9
Dominique incontrò Raymond a Green Park la mattina seguente. Parlarono brevemente, ma presero accordi per incontrarsi ancora il giorno successivo e quello dopo.
Il francese era una compagnia affascinante. Non solo le sue reminiscenze della Francia erano avvincenti, ma era anche interessato ai ricordi d’infanzia di Dominique, e dato che lei non osava menzionare i propri parenti francesi con Gideon, era un sollievo poterne parlare con qualcuno che capiva quel che aveva passato. Presto sentì di aver trovato una vera amicizia.
Avevano pochissime conoscenze in comune, però, cosicché trascorsero alcune settimane prima che si incontrassero di nuovo a una riunione mondana, una festa di Lord e Lady Dortwood. Dominique individuò Raymond nella folla ma, sebbene lui le avesse rivolto un leggero cenno col capo, dovette aspettare a lungo prima le si avvicinasse.
«Pensavo che non mi avreste mai chiesto di ballare» disse, mentre l’accompagnava sulla pista.
«Non ero sicuro che voleste salutarmi. Vedo che siete con vostro marito.»
«Certo che volevo salutarvi, non mi vergogno di conoscervi!» esclamò, con le guance in fiamme. Continuò a danzare, turbata dalla consapevolezza di non aver fatto cenno a nessuno dell’amicizia con Raymond.
Le passeggiate mattutine a Green Park non avevano suscitato commenti fino a quel momento, poiché Dominique non aveva incontrato nessuno di sua conoscenza, ma si rese conto che quegli incontri avrebbero potuto essere considerati, a torto, clandestini.
Quando il ballo finì, prese il braccio di Raymond e lo condusse con decisione dall’altra parte della sala, dove Gideon la attendeva. Fece le dovute presentazioni e, dopo alcune battute, Raymond andò via.
Gideon sollevò il monocolo per studiarlo. «Dove hai detto di averlo incontrato?»
«Al ballo dei Knightson.» Si accigliò. «Ma insomma, Gideon, era proprio necessario essere così freddo con Monsieur Lamotte? Gli hai rivolto sì e no quattro parole.»
«Ti chiedo scusa, mia cara, ma abbiamo così poco in comune.»
«Tu sei stato decisamente gelido!»
«Sono piuttosto sorpreso della tua amicizia con quel tipo.»
«Sei offeso perché è francese. Il tuo odio per l’intera razza è proprio irragionevole» dichiarò lei accalorata, poi si allontanò scuotendo il capo.
«Nicky!» la chiamò Gideon. «Preferirei che non continuassi la tua amicizia con Monsieur Lamotte».
Lei lo guardò con espressione di sprezzante sorpresa. «È oltraggioso! Non puoi darmi ordini sulle mie amicizie.»
«Non mi sembrava di averti dato degli ordini, mia cara, stavo solo esprimendo i miei desideri.»
«È la stessa cosa.»
«Niente affatto.»
«E se rifiutassi di assecondarli?»
Lui socchiuse gli occhi e si avvicinò in modo che solo lei potesse udire le sue parole. «Non dimenticare che sei mia moglie.»
Dominique alzò il mento. «Ma non sono la tua schiava!» Con un fruscio di gonne, si allontanò.
Come osava Gideon darle degli ordini! Erano soltanto pregiudizi, perché Raymond era francese. Avrebbe desiderato che Gwendoline fosse lì, ma la cognata era a una noiosa cena politica con Ribblestone. Non c’era nessun altro tra i presenti con cui avrebbe potuto sfogare la rabbia e la frustrazione, così si recò nella sala delle carte e si mise d’impegno per perdere una bella somma di denaro.
Quando Dominique lasciò la sala delle carte la collera si era raffreddata, cosicché, nel vedere il marito nella sala da ballo, andò dritta verso di lui e gli disse con aria contrita: «Ti chiedo scusa, Gideon, non avrei dovuto risponderti così». Quando lui accettò la sua mano, si sentì incoraggiata ad aggiungere: «Capisco che possa non piacerti Monsieur Lamotte, ma lui è un legame con la mia fanciullezza, con la mia vita prima del trasferimento in Inghilterra. Ti prego, non mi chiedere di rinunciare a lui».
Il marito le rivolse uno sguardo indecifrabile. «È solo una conoscenza, Nicky, niente di più?»
«Certo. Cos’altro dovrebbe essere?»
