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Dominique, immobile, osservava il viso del suo sposo. Si attendeva tutte quelle reazioni: orrore, repulsione, disgusto. Sapeva ciò che lui avrebbe provato una volta che l’inganno fosse stato svelato.
Gideon si passò la mano tra i capelli ramati, scompigliando il disordine curato ad arte, mentre dietro di loro risuonava la risata crudele di Max.
«Ve l’ho fatta, Albury!»
«Non capisco. Vostra cugina...»
«Questa è mia cugina.» Il conte ridacchiò, mentre Dominique provava compassione per l’uomo di fronte a lei, che sembrava attonito.
Com’era giusto che fosse. Invece della bella bionda voluttuosa che aveva corteggiato negli ultimi due mesi, si ritrovava sposato a una bruna minuta che non aveva mai visto in vita sua.
«C’è qualcosa che non va?» Il parroco guardò l’uno e poi l’altra, prima di rivolgersi preoccupato a Max: «Lord Martlesham?».
«No, no, è tutto a posto» dichiarò lui, che ancora sogghignava. «Lo sposo è ammutolito per l’enormità dell’avvenimento, ecco tutto.» Poi cominciò ad allontanare gli ospiti dalla chiesa. «Venite tutti, le carrozze ci attendono!»
«Un attimo!» Gideon non si mosse, se non per scrollarsi la mano della sposa dal braccio. «Dov’è Dominique?»
«Oddio, Albury, non l’avete ancora capito? L’avete sposata!» Max lo spinse. «Venite, su, non restate lì come un allocco. Torniamo a Martlesham Abbey.»
La sposa si impose di parlare. «Vi prego, rientrate a Martlesham e tutto vi verrà spiegato.»
Gideon, accigliato, le afferrò il braccio e si diresse ai cancelli, costringendola quasi a correre per mantenere il suo passo, mentre una folla di persone beneauguranti lanciava il riso. Raggiunta la carrozza, con il blasone dei Martlesham bene in vista e decorata con nastri per l’occasione, senza cerimonie caricò Dominique all’interno, salì a propria volta e sbatté la portiera con violenza.
Il sorriso di Max apparve al finestrino. «Suvvia, Gideon, cercate di tenere sotto controllo i vostri bollori fino a dopo il pranzo di nozze. Il viaggio da qui a Martlesham Abbey non è abbastanza lungo e non consente di sbattere una donna come si deve. Lo so, ci ho provato!»
Dominique chiuse gli occhi, mortificata. La carrozza cominciò a muoversi e la risata roca del conte si perse nell’aria.
«Così, questo è uno degli scherzi di Max.»
La giovane guardò Gideon. La sua voce era calma, ma negli occhi nocciola c’era un bagliore pericoloso quasi che lui fosse sul punto di commettere un omicidio. Deglutì. «Sì.»
«E a Martlesham erano tutti al corrente della burla, tranne me.»
«Voi... e mia madre.»
«Max mi ha detto che era troppo malata per partecipare alla cerimonia.»
Dominique chinò il capo. «Lei non lo sa. Maman non si sarebbe mai prestata a questo complotto.»
«Suppongo che la donna che ho conosciuto sia stata ingaggiata per recitare la vostra parte...»
«È un’attrice. Agnes Bennet.»
«E maledettamente brava. Mi ha abbindolato facendomi credere di essere una signora. Mentre voi...» sibilò Gideon con una smorfia, «potete anche essere la cugina di Max, ma nessuna vera signora si presterebbe a una tale farsa.»
Dominique percepì il suo disprezzo come una frustata. Se ne avesse avuto il tempo, gli avrebbe spiegato perché aveva acconsentito al vergognoso progetto, ma erano giunti a destinazione. Così attese in silenzio che la carrozza si fermasse e che il valletto in livrea le aprisse la portiera.
Lo sposo balzò giù per primo e con ostentata cortesia le tese la mano. «Siete pronta per il pranzo di nozze, signora?»
