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Le parole di Max le ronzavano ancora in testa la mattina successiva, quando rimirò il proprio corpo nudo nello specchio e si pose le mani sul ventre che si andava ingrossando.

Gideon aveva insistito affinché vedesse il dottore e lei aveva appena sopportato un lungo esame dopo il quale il Dr. Harris, un uomo asciutto e gioviale, aveva confermato ciò che già sapeva.

«Continuate a fare la vita che avete condotto finora» aveva detto. «Non credo nelle eccessive protezioni per una donna in attesa. Siete giovane e sana. L’esercizio fisico all’aria aperta vi gioverà più che stare stesa a letto tutto il giorno. Il vostro corpo vi dirà quel che potete e quel che non potete fare, ma per ora non c’è bisogno che apportiato alcun cambiamento alla vostra vita.»

Lei non aveva intenzione di cambiare alcunché, purtroppo se ne era già occupato Gideon: infatti, non aveva condiviso il suo letto dal giorno in cui gli aveva parlato del bambino. Dominique poteva solo supporre che lui considerasse ormai svolto il proprio dovere.

Quei pensieri furono interrotti da un colpo alla porta.

Indossò la vestaglia. «Avanti.»

Gideon entrò. Sorrideva. «Ho parlato con Harris. Concorda con i tuoi calcoli, il bambino dovrebbe nascere a dicembre.»

«Sei contento, Gideon?» chiese timidamente.

«Hai dei dubbi?» Lui si avvicinò e le pose le mani sulle spalle. «Sono felicissimo.»

«Allora lo sono anch’io» rispose lei rivolgendogli un sorriso.

Lui ebbe un attimo di incertezza prima di chinare il capo e baciarla. Con esitazione, lei lo circondò con le braccia e si sentì stringere. Fremette di anticipazione, ma rimase delusa quando lui l’allontanò da sé.

«Felicissimo» ripeté Gideon, con un sorriso imbarazzato. «Devo andare. Ho del lavoro da fare. Come ti divertirai oggi?»

Lei si voltò dall’altra parte, per non mostrargli quanto fosse ferita. «Andrò a Grosvenor Square a prendere il tè con Gwendoline, prima di fare un giro nel parco.»

«Allora ci incontreremo di nuovo a cena.» Raggiunse la porta.

«Non hai dimenticato che dobbiamo andare a Knightson House, vero?»

Lui si volse a guardarla. «Non sarai troppo affaticata?»

«Certo che no.» Ma preferirei restare qui con te. Prese coraggio e trasformò i pensieri in parole. «Resterei volentieri qui, se tu decidessi di non voler andare.»

«No, so che tu vuoi partecipare e sarò felicissimo di accompagnarti.» Sorrise e, con un piccolo inchino, la lasciò sola.

Dominique si accasciò sullo sgabello e guardò di nuovo il proprio riflesso nello specchio. Gideon era così gentile ma così distaccato... Non solo evitava la sua camera di notte, ma ormai toccava lei di rado: il bacio che le aveva appena dato era stato un semplice sfiorarsi di labbra, poi si era subito ritirato, come se fosse restio ad approfondire il contatto.

Aveva ragione Max, e lui voleva ritornare all’esistenza da scapolo? Dominique si chiese se rivelargli quanto le mancavano le sue attenzioni, ma temeva che l’ammissione lo avrebbe spinto ancora più lontano. Secondo quanto predicavano le signore sposate di sua conoscenza, avrebbe dovuto mantenere il marito a distanza e non fargli pensare mai che lo desiderasse. Doveva essere distaccata, irraggiungibile. Ma per quale motivo l’istinto le suggeriva l’esatto contrario?

Ogni volta che si trovava vicina a Gideon avrebbe voluto abbracciarlo, toccarlo, baciarlo, ma quelle pubbliche ostentazioni venivano guardate con disapprovazione. Anche se era accaduto trent’anni prima, ancora si chiacchierava del comportamento scandaloso della Duchessa di Devonshire quando, da giovane sposa, aveva attraversato la sala per sedere sulle ginocchia del marito. Se una duchessa non poteva indulgere in atteggiamenti così espliciti, cosa si sarebbe detto di una giovane signora, che era inglese solo per metà? Gideon già provava un profondo odio per i francesi, lei non doveva fornirgli un ulteriore motivo di disprezzo.

