Secondo capitolo
Ora Giona è solo in mezzo al mare. Il suo destino è la morte per annegamento. Ma Dio manda a Giona un pesce. E il pesce inghiotte Giona. E Giona sta nello stomaco del pesce tre giorni e tre notti. Senza rivedere la luce, senza speranza di toccare di nuovo la terra, di restare vivo. E allora in fondo all’abisso, al culmine della disperazione, Giona improvvisamente reagisce, raccoglie le forze, raduna ogni singola stilla di energia dalle sue fibre e… recita una poesia!
Eh, ci sta! Dài, ci sta! No? Non ci sta? Vi potreste chiedere come diavolo può venire in mente a un uomo in una tale situazione di mettersi a recitare poesie. Allora forse non sapete una cosa. Non sapete dell’amore profondissimo che nella cultura ebraica esiste per la parola in generale e per la poesia in particolare. La Bibbia, infatti, è piena di poesia. Poesie anche diversissime fra loro. Perciò adesso lasciamo per un poco Giona. Lo lasciamo a recitare in questo strano teatro che è lo stomaco di un pesce. Un teatro dove l’attore non è sotto i fari, ma nel buio. Dove lo spettatore è uno solo (Dio) e non paga il biglietto, non applaude, non ride e, soprattutto, non è impressionabile con i colpi di scena; perché sa già tutto.
Lasciamo Giona e incontriamo tre diversi tipi di poesia che si trovano nella Bibbia: i Tehillìm, o Salmi, poesie religiose, lo Shir Hashirìm, il Cantico dei Cantici, un poema erotico, il Qohèlet.