7

Le settimane seguenti furono le più felici che Dominique avesse mai vissuto. Gideon le portò dei diamanti come regalo di nozze e lei li indossò quasi in ogni occasione. La accompagnava al parco in carrozza e a balli, feste e colazioni, presentandola ad amici e conoscenze. Non mostrava segni di insoddisfazione, né in pubblico né in privato, quando andava nella sua stanza di notte.

Dominique amava la speciale intimità di quei momenti, sebbene lui tornasse sempre nella sua camera prima che fosse giorno.

Con l’aumento della fiducia in se stessa, Dominique apportò nuovi cambiamenti nella casa di Brook Street. Ordinava fiori freschi e li sistemava nell’atrio e nel soggiorno, che era diventata la sua stanza personale. L’atmosfera silenziosa, sepolcrale si alleggerì, i servitori sembravano più felici, e anche Gideon notò che la dimora sembrava più accogliente.

Stavano tornando da una passeggiata al parco quando lo disse e Dominique non poté trattenere un sorriso. «Lo credi davvero? Ne sono lieta, perché temevo che non volessi che cambiassi nulla nella casa di tuo padre.»

«Tu sei la padrona.» Le prese la mano e la baciò. «Puoi fare tutte le modifiche che vuoi.»

Lei sentì una piccola bolla di felicità farsi largo nel suo cuore: Gideon indulgeva in gesti simili con frequenza sempre maggiore, e non soltanto in pubblico. Cominciava a credere che gli importasse davvero di lei. Avrebbe desiderato rispondere con la stessa gentilezza, ma non poteva dimenticare l’avvertimento di Gwen, riguardo al fatto che Gideon avrebbe trovato ripugnanti simili manifestazioni d’affetto. E Gwen era la sorella, quindi doveva aver ragione.

Quando arrivarono in Brook Street, il maggiordomo aprì la porta con un ampio sorriso, mentre annunciava al padrone che la consegna che attendeva era stata effettuata. «È stata sistemata, signore, proprio come avevate ordinato.»

«Grazie, Judd.» Gideon lasciò il cappello e i guanti al valletto, poi prese Dominique sottobraccio. «Vieni a vedere.» La condusse nel salotto. Quando il maggiordomo chiuse in silenzio la porta, le chiese: «Cosa ne pensi?».

Lei batté le palpebre, incredula. Accanto al piano c’era un’arpa dorata con uno sgabello ricoperto di satin color oro. «Oh, Gideon, è per me?» sospirò.

«Certo. Siamo in città da tre mesi ed è una specie di... ehm... regalo d’anniversario.»

Lei studiò lo strumento, scorrendo le dita sulle corde con reverenza. «È bellissima.»

«Hai detto che la suonavi e volevo sentirti.»

«Sì, certo, non appena avrò avuto il tempo di esercitarmi un po’.» Fu incapace di trattenere un sorriso. «Sei troppo generoso con me, Gideon, grazie mille.» Senza pensarci, gli gettò le braccia al collo e lo baciò sulla bocca. «Oh, chiedo scusa.» Arrossì e si sarebbe ritratta, ma lui le circondò la vita.

«Di nulla. Devo farti più regali, se mi ringrazi in questo modo.» Le sorrise e, all’improvviso, tutto l’autocontrollo che si era sforzata di coltivare fu dimenticato.

Aveva ancora le mani sul collo di lui e palpava i morbidi capelli setosi. Si sentì sciogliere il sangue dal suo sorriso affettuoso e colpire da una sferzata di desiderio.

Gideon l’abbracciò più stretta, sorpreso di gradire così tanto quella dimostrazione d’affetto. Dopo la prima notte di nozze, infatti, lei non aveva più preso l’iniziativa. Fu inebriato quando inspirò il suo profumo, un miscuglio di fiori estivi e della sua essenza personale, una fragranza indefinibile che aveva imparato a conoscere durante quelle serate intime. Chinò il capo per mordicchiarle il lobo dell’orecchio e, sentendola tremare, si avvicinò ancor di più. Un brivido di desiderio lo attraversò.