Con un sospiro si alzò dallo sgabello e andò nel guardaroba. Avrebbe parlato con Gwendoline. Le avrebbe chiesto quale comportamento fosse accettabile in una moglie.

Dominique non aveva perso tempo e aveva esposto il suo dilemma alla cognata prima di finire il tè.

Lady Ribblestone fu comprensiva. «Sei innamorata di Gideon.»

Dominique annuì, triste. «Sì, credo di esserlo.»

«Oh, povera ragazza mia.»

«Lo so.» Cercò di non scoppiare in lacrime. «Se Gideon lo sapesse proverebbe compassione per me e non credo che potrei tollerare un simile atteggiamento.»

«Certo che no.» Gwendoline fissò nel vuoto per un attimo. «Allora, consideriamo il tuo problema. Cosa vuoi da Gideon?»

«Suppongo che sia troppo sperare che si innamori di me...» Vedendo lo sguardo dubbioso dell’amica, sospirò. «So che non posso pretendere che trascorra tutto il suo tempo con me, ma mi piacerebbe che... restassimo amici.»

«Allora devi crearti una tua vita, dimostrargli che te la cavi anche senza di lui. Agli uomini non piace avere una compagna infelice, ma se vede che sei allegra sarà lieto di trascorrere del tempo in tua compagnia.»

«Possibile?»

«Oh, sì. È il meglio che si può sperare.» Gwendoline rimase in silenzio, ma poco dopo si riscosse. «Potresti prenderti un amante.»

«Non voglio un amante» ribatté Dominique con le guance in fiamme.

«No, forse è meglio così. Gideon ne darebbe con tutta probabilità la colpa al tuo sangue francese. Comunque, non ci sarebbe nulla di male se qualche gentiluomo mostrasse di avere una preferenza per te, mia cara; già lo fanno. Lady Grayson mi ha detto quanti cavalieri volevano ballare con te ieri sera. E anche le padrone di casa sono entusiaste di te.»

«Sono curiose di vedere la moglie che Max ha rifilato a Gideon» commentò Dominique con amarezza.

«Quelle chiacchiere sono ormai dimenticate, te l’assicuro. Ti vedono tutti come la ricca ed elegante Mrs. Albury e, naturalmente, come una futura viscontessa. Sono tutti affascinati da te e non c’è modo migliore per punire il tuo maligno cugino che diventare la beniamina della società.»

«Non penso che uscirò in società ancora a lungo» ammise Dominique. «Sai... sono incinta.»

«Di già? Ne sei certa?»

«Sì, ma ti sarei grata se tenessi la notizia per te.»

«Ma certo, mia cara. È una novità meravigliosa. Gideon lo sa?»

«Sì, gliel’ho detto subito.»

«Ed è contento?»

«Penso di sì.»

«Be’, è un sollievo. Non ho dubbi che ti vorrà portare a Rotham al più presto, per farti conoscere papà. E sarà meglio che ti abitui a stare per conto tuo, perché temo che Gideon non si fermerà molto lì.»

L’umore di Dominique precipitò. «È quello che ha detto Max. Ha detto che Gideon sarebbe stato contento di liberarsi di me, per poter tornare alla sua vecchia vita.»

«Il Conte di Martlesham è un odioso piantagrane» ribatté Gwendoline. «La condotta di Gideon non può essere fraintesa. È stato un marito modello in pubblico.»

«Solo perché vuole mostrare a tutti che siamo felicemente sposati. E se... e se tornasse in città e si prendesse un’amante?» balbettò Dominique, dando voce alle proprie paure più profonde.

