casa nuova. Mi paiono evidenti le ragioni per cui mia figlia e il suo amico a quattro zampe adorino quest’uomo.

Dà un tiro alla sigaretta, si alza e la spegne nel posacenere appoggiato sul tavolo da lavoro nell’officina, in un angolo del parco, vicino alla rimessa per gli attrezzi, il tutto mentre io lo osservo ammaliata. Le porte sono aperte lasciando entrare una leggera e piacevole brezza, ma fa caldo, i venticinque gradi di questo tardo pomeriggio di giugno si fanno sentire, soprattutto sul mio corpo. O forse devo dare la colpa alla visione che mi si è presentata davanti agli occhi, quando ho messo piede qui dentro?

Sarebbe bene che qualcuno informasse il signor Hamilton che lavorare con indosso soltanto un paio di jeans sdruciti non è conforme alle regole vigenti in questo albergo né sul resto del territorio scozzese. Non è legale denudarsi in questo modo quando si è dotati di un corpo simile, dovrò farglielo presente, ma sinceramente adesso preferisco godermi lo spettacolo. Peccato che in Scozia la bella stagione duri così poco.

Prende una bottiglia d’acqua e beve rovesciandosene un po’ addosso. Ha la pelle sudata, abbronzata e sporca per aver lavorato seduto per terra. Avrebbe bisogno di una doccia ma tutto quello che riesco a pensare in questo momento è che vorrei mi spogliasse, facendo di me quello che vuole. Qui, sul bancone, per terra, sulla cuccia del cane, ovunque. Lo guardo e il mio sistema nervoso va in tilt, è impossibile che un uomo come questo perda il suo tempo con me. Davvero, non sono degna.

«Lu, stai bene?» mi domanda avvicinandosi e come nel migliore dei film porno mi sento le gambe molli e le mutandine bagnate. Mio Dio, mi sto rovinando.

Siamo vicini, sollevo il viso e lo guardo.

Mi sono dimenticata il motivo per cui sono venuta a cercarlo. Per fare l’amore, forse?

Mi sto riducendo a livelli imbarazzanti, me ne rendo conto.

«Hai detto che posso stare da voi» mi dice mettendomi le mani sul sedere e spingendomi contro di sé. Deduco che è eccitato quanto me e mi sento avvampare. Devo essere di un colore molto vicino al fucsia.

Mi bacia, sa di fumo, ma mi piace. È sudato e l’odore della sua pelle mi eccita. La sua lingua mi sta uccidendo e se non la smetterà entro tre secondi, credo che non risponderò più delle mie azioni.

Lo tocco, lo bacio, non riesco a staccarmi da lui.

Lo voglio ma devo andare.

Il ristorante mi aspetta, stanno per arrivare Anthony e le ragazze. I primi clienti saranno qui tra pochissimo e io devo cambiarmi, indossare la mia uniforme bianca con i pantaloni in tartan verdi e rossi, rimettere i panni della cuoca, della regina della cucina. Devo farlo sì, ma non prima di essermi goduta qualche minuto in compagnia di David. Il mio David. Ho quasi paura a dirlo.

Continuiamo a baciarci, mentre lui mi tocca e mi bacia il seno sollevandomi la maglietta. Mi spinge verso il bancone facendomi sedere sopra, gli cingo il bacino con le gambe e lo spingo verso di me. La posizione perfetta, non ci sono dubbi. Sto già valutando quale sia il modo più veloce e pratico per sfilarmi jeans e mutandine in questa posizione, quando David si ferma e si scosta da me.

Io ho il fiato corto e lui mi guarda con un sorriso che mina definitivamente la mia già scarsa lucidità.

«Eh?» ecco tutto quello che i miei neuroni sopraffatti dalla tempesta ormonale riescono a produrre.

«Sono le sei, il ristorante non è aperto?» mi dice baciandomi dietro l’orecchio e giuro, in questo momento non so nemmeno cosa sia un ristorante!

Annuisco guardando l’orologio.

«Merda!» esclamo ritornando bruscamente alla realtà e a malincuore lo scosto per saltare giù dal tavolo.

Mi ricompongo, sistemandomi il reggiseno ma so benissimo con quale espressione entrerò in cucina.

Maledetto, non poteva evitare di mettermi le mani addosso in questo modo? Ormai ha capito fin troppo bene che effetto ha su di me.

Sorride e mi bacia in fronte prima di allontanarsi per andare a rimettere a posto chiodi e martello  che gli servono per costruire la nuova residenza canina.

«Devo scappare» dichiaro.

Dovrei farlo, ma non resisto, pretendendo ancora un ultimo bacio mi avvicino a lui, gli accarezzo i capelli, il viso e le labbra. Non vedo l’ora di vederlo ancora.

«Buon lavoro, Mac Kinnon» dice stringendomi entrambe le mani.

Appoggio la testa al suo petto, chiudo gli occhi e mi rendo conto che a volte basta davvero poco per essere felice.

«Quando hai detto a Viola che mi sarei potuto fermare in via ufficiale da voi?» mi chiede senza lasciarmi andare e baciandomi la testa.

Fermate il tempo, vi prego!

«Mercoledì» rispondo rendendomi conto che è soltanto lunedì. Ancora due giorni e due notti senza di lui.

«Uhm…» mormora e mi accarezza una guancia.

Alzo il viso.

«Cosa c’è?» domando.

Mi sorride scostandomi e accompagnandomi alla porta. Sono mostruosamente in ritardo, mi avranno dato per dispersa.

«Credo che per questa sera ci accontenteremo di puntare la sveglia alle sei e mezza, prima che Viola si svegli. Ci vediamo più tardi.» Mi bacia ancora una volta e mi dà una pacca sul sedere. Io sorrido felice e corro verso la cucina.

Quanto durerà tutto questo?

Proprio non riesco a non chiedermelo.