«E i vostri incontri mattutini a Green Park?» Dominique alzò la testa di scatto e lui le sorrise pungente. «Siete stati visti da Anthony. Gli ho detto che non era niente e il fatto che avessi la tua cameriera con te avvalora la mia convinzione.»
«E non è niente, Gideon, ti do la mia parola.» Sospirò. «Ma mi rendo conto di quel che può sembrare e non lo incontrerò più lì.»
«Grazie.» Le strinse la mano. «Non voglio che quell’uomo venga a casa nostra, ma se lo incontrerai a riunioni mondane come questa e vorrai ballare con lui non farò obiezioni.»
Un compromesso. Dominique era consapevole di quanto le stava concedendo. «Benissimo, Gideon, grazie.» All’improvviso si sentì molto stanca. «Credi che la nostra ospite si risentirebbe se andassi a casa adesso?»
«No, certo che no. Ti accompagno. Scendi a prendere il mantello mentre porgo le nostre scuse a Lady Dortwood.»
Dominique si recò nell’ingresso, dove un lacchè fu mandato di corsa a cercare il suo soprabito.
«Temo di non piacere a vostro marito.»
La giovane si voltò e trovò Raymond Lamotte alle proprie spalle. Sorrise mesta. «Sarà meglio che interrompiamo le nostre passeggiate, monsieur.»
Lui scosse la testa. «Ah, è davvero triste, perché avevo qualcosa di cui discutere con voi.»
«Lo dovremo fare la prossima volta che ci incontreremo...»
«Riguarda vostro padre.» Dominique sobbalzò. «Mi avete detto che stavate cercando di trovarlo» continuò lui, «così ho fatto delle ricerche. Ho degli amici in Francia che hanno ancora una certa influenza. Loro sapranno come rintracciare una persona scomparsa. Alcuni sono stati imprigionati per molti anni, e c’è un uomo che sa come vanno queste cose. Si sposta con regolarità tra Francia e Inghilterra, in segreto, quindi meno gente lo sa e meglio è. Crede di potermi dare informazioni utili.»
Lei scosse il capo, non osando sperare. «Dovete venire a casa mia. Gideon non potrebbe disapprovare questo...»
«Oh, io invece temo che potrebbe, madame. Voi stessa mi avete raccontato che non è amichevole col mio paese. Penserebbe che si tratti di un – com’è che si dice? – una trappola. Non, preferirei discuterne con voi da sola. Ho bisogno che mi diate delle informazioni.»
«Tutto quello che vi serve» rispose ansiosa.
«Eh, bien, dovete scrivermi quel che ricordate di vostro padre – dove viveva, il suo aspetto fisico, chi erano i suoi amici. Nessun dettaglio, per quanto piccolo, è insignificante. Quando lo avrete fatto, verrete nei miei appartamenti e io informerò il mio amico.»
«Sì, sì, lo farò, certo.»
«Bene. Ho bisogno delle notizie per domani sera. Il mio contatto tornerà in Francia la mattina dopo.»
«Oh, grazie.» Sentì una nuova speranza. Maman sarebbe stata così felice quando glielo avrebbe detto! «Comincerò a scrivere questa sera stessa e vi farò avere il biglietto...»
«No, dovrete portarlo di persona. Potete venire alle cinque? Così lo potrò leggere e se qualcosa non sarà chiaro, se avrò domande, voi sarete lì per rispondere.»
«Sì, certo, capisco.»
Le diede l’indirizzo, guardandosi alle spalle mentre il servitore arrivava con il mantello di seta rosa sul braccio. «Devo andare ora. Ricordate che il mio contatto conta sulla segretezza. Se lo scopriranno, tutto sarà perduto.»
Lei annuì. «Potete fidarvi, non ne farò parola.»
«Grazie, madame.» Con un sorriso, le impresse un ultimo bacio sulla mano. «A domani, allora. Cinque in punto. Non tardate!»
Andò via in fretta e Dominique si allacciò distrattamente il mantello. Maman aveva cercato per anni di ottenere notizie del marito, invano. Avere qualcuno che le aiutasse e che conoscesse il modo di operare del governo francese avrebbe dato loro più possibilità di scoprire la verità. Lei non aveva mai rinunciato alla speranza e ora, all’improvviso, la vedeva riaccendersi. Era ansiosa di tornare in Brook Street e scrivere tutto quel che ricordava di suo padre.