«Manca un’ora prima di cambiarsi per cena.» Dominique si sciolse nell’udire la voce profonda che accarezzava i suoi sensi. «Ti andrebbe di...?»

Un colpo all’uscio li interruppe. Mentre la porta si apriva, lei scivolò via veloce dall’abbraccio, ma Gideon le trattenne una mano, intrecciandola alla propria. «Sì, Judd, che c’è?»

«Il Conte di Martlesham, signore, vuole sapere se siete in casa.»

Gideon sospirò. «Suppongo che dovremo riceverlo. Fatelo entrare.» Rivolse uno sguardo malinconico alla moglie, che cercava di nascondere la delusione.

Dominique avrebbe voluto mandare al diavolo il cugino, ma il danno era stato fatto, la magia del momento era scomparsa. E forse Gideon non l’aveva sentita affatto.

Il domestico si ritirò, per tornare un attimo dopo e annunciare il conte con toni altisonanti.

Max entrò – il suo colorito era un po’ arrossato per il calore della giornata – e puntò subito gli occhi sulle mani intrecciate.

Gideon gli fu subito accanto e salutò tranquillo: «Martlesham, buona giornata. Siete venuto a vedere come stiamo?».

Max rispose all’inchino di Gideon con un rapido cenno del capo. «Buongiorno a voi, Albury. Cugina. Ho ritenuto di dover passare per farvi sapere che sono tornato in città.»

«Molto gentile da parte vostra.» La voce di Gideon era carica di sarcasmo. Il rossore di Max si accentuò per la rabbia.

Ricordando il suo ruolo di padrona di casa, Dominique invitò il cugino a sedere. «Avete visto mia madre?» chiese dopo che si furono messi comodi. «Sta bene?»

«Sì, come sempre. È venuta a trovarmi prima che lasciassi Martlesham Abbey. Voleva che usassi la mia influenza per ottenere un’udienza presso il Ministro degli Esteri. Come se a me la concedesse! Che si rivolga a voi, Albury, per questo genere di cose. In qualità di genero, senza dubbio non chiedete altro che andare alla ricerca dei vostri nuovi parenti francesi.»

Il sogghigno nella sua voce era inconfondibile. Dominique si irrigidì e aprì la bocca per rispondere, ma Gideon la bloccò con un cenno del capo.

«Farò di certo ciò che posso per assistere Madame Rainault. Ora che abbiamo firmato il Trattato di Amiens, sono sicuro che ci sia una maggiore possibilità di successo.»

«Corbellerie» rimbeccò Max. «Jerome Rainault è morto da quasi dieci anni. Voi per primo dovreste sapere che barbari sono i francesi.»

Dominique trasalì, ma il sorriso di Gideon non vacillò. Se possibile, crebbe mentre gli occhi guizzavano verso di lei. «Non tutti.»

Max si accigliò, ma dopo un attimo si rivolse a Dominique con una parvenza di cortesia. «Allora, come va, cugina? Vi piace Londra?»

«Moltissimo.» La giovane prese esempio dal marito e mantenne un tono leggero. «Ho fatto molte amicizie. Sono tutti molto gentili.»

«Be’ forse non sanno...»

«Oh, conoscono tutti le circostanze del nostro matrimonio» lo interruppe Gideon con voce pericolosamente calma. «Le rubriche mondane non hanno riportato altro per settimane dopo il nostro arrivo. Erano molto ben informati.»

Max sfoggiò un sorriso crudele. «Davvero? Mi chiedo come abbiano fatto.»

«Qualche malvagio piantagrane» rispose Gideon. «Ma i suoi sforzi sono stati vani. Abbiamo mostrato a tutti che siamo un modello di gioia domestica. E sarete lieto di sapere che mia moglie sta diventando la pupilla di tutte le padrone di casa. Chiedete a chi volete.» Sorrise. «Forse vi farebbe piacere fare con noi un brindisi alla nostra felicità...»

