11
L’immagine di minaccioso edificio gotico che Dominique si era fatta di Rotham svanì appena vide la casa. Immersa nel bagliore dorato della serata estiva – che era riflesso nelle numerose finestre con un effetto di caloroso benvenuto – era una costruzione dei primi del Seicento di tre piani, dotata di molti timpani, e costruita con mattoni rossi e pietra chiara.
«È davvero incantevole!» esclamò senza riflettere.
«Sì?» Gideon si piegò in avanti per guardare la sua vecchia dimora. «Sì, suppongo che tu lo possa pensare.»
Mentre la carrozza si avvicinava ai gradini d’ingresso, balzò giù, pronto a tendere la mano alla sua sposa. Un anziano maggiordomo si fece loro incontro, inchinandosi leggermente nell’annunciare che Lord Rotham li attendeva nel salone.
«Grazie, Colne. Porterò Mrs. Albury da lui.»
Dominique accompagnò Gideon in silenzio attraverso un piccolo portico di pietra e un antico passaggio coperto che, dopo la luce del sole, sembrava molto buio. Si fermò per abituare la vista all’oscurità prima di entrare nell’atrio. Il rivestimento, lì, era trasandato, ma il sole entrava dalle finestre, facendo danzare tra i raggi i granelli di polvere dorati. Spade, scudi e corna di cervo adornavano le pareti. L’intera stanza sembrava uscita da un’altra epoca, ma appariva abbandonata.
«Questa stanza non viene mai usata?» chiese.
«Di rado. In passato, quando avevamo ospiti, tutti si riunivano qui prima di uscire a caccia o a cavallo e, in occasione del raccolto, eravamo soliti tenere una cena in questa sala per i mezzadri e le loro famiglie, ma abbiamo smesso quando mia madre è morta.»
«E il salone dov’è?» chiese Dominique mentre seguivano il maggiordomo in un altro atrio più interno.
«Di sopra» disse Gideon. «Tutte le stanze principali sono al piano superiore.»
«Compresa la sala da pranzo?»
«Certo.»
«E le cucine?»
«Nel piano interrato.»
«Un percorso di venti minuti, senza dubbio» mormorò.
Gideon rise. «Esattamente!»
Salirono un’imponente scalinata fino a un ampio pianerottolo.
La casa era costruita attorno a un cortile centrale e una serie di finestre facevano entrare luce in abbondanza nelle sale superiori, che si aprivano l’una nell’altra. La prima era il salone.
Anche per una persona abituata alla magnificenza di Martlesham Abbey, era di dimensioni impressionanti. Pannelli riccamente intagliati ricoprivano i muri e i motivi erano ripetuti nelle modanature sul soffitto. Un sofisticato camino dominava la sala, con il blasone degli Albury al centro.
Dominique assimilò lo svanito splendore della stanza e il pesante mobilio antico, mentre Gideon la accompagnava a conoscere il padrone di casa.
Il Visconte di Rotham si era alzato da una poltrona di legno accanto al camino e ora era in piedi pronto per accoglierla.
Lei si esibì in un profondo inchino, ma nel rialzarsi cercò di studiare il suocero. La somiglianza tra il visconte e il figlio era evidente. Erano entrambi alti e magri, avevano labbra delicatamente scolpite e zigomi alti. Avevano occhi nocciola sotto sopracciglia scure, ma mentre Gideon sfoggiava i suoi capelli ramati al naturale il visconte preferiva il vecchio stile e indossava una parrucca incipriata. Era vestito completamente di nero, a parte le strette increspature ai polsi e il fazzoletto da collo.
«Benvenuta, signora» disse con gentilezza. «Prego, sedete. Spero che il viaggio non sia stato troppo faticoso per voi.»
«No, affatto, milord. Ci siamo fermati per una notte.»
«Solo una?» Le sopracciglia si alzarono interrogative verso Gideon. «È stato saggio, figlio mio? Un’altra notte avrebbe concesso a tua moglie più respiro dai rigori del viaggio...»
«Ma non era affatto necessaria.» Provò l’impulso di girare sui tacchi e scappare quando un paio di occhi nocciola la fissarono con sorpresa per quella intromissione, eppure Dominique riuscì a mantenersi ferma. «La vostra carrozza è così ben ammortizzata, milord, che la strada è volata via. Non sono per nulla affaticata, ve l’assicuro.»