Gideon trovò la moglie molto distratta durante il ritorno a casa. Si chiese se stesse rimpiangendo la promessa di rinunciare alle passeggiate con Raymond Lamotte. Quando Ribblestone gli aveva detto di aver visto Nicky con un esule francese a Green Park, lui aveva minimizzato. Aveva immaginato che si fosse trattato di un incontro casuale e capiva bene perché lei non gliene avesse accennato, ma un commento distratto fatto a Kitty due giorni dopo gli aveva fornito l’informazione che cercava: e cioè che la signora aveva l’abitudine di passeggiare nel parco ogni mattina. E sì, il gentiluomo francese era sempre lì.
Incuriosito, ma non ancora allarmato, Gideon aveva chiesto ad Anthony di fare indagini discrete e aveva scoperto che l’emigrato era un giovane squattrinato proveniente da una famiglia francese oscura ma rispettabile, che era fuggito dal Terrore e viveva in un appartamento da scapolo di Cleveland Row. La cosa peggiore che si sapeva dell’uomo era che frequentava una casa da gioco di King Street, visitata dallo stesso Ribblestone. Ma Gideon sapeva che, se sua moglie avesse continuato a incontrarsi con Lamotte, presto i pettegoli lo sarebbero venuti a sapere e avrebbero fatto congetture sulla natura dei loro rapporti. La loro poteva anche essere una relazione innocente, ma non era accettabile e lui sapeva che avrebbe dovuto parlare alla moglie della questione.
Era stato riluttante a farlo, finché non aveva visto Lamotte ballare con lei e aveva provato un’acuta fitta di disappunto. Aveva visto Nicky danzare con decine di uomini da quando erano arrivati in città, senza provare niente – era un uomo ragionevole, dopo tutto – ma Raymond Lamotte era un francese e vedere il bel bastardo rivolgere tante attenzioni a sua moglie aveva suscitato la sua ira. In qualsiasi altra circostanza avrebbe pensato che si trattasse di gelosia, ma come provarla per una moglie che non amava?
No, non amava sua moglie, pensò mentre la carrozza giungeva a destinazione e scortava Nicky in casa. Come avrebbe potuto? Lei era un costante ricordo della perdita sofferta dalla sua famiglia. Tuttavia provava un po’ di senso di colpa. Forse la propria contrarietà all’amicizia con Lamotte era stata eccessiva. Cercando di fare ammenda, invitò la moglie a unirsi a lui in salotto.
Lei ebbe un piccolo sussulto. «Oh... no! È molto gentile da parte tua, Gideon, ma io... sono molto stanca. Penso che mi ritirerò...»
Lui nascose la delusione con un sorriso. «Certo, mia cara, se è ciò che desideri.» Si portò la mano di lei alle labbra e vide che le dita di Dominique tremavano. Quando guardò nei suoi occhi verdi, notò qualcosa che lo lasciò interdetto, una malinconia, una nostalgia che gli toccarono il cuore e che risvegliarono il desiderio, che non era mai riuscito ad allontanare del tutto. Da quanto tempo non andava nel suo letto?
«Forse ti andrebbe che salissi con te?»
Lei si ritrasse, facendogli capire subito quanto si fosse sbagliato. «Oh, se solo... Non questa notte, ti prego, Gideon. Sto per crollare di stanchezza.»
Con un timido sorriso dolente, gli augurò la buonanotte e corse via.
Gideon pensò che la sua stanchezza fosse perfettamente ragionevole. Dopotutto aspettava un figlio, sebbene nessuno che l’avesse vista danzare quella sera lo avrebbe potuto indovinare. Era sembrata anche piuttosto vivace, e ancor di più quando aveva ballato con Lamotte.
Respinse subito il pensiero. Si guardò attorno. Nonostante l’aspetto allegro della stanza, non provò alcun desiderio di bere da solo e salì per andare a letto. Quando passò davanti alla camera di Nicky si fermò. Un raggio di luce splendeva sotto la porta, rivelando che era ancora sveglia. Ma nessun suono proveniva dalla stanza e, dopo alcuni secondi, lui proseguì, disturbato da una vaga, irritante insoddisfazione.
A colazione, la mattina successiva, Nicky lo salutò con il solito buonumore e la giornata di Gideon si illuminò di colpo.
«Non sei stanca per le fatiche di ieri?» le chiese mentre si versava il caffè.
Gli rivolse un sorriso radioso. «Neanche un po’. Lo sai che il Dr. Harris ha detto che posso fare le stesse cose che facevo prima.»
Gideon era quasi sul punto di chiederle se credeva che quello includesse anche i suoi doveri coniugali, ma temeva che la moglie si rabbuiasse, così le domandò soltanto, con noncuranza, il suo programma per la giornata.