«Grazie, no.» Max si alzò di scatto. «Sono impegnato, ho una cena tra amici.»

«Allora Judd vi accompagnerà alla porta.» Dominique si avvicinò alla corda del campanello.

Max la seguì e le prese la mano. «Accettate le mie felicitazioni, cugina. Sono... lieto... di vedervi sistemata così.»

«Grazie.»

«Anch’io devo ringraziarvi, Max. Mi avete offerto una moglie perfetta. Chi avrebbe mai potuto pensare che sarebbe andato tutto così bene?» chiese Gideon con allegria.

Senza aggiungere altro, il conte fece un inchino veloce e lasciò la stanza.

Gideon sorrise. «Penso che ce la siamo cavata, tesoro. Il tuo caro cugino non è affatto contento che i suoi piani siano falliti in modo così eclatante.»

«Ci siamo presi gioco di lui, Gideon. Non gli piacerà per nulla.»

«No, ma non può cambiare la situazione, per cui, se ha un po’ di buonsenso, gli converrà rassegnarsi e accettare i fatti.» Gideon diede un’occhiata all’orologio. «Suppongo che sia ora di cambiarsi per la cena. Siamo invitati a giocare a carte stasera, o mi sbaglio?»

«Sì, da Lady Torrington» mormorò Dominique distratta. «Gideon, quello che hai detto... di aiutare maman… Ti dispiacerebbe se io cercassi di scoprire qualcosa su papà? Non l’ho mai chiesto prima per timore...»

Le sollevò il mento. «Mia cara, non devi temere di chiedermi nulla.»

Il tono era lieve, ma il calore che aveva visto nei suoi occhi era scomparso.

«Sei in collera con me, perché voglio cercare mio padre, Gideon?» lo sfidò. «Non posso smettere di amarlo solo perché tu odi i girondini.»

Lui lasciò cadere le mani. «Chi te l’ha detto?»

«Gwendoline. Mi... mi ha parlato dei tuoi zii. E di tuo fratello.»

«Quindi sai che il mio odio è ben fondato.»

«Ma se conoscessi papà...»

«Non ho nessun desiderio di conoscerlo» scattò lui. «Faceva parte del regime che ha provocato la morte di tre persone a me molto care. Questo non potrò mai perdonarlo.»

«Come non potrai mai perdonare che io sia sua figlia.» Ecco, lo aveva detto. Dominique tremò per la propria audacia.

Lui impallidì e si sforzò di tenere a freno la collera. Poi andò verso il camino, dove restò a guardare le fiamme, rivolgendole le spalle. «Ho cercato di dimenticarlo nelle ultime settimane» disse infine. «Ma è sempre lì, come uno spettro tra noi.»

Lei lo raggiunse. «Non è andata così male, no? Dobbiamo continuare a provarci, Gideon, dobbiamo farcela.»

«Per dimostrare a Max che si sbagliava? Comincio a credere che il gioco non valga la candela.»

«No. Questo non ha niente a che vedere con Max.» Si passò la lingua sulle labbra secche e deglutì. Poi, costringendosi a pronunciare le parole, continuò: «Aspetto tuo figlio».

Gideon non ripose, ma Dominique vide che era scosso da un brivido.

Il silenzio proseguì, allora, con un sospiro, lei lasciò la stanza.

Dominique corse nella sua camera e trovò Kitty in attesa di aiutarla a cambiarsi per la cena. Pensò di congedarla e di concedersi un pianto disperato, invece tenne a bada l’infelicità e permise alla ragazza di aiutarla a indossare l’abito di satin blu che aveva deciso di mettere per la riunione da Lady Torrington.

A lungo, dopo che la porta si fu chiusa, Gideon continuò a guardare nel fuoco. Eccolo lì, l’ultimo anello della catena che lo avrebbe legato per sempre a sua moglie. Un figlio. Che ironia che l’erede di Rotham dovesse avere sangue francese nelle vene, dopo tutto ciò che la famiglia aveva dovuto soffrire a causa di quella nazione. Ma il bambino era un innocente in quella storia, così come la madre.