Dominique lo accompagnò in casa, mesta.
«Adesso forse mi spiegherete cosa diavolo sta succedendo.» Gideon guardò la compagnia riunita nella sala da pranzo.
I servitori erano stati congedati e c’erano soltanto una ventina di ospiti, che facevano parte della cerchia di amici che aveva frequentato la casa di Lord Martlesham negli ultimi due mesi.
Eccezion fatta per la bellezza bionda, naturalmente. La donna che lui aveva creduto essere la cugina del conte e che era stata rimpiazzata da quell’essere minuscolo che era diventato sua moglie.
Tutti gironzolavano, ignorando l’eleganza del servizio da tavola allestito per il pranzo di nozze, tutto argenti e cristalli splendenti.
Gideon passò in rassegna gli invitati, ma nessuno di loro incrociò il suo sguardo.
«È solo una burla, vecchio mio» disse il conte, che si stava servendo un bicchiere di brandy da una bottiglia di cristallo.
«Non è stata di mio gradimento!»
Max lo guardò, ancora sorridente. «No? Strano, credevo che lo sarebbe stata, se si considera quel che è accaduto a Covent Garden lo scorso anno.»
«Ah... ecco il motivo.» Albury annuì lentamente. «Mi state ripagando per avervi rubato la divina Diane da sotto il naso!»
Rammentò la situazione. Era stato uno dei tanti giovani chiassosi e ubriachi che si accalcavano nei camerini dopo lo spettacolo. Max corteggiava una graziosa ballerina, ma Gideon aveva capito dai suoi sorrisi eloquenti e dall’invito dei suoi occhi bistrati che si sarebbe data con gioia al miglior offerente.
«Al diavolo, Albury, ci avevo lavorato per settimane, e proprio quando credevo che stesse cadendo nella mia rete le avete offerto carte blanche!»
Gideon sentì montare la collera. C’era un’enorme differenza tra il competere per ottenere i favori di una sgualdrina e l’essere intrappolato in un matrimonio! «E solo perché vi ho battuto in quell’occasione, avete escogitato questa messinscena?»
«Be’, sì, e la ritengo piuttosto azzeccata, a dire il vero.» Il conte sorseggiò il brandy. «Ho ingaggiato Agnes Bennet per interpretare la parte di mia cugina e voi vi siete lasciato ingannare, anzi, ne eravate proprio infatuato. Dovevo soltanto persuadervi a proporle il matrimonio. Naturalmente, il fatto che foste ancora risentito per la strigliata che vostro padre vi aveva dato a Natale e pronto a ripagarlo con qualsiasi dispetto ha giocato a mio favore.»
Albury non lo poté negare. Ricordava ancora quell’ultimo incontro teso con il padre, la violenta discussione. Per la verità, si era già stancato un po’ di Max e dei suoi continui imbrogli e trabocchetti, ma non gli piaceva che il padre criticasse i suoi amici. Aveva perso la pazienza e aveva dichiarato che avrebbe fatto quel che voleva della propria vita. Ricordava di essere uscito di casa infuriato, dichiarando: «Sceglierò gli amici a mio piacimento, farò ciò che voglio e sposerò chi mi pare!».
Come era stato imprudente a raccontare l’intero incidente a Martlesham!
Il conte proseguì: «Sapevate che sposando una mia cugina avreste fatto infuriare vostro padre. Certo, mi è convenuto che lei fosse una tale bellezza. La tipica rosa inglese».
«Non vedevate l’ora di portarla a letto, eh?» gridò uno dei convitati, un bellimbusto coi denti da coniglio di nome Williams.
Cielo, Gideon si chiese come mai non aveva mai notato prima quanto fosse odioso il sorriso di quell’uomo!
Max riempì di brandy un secondo bicchiere e glielo porse. «Poi, naturalmente, avete detto che non avreste mai potuto sposare una francese.»
«E questo cosa significa?» Gideon si irrigidì e il sorriso di Max si allargò.