Fu ricompensata da un sorriso da parte di Gideon, che la guidò verso il sofà. «Infatti, padre, abbiamo visto il Dr. Harris prima di partire da Londra e ci ha assicurato che il viaggio non comportava alcun pericolo.»
«Ciononostante, ho ordinato di posticipare la cena, per darvi il tempo di riposare...»
Il dialogo continuò, in maniera educata, forse un po’ formale, ma non ostile. Dominique ne fece cenno a Gideon quando l’accompagnò nei loro appartamenti all’ultimo piano e lui ne convenne.
«Sono lieto che tu non fossi intimidita. I modi di mio padre sono forse un po’ formali, ma è una persona molto gentile, te l’assicuro.»
Dominique dovette ricordarsene quando scesero per la cena, che fu servita nella sala da pranzo, un’altra camera fastosa.
Il grande tavolo al centro era apparecchiato con tutto lo sfarzo e la formalità che si potessero desiderare. Ma lei non li desiderava.
La conversazione fu quasi inesistente, il cibo era freddo e quando Dominique ritornò nel salone vuoto, mentre i gentiluomini bevevano il brandy, già cominciava ad avere nostalgia della confortevole comodità di Brook Street. Poiché non era solita lamentarsi, si mise ad accordare l’arpa che era stata sistemata in un angolo della stanza.
Aveva appena terminato il suo compito e stava pizzicando le corde con delicatezza quando Gideon arrivò col padre.
«Dato che qui non c’è pianoforte, abbiamo portato con noi l’arpa di Nicky» spiegò il giovane per rispondere allo sguardo sorpreso del visconte.
La reazione dell’uomo fu fredda.
«Spero che non abbiate nulla da obiettare, milord» intervenne subito Dominique.
«Al contrario. La madre di Gideon amava la musica, ma quando Gwendoline si è sposata ho fatto mandare il pianoforte a Fairlawns. Comunque, sarà piacevole sentire di nuovo la musica a Rotham.» Fece un piccolo inchino. «Questa casa è stata troppo a lungo senza una padrona, signora, sarei onorato se occupaste quel ruolo.»
«G... grazie, milord.»
Gideon le sfiorò il braccio. «Forse ora vuoi suonare qualcosa, Nicky?»
Lei acconsentì, felice di evitare i lunghi silenzi imbarazzati che avevano accompagnato la cena.
Quando l’orologio suonò le undici, si scusò e si ritirò. Lei e Gideon erano stati sistemati in due stanze adiacenti, con una porta che le metteva in comunicazione e non fu dispiaciuta quando il maritò bussò ed entrò poco dopo.
Sedeva al tavolino da toeletta, mentre Kitty le scioglieva i capelli, ma congedò subito la cameriera. Indossava solo la camicia da notte e si sentì all’improvviso un po’ intimidita nel ritrovarsi da sola col marito. Per nascondere l’imbarazzo mantenne gli occhi sullo specchio mentre si levava l’ultima forcina.
«Credo che sia andata molto bene» commentò lui avvicinandosi. «Papà è stato molto lusinghiero nei tuoi confronti.»
Lei ne fu felice, ma non poté fare a meno di chiedere se tutti i pasti venissero consumati nella sala da pranzo.
«Quando mio padre è solo, mangia nella sua stanza e il suo valletto, Warner, gli porta anche la colazione lì. È consuetudine che tutti gli ospiti di questa casa facciano colazione nelle proprie stanze. Kitty ti porterà la tua domattina.»
L’idea di sedere nel letto con Gideon, mentre lui le offriva piccoli bocconi di pane tostato, era molto invitante – infatti le fece scorrere un brivido di eccitazione lungo il corpo – ma lei sapeva che in realtà avrebbe mangiato da sola.
Si passò la spazzola tra i capelli, sedendo tesa e rigida.
Gideon si avvicinò e le tese la mano. «Posso?» Gli passò la spazzola in silenzio. «So che qui è tutto nuovo per te, Nicky, ma ti prego di avere pazienza.» Cominciò a pettinarle i capelli, una ciocca per volta, ma i suoi pensieri erano altrove. Infine disse: «Non sono più stato a Rotham dal litigio con mio padre, lo scorso dicembre. Per me presentarmi adesso e con una moglie che ho sposato senza la sua benedizione...».
