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Scendo dal taxi quasi scordandomi di pagare.

Sono agitata, mi rendo conto di tremare quando porgo le banconote al taxista. Gli dico di tenersi il resto, non ho tempo da perdere.

Ho paura a voltarmi, ho paura della mia reazione.

Un bel respiro profondo e mi faccio coraggio, alzo lo sguardo verso l’ingresso del cottage e David è lì, sui gradini dove gli avevo ordinato di rimanere. Si sta alzando in piedi, ne osservo i movimenti come se lo vedessi per la prima volta. Quasi non riesco a muovermi, incapace di comprendere cosa sia meglio fare in questo momento.

Piangere? Urlare? Baciarlo? Ucciderlo?

Il cuore mi martella nel petto e sento che sto per esplodere.

Gli vado incontro e nello stesso momento lui si muove venendo verso di me. Ci ritroviamo l’uno di fronte all’altra, dopo una settimana che davvero per me non ha avuto senso, creando una voragine incolmabile. Anche se una parte di me vorrebbe abbracciarlo felice di vederlo sano e salvo, la rabbia prende il sopravvento.

«Dove cazzo sei stato, Hamilton!» urlo dando finalmente libero sfogo a tutta l’angoscia che avevo nel cuore.

Non mi risponde, si limita a guardarmi tristemente, con un’espressione così afflitta che quasi mi pento di averlo aggredito.

Ha la barba incolta e il viso solcato da occhiaie, ma per il resto mi sembra che stia bene. E allora perché questo viso sciupato e sofferente? Perché mi ha abbandonato anche lui?

Ormai sono partita per la tangente, mi conosco troppo bene. Ho raggiunto il limite.

Lo colpisco, lo prendo a pugni contro il petto.

Lui incassa senza dire una parola.

Lo spingo con tutta la forza che ho in corpo e lui mi lascia fare. Urlo, lo insulto, gli riverso addosso tutta l’angoscia che mi sono tenuta dentro, per sette fottutissimi giorni.

Non dice niente e il suo silenzio non fa che aumentare la mia rabbia. Lo spingo ancora una volta e lo mando a farsi fottere. Ho la vista annebbiata per le lacrime che sento scorrere sul mio viso, senza riuscire più a controllarle. Cerco le chiavi di casa in borsa, rovisto senza successo imprecando a denti stretti. Dove cazzo sono finite…

Mi fermo, appoggio la testa contro la porta d’ingresso e respiro profondamente. Devo calmarmi, subito.

«Luisa…» è poco più di un sussurro il suo, ma è vicino, proprio alle mie spalle. Mi abbraccia.

«Lasciami…» gli dico, ma non riesco a oppormi, a reagire. Sembra che le forze, dopo lo scatto di rabbia incontrollata di un minuto fa, mi abbiano definitivamente abbandonata.

«No» risponde stringendomi più vicino a sé.

Riesco a sentire il suo cuore, battere forte contro la mia schiena, è agitato anche lui, anche se all’apparenza sembra più controllato di me. Il suo corpo forte, il suo calore, la sua stretta… Dio, quanto mi sono mancati.

«Luisa, dobbiamo parlare» dice continuando a stringermi.

Oh sì, questo è poco ma sicuro…

«Entriamo in casa», è tutto quello che riesco a dire.

Mi sciolgo dall’abbraccio e recupero le chiavi.

Una volta dentro richiudo la porta ma non riesco a muovere un passo. Lo osservo fermarsi in salotto, dandomi le spalle con le mani sui fianchi.

Mi sembra di trattenere il respiro…

Aspetto che mi dica qualcosa e ho paura di quello che potrei sentire.

Sta bene, almeno fisicamente. Ma è evidente che qualcosa lo tormenti, qualcosa che ho sempre intuito si portasse dentro, ma di cui non ha mai voluto rendermi partecipe.

Ho paura di quello che sta per dirmi.