«Si dà il caso che la mia cara cugina, qui, sia senza alcun dubbio francese. Non è vero, mia cara?»
La ragazza non rispose, a parte un lieve cenno di assenso.
Gideon socchiuse gli occhi. «Reynolds è un nome inglese. E voi mi avete detto che Dominique era un nome di antica tradizione di famiglia...»
«In questo caso ammetto di avervi ingannato. Il nome è una tradizione di famiglia, ma appartiene ai suoi antenati francesi, non ai miei.» L’odioso sorriso divenne più ampio. «Mio caro Gideon, avreste dovuto controllare meglio il registro prima di firmarlo. Vi sareste accorto allora che il cognome di suo padre è Rainault e non Reynolds. Jerome Rainault, un mercante di vini di Montpellier. Un francese purosangue, Gideon, e un girondino, per giunta.»
«Cosa?»
Gli occhi celesti di Max luccicarono di malizia e di trionfo. «Oh, sì. Avevate giurato che tutti i francesi erano vostri nemici, non è vero? Mi sembrava giusto che sposaste proprio una di loro.»
A Gideon tornarono alla mente nuovi dettagli dell’ultima, accesa discussione con il padre.
«Martlesham è un brutto ceffo. Dovresti scegliere i tuoi amici con maggiore attenzione» aveva detto il visconte.
Lui si era irritato a quelle parole, ma in quel momento la loro veridicità lo feriva ancora di più.
Williams rise sguaiatamente. «Che bello scherzo. Siete stato beffato proprio bene, Albury! Avete perso la testa per l’attrice di Max, vero? Ha fatto lo scambio stamattina. La sposa aveva le scarpe con i tacchi alti perché non vi accorgeste che era molto più bassa dell’adorabile Agnes.» E così dicendo, spinse la punta del bastone da passeggio sotto l’orlo dell’abito da sposa, ma la ragazza si allontanò da lui con rapidità, le guance in fiamme per l’imbarazzo.
Gli altri ridacchiarono e Gideon imprecò in silenzio. Come aveva potuto trovare divertente il loro umorismo infantile? «Questo supera lo scherzo, Martlesham. Questa volta avete giocato con la vita delle persone» disse furioso.
Il conte fece spallucce. «L’abbiamo trovato tutti diabolicamente divertente, vecchio mio. Ammettete di esserci cascato in pieno, poi ci godremo il rinfresco di nozze e subito dopo manderò a chiamare il parroco e il mio avvocato dal villaggio, in modo da fare annullare il matrimonio. Dopotutto ci sono testimoni a sufficienza pronti a dichiarare che siete stato tratto in inganno.»
Gideon sorseggiò il brandy. Tutti coloro che gli stavano intorno sorridevano, tranne le sposa. Il rossore aveva abbandonato le sue guance e ora lei era lì, accanto a lui, pallida e silenziosa. La figura snella e scura era quanto di più diverso ci potesse essere dalla moglie che aveva scelto. L’enormità della propria follia lo colpì. Non aveva consultato il padre riguardo al matrimonio, una vendetta meschina perché il genitore aveva osato far tanto chiasso nel loro ultimo incontro. Non ne aveva informato neanche l’avvocato, sapendo che Rogers avrebbe richiesto che venissero messi a punto degli accordi. Nella foga di assicurarsi la moglie, aveva accettato le promesse di Max che avrebbero sbrigato tutte le formalità in seguito. Ora ne capiva il motivo e si infuriò ancora di più.
Con calma disse: «Ammettere di essere stato beffato e diventare uno zimbello? No, non credo proprio».
Fu piuttosto soddisfatto nel vedere i sorrisi vacillare. Max si accigliò. La sposa si voltò a fissarlo.
Gideon si costrinse a sorridere. «No. Prima o poi devo sposarmi. Vostra cugina andrà bene come qualsiasi altra fanciulla, Martlesham. Il matrimonio resta valido.»