I colpi ritmici della spazzola fecero effetto e la tensione di Dominique si sciolse. «È molto difficile per tutti e due, ne sono certa.» Lanciò un’occhiata all’immagine di Gideon nello specchio, ma gli occhi di lui erano fissi sui capelli. «Conosce la verità su di noi?»
«Sì. Gli ho detto tutto dal principio. Non che si possa attribuire alcuna colpa a te...» disse non appena vide che lei si portava le mani alle guance in fiamme. «Gli ho spiegato che ero furente perché Martlesham e quella piccola attrice mi avevano raggirato. È stata tutta colpa del mio pessimo carattere e questo lo comprende fin troppo bene.» Sorrise con una smorfia. «È più probabile che ti compatisca anziché incolparti.»
«È altrettanto brutto» affermò lei. «Non vorrei mai che avesse pietà di me.»
Gideon guardò il riflesso nello specchio, notando l’angoscia negli enormi occhi, le guance arrossate. Appoggiò la spazzola e le mise le mani sulle spalle. «Ho sbagliato a sposarti? Ho sbagliato a non voler annullare il matrimonio?» le chiese all’improvviso.
Lei sollevò il mento. «Sì, se non vuoi metterti il passato alle spalle.»
Con un sussulto lui si rese conto che non aveva pensato al passato, soltanto al dispetto che aveva fatto a Nicky mantenendo valido il matrimonio.
Lei si mise una mano sulla pancia. «È un po’ tardi per discuterne adesso. Devi fare come me e guardare avanti.» Scosse leggermente il capo e fece fluire i capelli setosi sulle mani di Gideon. Alcune ciocche scure le ricaddero sul seno, mettendo in evidenza la stoffa sottile della raffinata camicia da notte.
Il desiderio si risvegliò. Che lei lo avesse fatto di proposito o per caso, Gideon fu costretto a voltarsi prima che l’eccitazione diventasse visibile, soprattutto prima che il desiderio per lei diventasse così grande da non poter essere trattenuto. Doveva allontanarsi dalla sua presenza conturbante prima di approfittarsi della sua ingenuità. Prima di farla rischiare ancora di più.
Attraversò la porta comunicante con un saluto brusco e la lasciò.
Dominique rimase a lungo immobile, considerando che a volte sembrava quasi che lui la desiderasse.
Quasi.
Far ondeggiare i capelli sulla schiena non era stato un gesto involontario ma studiato per provocare una reazione. Aveva percepito la tensione di Gideon. Era così vicino che le sarebbe bastato piegarsi un po’ indietro per appoggiarsi a lui. Ma, appena aveva iniziato a farlo, lui si era allontanato di colpo.
Sorrise triste. C’era sicuramente un’attrazione tra loro. Non era amore, ma un inizio.
Represse un sospiro ed entrò nel letto. Sarebbe stata una buona moglie e madre, avrebbe reso il marito fiero di lei e poi, forse, lui l’avrebbe potuta amare, almeno un po’.
Le prime settimane a Rotham passarono veloci. Il visconte trascorreva buona parte della giornata chiuso nel suo studio a leggere o a giocare a scacchi con Sir Edward Moorhouse, un anziano vedovo che abitava vicino e andava a trovarlo di tanto in tanto.
Gideon portò la moglie a conoscere tutte le famiglie del vicinato e le signore ricambiarono facendole visita a Rotham. Quando Dominique non era in giro in carrozza o non riceveva, osservava la conduzione della casa e faceva domande a Mrs. Ellis, la governante.
Alla fine della seconda settimana cominciò a dare suggerimenti. Erano seduti nel salotto dopo cena. Lei suonava l’arpa e gli uomini giocavano a backgammon. Quando venne il momento di ritirarsi, lei si alzò e si diresse alla porta, ma prima di aprirla si voltò.
«Ho chiesto a Colne di apparecchiare per la colazione nel salottino di quercia, domattina.» Gideon inarcò le sopracciglia, ma lei si rivolse al visconte e disse con un sorriso: «Milord, la prima sera che ho trascorso qui mi avete detto che ero la padrona di casa a Rotham, spero quindi che non abbiate obiezioni».
«No, se tu e Gideon desiderate fare colazione di sotto, siete liberi di farlo.»
