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Il tempo sembra essersi fermato.
Non so che ora sia, e nemmeno lo voglio sapere.
La pioggia continua a cadere incessantemente.
Chiudo gli occhi, vorrei rimanere così per sempre.
David mi abbraccia tenendomi stretta contro il suo corpo caldo, non ha mai smesso di baciarmi, accarezzarmi e farmi godere in modi che non credevo possibili.
Ho paura a uscire da questo capanno.
Sono terrorizzata dall’idea di affrontare quello mi aspetta, una volta tornata alla realtà. Affrontare lui, me stessa e quanto è successo tra noi.
Mi sistemo meglio tra le sue braccia, la mia schiena premuta contro il suo petto, le nostre gambe incrociate. Mi lascia la mano che teneva stretta per sistemare meglio il plaid con cui ci siamo coperti. Le sue dita si muovono poi sul mio corpo sfiorandomi la pelle in una carezza deliziosa. Mi bacia la nuca, il collo, le spalle, mentre io vorrei mettermi a piangere, e ringraziarlo per tutto quello che mi sta facendo provare.
È solo sesso, continuo a ripetermi, in questo caso, il migliore di tutta la mia vita. Ma è inutile mentire a me stessa… Mi conosco troppo bene per non capire cosa mi stia succedendo. Oggi, a quest’uomo, non ho solo donato il mio corpo, ma soprattutto il mio cuore, anche se temo fosse già suo dal momento in cui è entrato nella mia cucina insieme a mia figlia.
«Luisa…» la sua voce mi riporta alla realtà.
Apro gli occhi, temendo che mi chieda di rivestirmi e andarmene.
«David…» è tutto quello che riesco a dire.
Si solleva facendomi voltare, mi accarezza il viso scostandomi la frangia che mi ricade sugli occhi.
«Dobbiamo uscire di qui prima che qualcuno ci venga a cercare» mi fa notare.
Ha ragione. Passo la vita in cucina, suppongo che se qualcuno non mi trovasse al mio posto, potrebbe preoccuparsi. Sanno che oggi non sarei uscita per commissioni. Certo, potrebbero darmi per dispersa e venirmi a cercare fino qui… immagino che mia madre e mia sorella esulterebbero trovandomi nuda, su un divano, abbracciata a David Hamilton ma magari mio padre potrebbe rimanerci male.
«Sì. Scusami. Vado via subito. Scusami ancora» mormoro travolta dall’imbarazzo e mi alzo cercando con lo sguardo i miei abiti disseminati per la stanza.
Lui però si alza con me, mi trattiene per un polso e mi fa girare. Non lo guardo negli occhi, ma lui mi solleva il mento in modo da potermi vedere in viso.
Mi accarezza le labbra con il pollice, mi sento le gambe deboli.
«Vestiti, Lu. Prenderai freddo», accompagna le parole con un bacio leggero che comunque ha il potere di farmi fremere per il piacere.
Annuisco e vado a raccogliere mutandine e vestiti ancora umidi. Mi rivesto in fretta, impacciata, mentre con la coda dell’occhio lo vedo indossare degli abiti asciutti. Mi sta osservando, ma io non ce la faccio a sostenere il suo sguardo. Tutto quello che abbiamo fatto ora mi sembra così imbarazzante. Forse non dovevo… Cioè, sicuramente non avrei dovuto. Dio, me ne sto pentendo e comincio ad avere davvero paura. Non sono mai stata una da una scopata e via e temo di non riuscire a reggere le conseguenze di quello che è appena successo.
Mi infilo le scarpe da ginnastica, sto per balbettare l’ennesima scusa e schizzare via, quando sento David alle mie spalle. Volto la testa quel tanto che basta per vedere che mi sta porgendo un ombrello.
«Grazie…» sussurro con un filo di voce accettandolo, decisa veramente a fuggire, quando mi blocca afferrandomi per i fianchi.
«Ehi! Luisa, dove pensi di scappare?» mi chiede stringendomi da dietro.
Dio, il cuore ha ripreso a martellarmi tanto che temo esploderà.
«Vado… in cucina» dichiaro.
«E non credi sia giusto darmi un passaggio sotto l’ombrello? Sta ancora diluviando.» dice e, dal tono della sua voce, capisco che sta sorridendo. Mi bacia i capelli e a questo punto sì, vorrei piangere, anche se non sono ancora sicura di cosa stia succedendo.
«Uhm… Dove devi andare?» domando senza voltarmi sentendomi impedita come una ragazzina.
«Dove stai andando tu. Me la prepari una tazza di tè? Possibilmente senza rovesciarmela addosso» mi chiede lasciandomi andare.
Mi volto e questa volta riesco a guardarlo.
Se vuole che gli prepari un tè forse non mi sta scaricando, o magari è un modo gentile per farlo, una tazza di tè a conclusione di una bella scopata.
Deglutisco in cerca di una risposta intelligente e sensata ma il mio cervello è ancora in stand by.
«Farò il possibile per non bruciarla di nuovo, signor Hamilton» pronuncio cercando di darmi un tono e la mia finta formalità lo fa sorridere. Schiudo la porta e apro l’ombrello.
«Prego» gli dico «le do un passaggio fino alla mia cucina.»
Sorrido anche io.
Spaventata, rilassata, imbarazzata.
Tutte queste sensazioni insieme.
Non ho idea di cosa succederà, non so niente.
Se non che vorrei il lieto fine, ma ho troppa paura per crederci…