«No!» esclamò Dominique col fiato mozzo. Non era così che doveva andare. Guardò implorante il cugino, ma il volto del conte era una maschera.
«Venite.» Gideon le tese la mano. «Sediamo e godiamoci il nostro primo pasto da marito e moglie.»
Il suo tono non tollerava discussioni. Con riluttanza, Dominique accompagnò al tavolo lo sconosciuto che era ormai il suo sposo.
Solo che per lei non era affatto uno sconosciuto. Nel corso degli ultimi due mesi lo aveva guardato restando nell’ombra mentre rideva, danzava e corteggiava la donna che era stata scelta per impersonare il suo ruolo.
Dominique avrebbe desiderato essere più simile alla bella Agnes, dalla risata profonda e gutturale e dal sorriso seducente. Aveva visto Gideon innamorarsi dell’attrice e si era resa conto che avrebbe scambiato volentieri i propri capelli scuri e gli occhi verdi con i riccioli biondi e gli occhi azzurri dell’attrice, se quello le avesse garantito uno sguardo d’ammirazione da parte del gentiluomo. Max non aveva fatto obiezioni quando aveva scoperto che lei si era vestita come una domestica per poter seguire le fasi del corteggiamento, anzi, aveva gradito il tocco piccante che il suo travestimento conferiva alla situazione, e così lei si era trovata via via più vicina a Gideon Albury.
Lui era diverso dagli altri, più riflessivo e privo di quell’umorismo crudele che caratterizzava buona parte degli amici del cugino. In un primo momento aveva pensato che il suo viso magro fosse un po’ austero, poi aveva notato come il sorriso gli accendeva gli occhi e aveva imparato a restare in ascolto per cogliere la sua voce, profonda e ricca come cioccolata.
E se n’era innamorata.
Se le avessero detto che avrebbe donato il cuore a qualcuno che neanche sapeva della sua esistenza, Dominique lo avrebbe ritenuto impossibile ma, in qualche modo, durante le settimane di osservazione e ascolto, era giunta a pensare che dietro l’atteggiamento incurante del giovane ci fosse molto di più. Aveva visto lo sguardo pensieroso che compariva sul suo viso, quando pensava di non essere osservato, e aveva colto la tristezza fugace che talvolta gli rabbuiava gli occhi. Con il suo travestimento era stato difficile evitare le occhiate vogliose e le mani vaganti degli altri ospiti, ma Gideon non si era mai comportato in modo lascivo e, se mai si era accorto di lei, lo aveva fatto con gentilezza distratta: una parola di ringraziamento quando lei gli portava da bere o un silenzioso rimprovero se uno degli altri cercava di importunarla.
Lui era un vero gentiluomo, anche se quel giorno la sua voce esprimeva solo collera e gli occhi nocciola sembravano d’acciaio quando si posavano su di lei. La disprezzava e Dominique non poteva biasimarlo, visto il ruolo che lei aveva giocato in quella messinscena. Le doleva il cuore, ma non sarebbe servito a nulla lamentarsi. Aveva stretto un accordo con Max e, se lui avesse mantenuto la parola, tutta quella farsa sarebbe servita a qualcosa.
Dominique mangiò e bevve ben poco al banchetto di nozze. In apparenza, Gideon sembrava essere a suo agio: sorrideva e scherzava coi compagni, da sposo impeccabile. Ma quando fu chiamato a brindare e si volse per renderle onore, la guardò in modo freddo e duro, provocandole un fremito di paura lungo la schiena.
Infine il pasto terminò, ma non l’agonia. Gli invitati si alzarono, radunandosi in piccoli gruppi.
Gideon picchiettò sul bicchiere e nella sala calò il silenzio. «Carstairs, non posso dirvi quanto vi sono riconoscente per aver messo a nostra disposizione Elmwood Lodge.» Si alzò e appoggiò le mani allo schienale della sedia di Dominique. «E adesso, moglie, è ora di indossare gli abiti da viaggio.»