«Questo è un rischio che dobbiamo affrontare tutti» disse Gwendoline. E sospirò. «Non che Ribblestone ne abbia una, lui è sposato con la politica. No, ascolta il mio consiglio: non mostrare nessuna tendenza ad aggrapparti a Gideon. E goditi più che puoi il tempo che ti resta in città. Una volta che sarai confinata nel Buckinghamshire non si può dire quando ne potrai sfuggire. Cielo, che ora si è fatta? Il mio cocchiere starà per arrivare per portarci al parco. E poi ti lascerò in Brook Street. Tu e Gideon parteciperete al ballo dei Knightson, vero? Devi avere un bel po’ di tempo per cambiarti. Tutti vorranno scoprire quale nuova creazione indosserai.»

Dominique rise. «Ci saranno decine di signore abbigliate altrettanto bene.»

«Una o due, forse. Ma poche possono permettersi di indossare i colori vibranti che abbiamo scelto per te. Ti fanno spiccare tra la folla.»

«Non sono sicura di voler spiccare, Gwen.»

«Certo che sì. Gideon mi ha già detto quanto è orgoglioso della sua elegantissima moglie.»

«Davvero?»

Gwen rise e le diede un buffetto sulle mani. «Sì, davvero. Quindi non deludiamolo!»

Il ballo di mezza estate dei Knightson era un evento affollato, ma Dominique ormai non era più spaventata dalla gente che sgomitava per entrare nella sala. La sua autostima crebbe per i complimenti di Gideon quando si tolse il mantello.

Indossava un nuovo abito di seta verde, che si sposava alla perfezione con gli smeraldi che lui le aveva donato la prima notte in città, e aveva raccolto i capelli scuri sulla testa, con un unico boccolo che le ricadeva sulla spalla nuda.

«Continui a deliziarmi, mia cara» disse lui, portandosi la sua mano alle labbra.

Dominique arrossì al complimento. Poteva aver parlato a beneficio degli altri ospiti, ma nei suoi occhi c’era un inconfondibile calore e lei entrò nella sala da ballo con il sorriso sulle labbra e la gioia nel cuore.

La felicità crebbe quando Gideon la accompagnò sulla pista per le prime due danze, poi fu lieta che lui ballasse con la sorella e con altre signore. Non fu mai a corto di cavalieri, ma quando arrivò il momento della cena cercò di nuovo il marito.

La bassa statura si rivelò uno svantaggio e dovette farsi strada in punta di piedi per scorgere l’alta figura di Gideon tra la folla. Ci fu un leggero sgomitare e, nel ritrarsi per evitare una coppia di persone alticce, atterrò con il tacco sul piede di qualcuno.

«Oh, chiedo scusa!» Si girò con un sorriso dispiaciuto. Il gentiluomo dietro di lei era uno sconosciuto, ma rideva.

«C’est rien, Madame... Albury, vero?» Si inchinò. «Non siamo stati presentati, ma in queste circostanze... Raymond Lamotte, madame, à votre service. Questa è una gran fortuna. Volevo parlare con voi.»

«Con me?» Dominique studiò il giovane davanti a sé. Era di altezza media, una bellezza scura con i capelli corvini tagliati à la Brutus.

«Mais oui, madame. Non si può evitare di sentire le chiacchiere...» Sembrava un po’ a disagio. «Voi siete figlia di un francese, non è vero?» Nel notare che lei lo fissava con sguardo intenso, allargò le braccia. «Sono fuggito dalla mia amatissima Francia molti anni fa. Mi ha spezzato il cuore, ma… non è più la grande nazione che era un tempo» concluse facendo spallucce.

«Proprio no» mormorò lei.

Lui si guardò intorno. «È difficile parlare qui, con tanta gente. Forse posso chiedere l’onore di scortarvi a cena?»

Dominique non riusciva a scorgere Gideon e quel giovane la guardava con aria speranzosa. «Certo, monsieur

La sala da pranzo era gremita, ma il suo accompagnatore la condusse a un piccolo tavolo in una nicchia.

La cena era sontuosa, ma Dominique se ne accorse a malapena, persa com’era in reminiscenze sulla Francia. Suppose dalla voglia di parlare di Raymond Lamotte che avesse nostalgia di casa, come era accaduto a lei quando era appena arrivata in Inghilterra.