«Devo scrivere alcune lettere e poi porterò Kitty a Grosvenor Square con me. La cameriera di Gwen è un’ottima parrucchiera...»
«Non avrai intenzione di tagliare i capelli?» Si accigliò ricordando il modo in cui i riccioli scuri le ricadevano sulle spalle, in perfetto contrasto con il dolce candore della pelle.
Ricordò di averla attirata a sé e di aver intrecciato le mani nella folta matassa di capelli setosi, tenendola stretta mentre la baciava avidamente.
Il corpo rispose subito a quei ricordi distraendolo.
«Cielo, no. Kitty viene soltanto per imparare una nuova acconciatura.»
«Ah, ecco. E cosa farai dopo? Questa mattina sono occupato, ma forse più tardi ti andrebbe di uscire a fare un giro con me.» Le sorrise. «Potremmo andare al parco all’ora delle passeggiate alla moda, così potrai esibire la tua nuova acconciatura.»
Un’ombra attraversò il volto di Dominique. «Oh, mi piacerebbe, solo che, ecco, andremo in una nuova sala da tè a Hampstead e non sarò di ritorno prima di cena.»
«Ma certo. Allora ci ritroveremo questa sera.»
Gideon si alzò da tavola. Non sapeva perché si sentiva così deluso. L’idea di fare un giro in carrozza con la moglie gli era appena venuta ed era stata accantonata senza problemi.
Ma, dopo aver trascorso la mattinata a studiare attentamente i conti, trovò che i raggi di sole che filtravano attraverso le finestre dello studio fossero troppo invitanti per essere ignorati. Non era ancora l’ora di punta e lui decise di far fare esercizio ai suoi cavalli nel parco, prima che la folla aumentasse. Mandò un messaggio alle scuderie e corse a indossare la giacca e i pantaloni da equitazione e a infilare i piedi negli stivali lucidi.
Sam lo aspettava davanti al portone con il calesse. I cavalli grigi erano freschi e si slanciarono in una corsa, ma mentre attraversavano Grosvenor Square, Gideon vide la sorella che si avvicinava con il suo carrozzino aperto. Fece cenno al cocchiere di Gwendoline di fermarsi e si accostò.
«Su, Gideon, non possiamo bloccare il traffico in questo modo. Mi cacceranno dalla piazza!»
«Credevo che Nicky fosse con te» disse lui, ignorando quelle proteste divertite.
«C’era, fino a mezz’ora fa.»
«Ah. Non vai a Hampstead con lei?»
Lei lo guardò con aria interrogativa. «Hampstead? Proprio no. Perché dovrei andare a Hampstead?»
«C’è una nuova sala da tè, credo.» Lo sguardo vuoto della sorella lo fece accigliare e lui strattonò involontariamente le redini. «La sua cameriera era con lei, suppongo?»
«No, abbiamo mandato Kitty a casa appena ha finito con i capelli di Dominique. Gideon, ma che...?»
Lui la interruppe, perché non aveva voglia di spiegare. Con un saluto veloce proseguì. I progetti di una passeggiata a Hyde Park furono abbandonati. Prese in considerazione l’idea di recarsi a Hampstead, ma qualcosa gli diceva che non vi avrebbe trovato Nicky. Invece ritornò in Brook Street e, con un brusco ordine a Sam di far camminare i cavalli, entrò in casa e cercò la cameriera.
La trovò nella camera da letto di Nicky, che rammendava una balza, e le chiese senza preamboli se sapesse dove fosse la padrona.
Kitty balzò in piedi. «N... non lo so, signore» balbettò ed eseguì un inchino barcollante. «Mi ha rimandata indietro da casa di Lady Ribblestone e ha detto che sarebbe ritornata da sola più tardi.»
«E non ha menzionato dove sarebbe andata?»
«N... no, signore.»
«Sei sicura?» Gideon la scrutò con sguardo indagatore. «Pensaci bene, ragazza!»
Lei lo fissò con gli occhi spalancati, mentre sfregava nervosamente il grembiule tra le mani.
Inspirò e si costrinse a parlare con calma. «Non hai idea di dove possa essere andata?»
La cameriera aggrottò la fronte, poi disse: «Mi... mi ha chiesto dove potesse essere Cleveland Row».
Una morsa di ghiaccio serrò il cuore di Gideon. Senza una parola uscì dalla stanza come una furia, scese le scale come un tuono e salì sul calesse. Non gli ci volle molto per trovare l’alloggio, ma il servitore che aprì la porta lo avvertì che Lamotte non era in casa.