Dominique temeva che il marito preferisse fare colazione nella sua stanza. Cercò di celare il nervosismo e lo guardò con un sorriso. «Grazie, milord. Quella stanza è esposta a est, ideale allo scopo e più comoda per il personale, che non deve trasportare i vassoi fino alle camere da letto. Spero che vi decidiate a unirvi a noi una delle prossime mattine.»
Con un movimento rapido uscì dalla stanza e si preparò alla sfuriata. Invece sentì i passi del marito superare la sua porta e il rumore dei movimenti di lui nella stanza.
Si coricò. La mattina seguente avrebbe scoperto se avrebbe fatto colazione da sola...
«Ho deciso di non far disturbare Runcorn a portarmi la colazione quando qui è già tutto preparato.»
Colne aveva appena portato la caffettiera nel salottino di quercia quando Gideon era apparso sulla porta.
Dominique lo accolse con sollievo. «Buongiorno. C’è tutto quello che ti piace: carne fredda, uova sode, panini caldi nello scaldavivande e anche birra, se preferisci.» Poi, mentre lui si serviva, aggiunse: «Continuerò a invitare tuo padre a scendere e a mangiare assieme a noi».
«Resterai delusa. È troppo legato alle sue abitudini. Non apprezza la compagnia di mattina.»
Dominique si limitò a sorridere, disposta a concedergli tempo.
Presto i suoi sforzi vennero premiati. Quando una mattina raggiunse il salottino, trovò il suocero già seduto a tavola. Si salutarono con cortesia e anche quando Gideon si unì a loro non fu fatto alcun riferimento al cambio d’abitudini del visconte.
Gideon era soddisfatto nel vedere la moglie e il padre che andavano così d’accordo. La coscienza gli rimordeva un po’ al pensiero che l’indomani avrebbe lasciato Nicky da sola a Rotham ed era sollevato che lei si stesse adattando.
Glielo disse mentre passeggiavano nel parco, più tardi quello stesso giorno. «Hai portato un grande cambiamento qui. Mio padre me ne ha accennato la scorsa sera. Questo posto sembra più luminoso.»
«È perché il rivestimento dell’atrio è stata lucidato per la prima volta da anni» replicò. «È sorprendente quello che un po’ di cera riesce a fare.»
«Sei molto più coraggiosa di me. Temo di aver dimenticato di dirtelo... Mrs. Ellis non è tipo da prendere le critiche con benevolenza.»
Dominique ridacchiò. «L’ho conquistata con una provvista di zucchero d’orzo francese e di pepe giamaicano.»
Gideon la guardò con occhi ridenti. «Ecco perché sei andata a fare spese prima di lasciare Brook Street. Stavi facendo incetta di beni da usare come merce di scambio!»
«Sono solo regali per spianarmi la strada... Oh!» si bloccò.
«Cosa è successo? Nicky? Stai bene?»
Lei lo guardò con una luce dolce negli occhi. «Sì» bisbigliò. «Ho sentito il bambino muoversi.» Gli prese la mano e se la posò sulla pancia. «Aspetta.»
Restarono immobili per un attimo, circondati dai raggi del sole e dai canti di uccelli.
«Sì! Sì, l’ho sentito anch’io.» Rise deliziato. «Mio figlio.» Le prese il viso tra le mani e la baciò con delicatezza. «Finalmente sembra reale. È la prima volta che te ne accorgi?»
«Altre volte l’ho sospettato, ma non ne sono mai stata così sicura.»
«È come un miracolo.» La riprese sottobraccio e ricominciarono a passeggiare. «Mi piacerebbe sentire scalciare mio figlio ogni giorno.»
«Allora resta, almeno per qualche tempo ancora.»
Nel vedere lo sguardo timido e fiducioso di Nicky, Gideon fu molto tentato, poi scorse la figura solitaria del visconte che li fissava dalla finestra del salotto e ricordò i pericoli dell’amare troppo la propria moglie. «Ti stancheresti subito della mia compagnia» disse con allegria. «Inoltre ho promesso a Gwen che le avrei fatto una visitina a Brighton. Poi devo dare il via ai lavori a Chalcots, se vogliamo che sia pronta per te e per il bambino.»
«Sì, certo.»