Ma poi, paura di cosa? Che questa sia la fine della nostra storia? Che mi riveli qualcosa di talmente oscuro, che non potrei tollerare?

Si volta e rimane a osservarmi in silenzio.

«Parla, David» lo esorto.

Sono stanca di aspettare, esigo avere delle risposte.

Mi viene incontro, abbassa lo sguardo e poggia le mani sulla porta contro la quale sono ancora addossata. Mi sovrasta, dovrei sentirmi in trappola in questa posizione, ma la verità è che in questo momento, con lui così vicino, qualcosa si scioglie dentro di me, come se il nodo fin troppo stretto che mi toglieva il respiro finalmente allentasse la presa.

Alzo il viso, siamo così vicini. Non resisto e gli accarezzo una guancia ruvida di barba incolta. Lo vedo chiudere gli occhi ed espirare, come se anche lui avesse trattenuto il fiato fino a quel momento. Mi prende la mano e mi bacia il palmo portandoselo poi al petto.

Vorrei maltrattarlo ma qualcosa mi dice di aspettare, di sentire cosa ha da dire. Poi, nel caso, passare di nuovo alle maniere forti.

«David… Ti prego.» Non ce la faccio più ad aspettare.

«Luisa, perdonami. Tu, i tuoi genitori. Dio, sono mortificato. Io, credimi…» Mi guarda e mi rendo conto di quanto sia sconvolto.

«David, cosa ti è successo? Dove sei stato? Perché mi hai abbandonata così…» domando con voce rotta, temo di non riuscire a non piangere.

«Lu… io non ti ho abbandonata. Cosa ti salta in mente?» domanda incredulo.

«David, ma ti rendi conto? Sparisci di punto in bianco per una settimana, staccando il telefono, senza dare a nessuno notizie di te, per quanto ne sapevo  potevi anche essere morto, come fai a dirmi che non dovrei sentirmi abbandonata? Stai scherzando, vero?» mi scosto e vado a sedermi sul divano.

Davvero non si rende conto di quello che ha fatto?

«Luisa, hai ragione. Mi sono comportato da stronzo irresponsabile. Nei confronti dei tuoi genitori, ma soprattutto nei tuoi» ribatte prendendosi la testa tra le mani e chiudendo gli occhi.

«Allora perché l’hai fatto? Cosa diavolo è successo?» lo incalzo.

«Tu non sai quante volte avrei voluto parlartene, Luisa. Credimi…» confessa muovendosi da un lato all’altro del soggiorno. È agitato, sembra che riuscire a parlare per lui sia difficile, così come per me è complicato comprendere.

«Parlami. Te l’ho già detto in più di un’occasione. Parla con me, David! Io sono qui per te ora, così come lo ero una settimana fa, quando hai deciso di sparire anziché confidarti con me!» non sono riuscita a non alzare la voce.

Sto di nuovo perdendo la pazienza.

Possibile che non se ne renda conto?

«Luisa, io avrei voluto farlo. Più volte sono stato tentato ma poi…» si interrompe incapace di proseguire.

Perché… Perché è tanto difficile parlare con me?

Sono stanca di queste mezze parole, di queste frasi lasciate in sospeso!

Mi alzo dal divano e lo fronteggio.

«Guardami in faccia, Hamilton. Guardami e dimmi che non hai combinato qualche cazzata, che non sei sparito sette giorni per andare a scopare con un’altra, che non mi nascondi qualcosa che non potrei perdonarti. Dimmi la verità, la pura e semplice verità!» lo incalzo puntandogli il dito contro il petto.

Mi prende per i polsi e mi guarda con un’espressione di stupore stampata in volto.

«Luisa, non sono stato con nessun’altra. Non pensarlo, non dirlo neanche per scherzo!» afferma guardandomi come se fossi pazza.

Gli rido in faccia, non mi trattengo.

«Sono già stata mollata una volta da un uomo che stava con me e intanto scopava con la sua ex. Perché tu non potresti fare lo stesso, in fondo sei scomparso nel nulla!» Sono arrabbiata e temo che potrei dire cose di cui poi probabilmente mi pentirei.