«È venuta una signora per lui?» chiese Gideon.
Il domestico, dopo aver riscosso una mancia generosa, poté dire solo che monsieur era fuori casa fin dal mattino, ma che il suo ritorno era atteso più tardi, dal momento che aveva richiesto che quella sera venisse portata una cena speciale nelle sue stanze.
Gideon tornò in Brook Street, la testa in fermento per ansie e timori. Cercò di ragionare. Forse aveva frainteso Nicky. Lei aveva molti amici, magari era andata a fare una passeggiata innocente. Dopo tutto, aveva detto che sarebbe stata a casa per cena.
Poteva fare ben poco, tranne restare a casa e attendere il suo ritorno.
Ma, dopo aver congedato la carrozza e aver percorso avanti e indietro la casa vuota, si rese conto che non poteva restare in ozio. Indossò gli abiti da sera, prese cappello, guanti e bastone e uscì a piedi, dirigendosi verso St. James’s Street. Se avesse trovato Lamotte, la sua principale preoccupazione riguardo a Nicky si sarebbe placata.
Nei locali malfamati che visitò nessuno aveva visto il francese, quel giorno. Sentendo crescere la disperazione, si recò dall’ultimo nome sull’elenco, l’angusta casa in King’s Street che frequentava anche Anthony.
Malgrado fosse presto, le sale erano quasi piene. Gideon riconobbe molti giocatori e fu accolto allegramente e invitato a unirsi alla combriccola. Declinò con gentilezza e continuò a chiedere di Lamotte, ma le sue domande ricevettero solo sguardi vuoti in risposta. Nessuno l’aveva visto.
Il Conte di Martlesham presiedeva il tavolo del faraone nell’ultima stanza e alzò lo sguardo all’ingresso di Gideon. «Albury, questo è un nuovo inizio per voi. Vi unite a noi?»
«No, grazie» replicò brusco. «Sto cercando Monsieur Lamotte, lo conoscete?»
«Lamotte, Lamotte...» Max rifletté un attimo. «No, non credo.»
Due dei giocatori si scambiarono uno sguardo perplesso. «Cosa volete da lui?»
«Ribblestone mi ha chiesto di dargli un messaggio, ma non importa» disse con noncuranza.
«Come volete.» Max fece un gesto vago con la mano. «Stiamo per andare a cena. Perché non venite con noi?»
«No, grazie. Ceno a casa questa sera.»
«Con la vostra adorabile moglie? Perdinci, signore, siete proprio inseparabili.»
A Gideon non piacque il sorriso sul volto di Max. Sapeva qualcosa, forse? Come avrebbe voluto fargli sputare fuori la verità! Li lasciò alla loro partita e uscì dal locale.
Guardò l’orologio. Erano le sei passate. Forse Nicky era tornata a casa e lo aspettava.
Forse no.
Guardò in su e in giù lungo St. James’s Street, la mente piena di dubbi e indecisioni. Forse sua moglie, ora che aspettava un figlio, credeva di essere libera di prendersi un amante. Strinse il pomello del bastone. Accidenti, se era così, avrebbe presto capito che si sbagliava!
Dominique non aveva mai trascorso un pomeriggio così lungo. Quando aveva lasciato la cognata, mancavano ancora due ore all’appuntamento a Cleveland Row. Avrebbe voluto aver chiesto a Kitty di aspettarla. Ma Monsieur Lamotte le aveva detto di andare da sola e lei temeva che Kitty potesse non comprendere la necessità della totale segretezza di quell’appuntamento.
Trascorse il tempo a fare acquisti tra i negozi di Bond Street – guanti, nastri, parasoli e anche un’orribile cuffietta di seta color prugna. Infine reputò che fosse arrivato il momento.
Fu accolta da un servitore dall’aspetto rispettabile, che la indirizzò nelle stanze al primo piano.
Bussò alla porta e provò sollievo quando il gentiluomo le aprì di persona, poi prese un foglio piegato dalla borsetta. «Queste sono tutte le informazioni che ho su mio padre.»
Lui spalancò la porta. «Prego, entrate, madame.» Notando la sua esitazione, continuò: «Avrò bisogno di leggere quel che avete scritto e non possiamo farlo qui sul pianerottolo».
«No, certo.» Dominique entrò in una stanza scarsamente arredata. Una vecchia poltrona e un divano erano ammassati davanti al caminetto spento. Una credenza era appoggiata a un muro e un tavolino era accanto alla finestra. Una pila disordinata di giornali e riviste su una delle sedie suggeriva che il tavolo fosse stato sgombrato in tutta fretta.