A Gideon sembrò di udire un velo di tristezza nella voce della moglie, prima che lei iniziasse a parlare di altri argomenti. Meglio così, si disse. Restare lontano da Nicky sarebbe stata una buona idea. Si stava affezionando troppo a lei.
Dominique sapeva di aver sbagliato. Gideon si era ritratto appena lei gli aveva chiesto di restare, mostrando la propria debolezza. Nascose la delusione con orgoglio. Lei era sua moglie, la madre di suo figlio, anche se non poteva pretendere il suo amore.
Lo spirito solare di Dominique si era ormai ravvivato, quando col visconte vide Gideon partire. Nel rientrare in casa Lord Rotham le offrì il braccio.
«Come ti devo intrattenere, mia cara? Non vorrei che soffrissi la noia.»
«Con le visite mattutine e la casa di cui prendermi cura sarò ben occupata, milord.»
«Non devi affaticarti troppo» dichiarò lui in fretta.
Lei rise. «Prometto che mi riguarderò. Comunque c’è un cambiamento che mi piacerebbe proporre.»
Quegli occhi nocciola, così simili a quelli di Gideon, sorrisero con circospezione. «Ebbene?»
«Penso che dovremmo cenare nella sala della colazione. Siamo solo in due e sarebbe eccessivo usare la sala da pranzo. I servitori dovrebbero portare le vivande a una distanza doppia e la tavola è così lunga...» Dominique pensò che il gentiluomo stesse per rifiutare, ma dopo un attimo di riflessione lui si voltò e si incamminò verso il suo studio, dicendole da sopra la spalla: «Fa’ tutto ciò che ritieni opportuno, mia cara. Di’ a Colne di organizzarsi».
Dominique si impegnò con slancio nel compito di gestire la casa per non sentire la mancanza di Gideon.
Il suo corpo s’ingrossava, suscitando in lei una certa apprensione, soprattutto quando il visconte la guardava con ansia, ma si fidava del Dr. Bolton, il quale le aveva garantito che era sanissima. Inoltre, aveva troppe cose da fare per confinarsi a letto.
Convinse il suocero ad assumere un altro garzone per aiutare l’anziano giardiniere a potare le siepi e a liberare i sentieri dalle erbacce. Dentro casa esplorò stanze che erano state chiuse per anni. Trovò dei bauli pieni di stoffa nel solaio e ne usò una parte per confezionare cuscini, che sparse sulle sedie di legno del salone.
Pian piano, mentre l’estate passava, la vecchia casa ritornò a vivere sotto le cure di Dominique, che aveva modi così gentili e discreti che i servitori erano felici di accontentarla, lucidando, spolverando e pulendo. Alla fine Mrs. Ellis dichiarò che la casa appariva come ai tempi in cui Lady Rotham era viva. La governante confidò anche a Colne che il padrone sembrava star meglio grazie alla compagnia.
«Già» replicò il maggiordomo. «Ha anche ordinato la carrozza per domani, per uscire con Mrs. Albury. Sarà la prima volta che va oltre il parco da anni, se si fa eccezione per il tragitto verso la chiesa, la domenica. È stata un dono del cielo, Mrs. Ellis, anche se Padron Gideon l’ha sposata per uno scherzo.»
La governante agitò un dito in segno di rimprovero. «Non ho prestato ascolto a quei pettegolezzi e vi sarei grata se non li ripeteste davanti al personale, Mr. Colne.»
«Ci mancherebbe!» fu l’indignata replica. «Ma è quello che Padron Gideon ha scritto a suo padre, me lo ha detto Warner. È stato fregato dal cugino della signora, Lord Martlesham, e da quella banda di scapestrati con cui andava in giro.»
«Forse, in ogni caso Padron Gideon è cambiato adesso, se ne sono accorti tutti. Lui e la giovane padrona sono una coppia benedetta dal cielo, credimi.»
Con un cocchiere in livrea a cassetta e un valletto in piedi dietro di loro, Dominique trovò la sua passeggiata col visconte molto più solenne di quella che aveva fatto con Gideon sul calesse. Tuttavia la apprezzò moltissimo, come disse al suocero quando lui fu sorpreso di trovarla nel salone quella sera.
«Hai avuto una giornata piena, mia cara. Non vorrei che ti stancassi restando qui sino a notte fonda.»