Lui si trovava in una situazione difficile: non poteva voltare le spalle a quel matrimonio più di quanto potesse rinunciare alla propria eredità. Nicky poteva non essere la moglie che aveva sognato, e lui non aveva mai voluto essere l’erede di suo padre, ma era così. Era troppo tardi per i rimpianti, doveva andare avanti e trarre il meglio che poteva dalla vita.

Dominique sedeva al tavolino da toeletta quando Gideon entrò. Con un cenno, lei congedò la cameriera, che le stava dando gli ultimi ritocchi ai capelli, ma rimase seduta davanti allo specchio.

«Quello che hai detto... Un bambino. Sei proprio sicura?»

Annuì. «Ne sono certa.» Vide l’espressione di meraviglia e di confusione e si volse a guardarlo.

Lui cadde in ginocchio e le prese le mani. «Allora, forse dovresti riposare. Vuoi che mandi le nostre scuse a Lady Torrington?»

«No, no, non ce n’è bisogno.»

«Cosa dobbiamo fare? Dimmi cosa vuoi fare?»

Le sue perplessità la fecero ridere. «Voglio cenare, Gideon, e poi andare a Torrington House. Sono solo i primi giorni, non c’è bisogno di far sapere a nessuno che sono in attesa.» Lo fissò. «Voglio che andiamo avanti proprio come prima.»

«Sei sicura?»

«Sicurissima.» Non ebbe il coraggio di chiedergli di non disertare il suo letto, e poteva solo sperare che capisse.

«Allora vado a cambiarmi.»

«Ti prego. Incorrerai nell’ira del cuoco se la cena sarà rovinata per il tuo ritardo.»

Dominique si volse a rimirarsi un’ultima volta nello specchio.

«Un’altra cosa.» Gideon si fermò sulla porta. «Naturalmente devi fare tutto ciò che è in tuo potere per ritrovare tuo padre. Non hai bisogno di coinvolgermi. Darò istruzioni a Rogers, l’avvocato di famiglia, di venire a trovarti.»

Mentre lei si sforzava di cercare le parole per ringraziarlo, era già andato via.

Gideon si mostrò più attento del solito durante la cena e poi, alla fine della serata a Torrington House, scelse di accompagnare la moglie in Brook Street anziché unirsi ai suoi amici al White’s. Quando lei protestò, dicendo di non voler abbreviare il suo piacere, lui replicò che rincasare con lei era un piacere.

Mentre erano in attesa della carrozza Gideon rifletté sui cambiamenti degli ultimi tempi. Santo cielo, stava diventando un animale addomesticato!

La voce delicata della moglie lo richiamò alla realtà. «Ho sentito dire da Mr. Williams che eri stato invitato a Martlesham.» La sua voce tradiva incertezza.

Gideon la rassicurò. «Non ho alcun interesse a stare in compagnia di Max e dei suoi amici. Credo di essere ormai cresciuto per la loro compagnia.»

«Ne sono lieta. Temo che Max abbia poco riguardo per i sentimenti degli altri.»

«Non ne ha affatto, ma prima che colpisse me non mi ero reso conto di quanto fosse insensibile.» Si volse verso di lei e disse, in tutta sincerità: «Anch’io sono stato superficiale. È stato ingiusto da parte mia punirti per l’inganno. Sono stato uno stupido, Nicky».

«Oh, Gideon...»

«So che nessuno di noi due desiderava un matrimonio di questo genere, ma non sarà male, te lo prometto. Non ho dubbi che andremo molto d’accordo. E, una volta che avremo liquidato la questione di avere un erede, non ti disturberò più con richieste irragionevoli.»

«I... irragionevoli?»

«Sì, non pretenderò che ti sottometta alle mie... attenzioni.» Si accigliò. «Che c’è, Nicky? Ti ho turbata?»