La giovane rivolse un’altra occhiata attonita al cugino, che si limitò a scrollare le spalle. Allora lei si alzò in silenzio ma, nel passargli accanto, esitò. Era giunto il momento di intervenire. Disse, calma: «Lo scherzo è finito, milord. Ho fatto la mia parte, vi prego, mettetevi fine».
Ma, con suo sconcerto, Max si limitò a prenderle una mano e a portarsela alle labbra. «Lasciate che io sia il primo a congratularmi con voi, Mrs. Albury.»
Lei allora gli serrò la mano, irata e spaventata da quel sorriso canzonatorio. «E mia madre? Avete promesso.»
Martlesham la guardò sprezzante. «Vi ho dato la mia parola, non è così?» Si sporse più vicino e mormorò: «Andate, mia cara, non fate aspettare il vostro sposo».
Lei increspò le labbra e avrebbe voluto ribattere, ma Gideon si stava avvicinando, così si affrettò a uscire dalla sala.
Dominique salì nella propria stanza fremente di rabbia, e non soltanto nei confronti di Max. Si era prestata a quel gioco e non poteva certo lamentarsi se le cose non erano andate come previsto.
Era sembrato così semplice quando il conte gliel’aveva spiegato: avrebbero allestito lo scherzo e, quando questo fosse stato scoperto, avrebbero mandato a chiamare i legali, il matrimonio fasullo sarebbe stato annullato, e tutto sarebbe andato a posto.
Solo che Gideon non stava giocando secondo le stesse regole di Martlesham. Voleva continuare un po’ più a lungo con la farsa per salvare la faccia, per ritorcere lo scherzo su Max e forse anche per punire lei per l’inganno.
Si guardò allo specchio e il suo morale precipitò ancora di più. Era inconcepibile che Albury volesse tenerla come moglie, ma per il momento lei non aveva altra scelta che prepararsi e seguirlo.
L’unico abito che possedeva era quello da passeggio verde oliva con cui era arrivata. Non era nuovo, ma il colore le donava e con il taglio maschile e gli alamari dorati sembrava abbastanza adeguato per la cugina di un conte. Il velo di pizzo ricamato avrebbe coperto la scollatura profonda e l’avrebbe protetta dal freddo vento di marzo. Raddrizzò le spalle. Se Gideon Albury voleva procedere con quella farsa, per lei andava bene.
Con sua costernazione, trovò tutti riuniti nell’atrio ad attenderla. Sembravano determinati a fingere che si trattasse di una normale cerimonia di partenza.
Max la raggiunse sugli ultimi scalini e le diede il braccio come se la stesse accompagnando di nuovo all’altare. «Ho fatto riempire un baule per te dalle domestiche. Non potevo farti andar via senza neanche uno straccio per coprirti» mormorò. Poi la condusse da Gideon, che stava in piedi, rigido.
Dominique lanciò uno sguardo al suo volto, che sembrava essere scolpito nella pietra, per quanto appariva freddo e impassibile. Nascose un brivido e abbassò gli occhi sul gilet dai ricami raffinati. Forse lui lo aveva ordinato espressamente per il matrimonio, per fare buona impressione sulla sposa. Quel particolare la fece vergognare ancora di più per aver accettato di partecipare all’intrigo crudele.
Gli sposi vennero scortati con nuove acclamazioni alla carrozza in attesa, sulla quale il baule era stato assicurato con cinghie.
Dominique sentì un lieve tocco sulla spalla non appena la carrozza si allontanò. «Be’, signora, non avete intenzione di fare un sorriso agli invitati?»
Lei si scrollò la mano di dosso. «Per quanto ancora avete intenzione di proseguire con questa farsa, signore?»
«Farsa? Non so di cosa parlate, signora. È stato Martlesham a recitare la farsa.» La voce era glaciale.
«E voi l’avete ripagato con la stessa moneta. Era alquanto scosso quando avete detto che il matrimonio sarebbe rimasto valido.»
«Sì, la sua reazione è stata oltremodo divertente.»