Mi mordo la lingua e sto zitta.

David mi guarda, continua a non rispondere alle mie insinuazioni, gli volto le spalle, non voglio guardarlo in faccia. Ho paura che mi confessi la verità, che mi riveli di aver trascorso gli ultimi giorni insieme alla sua A che non ha mai dimenticato…

«Io non potrei fare la stessa cosa, Luisa» dice infine.

«Ah no?» lo schernisco.

Non so perché il discorso sia finito su questi argomenti, così come non capisco nemmeno  perché ho voluto insistere su questo punto, ma la verità è che il dubbio mi tormenta dal primo momento in cui ho capito di essere innamorata di lui. Forse da quando gli ho rovesciato addosso quel dannato tè nella mia cucina, in un pomeriggio di maggio.

Ci sono passata una volta, difficile guarire da certe ferite. Si rimarginano vero, ma non guariscono. Mai.

«No, Luisa. Non potrei farlo perché io ti amo» rivela infine.

Mi ama.

Ha appena detto di amarmi.

Apro la bocca ma non riesco a parlare.

Ho perso le parole.

Perché decide di confessarmi i suoi sentimenti proprio in questo momento, quando dovrei essere arrabbiata con lui? Proprio quando dovrei odiarlo per tutto quello che mi ha fatto passare.

Tempismo perfetto, Hamilton. Non c’è che dire…

Mi gira la testa, vorrei baciarlo e rivelargli quanto anche io lo ami, ma non posso, non adesso.

Gli do le spalle, non voglio che veda che sto piangendo di nuovo.

«Devi dare delle spiegazioni ai miei genitori» dico cambiando bruscamente argomento, «se non hanno cercato qualcun altro che prendesse il tuo posto è soltanto perché speravano che presto saresti tornato e avessi una scusa plausibile per il tuo comportamento del cazzo» dichiaro prendendo un fazzoletto dalla borsa per soffiarmi il naso.

Il tono della mia voce è piatto, incolore. Cerco di rimanere fredda e di controllare le mie emozioni.

Continuo a non guardarlo.

«Mi dispiace, Luisa. Parlerò con i tuoi genitori il prima possibile e chiederò loro scusa, nella speranza che possano perdonarmi e mi vogliano ancora in albergo con voi» dice e sento che si è avvicinato.

Mi è alle spalle ma non mi tocca.

Annuisco ma non dico nulla.

«Però, Luisa… Non riuscirò a parlare con i tuoi genitori e spiegare loro cosa è successo, se prima non lo dirò a te» afferma.

«Sono qui, David. Esigo delle spiegazioni da quando siamo entrati. Cosa stai ancora aspettando?» ribatto, «Quanto ci vuole a rivelarmi cosa ti è successo?»

Lo sento sospirare, sembra rassegnato.

«Non è semplice, Lu. Sono settimane che vorrei confidarmi con te. Tante volte sono stato sul punto di confessarti tutto…»

«Confessare cosa?» lo interrompo.

Tace, non dice nulla.

Cosa diavolo deve confessarmi?

Mi decido a voltarmi e lo guardo in viso.

«Vieni a Edimburgo con me, Luisa» dice infine.

Edimburgo? Cosa c’entra adesso?

Lo guardo senza comprendere, sento di essere più confusa di prima.

Non so cosa dire.

«Ci sono cose che non posso gestire, Lu» continua «situazioni del mio passato che non riesco a superare» spiega distogliendo lo sguardo dal mio, «che qui non riesco a spiegarti, ma che sento potrei rivelarti a Edimburgo, dove tutto ha avuto inizio ma non una fine e, forse, dopo cominciare finalmente a stare meglio.»

Lo guardo incapace di parlare.