«No, no.» Si affrettò a scuotere il capo. «Sono solo stanca, ecco tutto.»

Gideon sperava che lei avesse capito ciò che aveva cercato di dire. Temeva di essersi espresso male, ma non poteva permettersi di dirlo con le stesse parole che aveva usato suo padre. Ricordava ancora il suo commento quando avevano inumato il corpo straziato della viscontessa: Tanti anni di dolore, gli aborti, le malattie... Se mi fossi preso un’amante per le mie esigenze carnali, avrei risparmiato a tua madre tante sofferenze.

Il padre gli aveva spiegato con cura le responsabilità di un marito. Sua moglie avrebbe desiderato dargli un altro figlio, forse due, ma la gravidanza era pericolosa e un gentiluomo non doveva sovraccaricare il corpo delicato di una moglie con certe pretese.

Era accaduto dodici anni prima. Gideon era un semplice ragazzo di sedici anni, distrutto dalla morte della mamma. Aveva sognato di arruolarsi nell’esercito, ma il padre vedovo aveva insistito che restasse vicino a lui, e quando James era morto, la sorte del figlio cadetto era stata decisa. Niente più glorie sul campo di battaglia. Il titolo e l’onerosa responsabilità della tenuta e della sua gente erano diventati il suo destino. Nessuna meraviglia che, quando l’eredità della sua madrina gli aveva donato l’indipendenza, fosse andato di corsa in città a inseguire ogni tipo di festa e divertimento.

Era stato allora che si era trovato invischiato con Max e la sua banda e aveva cercato di dimostrare ai nuovi amici che poteva bere, scommettere e andare a donne come i migliori di loro. O forse i peggiori. Suo padre, chiaramente, la pensava così.

Quando raggiunsero Brook Street, Gideon suggerì di bere del vino insieme nel salotto, ma Nicky declinò l’invito con un saluto veloce e scomparve lungo le scale. Lui ne rimase deluso. Lei non gradiva la sua compagnia e, ora che aspettava un bambino, non l’avrebbe voluto neanche nel suo letto.

Brook Street continuava a essere sommersa di inviti per balli, passeggiate, feste a cavallo e serate di gala e Dominique dovette riconoscere che buona parte del merito era della cognata.

«Se non mi avessi presa sotto la tua ala non sarei stata così popolare» disse a Gwendoline mentre sedevano insieme nella sala da pranzo al ballo d’estate di Lady Grayson. «Mi hai mostrato come dovevo comportarmi.»

«Sciocchezze. Ce l’avresti fatta lo stesso» replicò la gentildonna, fiera della sua protetta.

Il timido passerotto, volato in città con il vento primaverile, si era trasformato in una creatura esotica che si abbigliava di colori caldi e vibranti, che mettevano in risalto i ricci scuri e gli occhi color smeraldo. La vivacità e i modi accattivanti affascinavano le padrone di casa, che la consideravano fondamentale in ogni riunione. Dominique aveva attratto anche una considerevole quantità di gentiluomini, ma guardandola mentre Gideon l’accompagnava sulla pista da ballo, Gwendoline concluse che la cognata aveva occhi solo per il marito.

Non che Dominique dimostrasse un eccessivo attaccamento: al contrario, non si avvinghiava mai al suo braccio e sorrideva con compiacenza quando lui andava nella sala delle carte o faceva ballare un’altra signora, ma Gwendoline aveva notato quegli occasionali momenti furtivi in cui gli occhi della giovane si soffermavano appena un attimo di troppo sul marito.

Aveva visto quello stesso sguardo sui volti di altre giovani spose, che di rado lo conservavano oltre il primo anno. Dopodiché trovavano altri uomini che le divertivano e le distraevano, come aveva fatto lei nel vano tentativo di suscitare l’interesse di Ribblestone.