«Avete avuto il vostro diletto. Ora vi prego di lasciar perdere questa finzione» disse lei con freddezza.
«Oh, non è una finzione, signora, faccio proprio sul serio.»
Dominique fissò la sua espressione implacabile e sentì una morsa gelida serrarle il cuore. «Ma... ma non avevate nessuna intenzione di sposarmi. Non potete volere me come moglie.»
«Perché no? Come ho detto a Max, prima o poi mi dovevo sposare, e voi andate bene come qualsiasi altra.» Fece scorrere lo sguardo su di lei quasi a spogliarla, causandole un profondo imbarazzo.
Per la prima volta Dominique si rese conto di essere del tutto alla mercé di quell’uomo. Dovette raccogliere ogni oncia di indignazione per rispondere: «È oltraggioso!».
«Che sia oltraggioso o meno, signora, avreste dovuto considerare ogni possibilità, prima di accettare il piano. Mi avete sposato, nella buona e nella cattiva sorte. Non si può tornare indietro.»
Turbato dallo sguardo di orrore che era comparso sul viso della compagna, Gideon chiuse gli occhi e finse di dormire. Era ancora furioso per essere stato ingannato, ma provava un po’ di compassione per la sposa. Conoscendo Max, sospettava che la ragazza avesse dovuto subire pressioni per assecondarlo. Però, se lei davvero si fosse opposta all’intera burla, avrebbe potuto rivelare la propria identità in chiesa. No, l’avrebbe punita ancora un po’.
Si chiese che cosa avrebbero trovato a Elmwood Lodge. Carstairs si era quasi strozzato col vino quando Gideon gli aveva ricordato che l’aveva messa a disposizione. Era ovvio che nessuno si aspettava che il matrimonio andasse oltre la cerimonia nuziale, così non era stato fatto alcun preparativo. Mentre tutti attendevano che la sposa si cambiasse d’abito, un uomo era stato mandato a Elmwood su un cavallo veloce, per informare la servitù che c’erano due sposi in arrivo.
Gideon non sapeva ancora quando avrebbe messo fine a quella messinscena.
Quando la carrozza fece il suo ingresso a Elmwood Lodge poco più tardi, fu subito chiaro che la notizia del loro arrivo era stata accolta con entusiasmo: i cancelli aperti erano decorati con nastri e una coppia di anziani servitori comparve all’istante. L’uomo si stava ancora abbottonando la livrea.
Gideon riconobbe Chiswick, il maggiordomo e tuttofare, e la donna che lo seguiva con il grembiule candido era sua moglie, nonché governante della casa. «Oddio, ci toccherà fare tutto per bene, adesso» borbottò.
«Benvenuti, signori! È una gioia avervi qui a Elmwood Lodge.» Mrs. Chiswick quasi spinse da parte il marito, nell’accoglierli con un profluvio di sorrisi. «Se avete voglia di venire nel salotto, troverete dolci, vino e un bel fuoco scoppiettante. Se ci avessero avvertiti prima, avremmo preparato tutte le altre stanze. Ci vorrà ancora un po’, anche se ho mandato a chiamare Alice dal villaggio, per aiutarmi.»
Gideon scese e si voltò per dare una mano alla moglie, la quale atterrò in silenzio, pallida e frastornata. Si mise le dita di lei sul braccio e insieme seguirono la governante ciarliera all’interno.
Vedendo che l’ampio atrio era stato frettolosamente decorato con sempreverdi e fiori primaverili, Gideon si sentì a disagio: era chiaro che la coppia fosse felicissima di intrattenere due sposi novelli. Sentì tremare la mano di Dominique e distrattamente la strinse per rassicurarla.
Altri fiori adornavano il salotto rivestito in legno, dove un allegro fuoco ardeva nel camino. Sul tavolo era disposto un buffet.
Gideon attese che la sua loquace ospite prendesse fiato, poi dichiarò deciso: «Grazie, Mrs. Chiswick. Ci serviremo da soli».