Raymond chiuse la porta. «Vi prego, madame, lasciate che vi prenda il cappotto. Eh, bien, sedete, s’il vous plait, mettetevi comoda.»
Deglutendo, lei gli permise di occuparsi del soprabito, poi si appollaiò sull’orlo del sofà con le mani nervosamente strette in grembo, mentre lui lasciava il foglio sul tavolo e andava al buffet per versare del vino in due bicchieri. «No... non per me. Non posso restare» gli disse in fretta.
«Solo un bicchiere, madame, per fare un brindisi alla Francia.»
Lei prese il bicchiere e ripeté il brindisi con solennità, ma fu sollevata quando lo vide sedere al tavolo per leggere il documento. Attese con impazienza che lui analizzasse ogni riga, facendo qualche domanda occasionale e scribacchiando note sul bordo del foglio con una matita. Lanciò un’occhiata all’orologio sul camino. Erano quasi le sei. Doveva rientrare presto. Un leggero colpo sulla porta la fece sobbalzare.
Raymond aprì e, dopo una conversazione smorzata, lasciò passare diversi camerieri con i vassoi. «La mia cena, l’ho ordinata prima. Spero che non vi dispiaccia se faccio apparecchiare ora, mentre finisco di leggere questo» spiegò con un sorriso. Si gettò sulla poltrona e proseguì la lettura.
Dominique strinse il bicchiere del vino davanti a sé, desiderando di aver indossato un velo. Si sentiva molto fuori luogo a essere seduta lì, mentre i servitori entravano e uscivano.
Appena furono di nuovo soli, appoggiò il bicchiere e si alzò.
«Monsieur Lamotte, ora avete letto tutto. Io devo andare...»
«No, no, madame, non ancora, se non vi spiace.» Si mise in piedi tra lei e la porta. «Speravo che mi faceste l’onore di cenare con me.» Cercò di prenderle la mano, ma lei la ritrasse.
«È fuori discussione. Sarebbe molto disdicevole cenare da sola con voi.»
«Siete già qui e siete sola» le fece presente, avvicinandosi.
«È diverso.»
«Sì?» Le rivolse un sorriso ammaliatore, ma lei era più allarmata che affascinata.
Dominique si ritrasse di alcuni passi. Si era infilata in una situazione imbarazzante. Visitare gli appartamenti di un gentiluomo, senza neanche la presenza della sua cameriera era il massimo della sconvenienza. Gideon non l’avrebbe mai perdonata se l’avesse scoperto. «Monsieur Lamotte, credo che abbiate frainteso. Avevate promesso di aiutarmi dandomi notizie di mio padre.»
«E posso farlo, Madame Albury, ma vorrei che mi dimostraste un po’ di gratitudine. Cosa vi costa una cena?»
«Signore, è impossibile. Vi prego di farvi da parte e lasciarmi andare.»
Il sorriso di Raymond divenne rapace. «Be’, se non potete cenare con me, forse un bacetto...» Si allungò, ma lei si allontanò con un movimento rapido. Purtroppo lui riuscì ad afferrare lo scialle legato decorosamente sulla scollatura dell’abito. Questo le scivolò dalle spalle, mentre lei si ritirava dietro il divano, fremente di rabbia.
«Come osate? Sono venuta in buona fede, monsieur. Pensavo che, essendo un mio connazionale, foste degno di fiducia!»
«E lo sono, madame.» Aprì le braccia. «Chiedo soltanto un bacio e poi vi lascerò andare.»
«Credete che sia stupida?» Agguantò l’attizzatoio dal camino. «Allontanatevi dalla porta, monsieur.»
Lui fu colto di sorpresa, ma non accennò a levarsi di mezzo. Dominique era infuriata, ma anche consapevole che il francese aveva il vantaggio dell’altezza e del peso.
Si stava chiedendo cosa fare quando sentì un rumore di passi veloci per le scale e poi una voce familiare sul ballatoio. «Non c’è bisogno che veniate con me, buon uomo. Conosco la strada.»
La porta si aprì e Raymond si ritrasse con un balzo, mentre Gideon compariva riempiendo quasi tutta l’ampiezza della porta con la sua figura.
Dominique lo fissò. Con suo grande stupore, il marito si limitava a sorridere.
«Le mie scuse, cara. Ti ho fatto aspettare? Sono stato trattenuto a Piccadilly, sai.»