Dominique raggiunse la pista da ballo col marito, sperando che quel momento durasse per sempre. Non conosceva felicità più grande che danzare con Gideon. Lui era sempre molto premuroso quando si trovavano in pubblico e in quei momenti lei poteva fingere che fossero davvero la coppia affettuosa che la società ammirava. Purtroppo quella sera la sua autostima era stata duramente scossa da un incontro col cugino.

Era inevitabile che talvolta dovesse imbattersi nel conte ma, di solito, si limitavano a un breve cenno di saluto. Quella sera, però, lui l’aveva cercata approfittando di uno dei rari momenti in cui era sola.

Le aveva chiesto di ballare e, quando aveva notato la sua esitazione, aveva sorriso mesto. «Immagino che mi consideriate una persona troppo malvagia per farvi da cavaliere, ma perché non mettiamo da parte le ostilità per una mezz’ora? Dopotutto, siamo parenti.»

«Benissimo, cugino.» Gli aveva preso la mano e si era lasciata condurre sulla pista da ballo, consapevole delle occhiate curiose dei presenti. I pettegolezzi potevano essersi smorzati, ma le circostanze del suo matrimonio con Gideon non erano state dimenticate.

Dominique aveva mantenuto il capo eretto e aveva sorriso. «Forse questo dimostrerà che non siamo ai ferri corti.»

Era una vivace contraddanza e alla fine il conte era stato un po’ ansimante. Per fermarla mentre si allontanava, le aveva preso la mano. «Aspettate. Voglio parlarvi.»

«Non credo che ci sia nulla da dire.»

Lui l’aveva trascinata verso le finestre che erano state aperte per permettere alla mite aria serale di entrare. «Non vi interessa sapere cosa sta succedendo a Martlesham? »

«Mia madre è una corrispondente assidua. Mi dice tutto quello che voglio sapere.»

«Usciamo un attimo sulla terrazza...»

«No.» Era rimasta ferma. «Non mi fido di voi. Create sempre problemi.»

Lui era sembrato addolorato. «Voglio solo prendere un po’ d’aria. Ballare è estenuante.»

«Dovreste ballare di più, cugino, non meno.» Lo sguardo le era caduto sulla pancia sporgente. «L’esercizio fisico vi gioverebbe molto.»

Lui si era accigliato. «Oh, mi canzonate, ma io so che questo vostro matrimonio non è quel che sembra.»

«Voi non sapete nulla. Siamo molto felici insieme.» Poi, con un pizzico di sollievo nella voce, aveva detto: «Mio marito mi sta cercando. Non mi trattenete, cugino, se non volete irritarlo».

Max non si era curato delle sue parole e le aveva tenuto stretto un braccio. «Siete felici?» aveva biascicato con una smorfia. «Be’, godetevela finché potete, cugina. Non appena vi metterà incinta, Albury vi spedirà a Rotham, e riprenderà la sua vecchia vita.»

Con un grande sforzo di volontà, Dominique si era trattenuta dall’accarezzarsi la pancia con fare protettivo. Erano passate due settimane da quando aveva detto a Gideon del bambino e fino a quel momento avevano mantenuto il segreto. Con uno sguardo rovente si era liberata e affrettata a raggiungere il marito.

«Ti ho vista con Martlesham. Spero che non ti abbia turbata.»

«No, voleva ballare e ho pensato di accontentarlo, per mostrare a tutti che non ci sono risentimenti tra noi.»

«E poi?» Gideon la scrutava. «Ha cercato di portarti fuori.»

Lei scrollò le spalle. «Se potesse, creerebbe problemi, ma io non mi lascio ingannare.»

«Forse lo dovrei diffidare...»

Lo fermò, mettendogli una mano sul braccio. «Ti prego, Gideon, lascia perdere. È mio cugino e preferirei ignorarlo anziché litigare con lui.»

«Forse hai ragione. Dopotutto, ha fatto del suo peggio. Adesso non ci può più scalfire.»

Dominique gli permise di portarla via ma, nonostante tutto, rimuginava ancora sull’avvertimento del conte.