«Benissimo, signore. E...» Si volse a guardare dalla finestra. «I vostri servitori arriveranno dopo?»
«No, siamo soli.»
«Ah, certo.»
La sua occhiata d’intesa fece arrossire Gideon, che non osò guardare la sposa, ma quando si ritrovarono soli le disse: «Vi chiedo scusa. Quando Max mi ha detto che la vostra cameriera restava a Martlesham per occuparsi di vostra madre, ho pensato che fosse meglio lasciare anche il mio valletto. Ora vedo che questo ha dato adito proprio al peggior genere di congetture».
«Delle congetture molto naturali, date le circostanze.»
Quella replica tranquilla sollevò Gideon da una preoccupazione: la fanciulla non avrebbe avuto un attacco isterico. Eppure questo non avrebbe dovuto sorprenderlo, visto che si era prestata a quella follia. «Queste circostanze, come le chiamate, sono da addebitarsi soprattutto a voi» la rimbeccò con freddezza.
«Ne sono consapevole.» Dominique si levò cappello e guanti e sciolse le stringhe del mantello. Quando lui le mise le mani sulle spalle per prenderlo si irrigidì, ma non lo allontanò.
Gideon era così vicino a lei che ne sentiva il profumo, una spruzzata di mughetto che gli fece provare il desiderio di chinarsi a baciare l’esile collo bianco.
Scosso dalla propria reazione, si ritrasse. Quella donna non significava nulla per lui. Come poteva prendere in considerazione un gesto così intimo? Ma il pensiero indugiava e lui ne fu turbato.
Lanciò il mantello di lei su una sedia assieme al proprio pastrano, poi sistemò i guanti e il cappello su un tavolino. La collera stava sbollendo e lui era consapevole della situazione imbarazzante in cui si trovavano. Forse non era troppo tardi per porvi rimedio.
Si precipitò fuori e vide il maggiordomo che attraversava il corridoio. Lo chiamò mentre correva verso il portone d’ingresso. «La carrozza è andata via? Presto, rispondete!»
«S... sì, signore. Appena siete scesi. Volevano avvicinarsi a casa prima che facesse buio, visto che stanotte non c’è luna.»
Gideon aprì la porta con uno strattone e guardò il viale vuoto. «Sono passati solo pochi minuti. Dobbiamo richiamarla indietro. Ci deve essere un cavallo nelle scuderie per inseguirla.»
Il maggiordomo, sbigottito, scosse il capo. «Temo di no, signore. C’è solo Bessie, ma è una cavallina da tiro e non ha mai portato una sella in vita sua. Forse il vecchio Adam la potrebbe imbrigliare al calesse...»
Fissando l’oscurità che si infittiva, Gideon si rese conto che ormai sarebbe stato impossibile richiamare la carrozza. «Quanto dista la città o la locanda più vicina?»
Il maggiordomo lo guardò attonito, lasciandolo consapevole di quello che appariva dall’esterno, uno sposo che voleva fuggire la prima notte di nozze! Ma la verità sarebbe stata ancora più sgradevole e lui rimase in silenzio mentre l’uomo ponderava la domanda.
«Non ci sono locande, signore. O comunque, non una che andrebbe bene per voi. E dista sette miglia da Swaffham, ma non è il caso di partire proprio questa notte, senza la luna.»
«No, certo.» Scuotendo il capo, Gideon si ritrasse dal portone d’ingresso e lasciò il maggiordomo a chiuderlo, mentre ritornava nel salotto.
Non si poteva lamentare. Dopo tutto aveva noleggiato la carrozza con istruzioni molto chiare: non sarebbe servita per due settimane, poiché aveva intenzione di godersi la luna di miele con l’incantevole sposa. E ora si ritrovava abbandonato nel bel mezzo del nulla con una giovane donna che non aveva mai visto prima di quel giorno. Una donna rispettabile, per di più, malgrado il ruolo che aveva recitato nella farsa.
Maledetto Max e i suoi scherzi!