«Certo, per me è stato più facile» disse. «Ero una bambina di quasi dieci anni e mia madre, che è inglese, ha cercato di assicurarsi che prendessi confidenza con gli usi di questo paese. Per voi, monsieur, deve essere stato molto più doloroso.»

«Lo è stato. Non volevo abbandonare la Francia, ma cosa potevo fare? I miei amici erano stati imprigionati, o peggio. All’inizio ero a favore della rivoluzione. Il paese aveva bisogno di un cambiamento, mais oui, poi sono arrivati il Terrore e le esecuzioni dei monarchi... ed è stato troppo. Il cambiamento aveva superato i limiti.»

«Questo è esattamente ciò che pensava mio padre!» esclamò Dominique. «Ma il suo punto di vista era troppo moderato e nessuno voleva ascoltarlo.»

«E allora vi ha portata in Inghilterra?»

«No. Ha organizzato la partenza mia e di mia madre, mentre lui è rimasto in Francia. Sono quasi dieci anni che non abbiamo sue notizie.»

«Ah, ecco. Je regrette...»

Lei alzò la mano, per respingere la sua compassione. Quando alzò lo sguardo, si accorse che la sala da pranzo era quasi vuota. «Accidenti, il tempo è volato» disse. «Presto ricominceranno le danze. Grazie, Monsieur Lamotte, ho apprezzato la conversazione con voi, ma devo raggiungere il salone.»

«Certo, vi accompagno.» Si alzò e le tese il braccio. «Se permettete, vorrei parlare ancora con voi. È così piacevole discorrere liberamente del mio paese con qualcuno che lo ama quanto me.»

Lei annuì e replicò timidamente: «Piacerebbe anche a me, signore».

«Posso venirvi a trovare domattina?»

«No!» Si fermò allarmata, immaginando la collera di Gideon se un francese avesse bussato alla porta. «Non è possibile.» Deglutì. «Ma forse... forse potreste fare una passeggiata in Green Park domani alle dieci? È un percorso molto frequentato.»

«E... alle dieci ci sarete anche voi, Mrs. Albury?»

«Sì» dichiarò, mettendo a tacere la propria coscienza. Dopo tutto, non c’era alcun male in un incontro pubblico.

«Allora ci sarò anch’io» dichiarò Monsieur Lamotte.

Stavano entrando nella sala da ballo, dove i musicisti accordavano gli strumenti.

Con voce divertita lui disse: «Vi chiederei di danzare con me, ma temo di avervi già rubato troppo tempo e molti gentiluomini mi guardano in cagnesco».

Lei arrossì e negò, ma non tentò di trattenerlo. Mentre lo guardava andar via, due signori la raggiunsero, discutendo giovialmente su chi dei due dovesse avere il privilegio di accompagnarla sulla pista.

Dominique mise da parte i pensieri su Raymond Lamotte e si dedicò al gradevole compito di scegliere un cavaliere.

«Mi dispiace di non averti potuto portare a cena» disse Gideon più tardi, mentre tornavano a casa. «Io e Anthony eravamo nel bel mezzo di una discussione politica e non volevo abbandonarlo. Spero che tu abbia trovato qualcuno che si sia preso cura di te.»

«Sì, grazie.»

Dominique fu incerta se parlare a Gideon di Monsieur Lamotte, ma mentre cercava di formulare una risposta lui le prese la mano.

«Bene. Sono contento che tu stia trovando il tuo posto in città, Nicky».

«Oh, sì. Sono molto più a mio agio ora che conosco tanta gente.»

«Ho notato che non sei rimasta mai senza cavaliere questa sera. Presto non avrai più bisogno che ti accompagni.»

«Oh, non dirlo mai, Gideon. Non sarei a mio agio se tu non fossi con me» disse seria.

Lui rise e si portò la mano di lei alle labbra. «Adulatrice!»

Lo pensava davvero o non vedeva l’ora di lasciarla da sola per tornare alla sua vecchia vita da scapolo? Dominique avrebbe desiderato chiederglielo, ma non lo fece, temendo la risposta.