«La passeggiata con voi è stata tonificante, milord, non sono affatto stanca.»
«Ciononostante, ho mandato un biglietto al Dr. Bolton perché venga a visitarti domani mattina.»
«Ma l’ho visto due giorni fa e mi ha detto che ero in perfetta salute.» Dominique cercò di addolcire il tono. «Come ho spiegato molte volte a Gideon, un po’ d’aria fresca mi fa sentire meglio.»
«Mio figlio è preoccupato per il tuo benessere.»
«Si preoccupa un po’ troppo» replicò lei con un sorriso. «Prima che partissimo da Londra, il Dr. Harris gli ha detto che le signore non dovrebbero essere incoraggiate a credersi malate...» Si interruppe arrossendo. «Chiedo scusa. Mi rendo conto che non tutte sono fortunate con la salute.»
«Stai pensando alla madre di Gideon.»
«Sì, mi dispiace molto che la mia condizione riporti alla memoria ricordi tristi.»
«È così, ma la tua presenza a Rotham ci ripaga a sufficienza.» Fissò le fiamme. «È stata colpa mia, sai.»
«Milord...»
«L’amavo troppo e lei... lei non poteva negarmi nulla. L’ho logorata.»
Il visconte si mise una mano sugli occhi. Erano seduti assieme sul divano davanti al fuoco e Dominique gli sfiorò il braccio. «Lord Rotham, sono sicura...»
Lui scosse la testa. «Non ci sono scuse. Lei era delicata e io ero troppo impetuoso, troppo passionale.» Si appoggiò al bastone per alzarsi e andò verso il camino. «Mi sono accorto di ciò che avevo perso solo dopo la sua morte. Ma non permetterò che mio figlio faccia lo stesso errore con te.»
Dominique pensò alle lettere di Gideon. Erano allegre e raccontavano tutti i divertimenti che si stava godendo. Non poteva credere che fosse andato via per evitare la tentazione. «Penso che il vostro caso fosse molto diverso. Voi eravate molto innamorato di vostra moglie.»
«Ah! Questa è un’altra cosa di cui dovresti incolparmi, mia cara. È a causa mia che Gideon si è gettato a capofitto nel matrimonio. Quando James è stato... Dopo la sua morte, ho impedito a Gideon di lasciare Rotham. Era il mio erede e avevo bisogno che conoscesse la tenuta. Lui era giovane e avrebbe voluto vedere il mondo, avrei dovuto capirlo. Quando ha ereditato la fortuna dei Telford era naturale che si liberasse di ogni freno e andasse in città. Io vivo molto ritirato qui, ma ho conoscenze a Londra e ciò che ho sentito della combriccola di Martlesham mi ha preoccupato moltissimo. Anche allora non riuscivo a vedere la mia colpa... Se solo fossi stato meno duro! Lo scorso dicembre, quando Gideon è venuto a casa, sono riuscito solo a criticare il suo stile di vita. E lui è tornato di corsa dai suoi amici.» Guardò Dominique con espressione triste. «Il risultato è stato un matrimonio che nessuno di voi due desiderava e te ne chiedo perdono, mia cara.»
Lei si sforzò di sorridere. «Ciò che è stato fatto non si può disfare, ma intendo essere una buona moglie per Gideon.» Si avvicinò al suocero e gli prese le mani. «Milord, io non sono un fiore di serra che appassisce al primo freddo. Mia madre mi ha sempre detto che provengo da una razza robusta. Vi prometto che se sarò stanca riposerò, altrimenti lasciate che svolga i miei compiti.»
Il visconte la studiò per un attimo che sembrò infinito, poi annuì. «Benissimo. Manderò un messaggio a Bolton domattina e gli dirò di non venire. Mi devi perdonare, mia cara, sono un vecchio impiccione.»
Con un gesto audace, Dominique si allungò e gli baciò la guancia liscia. «No, milord, voi siete il mio caro suocero e vi sono molto grata per l’interesse.»
Detto questo gli augurò la buonanotte e salì in camera per riflettere su ciò che aveva saputo. Spiegava molte cose, ma confermava anche le sue peggiori paure.
Un matrimonio che nessuno di voi due desiderava.
Be’, non sarebbe stata la prima sposa non amata e neanche l’ultima, ma avrebbe sfruttato al meglio la situazione.