«Vieni con me, partiamo adesso. In tre ore saremo a Edimburgo e se poi non vorrai trascorrere la notte lì, ti riporterò subito a casa, Luisa. Faremo come vorrai una volta che avrai sentito la mia storia ma, ti prego, dammi la possibilità di spiegare…»

Edimburgo…

Guardo l’orologio. Manca poco alle undici.

Dopotutto voglio la verità, va bene.

Annuisco.

«D’accordo. Dammi il tempo di parlare con i miei e sistemare un paio di cose» dico, «tu intanto vai di sopra e fatti una doccia, l’occorrente per raderti è al solito posto» concludo in tono distaccato.

Credo di non essere mai stata tanto confusa in vita mia…

 

 

 

 

 

 

 

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Ascolto il rumore dell’acqua scorrere nella doccia.

Sono seduta sul mio letto, il telefono in mano, dopo aver parlato con mia madre e averle spiegato la situazione. Il vento ha socchiuso le imposte e la stanza è in penombra. Sento che potrei dormire per giorni se solo chiudessi gli occhi. La tensione di questa settimana mi ha lasciato spossata, senza forze. Vorrei solo lasciarmi andare a un pianto liberatorio perché lui è di nuovo qui con me, ha detto di amarmi e io gli credo. Nonostante ci siano ancora molti interrogativi e lati oscuri in tutta questa storia, credo che David mi ami davvero.

Così come io amo lui.

Ma non è ancora finita. Forse dopo Edimburgo, avremo entrambi un po’ di pace.

Mi alzo dal letto.

Non conosco il futuro, ma so che nel mio presente, l’uomo che amo è in casa mia, nel mio bagno, nella mia doccia, so che è tornato da me.

Lascio da parte la razionalità e metto a tacere la mia voce interiore che mi sta urlando di non muovermi, di rimanere in camera da letto risoluta a mantenere un atteggiamento distaccato. La ignoro, non sento più niente, se non il cuore che batte all’impazzata, e la paura folle di un futuro senza di lui.

Mi spoglio, getto i vestiti per terra ed entro in bagno nuda.

Portami a Edimburgo e fammi capire, David.

Dopo di che stai con me per sempre.

Apro la porta della doccia dal vetro appannato, lui è di spalle e si volta di scatto sorpreso di vedermi. Non si aspettava questo mio gesto, così come io non mi aspettavo di provare un amore come questo nella mia vita.

Non dico niente, le parole non servono.

Lo spingo contro la parete, il getto d’acqua bollente mi investe avvolgendomi nel suo calore. Il corpo di David contro il mio è tutto ciò che sognavo di avere ancora e che mi è mancato come l’aria per respirare. Mi bacia prima che sia io a farlo, con passione, forza, urgenza. Mi solleva tenendomi stretta, gli cingo la vita con le gambe senza smettere di baciarlo, di respirare insieme a lui, di unire ogni mio singolo battito al suo.

Sto piangendo ma le lacrime vengono lavate via dall’acqua che mi scorre addosso. Mi ritrovo con la schiena alla parete, le piastrelle fredde contro la pelle che scotta. Si sposta tenendomi per le cosce e con un’unica spinta affonda dentro me.

Si ferma, stringendomi forte ma senza farmi male. Mi guarda e sento che non scorderò mai l’intensità del suo sguardo.

«Ti amo, David…» sussurro a voce talmente bassa che forse non è riuscito nemmeno a sentirmi, le parole probabilmente disperse dal rumore dell’acqua che scorre.

Mi bacia più dolcemente adesso e inizia a muoversi prima con lentezza poi sempre più forte. Ogni affondo mi porta più vicina al piacere e più lontana dalla realtà, e da quello che potrebbe succederci.

Affondo le unghie nelle sue spalle assecondando il ritmo sempre più intenso dei nostri corpi uniti, chiudo gli occhi e mi lascio andare. Vengo urlando il suo nome, godo come solo lui riesce a farmi godere.

Vorrei poter fermare il tempo.

Vorrei soltanto essere ancora felice.

Con lui…